Il Sangue e la Vendetta: i versi piu' belli della "Merope" di Vittorio Alfieri



Nota di Lunaria: prima di trascrivere i miei versi preferiti, riporto una breve introduzione e la trama.

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Fra il 3 febbraio 1782 e il primo luglio Alfieri compone la "Merope". Già rappresentata da Euripide, la leggenda di questa donna fu ripresa in latino da Ennio e successivamente tramandata da Apollodoro, Pausania e Igino. Ripresa in tempi moderni (1714) da Scipione Maffei, piacque molto a Voltaire che la verseggiò con raffinata eleganza ed acuta penetrazione dei personaggi. Anche l'Alfieri volle farla sua.

Trama: Ucciso il re Cresfonte, uccisi i due figli di lui, usurpatone il trono, Polifonte regna sulla città. Nell'attesa e nella speranza che il marito venga vendicato, Merope, la vedova del re, vive in un chiuso dolore. Polifonte, per ingraziarsi il popolo, vorrebbe sposare la spodestata regina. Frattanto il giovane terzo figlio di Merope, Egisto, fortunosamente sopravvissuto, giunge alle porte di Messene, e nello scontro con un arrogante straniero, è costretto ad ucciderlo; arrestato dagli uomini di Polifonte, confessa l'assassinio. Sopravviene intanto a corte il servo Polidoro che, avendo trovato, la cintura di Egisto in riva ad un fiume, e temendone la morte, s'incontra con Merope, rivelandole la sua apprensione. Finalmente anche Egisto e Polidoro si incontrano e si riconoscono. Polidoro rivela la reale identità del giovane. Sembra a questo punto che il tiranno Polifonte abbia buon gioco; decide infatti di perdonare l'assassinio compiuto da Egisto a patto che avvengano le nozze tra lui e Merope. La regina, per salvare il figlio, accetta la proposta. Ma Egisto non vuole il sacrificio della madre: mentre sta per compiersi la cerimonia nuziale, strappa la scure dalle mani del sacerdote pronto a immolare un toro, e avventatosi sul tiranno lo uccide. Il popolo esultante lo acclama re.


Atto Primo

Merope:

Merope, a che pur vivi? Ormai più forse
tu non sei madre - A che tre lustri in pianto
ho in questa reggia di dolor trascorsi?
Suddita a che d'un Polifonte infame,
dove sovr'esso io già regnai? D'un mostro,
che il mio consorte, e due miei figli (oh vista!)
Mi trucidò su gli occhi...
[...] L'orrenda notte,
che i satelliti tuoi scorreano in armi
per questa reggia ove tutto era sangue
e grida, e fiamme e minacciar.
[...]  Di me parlo.
Oh, nuovo, inaspettato, orrido oltraggio!
L'insanguinata destra ad orba madre
ardisci offrir tu vil, che orbata l'hai?
Del tuo signore al talamo lo sguardo
innalzar tu, che lo svenasti?
[...]


Polifonte: [...] Eppur, Merope vidi
molti anni addietro, se non lieta, involta
in muto duol, qual di chi cova in petto
speme che adulta ogni dì più si faccia
d'alta vendetta. Or, quasi l'anno parmi,
che oppressa più, cangiò contegno; il pianto,
che in cor premeva, or mal suo grado agli occhi
corre in copia... [...]


Atto Secondo

Egisto: Sì; dei tre figli tuoi, svenati tutti
da rio tiranno, il cui feroce aspetto
fremer mi fea qui dianzi. Assai più grato
m'è in te il rigor, qual sia, che in lui pietade.
[...]


Atto Terzo

Polidoro: ...Donna... conosci... questo... cinto?

Merope: Oh vista!
Di fresco sangue egli è stillante?... Oh cielo!
è di Cresfonte il cinto.... Intendo... Io... manco

Polidoro: In riva al fiume, al raggiornare, or dianzi
io 'l ritrovava sepolto nel sangue:
uomo fuvvi ucciso; ah! non v'ha dubbio; egli era
il figlio tuo.

[...]

Merope: Or via, vieni, o tiranno,
di pianto al suon; di pianto, qual già udivi
in questa reggia stessa, il dì che morte
seguia tuoi passi [...]

Polidoro: A te son noto:
mirami fiso; del tuo re Cresfonte
spesso m'hai visto al fianco. Polidoro
sono io: Messene abbandonai, quand'altri
la serva fronte a usurpator piegava.
Ravvisami: più bianco è ver ch'io reco
degli anni il crine; e più curvato il tergo,
e tinto in morte dagli stenti e angosce
il volto: ma pur sono ognor lo stesso;
ognor nemico a te più fero. [...]

Merope: Se reo
dunque non sei del colpo, in questa reggia
sta fra tue man quell'uccisore infame:
può sol vendetta alcuno istante ancora
me rattenere in vita. Or fa', ch'io il vegga
vittima tosto cader sulla tomba
dell'inulto Cresfonte; ivi l'infida
alma spirar fra mille strazi e mille
fa ch'io il vegga: ed allora...

Aspra [la Giustizia] la voglio, e pronta,
e inaudita, e terribile: null'altro
mai ti chiedei: favore ultimo, e primo,
questo mi fia da te... [...]
Sbramar gli occhi miei
del sangue tutto di quell'uom feroce...
[...] Vendetta
io ne farò, qual non s'intese mai;


Atto Quarto

Merope: [...] Assassin vile, la tua mano impura
bagnata hai tu del mio figliuol nel sangue?
Che mi val tutto il tuo? Solo una stilla
scontar mi può di quello?
[...] Stringete voi que' ferrei lacci; orrendi,
strazj inauditi apprestategli: ei spiri
infra tormenti l'alma. Io vo' mirarlo
piangere a calde lacrime: non ch'una,
mile vo' dargli io stessa orride morti.


Atto Quinto:

Merope: L'universal silenzio orrendo annunzia
chiaro pur troppo il mio destino. - Il figlio,
col mio morir, dunque or si salvi: io 'l debbo. -
O di Cresfonte inulta ombra dolente,
perdona, deh! l'involontario oltraggio:
per te fui madre; e pel tuo figlio io vengo
alle nozze di morte. [...]
Pur rammentando il mio nome; con quest'arti
forse il suo cor tu svolgerai dal sangue.
Chiusa per sempre la tua madre in tomba
vedrai tra breve [...]

Nota di Lunaria: riporto anche la "Merope" di Scipione Maffei (1713)

Dall'Atto Terzo

Polifonte: tu sospetti a ragion: ma io nol credo
a i detti suoi; al suo dolore il credo.
Videla il servo lacerata il crine,
di pianto il sen piena, di morte il volto:
videla sorger furibonda, e a un ferro
dar di piglio, impedita a viva forza
da l'aprirsi nel seno ampia ferita.
Or freme ed urla, or d'una in altra stanza
sen va gemendo, e chiama il figlio a nome:
qual rondine talor, che ritornando
non vede i parti, e trova rotto il nido,
ch'alto stridendo gli s'aggira intorno,
e parte, e riede, e di querele assorda.

Adrasto: Anzi ora è il tempo
di dare ormai con ciò l'ultimo impulso
a i voler vacillanti, e per tal morte
resi dal disperar ver te più miti.
Certo esser dei che acquisterà più lode
quest'apparenza di pietà, che biasmo
cento oscuri misfatti. De l'altera
Merope, dopo ciò, fanne a tuo senno.
Quanto d'atroce sen spargesse, allora
perderà fede presso il volgo, e tutto
maldicenza parrà. Vuolsi non meno
ben tosto ampia innalzar funerea pompa,
e con lugubre onor, con finto pianto
del tuo nimico celebrar la morte:
sì per mostrar d'aver cangiato il core,
come per pubblicar ciò che ti giova. 

Polifonte: Tutto si faccia; e poiché vuol Messene
esser delusa, si deluda. Quando
saran da poi sopiti alquanto e queti
gli animi, l'arte del regnar mi giovi.
Per mute oblique vie n'andranno a Stige
l'alme più audaci e generose. A i vizi,
per cui vigor si abbatte, ardir si toglie,
il freno allargherò.


La "Merope" di Voltaire



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