Washington Irving "La Leggenda della Valle Addormentata" (1819)




Ichabod giunse al calar della sera alla proprietà di mastro Van Tassel, e la trovò affollata del fior fiore di tutta la contrada. C'erano vecchi coltivatori, dalle facce magre e dalla pelle simile a cuoio conciato, vestiti di giacche e calzoni di panno tessuto in casa, calze azzurre, scarpe gigantesche con magnifiche fibbie di peltro. E c'erano le loro mogli, rugose ma vispe, con cuffie minutamente arricciate, corte gonne con la vita larga, sottogonne di panno rustico, tasche di percalle dai colori vivaci che contenevano forbici e torselli; floride ragazze vestite secondo una moda antiquata, come le loro madri, salvo un cappello di paglia, un bel nastro o magari una sottana bianca, a dimostrazione che le novità cittadine non erano loro del tutto sconosciute. I giovani indossavano giacche corte dalle falde quadrate, con file di magnifici bottoni di ottone: la maggior parte aveva capelli legati a codino secondo la foggia di quei tempi, specialmente quelli che avevano potuto procurarsi una pelle di anguilla per fermarli, essendo tale ornamento ritenuto in tutta la contrada un ottimo sistema per rafforzare e far crescere i capelli.
Ma il re della festa era Brom Bones, giunto sul suo cavallo favorito, Daredevil (1), una bestia dotata, come il suo padrone, di vivacità e di voglia di far scherzi, e che nessuno, salvo lui, sapeva dominare. Di Brom infatti era nota la predilezione a montare cavalli bizzarri e capricciosi, che mettessero il cavaliere in continuo pericolo di rompersi collo, perché riteneva un cavallo domato e docile una cavalcatura non degna di un giovane che si rispetti.

(1) "che non ha paura nemmeno del diavolo"

Mi piacerebbe soffermarmi a descrivere il mare di delizie che apparve dinanzi agli occhi estasiati di Ichabod appena egli ebbe varcata la soglia del salotto buono di Van Tassel.
Non parlo delle grazie delle molte ragazze fiorenti, nel loro lussuoso sfoggio di bianco e rosso; parlo degli incanti generosi di un'autentica sala da tè olandese, in campagna, durante la ricca stagione autunnale. Che abbondanza di dolci, di qualità tanto varie da non poterle quasi descrivere, e note soltanto alle esperte massaie olandesi! C'erano pasticcini a pallottola, pasticcini teneri e pasticcini croccanti; paste dolci lunghe e corte, quelle con lo zenzero, quelle col miele e quelle di tutte le qualità. E poi c'erano torte di mele, e torte di pesche, e torte di zucca, e poi prosciutto e carne affumicata a fette; e per di più piatti deliziosi di susine, di pere, di pesche e di cotogne in conserva, per non parlare delle aringhe e dei polli arrosto; e ancora grandi scodelle di latte e di panna, il tutto mescolato alla rinfusa un po' così come l'ho descritto, accanto alla panciuta teiera che mandava fuori nuvole di fumo in mezzo a tutto quel ben di Dio. Santo Cielo! Ci vorrebbe fiato e parecchio tempo per descrivere quel banchetto come meriterebbe, ma io sono impaziente di andare avanti con la mia storia. Per fortuna, Ichabod Crane non aveva la fretta che ha il suo storico, e così seppe fare onore a tutti i piatti.
Egli era di natura disposto alla gratitudine, il suo cuore si allargava man mano che la pancia gli si riempiva di cibi gustosi, e la sua fantasia si accendeva mangiando, come ad altri succede quando alzano il gomito. Inoltre non poteva fare a meno, mentre mangiava, di girare gli occhi attorno e gongolare al pensiero che un giorno o l'altro avrebbe forse potuto essere padrone di tutto quel paradiso di dovizia che quasi superava l'immaginazione. Allora, pensò, avrebbe subito dato l'addio alla sua vecchia scuola, infischiandosene di Hans van Ripper e di tutti gl altri suoi avari patroni, e avrebbe messo alla porta a calci qualsiasi pedagogo ambulante che avesse osato chiamarlo collega!
Il vecchio Baltus Van Tassel si aggirava tra i suoi ospiti con una faccia raggiante di gioia e di buon umore, tonda e gioconda come la luna piena. I suoi modi ospitali erano semplici, ma espressivi, poiché si limitavano a una stretta di mano, a un colpetto sulla spalla, a una risata di cuore, e a un caldo invito "a farsi sotto e servirsi a piacere".
Poi dalla grande sala di riunione giunse una musica che invitava a ballare. Il sonatore era un vecchio nero dalla testa grigia che da più di cinquant'anni formava da solo l'orchestra ambulante di tutto il vicinato. Il suo strumento era vecchio e malandato come lui, e quasi tutto il tempo non fece altro che grattare due o tre corde insieme, accompagnando ogni colpo d'arco con un movimento della testa, inchinandosi quasi fino a terra, e battendo forte il piede sul pavimento ogni volta che una nuova coppia si lanciava nella danza.
Ichabod si vantava delle sue abilità di ballerino non meno che delle sue qualità di cantore. Non c'era muscolo o fibra della sua persona che restasse ferma; e a vedere quella figura dinoccolata in pieno movimento caracollare per la stanza, avreste detto che san Vito, protettore benedetto del ballo, vi stesse davanti in persona. Egli suscitava l'ammirazione di tutti i neri di ogni età e statura i quali, piovuti dalle fattorie vicine, formavano piramidi di facce nere e lucenti a tutte le porte e a tutte le finestre, contemplavano con infinito piacere la scena, facevano roteare il bianco degli occhi e, ridendo, mettevano in mostra file di denti di candido avorio che andavano da un orecchio all'altro. Come avrebbe potuto l'onesto fustigatore di monelli non essere pieno di contentezza e animazione? La donna del suo cuore ballava con lui, e rispondeva con graziosi sorrisi a tutte le sue occhiate amorose, mentre Brom Bones, crudelmente ferito dal'amore e dalla gelosia, se ne stava in un angolo a mangiar rabbia da solo.
Finita la danza, Ichabod si avvicinò a un gruppo di anziani, i quali, con il veccho Van Tassel, sedevano a un'estremità del portico, fumando e chiacchierando dei tempi andati, e narrando storie interminabili delle guerra. Il luogo, al tempo del nostro racconto, era uno dei più indicati per l'abbondanza di memorie storiche e di grandi uomni. Durante la guerra la linea di combattimento angloamericana si era trovata assai vicina; perciò il paese era stato teatro di razzie, e infestato da profughi, cowboys e da ogni sorta di avventurieri.
Era ormai passato un tempo sufficiente perché ciascun narratore potesse infiorare le sue storie con qualche azzeccata invenzione, e potesse inoltre, grazie allo stato di confusione in cui si trovavano i suoi ricordi, dipingersi come l'eroe di ciascuna impresa.
[...] Ma tutto questo è niente se paragonato alle storie di spettri e di apparizoni che seguirono. Già si è detto che il paese è ricco di tesori di tale natura, poiché le superstizioni fioriscono a meraviglia in questi recessi di antica colonizzazione, mentre vengono calpestati dalla folla mutevole che forma la popolazione di molte nostre campagne. Inoltre, nella maggior parte dei nostri villaggi gli spettri non sono incoraggiati, poiché non hanno nemmeno il tempo di finire il loro primo pisolino e voltarsi dall'altra parte della fossa che già la gente che li conobbe da vivi se n'è andata da quei luoghi, cosicché, quando di notte vanno fuori a fare un giro, non sanno più a chi far visita. E questa forse è la ragione per cui si sente così di rado parlare di spettri, salvo che nelle nostre vecchie comunità olandesi.
Però la causa prima del proliferare di storie soprannaturali da queste parti è la vicinanza della Valle Addormentata. Perfino l'aria che spirava da quella regione stregata sembrava possedere un influsso generatore di sogni e di fantasie che invadevano l'intero paese. Alla feste di Van Tassel erano intervenuti parecchi abitanti della Valle Addormentata, che ora, come al solito, stavano propinando quacuna delle loro stupefacenti e pazze leggende. Raccontarono di aver visto processioni funebri e di aver udito grida lementose presso il grande albero dove il disgraziato maggiore André era stato fatto prigioniero, albero che sorgeva a non grande distanza. Si parlò della donna vestita di bianco che appariva nella scura valletta della Roccia del Corvo, dov'era morta tra la neve, e dove la si udiva spesso strillare nelle notti d'inverno prima di una tempesta. Ma la maggior parte dei racconti si imperniavano sullo spettro più conosciuto della Valle Addormentata, il Cavaliere senza testa, che era stato visto parecchie volte, ultimamente, vagare per la campagna, e che, a quanto si diceva, ogni notte legava il suo cavallo a un albero tra le fosse del cimitero.
La posizione appartata dell'attigua chiesa l'aveva sempre resa un luogo perfetto dalle anime in pena. Essa sorge infatti in cima a un monticello circondato da acacie e da grandi olmi, tra i quali si scorgono i muri semplicemente imbiancati, come una luce di purezza cristiana che scintilli fra le ombre del raccoglimento. Un dolce pendio scende da qui verso uno specchio d'acqua cristallina, attorniato da alti alberi tra i quali spuntano a tratti le azzurre colline dello Hudson. Guardando il cimitero coperto d'erba, su cui i raggi del sole sembrano assopirsi, si direbbe che almeno là i morti possano dormire in pace.  
Lungo un lato della chiesa si apre un dirupo boscoso, sul fondo del quale un impetuoso torrente rumoreggia fra rocce infrante e tronchi d'albero caduti. In un punto dove l'acqua è profonda e nera, non lontano dalla chiesa, c'era un tempo un ponte di legno; la stradina che vi portava e il ponte stesso erano avvolti nell'ombra fitta degli alberi sovrastanti, che rendevano il luogo fosco persino di giorno, mentre di notte lo avvolgeva di tenebre paurose. Questo era uno dei luoghi prediletti dal Cavaliere senza testa, il posto dove lo si incontrava più di frequente. Si raccontava di un certo Brouwer, irriducibile miscredente in fatto di spettri, che una volta si era imbattuto nel Cavaliere mentre tornava dalla sua scorribanda nella Valle Addormentata, ed era stato forzato a salire in groppa dietro di lui; avevano galoppato insieme per macchie e brughiere finché erano giunti al ponte; qui il cavaliere si era di colpo trasformato in uno scheletro, aveva scagliato Brouwer nel torrente ed era balzato via galoppando al di sopra degli alberi con un grande fragore di tuono.
A fare il paio con questo racconto seguì immediatamente l'avventura strabiliante di Brom Bones, il quale iniziò a parlare dell'Assiano come se non fosse che un famoso imbroglione. Raccontò che una sera, tornando dal vicino villaggio di Sing-Sing, era stato raggiunto da quel soldataccio nottambulo, e aveva scommesso un boccale di punch a chi fosse arrivato prima a non so che punto; Brom avrebbe anche vinto la scommessa vsto che il suo Daredevil si mangiava in un boccone il cavallo fantasma dell'altro, però, proprio mentre giungevano al ponte della chiesa, l'Assiano se la svignò e scomparve in una nuvola di fuoco.
Tutte queste storie, raccontate con quel tono di voce basso e sonnachioso, con cui la gente parla al buio, mentre i lineamenti degli ascoltatori appena si intravedono di quando in quando, al momentaneo bagliore di una pipa accesa, suscitarono grande impressione nella fantasia di Ichabod. Egli restituì loro pan per focaccia attingendo a diversi brani del suo autore preferito, Cotton Mather; e aggiunse molti altri eventi meravigliosi avvenuti nel Connecticut, suo paese natale, e paurose apparizioni che aveva visto nelle sue camminate notturne attraverso la Valle Addormentata.
La festa volgeva al termine. Gli anziani proprietari terrieri raccoglievano le loro famiglie sui carri, e il rumore delle rudimentali ruote si allontanavano lungo le strade della valle o oltre le colline. Alcune ragazze montavano in sella dietro il loro cavaliere favorito, e le loro risa vivaci, unite al tratto sonoro del cavallo, echeggiavano lungo i boschi silenziosi, sempre più debolmente, fino a perdersi e morire poco a poco; così la scena di chiassosa allegria rimase deserta e silenziosa. Soltanto Ichabod non se ne andava ancora, cercando, secondo l'usanza degli innamorati di campagna, di parlare da solo con l'erediteria, pienamente persuaso di essere ormai sulla via del successo. Che cosa sia avvenuto durante questo colloquio, non posso dirlo perché... non lo so. Temo però che qualcosa sia andato di traverso, perché non molto dopo Ichabod fu visto andarsene via con la testa bassa e con un'aria sconsolata. Ah, queste donne! queste donne! Che la ragazza gli avesse giocato qualcuno dei suoi tiri da civetta? Che l'incoraggiamento dato al povero pedagogo non fosse che una messinscena per conquistare il rivale? Lo sa il cielo; io non ne so nulla. Basti dire che Ichabod se ne andò con l'espressione di uno che abbia tentato di saccheggiare un pollaio, anziché vincere il cuore di una bella fanciulla. Senza più guardarsi intorno per osservare questa scena di opulenza rurale di cui aveva tanto spesso fantasticato, andò di filato nella stalla, e, con calci e spintoni, fece alzare con poca cortesia il suo ronzino dal comodo angolo dove dormiva placidamente, sognando montagne di frumento e di biada, e intere valli d'erba medica e di trifoglio.
Era proprio l'ora delle streghe quella in cui Ichabod, a capo chino e triste in cuore, si mise  a trottare verso casa lungo i fianchi delle alte colline che dominavano Tarry Town, dove era passato nel pomeriggio con tanto buon umore. La scena era tenebrosa quanto i suoi pensieri. Laggiù si stendeva la cupa e indefinita distesa d'acqua del Tappaan Zee, su cui, qua e là, dondolava l'alto albero di una barca tranquillamente ancorata a riva. Nel profondo silenzio della mezzanotte si sentiva l'abbaiare di un cane da guardia sull'opposta sponda dello Hudson, ma il suono era così debole e indistinto che dava a Ichabod soltanto l'idea della grande distanza che lo separava da questo fedele compagno dell'uomo. Di tanto in tanto il canto prolungato di un gallo, svegliatosi per caso, giungeva da lontano, da qualche fattoria perduta tra le colline, ma era un suono udito come in sogno. Accanto a lui, non un segno di vita, salvo ogni tanto il malinconico richiamo di un grillo, o, dalla vicina palude, il verso gutturale di un bullfrog (2) che pareva non potesse dormire bene e si rivoltasse di colpo nel letto.

(2) Il bullfrog, o rana toro, è un rinide di notevoli dimensioni originario degli Stati Uniti orientali.

Ora tutte le store di spettri e di folletti di cui Ichabod aveva sentito parlare nel pomeriggio gli si affollavano nella mente. La notte diveniva sempre più scura; sembrava che le stelle sprofondassero nel cielo, e qualche nuvola vagante ogni tanto le nascondeva. Non si era mai sentito tanto solo e triste, e per di più si stava avvicinando proprio ai luoghi che erano stati il teatro delle apparizioni di cui avevo ascoltato il racconto. Nel bel mezzo della strada sorgeva un enorme albero, che troneggiava come un gigante al di sopra degli alberi vicini e formava una specie di barriera naturale. I rami erano nodosi e di forme fantastiche, grossi quanto il tronco di un albero comune, scendevano attorcigliandosi tra loro quasi fino a terra, e poi si rialzavano di nuovo in aria. L'albero era legato alla tragica storia dello sventurato André, il quale era stato fatto prigioniero lì vicino, ed era perciò conosciuto da tutti come l'albero del maggiore André. La gente lo considerava con un misto di rispetto e di superstizione, un po' per la compassione ispirata dalla triste sorte di chi gli aveva dato il nome e un po' a causa di certe storie di strane apparizioni e di voci lamentevoli che si raccontavano al riguardo. 
Nell'avvicinarsi al terribile albero, Ichabod si mise a fischiare, e gli parve di sentire qualcuno rispondere al suo fischio, ma era soltanto un soffio d'aria sibilante fra i rami secchi. Accostandosi ancora di più, credette di vedere qualcosa di bianco sospeso al centro dell'albero; si fermò e smise di fischiare; ma, guardando meglio, vide che in quel punto l'albero era stato colpito da un fulmine, che lo aveva scortecciato, facendo apparire il legno bianco. Poi improvvisamente gli parve di sentire un gemito; allora cominciò a battere i denti, e le ginocchia gli tremarono contro la sella: era soltanto un ramo che, agitato dal vento, sfregava contro un altro. Passò dunque oltre, incolume; ma al di là dell'albero nuovi pericoli l'attendevano.
Circa duecento metri più avanti un torrentello attraversava la strada e andava a gettarsi in una valletta acquitrinosa e folta di boscaglia, detta la Palude di Wiley. Alcuni tronchi messi per il lungo uno accanto all'altro servivano da ponte sopra il corso dell'acqua. Dalla parte della strada dove il piccolo torrente entrava nella palude, un gruppo di querce e di castagni, coperti da un groviglio di viti selvatiche, gettavano un'ombra tenebrosa. Il passaggio di questo ponte era la prova più terribile, poiché proprio lì lo sciagurato André era stato catturato, e proprio sotto quei castagni e quelle viti si erano nascosti i rozzi soldati che lo avevano sorpreso. Da allora in poi il torrente è stato considerato stregato e gli scolari, che devono attraversarlo da soli, dopo il tramonto hanno una paura da morire.
Mentre Ichabod si avvicinava al torrente, il cuore cominciò a battergli forte; si fece coraggio, sferrò una dozzina di calci nella pancia del cavallo e tentò di passare velocemente al di là del ponte. La maledetta bestiaccia, però, invece di lanciarsi in avanti, scartò di lato e andò a sbattere contro la siepe. Ichabod, cui la paura cresceva con l'indugio, tirò le briglie dall'altra parte menando calci nel fianco del cavallo. Ma non servì a nulla; perché l'animale si mosse, è vero, ma solo per andare a gettarsi dalla parte opposta della strada in una macchia di ontani e di rovi. Il povero maestro si mise allora a lavorare di frusta e di stinchi alle costole scarnate del vecchio Polvere da sparo, il quale balzò innanzi soffiando e sbuffando, ma poi si fermò di colpo proprio accanto al ponte, così inaspettatamente che per poco il cavaliere non finì lungo disteso per terra, passandogli sopra la testa. Ma ecco che proprio in quel momento, un rumore di passi lungo il ponte, come di chi cammini su un terreno acquitrinoso, colpì l'orecchio teso di Ichabod, e nell'ombra cupa del bosco, al margine del torrente, egli vide una figura enorme, nera e torreggiante. Quella cosa non si muoveva, ma sembrava raccolta su se stessa nella tenebra, come un mostro gigantesco, pronto a lanciarsi sul viandante.
All'atterrito pedagogo si drizzarono i capelli. Che fare? Per volgere le spalle e fuggire, era troppo tardi; d'altra parte, come sperare di scappare da uno spettro o da un folletto, se di spettro o folletto si trattava, capace di volare sulle ali del vento? Provò dunque a fare il coraggioso e chiese balbettando: "Chi è là?". Nessuna risposta. Ripeté la domanda con voce ancora più tremante. Di nuovo silenzio. Allora riprese a picchiare la groppa del suo cavallo irremovibile, e, chiudendo gli occhi, si mise a cantare un salmo con involontario fervore. In quel momento l'ombra spaventosa si mosse, e con tre balzi fu nel bel mezzo della strada. Ora, sebbene la notte fosse fosca e oscura, era possibile distinguere confusamente la forma di quella cosa misteriosa. Sembrava una specie di cavaliere di proporzioni gigantesche, montato su un cavallo nero altrettanto grande. Il cavaliere non dava alcun segno di ostilità o amicizia, ma si teneva in disparte sul lato della strada corrispondente all'occhio cieco del vecchio Polvere da sparo, cui ora erano passate la paura e l'ostinazione.
A Ichabod quello strano compagno notturno non andava affatto a genio, perché gli ricordava l'avventura di Brom Bones e dell'Assiano senza testa, spronò quindi il ronzino, sperando di distanziarlo. Ma lo sconosciuto accelerò a sua volta.
Ichabod tirò allora le redini, e si mise ad andare al passo, sperando di poter restare indietro; ma l'altro fece lo stesso. Ichabod cominciò a sentirsi mancare il cuore; provò a riprendere il suo salmo, ma la lingua secca gli si era appiccicata al palato, e non riuscì a emettere una nota. Nel cupo e assoluto silenzio di quel caparbio compagno c'era qualcosa di misterioso e inquietante e ben preso Ichabod ne comprese la ragione. Nel salir una collinetta la figura del cavaliere si stagliò per un momento contro il cielo, gigantesca di statura, avvolta in un mantello e, come Ichabod vide con un indicibile orrore, senza testa! Ma l'orrore crebbe a dismisura quando il poveretto si accorse che lo sconosciuto portava davanti a sé, sul pomo della sella, la testa che avrebbe dovuto tenere sul collo. Il terrore mutò in disperazione e Ichabod scaricò una tempesta di calci e di frustate su Polvere da sparo, sperando con un balzo improvviso di sparire davanti al suo compagno; ma lo spettro con un salto gli fu vicino. Partirono entrambi, allora, al galoppo, per viottoli e sentieri, facendo volare pietre e scintille a ogni salto. I leggeri indumenti di Ichabod sventolavano e nella furia della corsa egli piegava la lunga schiena sopra il collo del cavallo.
I due avevano raggiunto la strada che si inoltra nella Valle Addormentata, ma Polvere da sparo, che sembrava aver il diavolo in corpo, invece di imboccarla, svoltò d'improvviso a sinistra e si lanciò per l'altra strada in discesa, che conduce, attraverso una conca sabbiosa, alberata e scura, per circa un quarto di miglio, al ponte tanto famoso nelle storie dei folletti, e subito dopo alla collina verde su cui sorge la chiesa bianca. Il panico del cavallo di Ichabod aveva procurato fino a quel momento un certo vantaggio al suo poco esperto cavaliere, ma, proprio a metà della conca, le cinghie della sella cedettero, ed egli se la sentì scivolare di sotto. L'afferrò per il pomo, tentando di tenerla a posto, ma invano; ebbe appena il tempo d'afferrarsi al collo di Polvere da sparo per non fare un capitombolo che la sentì cadere a terra, e rotolare sotto le zampe del cavallo del suo inseguitore. Per un momento lo spettacolo dell'ira di Hans Van Ripper gli attraversò la mente, poiché quella era la sua sella di gala; ma non era il momento per simili paure; lo spettro gli era alle calcagna, ed egli, povero cavaliere maldestro, aveva il suo da fare a mantenersi in groppa: ora scivolava da una parte, ora dall'altra, ora picchiava con tanta forza sulla spina dorsale del suo cavallo, che gli pareva di sentirsi tagliare in due.
Una radura tra gli alberi finalmente lo confortò facendogli sperare che il ponte della chiesa fosse vicino, e il riflesso tremulo di una stella sull'acqua del torrente gli dimostrò che non aveva sbagliato.
Vide i muri della chiesa biancheggiare debolmente sotto gli alberi, e si ricordò che in quel punto lo spettro in gara con Brom Bones era scomparso. "Se riesco a raggiungere il ponte sono salvo". Proprio in quel momento udì il soffio e l'ansimare del cavallo nero immediatamente dietro di lui, anzi, gli parve persino di sentirne il fiato caldo. Ancora un calcio disperato sulle costole di Polvere da sparo e l'animale si slanciò sul ponte, rumoreggiò sui tronchi con un fracasso di tuono e raggiunse la riva opposta; a questo punto Ichabod si voltò indietro per vedere se il suo inseguitore fosse sparito, secondo la regola, in mezzo a una grande fiammata sulfurea. Vide invece lo spettro che si alzava sulle staffe e faceva l'atto di scagliargli la testa contro. Ichabod tentò di schivarla, ma troppo tardi, l'orribile proiettile gli arrivò sul cranio con uno schanto tremendo che lo fece volare a capofitto nel polverone della strada, mentre Polvere da sparo, il cavallo nero e il cavaliere diabolico gli passarono accanto come un turbine.
Il mattino seguente fu trovato il cavallo di Van Ripper, senza sella e con le briglie tra le gambe, mentre mangiava tranquillamente l'erba davanti al cancello della cascina del suo padrone. A colazione Ichabod non comparve; venne l'ora del pranzo e Ichabod non si fece vivo. I ragazzi si riunirono intorno alla scuola, e iniziarono a gironzolare lungo la riva del torrente, ma del maestro nemmeno l'ombra. 
Hans Van Ripper cominciò a sentirsi inquieto sulla sorte del povero Ichabod e... della propria sella. Cominciarono le ricerche, e, dopo diligenti indagini, si poté giungere sulla sue tracce. In un punto della strada che conduce alla chiesa fu trovata la sella tutta pesta e infangata; il fondo della strada portava profonde impronte di zoccoli di cavallo, a indicare una corsa sfrenata; le orme continuavano fino al ponte, e al di là di questo, sulla riva del torrente, in un punto dove l'acqua è profonda e nera, fu ritrovato il cappello del povero Ichabod, e vicino una zucca fracassata.
Venne scandagliato il torrente, ma non si trovò il cadavere del maestro. Hans Van Ripper, in qualità di esecutore testamentario, aprì il fagotto che conteneva tutti i suoi beni; questi consistevano di due camicie e mezza, due colletti, un paio o due di calze di lana, un vecchio paio di calzoni di fustagno, un rasoio arrugginito e un libro di salmi pieno di orecchie alle pagine. Quanto ai libri e ai mobili della scuola, era roba della comunità, a eccezione della "Storia della Stregoneria" di Cotton Mather, di un volume dell'"Almanacco della Nuova Inghilterra" e di un libro sui sogni e sull'arte di predire la fortuna; in quest'ultimo si trovò un foglio di carta protocollo, scribacchiato e zeppo di cancellature, contenente parecchi tentativi non riusciti di versi in onore dell'ereditiera Van Tassel. Tutti questi libri magici, insieme allo scarabocchio poetico, furono all'istante gettati alle fiamme da Hans Van Ripper, il quale, a cominciare da quel giorno, decise di non mandare più i suoi bambini a scuola, asserendo di aver capito benissimo che da tutto quel leggere e scrivere non era mai venuto fuori niente di buono. Tutto il denaro che il maestro probabilmente possedeva - aveva appunto ricevuto un trimestre di stipendio un paio di giorni prima - doveva averlo avuto con sé al momento della scomparsa.
La domenica seguente, all'uscita della chiesa, il misterioso avvenimento fece fiorire molte congetture. Gruppi di persone si raccolsero a osservare e a discutere nel cimitero, vicino al ponte e sul luogo dove erano stati trovati il cappello e la zucca. 
Si richiamarono alla memoria i racconti di Brouwer, di Bones e di molti altri, e dopo averli passati tutti diligentemente in rassegna e confrontati con l'ultimo caso, la gente scosse il capo e concluse che Ichabod era stato portato via dall'Assiano senza testa. Poiché era scapolo e non aveva obblighi con nessuno, nessuno si proccupò di lui, la scuola fu spostata in un altro punto della valle, e un altro pedagogo gli successe nell'incarico.
Vero è che un vecchio fattore, che alcuni anni dopo soggiornò per qualche tempo a New York, e dal quale ho udito il racconto di questa avventura soprannaturale, riferì che Ichabod Crane era ancora vivo, che aveva abbandonato quel paese un po' per paura del fantasma e di Hans Van Ripper, e un po' per l'umiliazione di essere stato inaspettatamente rifiutato dall'ereditiera; e aggiunse che si era trasferito in una zona lontana dello stato, aveva insegnato e studiato legge, era diventato avvocato, s'era dato alla politica, impegnato nelle elezioni, era divenuto giornalista e infine l'avevano fatto giudice di tribunale.
Quanto a Brom Bones, il quale poco dopo la scomparsa del suo rivale condusse trionfalmente all'altare la prosperosa Katrina, tutte le volte che sentiva raccontare la storia di Ichabod dimostrava di saperla lunga, e scoppiava in una sonora risata quando si parlava della zucca, tutte cose che inducevano a sospettare che di quella faccenda egli ne sapesse assai più di quel che voleva lasciar intendere.
Comunque le vecchie contadine, che dopo tutto sono i giudici più competenti in queste materie, continuano ancora oggi a sostenere che Ichabod fu rapito da qualche forza soprannaturale; la sua storia è tra le preferite e più spesso raccontate nelle sere d'inverno attorno al fuoco. Il ponte diventò oggetto di superstizioso timore ancor più di prima, forse questa è la ragione per cui, in questi ultimi anni, fu cambiato il tracciato della strada, così che adesso si arriva alla chiesa costeggiando lo stagno del mulino. La scuola, non più frequentata, ben presto cadde in rovina, e si disse che fosse abitata dallo spettro del disgraziato pedagogo, e i contadini che tornano lentamente dai campi nelle tranquille sere d'estate spesso immaginano di sentire la sua voce da lontano cantare mestamente dei salmi, laggiù nelle solitudini silenziose della Valle Addormentata.