Commento ad Edgar A. Poe per la poesia ''Il Corvo'

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 "La morte di una bella donna è senza dubbio l'argomento più poetico del mondo", scrive E.A.Poe nella sua "Filosofia della composizione", in cui si propone di spiegare premesse, modalità ed esiti di un processo creativo di tipo poetico.

Per approfondimenti sulla morte di Virginia, vedi: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2018/01/poe-e-la-morte-di-virginia.html
vedi anche: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2018/10/jonathan-latimer-e-poe.html 

A rendere più concreto e credibile il suo discorso, lo scrittore si sofferma su un poemetto, "Il corvo", con il quale intende dar conto di un'attività che fonda la propria efficacia sulla volontà e sul calcolo. Dovendo commuovere il lettore, eccitarne l'immaginazione e l'emozione, nasce l'idea di materializzare un tono, un'atmosfera, un'indeterminata bellezza, in immagini precise, inserendole in una scenografia e sceneggiatura. Considerato che come scrive il poeta, "La malinconia... è il più legittimo tra tutti i toni poetici" e che la bellezza di una donna morta prematuramente è quanto di più malinconico ci possa essere, immaginare un quadro che rappresenti la pena e il rimpianto di un giovane innamorato, chiuso nella sua scura stanza in una tempestosa notte d'inverno (1), diventa quasi una scelta obbligata. Ed è proprio la necessità di procedere in modo calcolato a richiedere l'ideazione di uno stato di suspense, cioè di un'attesa piena di timore e di ansia metafisica, e la creazione di un personaggio bizzarro, di una specie di naturale simbolo del male cui il giovane si sforza di attribuire il ruolo di messaggero dell'ignoto (2): un corvo capace di parlare, ma non di spingersi oltre un ripetuto "Nevermore" (Mai più). Entrato nella stanza, il nerissimo uccello va ad appollaiarsi sopra un candido busto di Pallade (3), da dove risponde alle diverse domande dell'innamorato con la sua invariabile sentenza "Nevermore", come a rimarcare, in modo meccanico ma chiaro, la definitività della perdita e dell'angoscia, l'inesorabilità della vita e della morte. (4)

Baudelaire, grande estimatore di Poe, ebbe a scrivere che "la sua poesia, profonda e lamentevole, è tuttavia elaborata, pura, corretta e brillante come un gioiello di cristallo". Come ha rilevato Wellek, per Poe "La fantasia non è creativa... la fantasia è sempre una capacità di combinazione". Dunque, alla pura accensione fantastico-emotiva Poe associa l'intervento dell'intelletto nella sua funzione ordinatrice e aggregatrice: "Creare è combinare in modo attento, paziente e comprensivo", chiarisce egli stesso. E la poesia non è altro che "creazione ritmica di bellezza". Ma giacché al ruolo della ragione e al fine della bellezza si congiunge un universo di orrori, deliri, ombre e ossessioni, non si può fare a meno di sentire nel poeta americano l'originaria incandescenza di un magma finito con il solidificasi in roccia. L'eccitazione nervosa, l'inclinazione onirica, il gusto dell'orrido, dello stagnante, dello squallido, del contrasto fra splendore cristallino e oscurità asfittica fanno di Poe un poeta dagli effetti persino superiori a quelli previsti dalla sua programmazione retorica. Al suo senso acuto dell'innocenza e della purezza si sovrappone sempre il doloroso presagio, o il trionfo della morte. Egli, in preda all'ossessione, all'incubo, al tormento, schiavo del limite, sente in sé l'istinto per qualcosa di misticamente superiore. La poesia, come la musica, non offre che "visioni brevi e indeterminate delle gioie divine ed estatiche", che appartengono ad un'altra dimensione, impossibile da penetrare nella vita terrena. L'uomo è perseguitato dall'idea (e dalla concretezza) del disfacimento, della fine, della morte. Questo lo affligge, questo è il suo orrore. Mari immobili, valli inquiete, ombre minacciose, silenzi angosciosi, presenze diaboliche, cadaveri, sudari, vermi, occupano la scena poetica, ponendo la loro macabra ipoteca sulla realtà. (Nota di Lunaria: temi frequenti soprattutto nella poesia barocca del '600) L'esistenza è inquieta, attraversata da brividi di paura, avvolta nel mistero. Razionalismo e misticismo, insieme, sostengono l'estrema rivolta del poeta di fronte alla potenza dell'ignoto e della morte. Ma nel tentativo egli presagisce già lo scacco finale, come dietro un viso incantevole scorge già il teschio. Non gli rimane che la voluttà dell'arte, la melodia del verso, a conforto della pena: la creazione contro la corruzione.

(1) Una fosca mezzanotte meditavo stanco, fiacco/sopra certi strani libri di un sapere ormai/obliato./Sonnecchiavo a testa china/quando udii un lieve battere/[...] Mi ricordo molto bene quel dicembre desolato/il camino proiettava ombre a terra, come/spettri
(2) O profeta, dissi, figlio del maligno, uccello/ o demone/che ti mandi il tentatore o ti porti la tempesta...
(3) Spalancai le imposte...ed ecco, con un forte battere d'ali/entra un Corvo maestoso/...sopra un busto di Minerva, nella stanza, sulla/porta,/si posò e niente più
(4) Certo tutti converranno che nessun mortale mai/ ebbe in sorte di vedere un uccello sulla porta,/un uccello o un'altra bestia sopra il busto, sulla/porta,/ con un tal nome, Mai più/ Ma quel Corvo, appollaiato sulla placida/scultura,/disse solo due parole, come se in/quell'espressione/riversasse tutta l'anima. Tacque, poi, non mosse/piuma




Per un commento critico ai racconti e alle altre poesie, vedi: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/05/edgar-poe-le-poesie-piu-belle.html




Un approfondimento sulle traduzioni italiane di E.A.Poe 
dal minuto 54:25 in poi