Breve Storia della Lebbra ☠️

 Magistralmente immortalata sull'album capolavoro dei Death


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Il viaggiatore che, lasciando dietro di sé il piccolo porto cretese di Haghios Nikolas prende la strada costiera lungo il golfo di Mirabello, risalendo verso il nord, giunge in una dozzina di chilometri ai piedi di un'antica città chiamata Olonte. Di là i suoi occhi scoprono un'insenatura dove piccoli villaggi di pescatori si rintanano al riparo della penisola di Spinalonga. A prima vista nulla di insolito viene a distruggere l'armonia di questo paesaggio di una bellezza eccezionale. Tuttavia, guardando più da vicino, un isolotto situato sulla punta dello sperone roccioso e di cui dalla riva si distinguono malamente le rovine corrose dalla baraggia, ferma più particolarmente l'attenzione, soprattutto quando si sa che servì da lebbrosario per poco più di un mezzo secolo. è facile noleggiare un barca per una modica somma, e recarvisi. Un vecchio prete ortodosso, l'antico cappellano dell'isola, fa visitare i luoghi dei quali resta l'ultimo occupante [Il libro è stato scritto nel 1967. Nota di Lunaria]

Dopo aver superato la porta della Marina, il villaggio morto appare con le sue facciate screpolate all'ombra della vecchia cittadella in cui si ammazzarono uno con l'altro, nel corso dei secoli, turchi, greci, veneti. L'attraversa una viuzza che serpeggia, s'innalza, incrocia la chiesa dalle icone sbiadite e arriva al cimitero dopo una breve passeggiata fra una rada vegetazione di fichi d'India e corbezzoli.

La minuscola necropoli si compone di una ventina di tombe: quando erano piene, si gettavano i cadaveri nella fossa comune. Quest'ultima offre, a tutta prima, l'aspetto di una cappella, ma aprendone la porta, lo sguardo fa un balzo di dieci metri nelle tenebre e viene a urtare contro una montagna di scheletri mostruosamente aggrovigliati. Appese a due pioli pendono nel vuoto alcune lenzuola. Sulla strada si scoprono degli oggetti familiari che ricordano ciò che fu la vita sull'isola per 52 anni.

La descrizione che ne fece un viaggiatore nel 1928 ritorna alla memoria.

Trascurati, abbandonati a se stessi, i lebbrosi di Spinalonga non tardavano ad immergersi negli eccessi peggiori: mondo infernale che la malattia rendeva più spaventoso per lo spettacolo delle infermità che vi si mettevano in mostra pubblicamente. Anche i suicidi e gli omicidi non erano rari. Carlo Nicolle, da cui abbiamo tratto queste parole, concludeva così: "è necessario, per l'onore della Grecia, che la vergogna di Spinalonga scompaia".

E così avvenne nel 1956, quando i malati vennero trasferiti all'ospedale di Haghia Barbara ad Atene. Così, grazie ad una presa di coscienza, la segregazione dei malati di lebbra è progressivamente scomparsa in numerosi paesi, ma esiste ancora in molti altri. Come pure sussistono le leggende riguardo la lebbra (Malattia di Hansen, è il termine corretto, per identificarla, dal nome dello studioso che la identificò nel 1873; la tubercolosi venne identificata da Koch nel 1882).

Perché questa mistica della lebbra, e il suo corollario, il martirio del lebbroso?

Per molto tempo si credette che la civiltà indiana fosse posteriore a quella dell'Egitto e della Mesopotamia ma dopo la scoperta delle vestigia dell'antichissima civiltà a Mohenjo Daro e poi ad Harappa, si può affermare che fosse la primogenita .

Il periodo vedico (2000-1000 a.C) vede la comparsa dei primi scritti, i Veda, insieme di opere letterarie diverse, dove si tratterebbe della Kushta, che qualcuno ha voluto vedere come lebbre; ma è col periodo eroico (1000-500 a.C) che si trova la prima descrizione della lebbra, fra le 1120 malattie enumerate dal medico Sushruta: in un trattato in sanscrito, descrive 18 tipi di piccole lebbre e 7 tipi di grandi. Il contagio di certe malattie era già ammesso in India e si attribuiva a degli agenti invisibili, affermando così il principio della microbiologia. 

I lebbrosi erano così maledetti: "Si nasconda e viva isolato, su un letto di letame con i cani rognosi e gli animali immondi, colui il cui corpo si copre di pustole simili alle bolle infette d'aria che si formano nelle paludi e bucano la superficie. Perché egli offende la luce! Si cacci dal villaggio a colpi di pietre e lo si copra di immondizie, lui, immondizia viva! Che i fiumi divini vomitino il suo cadavere!"

Così l'India appare se non come il primo, almeno come il più antico focolaio conosciuto dalla lebbra.


Prima dell'anno 1000, davanti al numero crescente di malati, la Chiesa prese l'iniziativa a favore di misure caritatevoli nei confronti dei lebbrosi; nel 549 il Concilio d'Orleans, infatti, aveva invitato i vescovi a preoccuparsi dei lebbrosi; è a quest'epoca che risalgono i primi lebbrosari;

Nel X secolo la lebbra era molto diffusa in Inghilterra, Scozia, Irlanda: è proprio dagli anglosassoni che i Vichinghi ne vennero contagiati, portando la lebbra in Norvegia e Danimarca.

Nel Medioevo europeo i massacri di lebbrosi furono a centinaia, visto che la lebbra veniva considerato un castigo di Dio; in Francia, i lebbrosi che avevano infranto le proibizioni che li riguardavano subivano la pena della Xippe: il malato era posto in una gabbia da uccelli, sospesa con una corda al di sopra di una fogna; la gabbia veniva calata nella fogna, poi risaliva e così via. Dopo parecchie immersioni, il disgraziato moriva.

Alla lebbra vista come castigo, si affiancava un carattere espiatorio: il lebbroso è "scelto" per soffrire, come Cristo, come vittima espiatoria; sugli stendardi di certi lebbrosari, alcune volte Cristo era rivestito con gli attributi del lebbroso: gualdrappa, cappuccio, zampa d'oca ricamata sul mantello, una nacchera in mano.

E così, vi furono anche dei santi protettori dei lebbrosi, che si esporranno deliberatamente al contagio: il mai esistito San Lazzaro, San Giorgio, san Francesco d'Assisi, San Giacomo il Maggiore, San Luigi re di Francia, San Martino, San Silvestro I, San Simeone lo Stilita, Santa Adelaide regina d'Italia, Santa Agnese, Santa Caterina da Siena, Santa Elisabetta d'Ungheria, Santa Enimie di Mende (che per sfuggire ad un matrimonio, domandò al Cielo la lebbra, la ottenne ed entrando in convento guarì subito), Santa Ildegarda di Bingen, Santa Radegonda, Sant'Idubergo, Sant'Itta, Sant'Oda, Santa Segolena, San Wandrillo.

Inoltre, confondendo Maria Maddalena e Marta come sorelle di Lazzaro, anche a Maria Maddalena vennero dedicati diversi lebbrosari: "la maddalena" identifica ancora oggi i luoghi in cui c'era un lebbrosario. 

Al giorno fissato per l'estromissione dalla società del lebbroso, il prete inviava al malato la sua divisa: era una tunica a mantello, grigia o nera o scarlatta (in Aquitania). La spalla sinistra e il petto erano ornati di una pezza di stoffa di drappo rosso, qualche volta a forma di zampa d'oca o di cuore; il lebbroso portava un cappello o un cappuccio nero, rosso, bianco, una nacchera in legno e il flabellum ligneum detto anche crotalo che doveva agitare ogni dieci passi di giorno e in continuità di notte; in Germania doveva suonare un corno per avvertire i passanti, e così i lebbrosi tedeschi vennero chiamati "Horngiebroder", "Fratello del corno". Una tazza, un tascapane, un cucchiaio, un barile, un coltello completavano il suo corredo.

I suoi parenti, amici, vicini venivano in processione; a volte la casa dove era vissuto veniva bruciata. Il lebbroso veniva accompagnato in processione, si recava in chiesa, al cimitero, infine al lebbrosario. In chiesa, doveva entrare in una specie di lettiga di corde. Si celebrava l'ufficio dei morti, e il lebbroso doveva avere il volto coperto, come un morto nella sua bara. Lo si conduceva poi al cimitero, e il malato doveva stare in ginocchio in una tomba, la "parva fovea", e poi il sacerdote gli gettava in testa tre palate di terra e gli diceva "Amico mio, tu sei morto al mondo." Poi veniva condotto al lebbrosario: ma non tutti i lebbrosari erano uguali, alcuni erano pensati per nobili e benestanti.

Per concludere questa breve storia della lebbra, citeremo alcune testimonianze dei lebbrosi che in tempi recenti, scrissero della malattia.

Tutti sentirono lo strazio non tanto per la natura del loro male, ma per la sanzione sociale che comportava. Uno di loro si diede la morte seppellendosi vivo, per paura di trasmettere la lebbra.