"L'Ignoto! o il Cavaliere..." (Racconto Gotico)


Nota: il merito di questo post va tutto ad Elena (qui trovate il suo canale https://www.youtube.com/@ElenaM-o5v ), che mi ha aiutato a "salvare" questo racconto dall'oblio, per donarlo a tutti gli appassionati di racconti gotici. 

"Fermati, pellegrino! Da dove vieni?"
"Freddo è il vento del nord che soffia sui monti - gelida nelle ossa la neve che spazza la brughiera - ancor più terribili le sue folate taglienti quando la grigia foschia della sera scende sulla valle - gelato è il sentiero che si snoda nella foresta laggiù - e senza gioia è il cuore di chi è costretto a percorrere quel cammino solitario in una notte come questa!"
"Voltati, pellegrino! e dirigi i tuoi passi verso le rovine di Rhuddlan, dove potrai passare indisturbato la notte fonda e riprendere al mattino più sereno la tua strada."
"Pio eremita! Non sai che dal crepuscolo alle prime luci dell'alba spiriti inquieti vagano in quel castello? Anche ora il sangue mi si gela nelle vene se penso a quello che ho visto - ai gemiti che hanno trafitto le mie orecchie - alle immagini che han ferito i miei occhi - urla e risate confuse nel vento che fischiava sotto gli archi cadenti dei cortili - ancor ora un freddo sudore mi imperla la fronte e il mio cuore rallenta i suoi battiti."
"Dimmi, dunque, sei entrato nella sala principale?"
"Sì; e nel grande camino c'erano foglie secche per scaldarmi le membra percorse da brividi. In terra ho disposto il contenuto della mia bisaccia e con gioia mi accingevo a ristorarmi - ma spiriti irati interruppero la mia contentezza e suoni orribili soffiarono sulla mia guancia livida. Caddi subito in ginocchio tremando e dissi il rosario. Ma le urla aumentavano - un raggio di fiamma attraverso la sala e davanti a me si erse un guerriero in armatura - la visiera era alzata e sopra la fronte gli ondeggiava una piuma rosso sangue. 
Non pronunciò motto ma mi guardò fisso: l'occhio nero come bacca selvatica - magnetico come basilisco - le guance incavate come la morte. Sarei fuggito ma i miei piedi sembravano incatenati al suolo e il mio cuore aveva paura a palpitare. In quell'istante una voce di donna echeggiò per la sala.
"Vengo, Erilda", gridò il cavaliere e svanì.
Di nuovo strida e torrenti di sangue si rovesciarono sul pavimento di marmo su cui stavo. Aghi di ghiaccio mi trapassarono il cuore fin nelle vene. Ma reso disperato dalla paura, tra orrendi ululati, riuscii a fuggire; e le braci languenti del focolare che gettavano una debole luce mi guidarono per i cortili attraverso cui mi precipitavano con la rapidità del lampo. 
Venerabile eremita! Non oso avventurarmi di nuovo tra le mura di Rhuddlan! Il mio petto ha sfidato la spada dei Sassoni e non ha tremato. Ho affrontato con coraggio pericoli per la patria e non si è mai detto che avessi tremato. Ma non oso incontrare di nuovo gli spiriti del Clwyd infuriato."

L'eremita sorrise.

"Vedi quella roccia laggiù? Sporge minacciosa sul fiume che ne lava i fianchi accidentati con la sua corrente increspata. Nel cuore di quella roccia abito io. La pace è la mia compagnia. La mia cella è umile ma ospitale. E nel suo grembo spesso il pellegrino stanco ha ritrovato ristoro. Resta pure questa notte e dividila con me, amico, con il semplice pasto."
"Santo padre, con gioia ti seguo. Fame e stanchezza mi opprimono; e le membra affaticate si rifiutano di continuare."
Il venerabile eremita condusse il pellegrino nella cella che era pulita come sano era il cibo. Il pellegrino consumò il pasto frugale; e acqua cristallina che sgorgava dalla roccia fu la bevanda che il sant'uomo gli offrì in una tazza di legno rozzamente intagliata. L'ospite bevve e si sentì ristorato. Poi trasse il sedile presso il fuoco dove la fascina bruciava crepitando. E l'eremita, per passare il tempo e rimuovere la paura che albergava in petto all'ospite, così gli parlò del Cavaliere dalla Piuma Rossa Sangue e della bella Erilda.

Alta sulle mura di Rhuddlan sventolava la bandiera nera in segno di lutto; alta la campana del vicino convento scandiva i rintocchi funebri che si spandevano per le valli intorno e la cui triste eco correva sul soffio del vento - solenni i monaci cantavano la messa per l'eterno riposo del defunto - decine di ceri illuminavano la cappella - con larghezza somme di denaro venivano elargite ai poveri presenti. Il vento della sera era tagliente - una grigia foschia circondava le cime frastagliate della montagna - e leggeri fiocchi di neve si posavano sul volto del viaggiatore mentre gelide folate gli sollevavano il mantello.
Sir Rhyswick il Forte udì avanzando l'eco dei rintocchi lontani e, spronando il destriero focoso, il cuore pieno di tristi presentimenti, riprese la corsa veloce attraverso la foresta.
"Affrettati, nobile cavaliere!" esclamò una voce al suo orecchio.
"Egberta sta morendo!"
Sir Rhyswick impallidì.
"Il corpo di Egberta è freddo", continuò la voce. "Vani sono i tuoi sospiri."
Sgomento il cavaliere frenò il cavallo e volse il capo nella direzione in cui gli pareva di aver udito la voce. Ma non vide nulla. Davanti a lui non c'erano che i rami scricchiolanti mossi dalla brezza.
Allarmato spronò il destriero - di nuovo la neve gelida gli soffiò contro.
La notte stava ora coprendo il cielo e nella foresta il sentiero per le continue biforcazioni si riconosceva a fatica.
I pipistrelli dalle ali a membrana gli sfioravano il capo nel loro volo radente e il gufo lanciava lugubri strida, evocando la dissoluzione della morte.
Sir Rhyswick trasse un profondo sospiro. Pensieri malinconici gli attraversavano la mente e, arrivato sulle rive del Clwyd, vide rabbrividendo i ceri che illuminavano il convento di Rhuddlan e udì più distinti i rintocchi funebri della campana.
"Egberta non è più!", esclamò la voce di prima. "Egberta è in cielo."
Il cavaliere si voltò ma, non vedendo nessuno, preso dall'angoscia per quella predizione, spronò il cavallo e si precipitò pallido e teso verso il castello. Al cancello di Twt Silod, la grossa torre che si alza sulla riva del fiume, soffiò forte nel corno che vi era appeso. Il suono improvviso echeggiò per i cortili e disturbò l'uccello del malaugurio posato sugli spalti che si alzò in volo con cupe strida, e sbattendo le ali pesanti. Il portone si aprì e Sir Rhyswick entrò passando tra due ali di vassalli vestiti a lutto.
"Allora la predizione era vera!", esclamò e, precipitandosi nelle stanze di Egberta, la trovò fredda e immobile. Il colore che un tempo le soffondeva le guance era scomparso. Gli occhi erano chiusi e le labbra, che solo da poco avevano esalato l'ultimo respiro, stavano diventando sempre più pallide. Un sorriso sereno le aleggiava sul volto; i lunghi capelli erano intrecciati con rose e nastri; il corpo era pronto per essere ricevuto dalla terra; e due monaci le sedevano ai lati, levando preghiere per il suo riposo. 
A quella vista inattesa Sir Rhyswick si accasciò con un gemito sul letto. Alcuni servitori, che lo avevano accompagnato fin lì, lo trasportarono senza sensi nella sua stanza.
Il giorno dopo la virtuosa Egberta fu portata nella cappella del castello. Alcune fanciulle gettavano fiori lungo il sentiero su cui passava la loro buona signora. I monaci del vicino convento intonarono una triste salmodia - a capo scoperto, le braccia incrociate sul petto. Erilda cosparse il corpo della madre di fiori inumiditi dal pianto, poi si unì al requiem recitato dai monaci salmodianti e la cerimonia giunse al termine. Col cuore oppresso Erilda tornò al castello.
Sir Rhyswick, a cui il dolore aveva impedito di partecipare al rito funebre, si strinse al cuore l'amorosa fanciulla ed entrambi cercarono conforto nella reciproca compagnia.
Rhyswick il Forte era amico e favorito del principe.
Aveva combattuto in tutte le guerre del suo paese dal giorno in cui era stato in grado di manovrare la spada e la vittoria gli aveva sempre arriso.    
Aveva ormai la barba inargentata dal tempo, la pace regnava nel paese ed egli sperava di passare i suoi ultimi anni a Rhuddlan in seno alla sua Egberta.
Bliddyn ap Cynvyn aveva riunito sotto di sé per conquista sia la sovranità di Gwynned, o Galles del nord, sia di Powis.
E così aveva posto fine a una guerra che aveva a lungo minacciato di distruggere una delle due nazioni.
Con piacere il signore del Galles aveva osservato il suo implacabile nemico, l'Inghilterra, combattere contro l'invasore straniero: sanguinose erano state le battaglie combattute contro Guglielmo di Normandia, detto il Bastardo.
E con soddisfazione segreta di Bliddyn ap Cynvyn, spettatore silenzioso, aveva visto ora l'uno ora l'altro esercito decimati e indeboliti nella sanguinosa contesa.
Dall'adorata Egberta (dalle cui tenere braccia la guerra l'aveva spesso strappato e che durante la sua ultima assenza, colta da un'improvvisa e violenta malattia, era spirata in pochi giorni) Sir Rhyswick aveva avuto un'unica figlia. 
E a Erilda ora guardava per la sua futura felicità.
Questa era bella come il mattino - la salute rendeva rosee le sue guance - tenerezza e castità si specchiavano nei suoi occhi lucenti - i denti erano regolari come mughetti - l'alito fragrante come bocciolo di rosa imperlato di rugiada - aveva una fossetta scherzosa ai lati della bocca - e i ricchi boccoli ricadevano su spalle ben tornite.
Sul seno bianco come neve portava una croce di rubini e una catena d'oro - e le pieghe morbide dell'abito candido fluttuavano con grazia sulle membra slanciate. Erilda non era più bella di corpo che di mente, perché questo petto, il più perfetto che natura avesse mai creato, racchiudeva un cuore pieno di ogni virtù.
Circondata dall'universale ammirazione, ogni lingua ne cantava le lodi e molti pretendenti venivano a chiedere la sua mano. Ma benché fosse estremamente sensibile, nessuno aveva ancora suscitato interesse nel suo cuore. La calda freccia dell'amore non le aveva trapassato le tiepide vene.
Gaia e affabile con tutti - con alcuni riservata - godeva ancora di quella libertà che una persona innamorata non può più vantare.
La perdita della madre aveva steso un velo di malinconia sul suo viso, rendendola ancora più bella.
Sir Rhyswick indulgeva al suo dolore e il castello era immerso nel lutto.
Sulla cima della roccia che sovrasta le acque tumultuose del Clwyd i vassalli e i dipendenti più poveri di Rhuddlan venivano ogni sera a ricevere l'offerta caritatevole della giovane signora. 
Era su queste spianate scavate nella roccia che risuonavano le dolci e malinconiche note della sua arpa melodiosa; le onde cessavano di scorrere ammirate e Zefiro ritirava il capo, ascoltando in silenzio i suoi ammaliatori.
Un giorno il ritorno del crepuscolo di annunciava con strisce di porpora e d'oro nella grande distesa del cielo ed Erilda accompagnava la voce al suono tremulo dell'arpa, un cavaliere, montato su un destriero in gualdrappa e ricoperto di un'armatura nera con una piuma rosso sangue che gli scendeva sulle spalle, si avvicinò al luogo da dove proveniva il canto.
Erilda, sentendo un rumore di zoccoli, si voltò di scatto e con modestia e cortesia diede il benvenuto al cavaliere che aveva così invaso il suo ritiro.
C'era qualcosa nel suo portamento e nel suo aspetto che la riempiva di timoroso stupore.
E l'ignoto, smontando da cavallo, si sedette accanto a lei.
Di nuovo Erilda sfiorò le corde tremule con mano esitante.
Lo straniero sospirò fissandola; e quando i loro sguardi si incontrarono, Erilda abbassò il suo arrossendo.
L'ombra della notte si avvicinava e la foschia oscurò il cielo stellato.
"Nobile cavaliere!", disse la fanciulla con un sorriso cortese, mentre un'insolita e oscura eccitazione le vibrava in cuore, mista di ammirazione e paura, "le mura ospitali di Rhuddlan sono pronte a ricevervi. Nessun guerriero passa queste torri fortificate senza riconoscere e accettare la munificenza di Rhyswick il Forte."
"Bella dama!", rispose l'ignoto, "l'ospitalità di questo famoso capitano non mi è sconosciuta. Ma io devo continuare il mio viaggio e non posso condividere la generosità che tutti ammirano."
"Nobile cavaliere! Questo non è cortese!"
"Signora, addio! non può essere. Vivrò nella speranza che ci incontreremo di nuovo."
Così dicendo lo sconosciuto si portò alle labbra la mano della fanciulla e, balzando sul suo destriero, galoppò con la rapidità del vento per la pianura che gli si stendeva davanti.
Il suo cavallo sembrava appena sfiorare il terreno e in un istante scomparve alla vista.
Erilda rimase attonita. C'era un'espressione selvaggia in quegli occhi neri come il carbone che l'aveva affascinata ma anche allarmata. Un bellissimo colorito gli tingeva le guance ma sembrava di una natura insolita. I capelli erano neri e lisci - la figura nobile e imponente - la voce armoniosa ma con una risonanza strana per nulla gradevole. Tutto il suo aspetto suscitava ammirazione ma la riempiva anche di un certo tremore. Ed essa tornò al palazzo di Rhuddlan incantata ma insieme sgomenta per l'aspetto marziale dello sconosciuto.
"Che maestà nel suo volto!", si diceva. "Che nobiltà di modi! Quanta malinconia sembra riempire la sua anima! Vela la lucentezza dei suoi occhi neri e ne oscura i lineamenti espressivi, che sarebbero altrimenti pieni di gioia! Certamente questa tristezza non gli è naturale. No, no! Qualche segreto gli pesa sul cuore - e forse, come ho sentito cantare dai bardi, gli toglie i colori della salute - dà languore ai suoi occhi, pallore alle guance - priva il suo cuore di virilità - trasforma la risolutezza in trepidazione - e avvelena una nobile mente con pensieri di debolezza nati da qualche timore."
Erilda sospirò. Mentre si avviava alle sue stanze Sir Rhyswick le venne incontro. Le guance segnate recavano ancora traccia del suo dolore. Ma egli si sforzava di apparire sereno e con un debole sorriso la condusse nella grande sala comune.
Erilda tentò invano di essere gaia ma ogni sorta di pensieri le occupavano la mente. Il canto ispirato del bardo di Rhuddlan, che, quando la coppa conviviale passò di mano, alzò la voce intonata a livelli sublimi, commemorando imprese d'altri tempi e cantando di trionfi e di guerre gloriose, non affascinò il suo orecchio.
Erilda, il cui cuore era pieno di tutt'altro argomento, non si commosse al suono vibrante dell'arpa e non partecipò all'emozione che il canto patriottico ispirava nel cuore dei presenti. Se il tema fosse stato l'amore e l'aria lamentosa come il tenero richiamo della colomba, la sua anima si sarebbe persa nella melodia, cedendo al potere della musica cosi in accordo con le sue sensazioni. Perciò, deposto un bacio affettuoso sulla guancia barbuta di Sir Rhyswick, gli augurò la buonanotte e, scortata dal paggio, si ritirò nella sua stanza, tentando invano di cullare nel sonno gli strani e agitati pensieri che la turbavano. 
Nel sogno il cavaliere dalla piuma rosso sangue le sorse davanti e lei ne immaginò la forma aggraziata, il volto pensoso e melanconico. E sospiri di rimpianto le sollevarono il petto quando si svegliò e si accorse che l'immagine irreale era scomparsa.
Alle prime luci dell'alba si alzò e corse al monastero di Rhuddlan per offrire al cielo la preghiera quotidiana. Il santo padre che la confessava le diede l'assoluzione per gli errori commessi e di nuovo ella cercò il luogo prediletto dove aveva incontrato l'ignoto.
Guardò verso il sentiero che questi aveva preso la sera prima, ma egli non apparve. Allora sedendosi sulla roccia, cantò un'aria dolce e lamentosa come quella di Filomele. Poi, insoddisfatta della sua esecuzione, mise da parte lo strumento: la sua voce, cosi le pareva, non aveva la solita dolcezza - l'arpa era scordata - e le sue dita, esitando sulle corde, soffocavano la pienezza del suono.
Erilda sospirò cosi profondamente che l'eco del sospiro rimbalzò al suo orecchio dall'incavo della roccia.
"Perché, perché devo preoccuparmi tanto di uno sconosciuto errante che forse il caso ha condotto in questo luogo per la prima e l'ultima volta? Che a quest'ora è mille leghe lontano da qui e che non ha un solo pensiero per me? Vattene dal mio petto, speranza-immagine ingannevole. Non lo vedrò più - il mio cuore non deve albergare simili sospiri."
Cosi dicendo, ferma e risoluta, volse i passi verso il castello. Sir Rhyswich si stava preparando per la caccia. Falchi e levrieri erano pronti - dappertutto c'era rumore e confusione - ed Erilda acconsentì a unirsi al gruppo. Allacciatosi il mantello verde e gettatasi attraverso la spalla arco e faretra, montò sul suo cavallo bianco e li raggiunse.
La foresta vicina echeggiò del suono dei corni da caccia e il cervo spaventato rizzò le orecchie al suono ben noto. Il latrato dei cani risuonò dal fondo della macchia - seguito dal richiamo dei cacciatori - e leggera per paludi e marcite corse la preda veloce. Era ormai mezzogiorno quando Sir Rhyswick ordinò ai vassalli di piantare le tende nella pianura; infine, dopo essersi abbondantemente rifocillati, si prepararono a riprendere la caccia. Dolce idromele in una coppa d'oro fu offerto a Erilda che tra le sue damigelle sembrava la dea dei boschi. E Sir Rhyswick bevve dal corno il vino ristoratore. Ben presto il cervo ansante venne inseguito su per pendii rocciosi - attraverso fiumi e valli - per lande e brughiere - e nell'intrico della foresta. Erilda snidò una cerbiatta maculata dal sottobosco e, teso l'arco, la colpi nel fianco con una freccia d'argento. Benché ferito, l'animale riprese a fuggire e sfrecciò via come il lampo.
L'eroica cacciatrice lo inseguì veloce mentre corni e latrati echeggiavano da un'altra parte della pianura. A lungo la cerbiatta continuò la sua corsa e si mantenne in vista, con la freccia nel fianco, finché la pallida luna comparve, emergendo da una nuvola e inargentando la superficie del lago.
Alla fine l'animale cadde a terra e spirò all'istante.
Erilda smontò da cavallo. Solo adesso si accorse di essere lontana dal suo seguito, e per di più a un'ora in cui demoni irati vagano per l'aria e mormorano malefici. Il vento freddo le sollevava i capelli mentre la grigia foschia della sera scendeva velocemente. Invano tese l'orecchio per udire il richiamo dei cacciatori. Il corno non suonava più per la valle - tutto era buio e silenzio, eccetto per il soffio sordo del vento che si apriva sospirando un passaggio tra gli alberi.
Quasi venendo meno di paura, si appoggiò all'arco. 
Cercò di soffiare nel corno che le pendeva sul petto, ma questo le scivolò dalla mano e l'arco si rifiutò alla sua stretta. Infine, chiamando a raccolta un po' di coraggio, rimontò a cavallo e, non sapendo che direzione prendere, gli affidò le redini, raccomandandosi al suo spirito protettore. Via corse il destriero impaziente attraverso la foresta, per valli e colline.
Le zolle erbose vibravano sotto i suoi zoccoli e bianca schiuma ricopriva le sue narici dilatate. All'improvviso il suono della campana di un convento vicino risuonò nel vento e torce accese ondeggiarono in diversi punti del bosco davanti a lei. "Ehi, laggiù!" gridò la cacciatrice mentre la speranza le si riaccendeva in petto. "Ehi, laggiù!" Ma solo la sua voce le ritornò all'orecchio e le torce fiammeggianti sparirono. Allora riprese la corsa sul suo cavallo bianco e galoppò via veloce. Di nuovo il suono di un corno da caccia si levò a grande distanza e un rumore di zoccoli che si avvicinavano la convinse che gli attendenti di suo padre erano sulle sue tracce. Frenò il cavallo e attese che la raggiungessero. Ma i suoi inseguitori presero una strada diversa.
I suoni morirono in lontananza e tutto fu di nuovo silenzio. Infine, stanca di attendere, Erilda riprese il cammino, quando dietro a una roccia che si sporgeva sul corso del Clwyd le apparve un cavaliere che avanzava lentamente sulla riva, pensieroso in volto - la mano destra appoggiata sull'ascia di guerra - la sinistra sulle redini del cavallo. La sua anima sembrava piena di malinconia, la mente agitata da tormentosi pensieri. Erilda gli andò incontro e, fissando gli occhi azzurri sul suo viso, con stupore riconobbe lo sconosciuto cavaliere dalla piuma rosso sangue. La visiera era alzata e la malinconia era dipinta su tutti i suoi lineamenti - un sospiro represso gli aleggiava sulle labbra - una cupa tristezza sembrava opprimergli il cuore, gettando un'ombra sul suo volto e snervando l'energia della mente che il suo occhio vigile rivelava. Erilda, incapace di trattenere il cavallo che si era levato sulle zampe posteriori e nitriva infuriato, chiamò il cavaliere che, immerso nei suoi pensieri, non l'aveva vista.
"Cortese straniero!" esclamò. Mi metto sotto la tua protezione. Riconduci Erilda al castello di Rhuddlan e la benedizione di un padre riconoscente sarà tua."
"Figlia divina del migliore tra i capi!", rispose il cavaliere, afferrando le briglie del suo cavallo, "mi sottometto ai tuoi comandi, la mia vita è al tuo servizio."
Erilda sorridendo gli porse la mano che il cavaliere si portò con rispetto alle labbra. Procedendo giunsero in vista delle alte torri di Rhuddlan. La luna, gettando il suo pallido raggio sui merli scuri, li rifletteva nel Clwyd, che scorreva increspandosi sotto il monte su cui sorgeva il castello. Innumerevoli torce brillavano nelle mani degli attendenti sconsolati del grande capitano che, pieno d'angoscia, li aveva mandati qua e là per la campagna a cercarla. L'animazione era grande e, appena Erilda comparve tra loro, gli uomini levarono un vocio che sulle ali del vento portò la buona novella a Sir Rhyswick. 
Il cavaliere sconosciuto la condusse attraverso i cortili e il padre amoroso, impaziente di riabbracciarla, le si affrettò incontro. Erilda gli si strinse al petto e lacrime di gioia scivolarono sulla barba del vecchio, bagnando le spalle della figlia. Anche il cavaliere ricevette l'abbraccio del venerabile capitano che, fuori di sé per la gioia, gli avrebbe regalato imperi, se li avesse avuti a sua disposizione.
"Nobile cavaliere", esclamò Rhyswick, "ditemi a chi devo la consolazione di poter stringere di nuovo tra le braccia mia figlia. Lascate che cada in ginocchio ai suoi piedi e lo benedica."
"Grande capitano, il mio nome è Wertwrold, un essere costretto a vagare solo e dolente. Il mondo non conosce tetto che possa darmi riparo, un amico che mi dia rifugio. Ma anche se il dolore mi opprime il cuore, sono pronto a recare gioia agli altri. Erilda è ancora una volta vostra!", aggiunse con un sospiro e, chinato il capo, stava per ripartire.
"No, straniero! Questa notte dovete partecipare alla gioia che avete restituito al nostro petto e considerare Rhuddlan come la vostra casa." 
"Col vostro perdono" esclamò il cavaliere "il destino invidioso mi impedisce di gustare questo piacere; devo andare prima che le stelle impallidiscano all'orizzonte."
"Wertwrold!" intervenne Erilda "la damigella che avete protetto vi supplica di restare. Vi implora in ginocchio: non sciupate la festa con la vostra partenza. Venite, lasciate che vi conduca nella sala dei marmi."
Il cavaliere, sopraffatto dalle loro richieste, infine cedette. 
Ed Erilda, presolo per mano, lo accompagnò alla tavola apparecchiata per il festino, dove gli arpisti sedevano intonando gli strumenti in attesa dell'entrata del capitano e dei suoi ospiti. Wertwrold sembrò colpito dallo splendore della sala che aveva deliziato l'occhio di principi. Ricchi drappi di porpora pendevano dai muri in festoni bordati d'oro, tra colonne di bellissimo marmo disposte a intervalli regolari e sormontate da cornici d'argento rilucente. Il soffitto intagliato mostrava scene emblematiche di guerra e di caccia: da un lato era dipinta Diana con l'arco, dall'altra Caractacus che combatteva i Romani.
Erilda condusse il cavaliere a uno scanno di cedro ricoperto di porpora e d'oro. Sulla tavola erano disposti a profusione calici intagliati e sontuosamente sbalzati, pieni fino all'orlo di idromele invecchiato. Durante il pasto gli arpisti intonarono canti bardici, tessendo le lodi degli antenati di Rhyswick e della loro discendenza e descrivendo le gesta di ciascuno. Infine i rintocchi di mezzanotte posero fine alla loro allegria - e i bardi furono congedati - e Wertwrold, dopo aver baciato la bella mano che Erilda gli porgeva in segno di favore, fu condotto alla sua camera da uno degli attendenti.
Il mattino sorse insolitamente splendido - la rugiada della notte brillava su ogni filo d'erba - e il sole fulgente sorgendo illuminò allegramente l'orizzonte coi suoi raggi - dolce era la brezza che alitava sui monti - leggero e profumato il soffio del vento - il fiume Clwyd scorreva tranquillo, quasi temendo di disturbare la calma che regnava ovunque e sembrava appena muoversi - ed Erilda, a cui la notte precedente i pensieri agitati avevano impedito il riposo, si affrettò all'amata roccia dove aveva visto per la prima volta lo straniero Wertwrold.
Qui si abbandonò ai suoi sospiri e a quei pensieri che danno pena e piacere insieme. Il luogo solitario le offriva l'occasione di indulgere alla malinconia. Qui poteva sedere e fissare l'occhio pensieroso sulle onde tranquille che lambivano la riva e immergere la mente in un caos di riflessioni contrastanti senza che nessuno la osservasse. Non aveva mai incontrato l'amore prima d'ora - non riconosceva i sospiri che l'assenza dell'amato suscita - e ora che provava tali pene era incapace di sopportarle. Il cavaliere dalla piuma rossa era padrone del suo cuore e del suo destino - violenta era la passione che le gonfiava il petto, minacciando di consumarla con un fuoco lento e sottile, perché sembrava impossibile che questa passione potesse essere soddisfatta.
Mentre sedeva su uno sperone roccioso sovrastante il Clwyd e le lacrime le scendevano sulle belle guance, turbata da questi pensieri, oppressa dalle emozioni e stanca per la mancanza di riposo, cadde nel sonno con il capo appoggiato al braccio bianco come il giglio.
Wertwrold lasciò il castello per godersi la frescura prima che il barone scendesse dalla sua camera o la campana li chiamasse a colazione. Come per istinto i suoi passi si svolsero verso il luogo dove Erilda aveva attirato la sua attenzione per la prima volta.
Quanto rimase stupito nel vedere la bella damigella immersa in un dolce sonno!
Rimase un poco ad osservarla e le più tenere sensazioni gli penetrarono fino in fondo all'anima. I riccioli neri le scherzavano intorno alle tempie e gli occhi azzurri erano nascosti dalle lunghe ciglia scure - e le labbra erano di un perfetto color rubino - un bianco petalo di rosa sottilmente venato di blu non avrebbe potuto essere più bello della sua fronte o più dolce del suo respiro - la brezza leggera, che le soffiava intorno, sollevava la mussola che ricopriva il seno candido e rivelava la bellezza alla cui vista - monarchi avrebbero sospirato di languore. Wertwrold, trasportato dall'estasi della passione, piegò il ginocchio e impresse un bacio sulla guancia di Erilda.
In quel momento ella si svegliò e il cavaliere, conscio del crimine commesso, si ritrasse tremante e vergognoso. Erilda era altrettanto confusa e Wertwrold, cogliendo il momento, con fervore le afferrò la mano e, tenendola tra le sue, esclamò: "Bella Erilda! Perdona la presunzione che la tua bellezza ha ispirato - se è un crimine adorarti, davvero sono colpevole! Ma mi inchino al fato - destinato a essere infelice, mi rassegno volentieri a essere vittima della fortuna crudele."
"Dite, nobile cavaliere!" esclamò Erilda imbarazzata, tenendogli la mano perché si alzasse da terra "perché siete cosi perseguitato? Affidate le vostre pene al mio petto - davvero, trovereste in me qualcuno che si interessa molto a voi - Erilda dal profondo del cuore ha pietà di voi."
"Veramente Erilda ha pietà di me?" rispose il cavaliere, alzandosi e prendendo posto accanto a lei. "Benvenute allora, mie pene! Perché d'ora in poi, mescolato alle vostre lacrime amare, porterete anche il piacere di questo pensiero: sapere che colei che tutto il mondo adora ha compassione del mio dolore. La lacrima cocente non scorrerà senza conforto, la freccia dell'angoscia, pur continuando a ferire porterà sulla punta avvelenata un balsamo per guarire la mia anima."
"Ma dite cavaliere, perché il vostro destino è avvolto nel mistero? Concedetemi la vostra confidenza, rivelatemi il vostro segreto - il mio petto sarà come una tomba - e cosi tenace sarò nel difenderlo che non oserò sussurrarlo nemmeno a me stessa."
"Ah, signora! Potessi infrangere le catene che costringono la mia lingua al segreto, potrei concedere un conforto al mio dolore. Ma no, mi è proibito, voi vedete in me uno che erra senza dimora, che la vendetta del Cielo ha condannato per un periodo di tempo a vagare sulla terra solitario, senza un tetto per proteggersi, senza amici che lo consolino e nessuno a cui confidare le sue pene!"
"Allora sia così!" esclamò Erilda impaziente.
"Signora, non oso rivelarvi di più: la causa deve restare ignota."
Erilda poté a malapena nascondere la sua agitazione. "E quando" disse con voce tremula "quando spirerà il termine che vi libererà  dalle vostre miserie?
"Solo quando si troverà una vergine di nobili natali e dall'onore puro come la neve che splende sulle montagne - la cui bellezza è l'argomento di corti e palazzi - la cui virtù e l'ammirazione di coloro che essa nutre con materna generosità - la cui mano sarà ambita da cavalieri di alto rango e dalle nobili imprese - che resisterà alla tentazione di ricchezza e potere, di pompa e titoli - che mi amerà sinceramente per me stesso e affronterà coraggiosamente ogni pericolo per arrivare al rifugio delle mie braccia."
Erilda impallidì, il colore delle sue guance scomparve e tutto il suo corpo fremette. In quel momento la campana del castello suonò per annunciare la colazione. Allora, cercando di riprendere l'usuale stato d'animo: "Venite" essa esclamò gaiamente "abbiamo passato anche troppo tempo in chiacchiere!"
Wertwrold le porse il braccio e si avviarono verso Rhuddlan. Alle loro sollecite richieste il giovane cavaliere accettò di restare qualche giorno al castello e vari intrattenimenti furono organizzati in suo onore. Nulla fu risparmiato per fargli dimenticare le sue pene. Ma nel mezzo di questa splendida gaiezza, Wertwrold rimaneva sempre lo stesso: la malinconia gli oscurava sempre il volto e privava le sue guance del solito colorito.
La seconda sera, mentre gli ultimi raggi del sole si riflettevano sui laghi e la foschia del crepuscolo incoronava i monti, Erilda, il cui petto era tormentato dall'amore che portava all'infelice Wertwrold, uscì a passeggiare nel giardino del castello. La giornata era stata piuttosto afosa e, accompagnata da un paggetto, essa si diresse alla fontana con l'intenzione di bagnarsi. Aveva già sciolto i capelli, quando notò Wertwrold steso sulla sabbia dorata. Era profondamente addormentato e, avvicinatosi con passo tremante, ella si chinò su di lui con occhi pieni di lacrime.
"Infelice cavaliere!" esclamò. "Dove si troverà una fanciulla che possa placare l'angoscia del tuo cuore e ridargli la pace? Dove sarà la fanciulla senza macchia che hai descritto, che rinunci a ogni pretesa per te? Ahimè, ahimè, Erilda, non illuderti con deboli speranze - Wertwrold sarà ancora felice ma tu non conoscerai più gioia. Si, qualche damigella più fortunata di te conquisterà il cuore di Wertwrold e spezzerà la catena che fa la sua infelicità!"
Le lacrime le scendevano copiose - la sua angoscia era sempre più acuta - e, giungendo le mani, si lasciò cadere accanto a lui. I suoi occhi pensierosi si fissarono su quelli chiusi nel sonno e, rapita in estasi, osservava il respiro che gli gonfiava il petto e gli usciva dalle labbra. Come appariva bello mentre giaceva reclinato al suolo - che rugiada splendeva sulle sue labbra - che colorito avevano le sue guance! I capelli nerissimi, che dopo il bagno rilucevano ancora di qualche goccia, gli si arricciavano come seta sul capo. Aveva tolto l'armatura e la forma delle maschie membra era ora visibile: collo e petto erano nudi - di una bellezza indescrivibile.
"Ah, Erilda!" esclamò egli nel sonno "tu sola puoi liberare il mio cuore angosciato - tu sola riportare il sorriso sulle mie guance stanche, ma tu non mi ami!"
"Oh cieli, sentite!" esclamò estasiata la fanciulla. "Oh, Wertwrold!" e gli svenne sul petto.
Il cavaliere si svegliò alla violenza della sua caduta e la fissò esterrefatto. "Erilda!" gridò e, bagnandole le tempie con acqua fredda, la fece rinvenire. Gli occhi spauriti si socchiusero alla luce, ma appena scoprì di trovarsi tra le braccia di Wertwrold, Erilda diede un debole grido e si sottrasse all'abbraccio. "Erilda!" esclamò con fervore il cavaliere "il mio fato è nelle vostre mani - fate di me quello che volete - voi sola potere allontanare il mio crudele destino. Da questo istante cesserò di sperare o di cedere alla disperazione."
Erilda fu presa da un'angoscia insopportabile - le lacrime le impedivano di parlare e, strettagli una mano tra le sue, si precipitò verso un'altra parte del giardino. Si incontrarono di nuovo a tavola ma Erilda, adducendo a un'indisposizione, chiese il permesso di ritirarsi. E ben presto anche il barone e i suoi ospiti posavano il capo sul guanciale.
In camera sua Erilda poté dar sfogo ai suoi sospiri: Sir Rhyswick aveva scelto l'erede al trono di Galles come suo futuro sposo ed ella sapeva che sarebbe stato inutile contrariare la scelta del padre. Il capitano voleva la felicità della figlia ma il desiderio di grandezza era ancora più vivo nel suo cuore ed egli anticipava con gioia il momento in cui Erilda avrebbe condiviso i troni riuniti di Gwynedd e di Powis col compagno dei suoi piaceri. Tra pochi giorni il giovane principe sarebbe giunto a Rhuddlan - già si facevano preparativi per accoglierlo - Sir Rhyswick vedeva con piacere l'avvicinarsi delle nozze, mentre Erilda si sentiva mancare a quell'idea. Era ormai notte avanzata quando finalmente i suoi pensieri tormentosi furono soverchiati dal sonno. Ma questi continuarono a dominarla, suscitando visioni dietro gli occhi chiusi. Sognò che il padre, cedendo all'affetto e alle sue suppliche, dava il consenso alla sua unione con Wertwrold e poneva la sua mano in quella del cavaliere. 
In un trasporto di gioia essa gettava le braccia al collo dell'amato.
Ma svegliandosi trovò veramente il cavaliere tra le sue braccia. Ritraendosi con orrore e riprendendosi esterrefatta: "Via" gridò "perfido cavaliere, lasciatemi! La vostra condotta suscita la mia indignazione. Oh, Wertwrold! Come potevo immaginare che avreste ripagato così l'ospitalità ricevuta, penetrando a mezzanotte nella stanza di una fanciulla indifesa? Andatevene" continuò con sdegno "prima che chiami i miei attendenti e mostri loro la serpe che ripaga cosi i favori del signore di Rhuddlan, abusando della sua fiducia!"
"Eppure ascoltatemi, Erilda! rispose il cavaliere "prima che me ne vada via per sempre. Ero venuto solo a fissare per l'ultima volta il bel viso che mi condanna a una eterna infelicità. Il cavallo impaziente mi attende alla porta del castello e io devo dire addio a questi amati luoghi. Addio, Erilda! Il fatto ineluttabile mi conduce lontano da qui - oh, talvolta volgete il pensiero a colui che oltre alle sue pene nutre per voi una passione senza speranza."
Wertwrold fece una pausa.
"Per sempre!" esclamò Erilda. "Oh, Wertwrold!"
"Dovesse la mia assenza" continuò il cavaliere "creare un solo spasimo nel vostro petto, anche se saperlo sarebbe grato al mio cuore, pure gli infliggerebbe una ferita, Erilda, sconvolgendomi la mente al pensiero della vostra infelicità.
Ovunque mi giri, mi attende solo pena - eterna sofferenza è la mia sorte: essere indifferente a Erilda non è che un'altra ferita."
"Oh, Wertwrold!" esclamò la fanciulla, abbandonandoglisi sul petto. 
"Sono vostra e solo vostra!"
"Forse l'orecchio mi inganna" esclamò rapito il cavaliere.
"Erilda davvero mi ama. Rinuncerà al mondo per amor mio?"
"Al mondo?"
"Sì" rispose Wertwrold " e allora avrà inizio la mia felicità. Erilda deve rinunciare a tutto per essere mia - per dividere con me quei trasporti che l'amore virtuoso concede."
"Voi parlate per enigmi."
"Erilda deve con eroica fermezza superare ogni ostacolo alla nostra unione - deve riporre completa fiducia nella mia lealtà - e sacrificare ogni cosa per me. La mente ferma deve ergersi tranquilla in cima all'altissima roccia e sorridere all'abisso che minaccia di ingoiarla - cosi deve fare la donna che vuole guadagnarsi i miei abbracci."
"Wertwrold!"
"Prendi questo anello, Erilda, è fatato - quando vi aliterai sopra, mi porterà da te. Usalo quando avrai bisogno di me e io volerò obbediente ai tuoi comandi, anche se sarò dall'altra parte della terra."
"Restate ancora, mi lasciate incerta."
"Erilda deve usare la sua discrezione, io non ho il potere di dirle cosa fare. Addio!" disse il cavaliere e, premutala al petto, si ritirò all'istante, lasciandola piena di stupore e di meraviglia.
Per un certo tempo Erilda non riuscì a credere ai suoi sensi - ogni cosa le sembrava un sogno - ma era in possesso dell'anello fatato - e il pensiero che le diceva che tutta la scena era stata solo frutto della sua immaginazione svanì.
A colazione incontrò Sir Ryswick, non poco sorpreso e irritato per la brusca partenza del suo ospite.
Erilda cercò di difenderlo dicendo che affari della massima importanza richiedevano la sua presenza immediata e che il cavaliere le aveva fatto le sue scuse.
Il generoso signore si ritenne soddisfatto, anche se aveva sperato che Wertwrold, avendo incontrato il suo favore, fosse presente alla solenne cerimonia di nozze che avrebbe avuto luogo di lì a quattro giorni, secondo un messaggio del principe, che, impaziente di ricevere in sposa Erilda, aveva fissato lui stesso la data.
Sir Rhyswick, col volto pieno di gioia, comunicò la notizia alla figlia che, cadendo in ginocchio e afferrandogli la mano, con le guance rigate di lacrime lo scongiurò, se aveva a cuore la sua felicità, di rinunciare alle sue intenzioni.
"Come!" esclamò il barone stupito.
"Non conoscerò mai la felicità con un uomo che il mio cuore non riconosce come suo signore", rispose afflitta Erilda. "Oh, se avete a cuore la mia serenità di mente, mandate indietro il principe - Erilda non può sposare Morven - un altro ha fatto prigioniero il suo cuore."
"Com'è possibile?" chiese indignato il barone. "Erilda rifiuta l'erede al trono di Galles?"
"Sarebbe un crimine concedere la mia mano a qualcuno che non possiede il mio cuore. Oh, padre mio! Il buon Morven ne troverà un'altra più degna di essere sua sposa - una più in accordo con la sua anima - che ricambierà il suo con altrettanto affetto."
"Erilda" disse con fermezza il venerabile capitano "non m'interessa sapere chi abbia scelto il tuo cuore. Se ti è caro il mio affetto, Morven deve essere il tuo futuro signore; in caso contrario non avrai più un padre." Cosi dicendo si ritirò, lasciando la povera fanciulla in preda all'angoscia.
Sir Rhyswick non volle vederla per tutto il giorno. A sera un messaggero venne nelle sue stanze, ordinandole di prepararsi a ricevere Morven, che era atteso l'indomani al castello accompagnato da un numeroso seguito.
Erilda sconvolta si gettò sul letto e trovò sollievo piangendo a calde lacrime e dando sfogo ai profondi sospiri che le agitavano il petto. Posando l'occhio sull'anello magico che portava al dito, vi premette le labbra e, appena il suo caldo respiro rese opaco il rubino che vi splendeva, il cavaliere dalla piuma rosso sangue fu di fronte a lei.
"Vengo al vostro comando dal fondo dell'immenso abisso per servire la signora del mio cuore."
Wertwrold si sedette al suo fianco - Erilda gli posò il capo sulla spalla. Le sue guance erano pallide per il gran pianto, gli occhi languidi e stanchi.
"Oh, Wertwrold!", esclamò "questo deve essere il nostro ultimo incontro. Il figlio di Cynvyn viene a reclamare la mano di Erilda ed è già sulla strada di Rhuddlan per portarla all'altare."
"Ed Erilda sacrificherà il suo onore alle sordide pretese dell'avidità e dell'orgoglio? Si prostituirà, amareggiando il resto dei suoi giorni, per gratificare l'altrui passione?" 
"Oh, Wertwrold! Voi..."
"Oh, signora! Il grande affetto che mi arde in seno ha procurato la rovina del mio cuore! Vedo l'abisso aprirsi ai miei piedi - vedo i tormenti che mi si preparano e volo incontro al mio destino: è Erilda che mi vota alla distruzione - che si prende gioco dei miei sospiri e mi indica il luogo dove demoni irati mi attendono per nutrirsi del mio sangue. Ma queste afflizioni posso sopportare perché colei che amo si è dimostrata falsa - colei che ingannevolmente sospirava: "Sono vostra e solo vostra!"
"Mi stupite e mi fate terrore: che sofferenze, che torture temete? Oh, Wertwrold! Non tenetemi in sospeso: ditemi chi o cosa siete!"
"Chi sono, signora, deve restare un segreto; cosa sono lo dicono i miei sospiri, la mia grande afflizione: il vostro innamorato! Oh, Erilda, sono un uomo a cui è stata tolta metà della sua forza - un uomo con tutte le sue debolezze."
L'amore anima e sconvolge il mio cuore - colei che io sposo deve farlo solo per me stesso."
"Amato Wertwrold! Non vi farò altre domande! Come convincervi che il mio cuore è vostro - anche se sono destinata a Morven e a essere infelice!" 
Ella fissò gli occhi languidi sul suo volto. Wertwrold tacque.
La camera di Erilda guardava sul giardino del castelli: il caprifoglio giungeva fino alla sua finestra e una rosa rampicante si intrecciava ai suoi rami odorosi; alcuni tralci pendevano davanti alla finestra dove i loro fiori riempivano l'aria di un dolce profumo. 
Wertwrold all'improvviso ne staccò un ramo con una rosa sbocciata e un bocciolo quasi aperto e lo porse a Erilda.
"Guardate" disse "guardate questi fiori: la bellezza dell'uno svanisce mentre si spiega quella dell'altro. Qui vedete l'incarnato sulla guancia della giovinezza: che fragranza emana! Com'è dolce la rugiada che ne imperla le tenere foglie! Che ricchezza, che abbondanza! Non sarebbe crudele strappare questo boccio prima che abbia il tempo di gustare l'ambrosia che splende sul suo labbro  - e proprio nel momento in cui sta per godere le dolcezze che la vita gli ha preparato? Signora, questo bocciolo appena colto morirà in un'ora - la vita fuggirà dal suo calice appena formato - la mano dell'uomo l'ha privata della sua linfa e, prima di aver finito di affascinare, morirà senza pietà, senza rispetto." 
Poi, volgendosi all'altro: "Questa rosa in piena fioritura, la cui foglia tradisce già la prossima fine, avendo assaggiato tutti i piaceri che la vita offre, ha goduto pienamente e ora si prepara a morire. Il sole del mattino, invece di darle gioia, prosciuga le sue fibre - il profumo del suo respiro è fuggito - l'aria che le scherza intorno è fredda - e una volta colta, non perirà più presto che se fosse stata lasciata appassire sul ramo."
"Non vi capisco."
"Signora, se uno di questi fiori dovesse essere strappato dal ramo, quale sacrifichereste?"
"Quello pienamente fiorito."
"Allora vivete, Erilda - vivete per godere il tempo del piacere e della felicità."
"Wertwrold, le vostre parole hanno un orribile significato. La mia anima rabbrividisce al pensiero."
"Quale pensiero? Vi chiedo solo di vivere - è forse un pensiero egoista? Vi chiedo solo di assaggiare quei piaceri che colui per cui sacrificate la vostra persona e la vostra felicità non può godere. Sir Rhyswick ha gli anni contati  - l'avvicinarsi della morte è già dipinta sul suo volto - nella sua figura smagrita - sulla sua barba d'argento - e l'occhio stanco, come la rosa sbocciata, annuncia la fine imminente."
Erilda si abbandonò sul suo petto - le braccia del cavaliere le circondarono la vita - ella gli circondò il collo con le sue. Presto il colore le riapparve sulle guance - le loro labbra si incontrarono. Il bacio che si scambiarono comunicò una vampa ai loro cuori e li riempì di pensieri voluttuosi.
"Erilda è mia in eterno!" esclamò il cavaliere 
"Sono vostra in eterno!" sospirò la fanciulla con voce trepida.
"Domani Erilda lascerà Rhuddlan per le mie braccia?"
"Domani sarò vostra."
Si separarono - entrambi trasportati dal calore della passione. E la sera seguente Erilda si sarebbe preparata a fuggire dalla casa del padre.
Il mattino seguente si udì il suono di Morven e del suo numeroso seguito che arrivavano marciando attraverso la montagna. Il clangore marziale dei loro strumenti di guerra si sentiva a gran distanza. E alcuni messaggeri che lo precedevano portarono la notizia del suo arrivo e doni per la sposa. Le porte del castello si spalancarono per riceverlo - bianchi vessilli sventolavano sulle mura dove si ammassavano tutti i soldati in armi che riconoscevano il potente signore di Rhuddlan come loro capitano. E bardi e arpisti levavano la voce in lode della bella Erilda.
Morven entrò nel castello tra le acclamazioni del popolo giubilante che testimoniava a voce alta la gioia per il suo arrivo; le loro grida risuonavano ovunque nell'aria. Sir Rhyswick lo ricevette con espressioni di piacevole cortesia e lo condusse immediatamente alla presenza della figlia.
Vestita di un abito di un bianco verginale che fluiva sulla sua figura sottile, attorniata dalle sue damigelle, Erilda lo accolse con un sorriso. Era bellissima - le guance avevano il pieno incarnato della rosa - gli azzurri traboccavano di espressione - i capelli erano elegantemente disposti sulla fronte - e collane d'argento scendevano sul suo petto.
Morven la salutò affabilmente. Il giovane principe restò incantato per l'ammirazione e la meraviglia : la sua bellezza, pensava, andava oltre la descrizione che gli era giunta all'orecchio. E attendeva con impazienza il momento in cui sarebbe stata sua sposa.
La giornata trascorse tra piacevoli passatempi. Ma Erilda era oppressa dalle sue paure. Tremava alla promessa che aveva fatto a Wertwrold e più di una volta risolse di non mantenerla. La sera si avvicinava rapidamente ed essa si sentiva sempre più agitata. Infine gli ultimi raggi del sole calante si specchiarono nel lago - il tintinnio dei greggi di capre le giunse all'orecchio - il momento tanto temuto era giunto - il cuore le palpitava in seno - fuori di sé, senza rendersi conto di quel che faceva, cercò il luogo nascosto dove aveva promesso di incontrare lo sconosciuto.
Wertwrold era già là. Con ardore la strinse al petto - con passione ella premette le labbra sulle sue. "Oh, Erilda!" egli sospirò "davvero ti tengo tra le braccia e la beatitudine di questo momento sarà la stessa anche in futuro? Vieni" continuò "affrettiamoci a partire. Una piccola imbarcazione ci attende su Clwyd per trasportarci sull'altra sponda."
"Wertwrold!" esclamò impaurita la fanciulla "non oso... non tentarmi... devo restare... e ...essere la sposa di Morven."
"Spergiura! Donna falsa e mutevole! Questa è la tua lealtà - la tua costanza? Addio per sempre dunque."
"Fermati!" essa esclamò. "Oh, Wertwrold! Non lasciarmi in preda ai miei pensieri!"
"Erilda sarà mia?"
"Sì, sì!"
"Di sua spontanea volontà?"
"Oh, sì!" esclamò la fanciulla, senza sapere quel che diceva, scorgendo delle luci in fondo al sentiero e temendo di essere scoperta con lo sconosciuto.
"Erilda abbandonerà il tetto paterno per Wertwrold?"
"Sì, sì!"
"Senza riguardo per le lacrime e le rimostranze del padre?
"Sono di Wertwrold e solo sua! essa esclamò, ancora più allarmata dalle luci che si avvicinavano "e nessuno potere in terra mi separerà dalle sue braccia."
Il cavaliere dalla piuma rosso sangue sorrise - un sorriso soddisfatto. E le mise un mano un pugnale.
"Usalo" disse "solo per difenderti. Dov'è Sir Rhyswick?"
In quel momento sul sentiero comparvero delle torce fiammeggianti: Sir Rhyswick guidava un gruppo di servitori sul cui viso era dipinta la paura.
"Guardate!" gridò Erilda. "Si dirigono qui - saremo scoperti!"
"Prendi questo pugnale" rispose il cavaliere, mettendoglielo in mano con forza.
"Cosa devo fare? esclamò terrorizzata la fanciulla.
"Sir Rhuswick sta arrivando - lui solo dobbiamo temere. Affondaglielo in petto."
"In petto a mio padre!" esclamò terrorizzata la fanciulla.
"Wertwrold! - per amor del cielo! Forse le orecchie mi ingannano? Orrore! Orrore! In petto a mio padre! Vattene, mostro!"
" Vieni tra le mie braccia, Erilda!" esclamò il cavaliere.
"Hai dato prova di virtù e mi sei doppiamente cara." E si premette al cuore la fanciulla.
In quel momento Sir Rhyswick mise piede sulla spianata.
"Da questa parte - da questa parte!" gridò Wertwrold, precipitandosi per un anfratto che portava al fiume. I passi li seguirono. Erilda teneva ancora in mano il pugnale e al raggio di luna che illuminava il sentiero vide un'ombra avvolta nel mantello che li inseguiva.
"Siamo scoperti!" gridò Wertwrold "il nostro inseguitore deve morire."
"Vedo una barca sulla riva" disse Erilda. E in quel momento una mano alle sue spalle le afferrò la veste candida.
"Piantagli il pugnale nel cuore" gridò Wertwrold.
"Non alzare empiamente la tua mano!" disse una voce cavernosa.
"Colpisci!" ripeté il cavaliere.
"Fermati, assassina!" disse la voce.
"La nostra salvezza richiede la sua morte" insisté Wertwrold.
La mano dell'inseguitore aveva ora afferrato la spalla di Erilda, che, liberatasi e resa frenetica dal panico, si voltò di scatto e affondò il pugnale in petto all'assalitore.
Il ferito cadde a terra. "Erilda crudele!" bisbigliarono le sue labbra e spirò.
"Via di qui, assassini, abbandonati da Dio!" mormorò la voce che poco prima aveva fermato la mano di Erilda.
"Corri a incontrare la tua punizione."
"Ascolta!" gridò la fanciulla. "Non hai sentito qualcosa? Cos'era quella voce?"
Il terrore le copriva la fronte - le sue labbra erano pallide di paura - gli occhi accesi e selvaggi.
"Non ho sentito che il vento soffiare sulla spiaggia."
"Non hai sentito niente!" esclamò lei. "Dio misericordioso! Che ho fatto - "Assassina!" - Oh, lasciami guardare chi ho ucciso!"
Si avvicinò al corpo, nonostante le proteste di Wertwrold, e scoprì, avvolto nel lungo mantello, il cadavere sanguinante di Sir Rhyswick! Un fiotto color porpora usciva dalla ferita appena inferta - gli occhi erano velati e chiusi nella morte - la guancia livida - la bocca spalancata.
"Oh, Dio! Mio padre!" - esclamò  Erilda. "Ucciso dalle mie mani!" e cadde priva di sensi sul petto insanguinato.
Wertwrold cercò di farla ritornare in sé ma i suoi sforzi furono inutili. Infine quando si riprese: "Lasciatemi" gridò "lasciatemi morire col padre che ho ucciso - andatevene! L'angoscia mi morde il cuore. Lasciate che muoia, abbandonata da Dio, e riceva la punizione per la mia colpa!"
"Farnetichi, Erilda! Guarda! I vassalli del barone si avvicinano. Ascolta, si sentono le voci - le loro torce brillano sui sentieri. Saremo scoperti, Erilda! Scuotiti dal tuo torpore - fuggiamo, Erilda, e salviamoci da una morte ingiuriosa."
"Via!" gridò la fanciulla sconvolta. "Sono una miserabile indegna di vivere - e ancora meno degna di morire. Espierò questo orrendo delitto sottomettendomi alle torture che mi aspettano - che non saranno più grandi delle angosce del mio cuore. Oh, padre tanto amato! continuò, "tua figlia - la tua stessa figlia è la tua assassina!"
Di nuovo gli si lasciò andare sul petto e di nuovo il cavaliere dalla piuma rosso sangue la incitò alla fuga.
"Erilda!" riprese. "Una falsa idea ti riempie il cuore! Espia piuttosto il tuo crimine per mezzo della tua penitenza: un delitto cosi atroce non può essere perdonato con la morte. Il cielo nella sua ira ha condannato la tua anima a tormenti eterni. Vivi dunque e cerca di placarne la collera con la penitenza."
"Che misericordia può sperare l'infelice che ha ucciso un genitore? Lasciami, Wertwrold! La mia mente è sconvolta - sono perduta - perduta per sempre! Abbandonata da Dio - condannata a un tormento eterno."
"Oh, Erilda! Pensa alla tua fama senza macchia rovinata dallo scandalo agli occhi delle generazioni future - pensa alle maledizioni che il più basso contadino mormorerà pronunciando il nome di colei che un tempo era il vanto del suo paese. Il nome di Erilda farà rabbrividire coloro che giudicano non il motivo ma l'azione - i bambini si addormenteranno cullati dalla storia della sua colpa ed ella vivrà per sempre aborrita perfino dai criminali - il pellegrino ascolterà tremando - il monaco si farà il segno della croce e sgranerà il suo rosario passando davanti alle torri bagnate di sangue di Rhuddlan - la natura intera inorridirà davanti ai suoi crimini e non un sospiro di pietà si solleverà al suo ricordo. Vieni, Erilda, fuggiamo. La penitenza presto restituirà la pace al tuo cuore e il tuo crimine sarà dimenticato."
"Oh, no! Resterò ed esalerò il mio ultimo respiro sul corpo freddo di mio padre."
"Guarda, Erilda, le torce si avvicinano: davanti a tutti c'è il principe Morven. Si dirige a questa volta - ha posato gli occhi su di noi. Perduti, siamo perduti."
"Ah, Morven viene qui ad assistere alla mia vergogna?" esclamò la fanciulla. "Non posso sopportare lo sguardo inquisitore dei suoi occhi penetranti!"
"Allora, Erilda, affrettiamoci verso la barca che ci attende sulla riva. Presto, Erilda, non senti le loro voci? Si avvicinano - ci sono alle calcagna."
In quel momento diverse voci esclamarono: "Da questa parte!"
"Oh, nascondimi, nascondimi da loro; arrivano, arrivano!" gridò Erilda. E, afferrata la mano di Wertwrold, si precipitò sulla striscia di sabbia dov'era ancorata la barca.
I passi si avvicinavano e numerose torce si allinearono sulla spiaggia. Il corpo di Sir Rhyswick, avvolto nel mantello e coperto di sangue, fu scoperto dai vassalli di Rhuddlan. Il cuore non gli batteva più - nessun segno di vita animava le guance pallide e fredde. La barba argentea era coperta da grumi di sangue - le labbra avevano esalato l'ultimo respiro.
Morven fece trasportare il corpo al castello dove giacque per tre giorni sul catafalco; poi fu deposto sottoterra e cinquecento messe furono cantate per il suo eterno riposo.
Nel frattempo Erilda disperata aveva messo piede sulla barca e veniva trasportata sull'acqua con la rapidità del lampo. Le torce erano sempre allineate sulla spiaggia e la loro luce gettava un riflesso fino alla riva opposta, rompendo l'orribile oscurità che ricopriva la terra.
"Vana è la tua fuga, assassina!", bisbigliò una voce nel vento.  
"Le montagne non possono nascondere la tua colpa o proteggerti dall'ira del grande vendicatore - la spada punitrice della giustizia ti inseguirà negli angoli più remoti della terra.'
"Ascolta!" gridò Erilda, stringendosi al petto del suo seduttore, mentre l'orrore distorceva i suoi lineamenti.
"Ascolta! Non senti una voce? Oh, Wertwrold! Nascondimi - nascondimi!"
Ed Erilda affondò il viso nel mantello del cavaliere che manteneva uno sdegnoso silenzio, e che infine, guardandola con soddisfazione, esclamò:
"Ora Erilda è mia - non la stringo forse tra le braccia - non la premo sul mio cuore al di là di ogni potere umano che possa strapparmela? Questo davvero è il trionfo - è mia, di sua volontà. è fuggita dal tetto paterno per me, uno sconosciuto - ha rifiutato Morven, l'erede alla corona di Galles, che era venuto a lei col cuore pieno d'amore, deponendo ai suoi piedi le ricchezze del suo paese, e ha offerto i suoi sorrisi a me, uno sconosciuto! Ha rinunciato alla sua virtù, ha scelto l'infamia al posto del suo nome senza macchia, la tempesta dello scandalo al soffio tranquillo delle lodi; e tutto per me, 
uno SCONOSCIUTO!"
Mentre concludeva così, un orribile sorriso gli comparve sul viso. Erilda si ritrasse dal suo petto.
"Wertwrold?" disse "Tu mi biasimi?"
"Bellezza innamorata, no! PER ME questa colpa è un piacere: se tu avessi inondato il mondo di sangue o riportato il caos sulla terra - Wertwrold avrebbe sorriso!"
" Per amor del Cielo!" gridò la criminale quasi stesse spirando "dimmi, chi sei dunque?"
"Il Cavaliere dalla Piuma Rosso Sangue! Ma", continuò, "Erilda è al di là di ogni misericordia - è ineluttabilmente mia - e io mi rivelerò in tutta la mia gloria. Io sono un agente del grande potere infernale - la mia residenza è in fondo al Clwyd - il mio compito è di aumentare i crimini sulla terra e di istigare guerre e saccheggi - in seno al mio petto nascono i semi della discordia che io spargo nel cuore dei principi, spingendoli ad alzare la spada gli uni contro la vita degli altri; e a piombare le nazioni in un torrente di guerre distruttrici. Ma questo ormai non avveniva più. Il padre di Morven aveva ridato pace e prosperità al regno di Galles - e io, in fondo al fiume natale, ero destinato a dormire e a sognare nuove contese restando penosamente inattivo.
Così occupato in questi pensieri, un incubo si avvicinò al mio letto di acque e mi bisbigliò all'orecchio della fama di Erilda. 
Fui risvegliato dalla dolce immagine tracciata dalla mia fantasia e, una volta visto l'incantevole oggetto della visione, la trovai più bella di quanto la mia immaginazione me l'aveva dipinta - e da quel momento decisi di farla mia. Udii delle sue molte virtù - della sua devozione. Che cuore tenero aveva! Queste voci mi suggerirono che forma dovevo prendere. 
E il cavaliere dalla piuma rosso sangue rispondeva a ogni requisito. Erilda fu facilmente irretita: ebbe pietà di me perché pensava che fossi perseguitato dalla sfortuna - presto la pietà si trasformò in amore - l'amore nel fuoco ardente della passione. Non avevo il potere di ingannare se non nella forma."
"Mostro!" proruppe l'infelice "i tuoi erano solo inganni!"
"Qui Erilda mi fa torto" esclamò il demone. "Fu lei a ingannare se stessa - pensando di me quello che il suo cuore sperava che fossi - non ebbi bisogno di molta arte per guadagnarmela - acconsentì prontamente ai miei scopi - abbracciava i miei progetti appena li nominavo."
Erilda si buttò in ginocchio.
"No, la preghiera è inutile" continuò il demone "per il cielo sei perduta - ti sei fatta scrupolo di commettere un assassinio col gesto di un istante, eppure stavi preparando una lenta morte per il genitore che ti aveva allevato con amore - non volevi pugnalarlo ma intendevi trafiggergli il cuore con un continuo dolore. Assassina! Chiedevi a colui che ti ha dato la vita di vivere a lungo nell'agonia al pensiero dell'infamia di sua figlia!"
Erilda si ritrasse con orrore davanti al terribile mostro che ora aveva ripreso la sua forma originale tra le urla dei demoni che erano sorti dalle sabbie sul fondo del fiume fino alla superficie increspata per dare il benvenuto al loro signore.
Gli occhi del demone sanguinario emettevano una fiamma sulfurea e fissavano il volto pallido della fanciulla colpevole, mentre le cingeva la vita nel suo maligno trionfo. Scaglie verdi gli ricoprivano il corpo; dalla bocca e dalle narici emetteva bianche acque schiumanti - e vari animali, nati dal liquido elemento, strisciavano sulla sua carcassa, ricoprendola di una bava maleodorante. Nella destra stringeva un tridente che alzò per configgerlo nel petto della vittima, la quale urlando si strappò al suo abbraccio e cadde in ginocchio, implorando protezione dall'alto. Scoppi di tuono fecero tremare il cielo - lampi terribili l'accecarono - e venti furiosi, sbucati dalle montagne, gonfiarono il fiume agitato, inondandone le sponde. Il demone con un urlo infernale si precipitò su Erilda - il tridente le entrò in seno - e i torrenti purpurei del suo vergine sangue sgorgarono dalla ferita aperta - ella cadde agonizzando - e il demone, affondando la mano nei bei capelli; la scaraventò in fondo al fiume; poi, soddisfatto del suo trionfo, svanì insieme alla piccola imbarcazione.
A lungo le onde orlate di bianco sostennero Erilda: nei suoi ultimi istanti ella scorse lo spettro pallido di Sir Rhyswick avanzare sulle onde infuriate, che sembravano ritirarsi sotto i suoi piedi, mentre lui indicava la profonda ferita sul suo petto. Più terribili si fecero le urla di Erilda - e un'onda dopo l'altra la trascinarono a riva. Lottando per la vita, si afferrò a una roccia ma questa cedette e rotolandole addosso la schiacciò. 

Qui l'eremita fece una pausa prima di riprendere. 

"Da allora il castello di Rhuddlan divenne sede del caos.
Davvero dei monarchi ne han fatta la loro residenza! E ogni notte si sentono le grida di Erilda mentre il cavaliere dalla piuma rosso sangue la insegue attraverso i cortili abbandonati.
"Questa è la storia delle torri cadenti di Rhuddlan. Pellegrino, vai per tua strada, non fermarti tra le sue mura in rovina: orrendi spiriti cavalcano l'aria fosca e i demoni del Clwyd infuriati l'hanno eletto a loro dimora."