Johann Ludwig Tleck "Il Signore di Rupertsheim" (1839)
"Ho abitato per molto tempo", iniziò la sconosciuto "nella città di mare e poiché la mia proprietà si trova in quei dintorni, ero spesso ospite presso amici e conoscenti. Poiché tutti sapevano di quanto io soffra di distrazione, dimostravano molta pazienza quando non rispettavo l'ora del pranzo, o addirittura, talvolta, dimenticavo completamente di ordinarlo. Il mio collega giurista, sin dall'università, fece in modo di evitare che da questa mia malattia, o, come devo chiamarla, da questo mio vezzo, derivasse un danno rilevante. Quell'uomo eccellente, il consigliere Bauer, è quello a cui devvo la conservazione del mio patrimonio, la mia salute e la mia stessa vita, poiché i miei parenti sono stati più di una volta sul punto di farmi rinchiudere, come se non fossi in grado di amministrare il mio patrimonio. Siccome vivevo da solo, senza moglie e figli, essi prevedevano che non avrei lasciato loro nulla; il fatto poi che io avessi già dato disposizioni circa il mio patrimonio li rese ancora più furiosi. Ma non è il caso di parlarne qui. Dimentichiamo piuttosto codesti fastidi. Sin da giovane ho sempre preferito andarmene a spasso tutto solo, senza compagnia alcuna. Non mi piace parlare quando sono all'aperto."
"Però danzare e cantare sì", interloquì il padrone di casa.
"Solo quando sono in preda ad una certa eccitazione", continuò il vecchio tranquillamente "poiché agli uomini non è concesso sprecare quotidianamente tanta forza vitale. Pertanto, come ho detto, per mia natura evito volentieri la compagnia, per non venir disturbato nelle mie osservazioni trasognate. Ad esempio, alberi, arbusti, campi, aria e luce del sole sono per me le compagnie più che ricche di insegnamenti. Soprattutto mi piaceva passeggiare su e giù sulla riva del mare. Lì si può godere delle nubi in corteo, delle freschezza dell'acqua, dei moti dell'aria, in una parola di tutto ciò che si denomina, in generale, tempo.
Ma anche nel dettaglio ogni flutto dà origine e racconta una storia particolare. Nel modo in cui voltola, incalza, precipita, si solleva nuovamente e alla fine s'infrange sulla riva e segue un altro flutto e un altro ancora, l'uno tranquillo e l'altro spumeggiante, un terzo che si erge e gonfia e di nuovo l'altro che si frantuma anzitempo. E poi quel mormorio, quel chiacchierio, quello strepito e quella furia, a seconda che a plasmarli sia stato un vento scherzoso o iracondo. E anche le luci chiare o le ombre scure. Il mugghio sordo, il rimbrotto nella notte. Il chiarore lunare sulla superficie tremula, l'aurora magica e rigenerante. Avevo avuto spesso l'idea di costruirmi una casa lì, vicino alla riva, e solamente la ruggine con i miei parenti mi aveva trattenuto, tutte le molestie, le liti - ma non è questo il luogo, sorvoliamo piuttosto.
Un pomeriggio mi sorprese sul lido una burrasca spaventosa. Da tempo avevo notato, verso l'interno, una vecchia torre corrosa dagli anni, antico residuo dei tempi passati, che probabilmente era una rovina di una fortificazione scomparsa. Un vecchio contadino, cui rivolsi delle domande, mi narrò che, quando lui era un bambino, la torre era abitata nella bella stagione, e che per quanto ne sapesse lui, ora era già da molto tempo vuota e abbandonata. La pioggia battente, il fastidioso freddo vento, il muggire delle onde che annunciavano la burrasca mi indussero a ricordarmi della torre nella landa deserta. Mi affrettai in direzione dell'antica rovina. Non mi ero aspettato che la vecchia porta di quercia ribattuta in ferro fosse aperta e, chinando il capo, entrai nello stretto ingresso.
Solo chi ha vagato all'aperto per ore col brutto tempo sa apprezzare la benedizione perfino del più modesto rifugio. Nello stesso modo io stavo infinitamente bene in quella specie di interrato umido, mentre fuori la tempesta si scatenava con tutte le sue forze, il mare flagellato, mugghiava e dal mio nascondiglio era piacevole stare a sentire il dialogo fra il mare infuriato e la tempesta. Per meglio proteggermi dalla pioggia, mi inoltrai all'interno e urtai contro una scala a chiocchiola. I primi gradini c'erano ancora ed io mi inerpicai nel buio.
Là ero del tutto protetto dal maltempo, ma nel buio si era risvegliata la mia curiosità e continuai a salire. La scala era inaspettatamente in buone condizioni. Da una feritoia, attraverso cui penetrava il vento, gettai uno sguardo sull'oscurità minacciosa del mare infuriato. Per sottrarmi alle correnti, continuai ad arrampicarmi e dopo una ventina di scalini mi trovai davanti a una porta. A quel punto sollevai il saliscendi arrugginito della porta di legno, convinto che nella stanza, o quel che era, avrei potuto rinfrancarmi tranquillamente e attendere che la tempesta si calmasse. Ma come restai sbalordito allorché nella penombra della stanza piuttosto bassa di forma circolare vidi un vecchio che sedeva ad un tavolo tarlato, intento alla lettura di alcuni fogli scritti. Il suo volto era cinereo, gli occhi spenti, era tutto vestito di grigio e con i capelli bianchi.
Mi state guardando tutti a questo modo, cari amici, perché tale descrizione calza notevolmente con la mia persona; vi assicuro però che non terminerò questo mio breve racconto con la sorpresa che, visto alla luce, ero io stesso quell'omino grigio. Vi do anche la mia parola che lo sconosciuto non mi era piaciuto, tanto da indurmi in seguito ad atteggiarmi come lui negli abiti e nell'espressione. No, amici miei, ho scelto questo abito grigio molto tempo prima. Il volto, quale che sia, l'ho avuto dalla natura, e queste due ghette grigie, e questa modesta giacca, li ho adottati per replicare a mo' di burla ai miei parenti, che mi irritavano con la pretesa di farmi indossare abiti da cerimonia per recarmi a corte. Ma non è questa la sede, sorvoliamo su queste cose.
Dopo essere entrato nella stanzetta ed avervi trovato inaspettatamente un vecchio signore, mi tolsi educatamente il cappello e porsi le mie scuse, adducendo a motivo il maltempo che mi aveva spinto nella torre, ma precisando che, se solo avessi supposto che nella vetusta rovina vi fosse qualcuno, mai avrei osato disturbarlo. Il vecchio alzò cortese lo sguardo, con un cenno mi indicò la sedia accanto alla finestra dove avrei dovuto sedermi. Vidi che non intendeva venire disturbato e ubbidii al suo cenno. Mi diede ancora un'occhiata in tralice e si immerse nuovamente nelle sue carte. Dalla finestrella presso cui ero seduto potevo godere la vista sul mare ed ero felice di poter osservare da lì il ritrarsi graduale delle nubi e il propagarsi della luce, dapprima livida, poi mano a mano sempre più intensa, fino a che lo splendore del sole inondò accecante il mare.
Quando tornai a guardarmi attorno nella stanza, vidi che il mio vecchio stava riponendo i suoi documenti, o quel che erano, in un armadio a muro, e andava prendendo da questo altre carte, che riordinava con solerzia e rileggeva scuotendo spesso il capo. Di lì a poco, quando distolsi lo sguardo dal paesaggio, il vecchio non c'era più ed io supposi che fosse passato per un'altra porta, che si trovava presso il piccolo armadio a muro. Attesi un po', per accomiatarmi, ma poiché questi non tornava, ridiscesi lentamente e cautamente le scale e me ne tornai a casa.
Quando, dopo qualche settimana, andai di nuovo a passeggiare sulla riva, avevo del tutto scordato quell'episodio. Alzando lo sguardo vidi la torre circonfusa dalla luce del sole come da un'aureola. Ne fui attirato. Pensando di non essere più estraneo, salii più rapidamente e con maggiore determinazione la scala a chiocciola. Arrivato di sopra, bussai alla vecchia porta, ma non udendo risposta sollevai con circospezione il chiavistello ed entrai cautamente. Non c'era nessuno. Mi sedetti accanto alla finestra e godetti dell'ampia vista, nonostante i vetri opachi, e allorché mi volsi, l'omino grigio era là, seduto nuovamente al tavolo con le sue carte. Mi alzai e porsi le mie scuse per l'imprudenza, egli mi salutò sorridendo gentilmente, schermandosi, quasi volesse dire che con lui non dovevo fare complimenti e che potevo venire lì tutte le volte che lo avessi desiderato.
Ero ora in un certo qual modo abituato a che il vecchio non parlasse, ma che si facesse capire solo per mezzo di segni. In me era scomparsa ogni ombra di imbarazzo e mi sentivo a mio agio nell'angusta stanza, godendo del bel panorama, protetto da vento e dalle intemperie. Il vecchio andava e veniva, io mi allontanavo quando ne avevo voglia e, poiché egli non sembrava amare i complimenti, spesso entravo senza neppure salutarlo, anche quando lo trovavo già nella stanza. In tal modo trascorremmo in pieno accordo un certo periodo di tempo.
Un pomeriggio d'autunno, quando ormai il sole era vicino a tramontare, avevo intenzione di andarmene senza salutare il vecchio, che quella volta studiava i suoi documenti con più zelo del solito. Avevo già la mano sulla porta ed egli si alzò dal tavolo, indicò le carte e mi diede ad intendere con dei cenni che, dopo averle guardate, avrei dovuto riporle nell'armadio, dopo di che uscì dall'altra porta che si trovava accanto all'armadio. Lessi le carte, che riguardavano questioni familiari, senza afferrarne del tutto il significato e, mentre volevo riporle nel piccolo armadio, mi venne in mente che il proprietario avrebbe potuto dirmi qualcosa di più e perché mi avesse affidato quei documenti. Mi diressi allora verso quella porta, che si era chiusa alle mie spalle, l'aprii, e quasi precipitavo giù dalla torre, poiché la porta si spalancò sul vuoto. Mi spaventai. Probabilmente un tempo quella torre era collegata con un altro edificio. Mi sentii turbato e mi allontanai subito da quel posto sinistro. Non riuscivo a spiegare neppure a me stesso che senso ci fosse in ciò che mi era accaduto.
Mi vergognavo a raccontare quanto era successo ad amici e conoscenti, poiché un distratto come me, nei momenti critici, quando pone in discussione una sua convinzione, perde sempre il senso della realtà e la sicurezza di ciò che ha vissuto.
Una persona qualsiasi può farmi impazzire respingendo o ponendo in dubbio cose viste proprio con i miei occhi appena il giorno prima, oppure apprese a scuola da ragazzo. Tutte le volte che ripensavo a quell'avvenimento mi percorreva un leggero brivido e dopo qualche tempo cercai di rimuoverlo dalla mia memoria. Non tornai più alla torre, e dirigevo i miei passi sempre nella direzione opposta, per non cadere in tentazione e risvegliare in me quel desiderio. Forse avrei potuto dimenticare completamente l'episodio, se una notizia che mi giunse all'orecchio non me ne avesse risvegliato il ricordo. Il magistrato, già da tempo proprietario di quel pezzo di terreno su cui si ergeva il rudere, aveva intenzione di farlo abbattere per costruirvi un qualche pubblico edificio, non so più a quale uso.
Allora mi tornarono alla memoria le carte che avevo visto scartabellare e leggere al vecchio e che io avevo dovuto riporre. Mi erano sembrate lettere e documenti importanti, ma non riuscivo più a ricordarne chiaramente il contenuto, poiché li avevo avuti troppo poco tempo fra le mani. Mi recai da Bauer, il mo amico giurista e, senza accennare al fantasma, gli narrai di come una volta avessi cercato ricovero dal cattivo tempo in quella torre e avessi scoperto al piano superiore, in un armadio, delle carte che potevano essere importanti e che non si sarebbe dovuto lasciar andare perdute o rovinate nella demolizione. Il mio amico, che mi conosceva bene, dapprima mi guardò pensoso, poiché la cosa gli appariva alquanto improbabile, ma poiché lo sollecitavo e lo informai di qualcosa che avevo creduto di leggere, decise, dopo qualche riflessione, di far venire da lui alcuni membri del Consiglio, e così venne stabilito che l'indomani di buon'ora si sarebbero recati colà per prendere in consegna legalmente quelle carte e per esaminarle. E così fu.
I signori del Consiglio da me guidati si misero in cammino accompagnati dal notaio; tutto doveva venire formalmente preso in consegna, registrato e sigillato. Con un po' di batticuore salii la stretta scala a chiocciola, non sapendo se di sopra avrei trovato quel vecchio ambiguo. I signori mi seguivano e quando, arrivato su, aprii loro la porta, tutti si meravigliarono di trovare una stanza ancora così ben conservata, poiché nessuno si era mai preoccupato della torre. Il vecchio che avevo temuto, nonostante questa volta fossi in sicura e numerosa compagnia, non era là.
La finestrella appannata aveva ancora tutti i vetri intatti, le due sedie e particolarmente il tavolo erano tarlati e minacciavano di ridursi assai presto in frantumi, le pareti della stanza circolare erano annerite dalla polvere e dal fumo; dopo che tutto venne doverosamente esaminato, mi si domandò dell'armadio a muro di cui avevo tanto parlato. Stavo lì muto e alquanto impacciato, poiché non lo scorgevo da nessuna parte, non vi era traccia alcuna di un simile arredo. Nel più grande imbarazzo, poiché i signori già cominciavano a ridere alle mie spalle, aprii con un violento scossone i cassetti del tavolo. Ma volarono fuori solo tarme, e i tarli, disturbati nel loro lavoro, correvano qua e là nella polvere gialla. Il mio imbarazzo era indescrivibile, a quegli uomini di legge dovevo sembrare un pazzo o un bugiardo. Battevo a tentoni sulle pareti e ricordavo chiaramente come l'armadio a muro fosse stato ben evidente, invece ora non si scorgeva da nessuna parte.
Mentre ci aggiravamo per l'angusta stanza, uno dei presenti aprì la seconda parte e si spaventò come me allora, quando davanti a sé altro non vide che il vuoto e il baratro. Lo tirai indietro e, nell'appoggiarmi al muro per sostenermi, la mia mano toccò un minuscolo bottone, quasi del tutto invisibile nella parete annerita, e improvvisamente, alla pressione della molla, una porticina si spalancò e tutti poterono vedere nel muro la profonda rientranza. Si stupirono enormemente ed io lessi allora sul volto di ciascuno le loro scuse nei miei confronti.
Tutte le carte vennero prese, contate, registrate alla presenza dei testimoni; erano documenti e lettere, e scoprii che il mio amico Bauer nell'esaminarle fuggevolmente assumeva un'espressione pensosa, come se gli sembrassero rilevanti.
Ridiscesi per primo le scale, non volendo nel modo più assoluto rinnovare la conoscenza con il mio omino in grigio, che forse, se fossi rimasto solo di sopra, mi avrebbe trattenuto.
Trascorsero alcune settimane. Si iniziò a demolire la torre, e quella contrada, solitamente così desolata, era ora animata da diversi operai. Osservavo l'andirivieni solo da lontano, perché quel luogo era diventato per me fatale, per quanto non potessi spiegarmene il motivo. Quando andai nuovamente a trovare il mio amico Bauer, egli mi disse: "Molte famiglie ti saranno grate, perché ora potranno concludersi a favore delle parti lese molti annosi processi. Pare che un vecchio, ricco possidente, morto nella zona, si fosse impadronito illegalmente con la corruzione e con i mezzi illeciti di documenti che gli permisero di appropriarsi indebitamente di alcune tenute; ciò è emerso anche da alcune lettere trovate durante lo spoglio dei documenti."
Nella sua casa aveva proprio allora luogo una riunione di esperti giuristi che discutevano la scoperta e si accingevano a darne comunicazione scritta ai nobili, il cui patrimonio era stato danneggiato da quell'uomo. Bauer rientrò nella stanza dove era in corso la riunione, ed io ero intento a osservare le incisioni alle pareti quando ebbi la sensazione di qualcuno alle mie spalle; mi girai di scatto, e con stupore scorsi il mio omino grigio, che mi sorrideva gentilmente e con la mano mi faceva segno di volermi ringraziare caldamente per quanto avevo fatto. Era lì, ben chiaro e distinto nella luce del tramonto: mai ero riuscito a vederlo così nitidamente, e mai avevo provato un tale sgomento da far tremare tutto il mio essere.
Quando mi riebbi, il fantasma era scomparso. Il mio amico mi trovò quasi privo di sensi e in uno stato febbrile. Allora gli narrai tutto. Era meno stupito di quanto avrei potuto aspettarmi da quell'uomo ragionevole.
"Non avevo voluto riferirvi prima", così mi confessò, "che a proposito di quella torre circolano da tempi fra la gente comune strane dicerie. Da sempre quel luogo era considerato invaso dagli spettri, e molti anni fa si pretese di avervi visto quell'uomo grigio, per questo gli abitanti del luogo evitavano l'edificio e i suoi dintorni. Si narrava che il patrimonio acquisito indebitamente non gli concedesse pace alcuna nella tomba. Resta pur sempre eccezionale che questa superstizione sembri confermarsi di quando in quando, e se una volta, in particolari circostanze, fosse concesso agli spiriti dei defunti di riapparire in forma visibile sulla terra, non sarebbe così impensabile, potendo credervi, presupporre che alcuni di questi spiriti sulla via della redenzione vogliano riparare, per quanto possibile, alle ingiustizie da loro commesse."
Così si espresse il mio amico, e per accertarci, sia io che lui, dell'apparizione, mi condusse nella casa di un pronipote, dove era raffigurato in un ritratto quel prozio. Era esattamente la stessa persona che mi era apparsa, e io rabbrividii davanti a quel ritratto, quasi come davanti al fantasma medesimo: questo vecchio Signore di Rupertsheim..."