Thomas Preskett Prest ''La Visita''



I solenni rintocchi dell'orologio della vecchia cattedrale avevano già annunciato la mezzanotte, l'aria era spessa e pesante e una strana quiete simile alla morte pervadeva la natura. Come avviene durante la quiete minacciosa che precede l'impeto fragoroso degli elementi, ogni fluttuazione atmosferica sembrava sospesa, mentre la natura raccoglieva le sue forze in vista di una delle migliori manifestazioni della sua potenza.
Un leggero brontolio di tuoni giunse di lontano, e fu come se fosse stato dato il segnale d'inizio per una grande battaglia da parte dei venti che si scossero dal loro torpore, e un unico, orribile uragano, spazzò l'intera città. La violenza che sprigionò fu veramente eccezionale: benché durasse solo tre o quattro minuti, il cataclisma causò più devastazioni che cinquant'anni di uragani di normale intensità. Pareva che un gigante avesse soffiato su una città giocattolo, e avesse disperso gli edifici con il caldo fragore del suo fiato potente. Poi, all'improvviso, smise proprio come aveva cominciato.
Coloro che dormivano si svegliarono, e pensarono che ciò che avevano udito fosse una confusa chimera del regno dei sogni. Rabbrividirono, e si misero a dormire.
Tutto era fermo, fermo e molto cupo. Nessun suono disturbava la magia del riposo. Ma cos'era quel suono... uno strano rumore di passi leggeri, come il trapestìo di milioni di piedini fatati? Era la grandine: una grandinata si era abbattuta sulla città. Le foglie, miste a piccoli rami, venivano strappate dagli alberi. I vetri delle finestre più esposte alla furia dei sassolini ghiacciati si frantumavano. La magica quiete che poco prima era così profonda, era divenuta ormai un fragore che, accumulandosi, copriva ogni grido di sorpresa o di costernazione che saliva qua e là dalle case colpite dalla bufera.
Ogni tanto, un improvviso colpo di vento riusciva con la sua forza a ritardare la caduta delle migliaia di chicchi di grandine. Per un momento li tratteneva sospesi a mezz'aria, per poi scaraventarli con forza maggiore in altre direzioni, provocando ulteriori danni.
Oh! come si accaniva la tempesta! Grandine... pioggia... vento! Fu, in verità, una notte terrificante.

Nella vecchia casa vi era un'antica camera. Intagli curiosi e bizzarri ne adornavano le pareti, e il grande camino costituiva di per sé un elemento curioso. Il soffitto era basso, e una grande vetrata, che arrivava dal soffitto al pavimento, si apriva verso Ovest. Le finestre erano decorate da curiose vetrate a piombo, dipinte, che illuminavano l'appartamento di una luce strana ma molto bella, quando i raggi del sole o della luna riuscivano a penetrarvi.
Vi era un solo ritratto in quella stanza, anche se le pareti sembravano essere rivestite di pannelli approntati per ricevere molti quadri. Il ritratto rappresentava un giovane dal viso pallido e dalla fronte alta e solenne. Nei suo occhi si leggeva un'espressione strana, e nessuno di coloro che lo avevano visto una prima volta provava il desiderio di rivolgergli un secondo sguardo.
In quella stanza vi era poi un catafalco, intagliato in legno di noce, riccamente disegnato ed eseguito in maniera molto accurata. Era una di quelle opere d'arte realizzate durante il periodo elisabettiano. Attorno ad esso erano sistemati ricchi drappeggi argentati e damascati. Grandi piume - ormai coperte di polvere - oscillavano ai quattro angoli dando un aspetto funereo alla camera. Il pavimento era in legno di quercia lucidato.
Dio! Con quanta violenza la grandine si accaniva contro l'antica vetrata! Come una sventagliata di colpi di moschetto, si abbatteva colpendo e rimbalzando sulle piccole riquadrature che tuttavia resistevano. Era la loro superficie ridotta a salvarle: il vento, la grandine, la pioggia, sprecavano invano la loro furia.
Il letto della vecchia stanza era occupato da una figura distesa. Una creatura che racchiudeva in sé tutte le bellezze, giaceva semiaddormentata su quell'antico giaciglio: era una ragazza giovane e bella come un mattino di primavera. I suoi lunghi capelli sfuggiti dalle forcine che li raccoglievano, erano sparsi sugli arredi anneriti del letto.  
Aveva dormito di un sonno agitato, e le coperte erano in disordine. Un braccio copriva la testa, mentre l'altro pendeva abbandonato dalla sponda del letto sul quale era assopita. Il collo e il seno appena visibili, formavano uno studio degno del migliore scultore cui la Provvidenza abbia elargito il dono del genio artistico.
La ragazza gemette leggermente nel sonno e, una o due volte, le sue labbra si mossero come in preghiera: o almeno così dobbiamo pensare, poiché il nome di Colui che ha sofferto per noi tutti venne pronunciato una sola volta molto flebilmente.
La giovane doveva aveva sopportato una gran fatica: infatti, la bufera non era riuscita a destarla. Tuttavia riusciva a disturbarle il sonno, anche se non riusciva ad allontanarlo del tutto.
Il turbinio degli elementi stimolava i sensi, benché non avesse il potere di spezzare il profondo riposo in cui erano immersi.
Oh, che mondo stregato era incarnato in quella bocca, leggermente socchiusa, che mostrava una dentatura perlata che si intravvedeva smagliante perfino nella fioca luce che penetrava dalla vetrata. Con che dolcezza le lunghe ciglia di seta si posavano sulle sue guance. Poi la donna si mosse, ed una sua spalla rimase totalmente scoperta. La pelle liscia di quella stupenda creatura era più bianca, più bella delle immacolate lenzuola del letto sul quale giaceva. L'età era quella della transizione dell'adolescenza al pieno fiorire della giovinezza, nella quale tutte le attrattive della ragazza - quasi ancora una bambina - erano unite alla più pacata bellezza e gentilezza degli anni della maturità.
Era quello forse un fulmine? Sì, un bagliore terrificante e nitido, seguito da un fragore di tuono, come se cento montagne stessero rivoltandosi l'una sull'altra nell'immensità dell'azzurra volta dei cieli! Chi dormiva ancora nell'antica città? Nessuno. Neppure la temuta Tromba del Giudizio sarebbe riuscita a destare con maggior efficacia il mondo dei vivi.
La grandine continuava a cadere, ed il vento a soffiare forte. Finalmente, la bellissima ragazza sull'antico letto si destò. Dischiuse gli occhi di un azzurro celestiale, ed un leggero grido di sgomento le sfuggì dalle labbra. Il suo grido sembrava in effetti fioco e debole, in mezzo allo sconquasso dagli elementi.
Si mise a sedere sul letto e si premette le palme delle mani sugli occhi. Cielo! Che torrenziale diluvio di vento, pioggia e grandine! I tuoni sembravano anch'essi intenti a provocare una serie ininterrotta di echi misteriosi, che duravano fino al bagliore del lampo seguente, che produceva subito un nuovo fragore nell'aria tempestosa.
Mormorò una preghiera, una preghiera per i suoi cari. I nomi di coloro che erano più vicini al suo cuore le sorsero spontanei alle labbra. Allora pianse e pregò. Pensò alle devastazioni che sicuramente una tale tempesta stava provocando e pregò il Dio del Paradiso in nome di tutte le cose viventi.
Un altro lampo, ed un bagliore sinistro, di un azzurro accecante, attraversarono la grande vetrata e ne accese per un istante ogni colore con una nitidezza incredibile. Un grido sfuggì dalle labbra della giovane, che rimase con gli occhi sbarrati a fissare la finestra, ormai ripiombata nelle tenebre. Poi rabbrividì, e la sua espressione era ormai quella di un terrore mai provato prima, mentre la sudorazione causata da un'intensa paura le imperlava la fronte.
"Cosa... cosa mai sta succedendo?", singhiozzò. "Era realtà o sogno? Oh, Dio, cos'è stato? Una figura alta e magra tentava di aprire la vetrata dall'esterno: l'ho vista chiaramente. Il lampo del fulmine me l'ha mostrato nitidamente: occupava l'intera altezza della vetrata!"
Per un attimo il vento cessò. La grandine cadeva meno intensamente. Ma, benché ora essa cadesse dritta verso il suolo, dalla vetrata proveniva uno strano crepitìo. Non poteva essere un'illusione: lei ora era ben sveglia, e percepiva il rumore con chiarezza. Da cosa era provocato? Vi fu il bagliore di un altro fulmine, poi di nuovo un urlo... Questa volta ne era certa: non si trattava di un'allucinazione.
Un'alta figura era ritta sul davanzale fuori dalla vetrata. Era il rumore prodotto dalle sue unghie sul vetro che produceva il suono così simile a quello della grandine che fino a poco prima rimbalzava sulla finestra. Atterrita, la giovane sentì di avere gli arti paralizzati. Riuscì solo a urlare con le mani serrate, mentre il viso le diventava colore del marmo, e il cuore le batteva così forte nel petto che sembrava pronto a schizzare fuori.
Con gli occhi sbarrati fissò la finestra, ed attese impietrita dal terrore. Il crepitìo ed il tamburellare delle unghie sulla vetrata non cessò. Non si udiva una parola, ed ora la ragazza immaginava di riuscire a distinguere l'oscuro contorno di quella figura al di là del vetro, e di scorgere il movimento delle braccia, mentre tentava in tutti i modi di trovare il modo di penetrare nella stanza.
Cos'era quella strana luce che gradualmente si spandeva nell'aria? Rossa e fiammeggiante, divenne sempre più forte. Un fulmine aveva incendiato il mulino, e le fiamme che divoravano rapidamente l'edificio si riflettavano sulla lunga finestra. Non ci poteva essere errore. La figura era lì, che stava ancora tentando di entrare, e faceva stridere contro il vetro le unghie acuminate, cresciute incontrollate per anni.
La ragazza tentò invano di urlare, ma venne improvvisamente sopraffatta da una sensazione di soffocamento che le impedì di prendere fiato. Era tutto troppo orribile! Cercò di muoversi, ma braccia e gambe sembravano appesantite da tonnellate di piombo, e riusciva solo a mormorare con voce roca: "Aiuto... aiuto... aiuto... aiuto!"
Ripeteva quell'unica parola come se fosse immersa in un sogno. Il baluginìo delle fiamme proiettava grottescamente la lunga ombra di quella magra figura contro la finestra.
I riflessi rossicci rivelavano anche l'unico ritratto nella stanza, che ora sembrava fissare l'assalitore, mentre la luce incerta delle fiamme contribuiva a farlo sembrare innaturalmente vivo. Improvvisamente un piccolo riquadro della finestra si spezzò, e la figura misteriosa vi infilò una lunga mano scarna, che sembrava totalmente priva di carne. Aprì la maniglia, e poi metà della finestra che, nell'aprirsi, iniziò a scricchiolare sui cardini.
Eppure la giovane non riusciva ancora ad urlare, né a muoversi.
"Aiuto...aiuto...aiuto!", era tutto ciò che riusciva a mormorare. Oh, ma il terrore che le si leggeva sul viso era così tremendo da rimanere impresso nella memoria per una vita intera, e tale da offuscare anche i momenti più felici tramutandoli in amarezza.
La figura si girò di tre quarti, e la luce cadde sul suo viso. Era assolutamente bianco, del tutto esangue. Gli occhi sembravano di latta lucida. Le labbra contratte, rivelavano i denti che, insieme agli occhi, costituivano i caratteri principali del volto. Sporgenti come quelli di un animale, erano di un bianco abbagliante, orribilmente simili alle zanne di una bestia feroce.
Avanzò scivolando verso il letto, con movimenti strani ed innaturali. Fece cozzare fra loro le lunghe unghie che parevano letteralmente pendere dalla punta delle dita. Nessun suono emanava dalla sue labbra.
"Sto forse impazzendo?", si chiese la ragazza giovane e bella. Non era mai stata esposta ad un tale terrore. Raggomitolata sul letto, non riusciva neanche a chiedere aiuto. Aveva perso la capacità di parlare, ma finalmente aveva di nuovo la possibilità di muoversi.
Si spostò lentamente verso la sponda opposta del letto, il più lontano possibile dall'abominevole figura che stava avanzando. Ma i suoi occhi erano come ipnotizzati. Lo sguardo di un serpente non avrebbe potuto produrre un effetto maggiore di quello dello sguardo allucinato, metallico, degli occhi che la fissavano implacabili.
Accucciata, così da non far notare la sua statura gigantesca, la figura avanzava inesorabile, l'orribile volto esangue proteso in avanti. Cos'era mai quella creatura? Cosa voleva da lei? Cosa le aveva dato quell'aspetto orrendo...così dissimile da quello degli altri abitanti della terra, che pure essa abitava?
La giovane si trovava sul bordo del letto, e la figura esitò leggermente. Alla ragazza pareva di perdere la capacità di muoversi quando la figura indugiava. Strinse le coltri del letto febbrilmente, e riprese fiato con brevi singulti spezzati.
Aveva il petto oppresso per l'affanno, le braccia e le gambe le tremavano incontrollabilmente, eppure non riusciva a distogliere gli occhi da quel viso marmoreo. Lui la dominava con la forza del suo sguardo magnetico.
La tempesta era passata: ora tutto era fermo. I venti si erano acquietati e il campanile della chiesa annunciava l'una di notte: un suono sibilante salì dalla gola di quell'orribile creatura che sollevò le lunghe braccia magre; poi le sue labbra si mossero. Intanto continuava ad avanzare. La giovane cercò il pavimento con un piede. Inconsapevolmente trascinò con sé le coltri del letto.
La porta della stanza si trovava da quella parte: sarebbe riuscita a raggiungerla? Sarebbe riuscita ancora a camminare? Sarebbe stata capace di distogliere gli occhi dal volto dell'intruso, e spezzare così quel terribile incantesimo? Dio misericordioso! Era tutto vero, o si trattava di un sogno così reale da far perdere il senno per sempre?
La figura esitò nuovamente quando, ormai uscita per metà dalle coltri, la giovane giaceva riversa tremando.I suoi lunghi capelli erano sparsi su tutta la superficie del letto: muovendosi lentamente, li aveva lasciati sparsi sui cuscini. Quella pausa durò un minuto...un'eternità di angoscia. Quel minuto bastò a far in modo che la pazzia prendesse possesso di lei.
Poi, con uno scatto improvviso, ed emettendo un bizzarro e raccapricciante ululato che avrebbe risvegliato il terrore nell'animo più coraggioso, la figura afferrò i capelli della giovane, attorcigliandosi le chiome attorno alle mani ossute finché non la immobilizzò contro il letto.
Fu allora che lei gridò con forza: il cielo le ridiede la possibilità di urlare tutto il suo terrore. Le sue grida si succedevano rapide. Le coltri erano cadute in un mucchio al lato del letto... Per mezzo dei lunghi capelli di seta, lei sentì che quell'essere la stava ritrascinando sul letto da cui aveva tentato di fuggire. Le sue belle membra furono scosse dall'angoscia della sua povera anima.
Gli orribili occhi vitrei scesero lungo le sue forme angeliche con diabolica soddisfazione... con abominevole profanazione. Poi l'essere rovesciò la testa della giovane dalla sponda del letto e, per mezzo dei capelli che teneva ancora attorcigliati attorno ai polsi, la costrinse a reclinare indietro il capo. Si gettò quindi su di lei azzannandole il collo con i denti acuminati... ed un fiotto di sangue unito al rumore di un orribile risucchio spezzarono il silenzio.
La giovane era svenuta, ed il Vampiro stava consumando il suo abominevole pasto!

***
Aggiungo anche il contributo di Andrea

"Poi, siccome ho anche una discreta conoscenza della lingua francese, cerco quando posso di leggere i miei autori francesi preferiti in lingua originale. A volte facendo ricerche sul web faccio pure delle curiose scoperte. L'ultima che mi è capitata è un libro sui vampiri pubblicato nel 1825 trovato sul sito della Bibliothèque Nationale de France: "La vampire, ou la vierge de Hongrie" (La vampira, o la vergine d'Ungheria) del barone de Lamothe-Langon, uno scrittore ottocentesco praticamente sconosciuto qui in Italia che scrisse un po' di tutto, dai romanzi storici a quelli gotici. La particolarità di questo romanzo è che, a quanto afferma l'autore, è la prima volta in letteratura che il termine maschile "vampiro" viene 'femminilizzato' in "vampira". Così scrive Lamothe-Langon nella prefazione (la traduzione è mia): 

"Innanzitutto, cominceremo con lo scusarci presso il lettore (se è proprio necessario), del titolo che abbiamo creduto giusto dare alla nostra opera: “La Vampira”. È francese? ci si chiederà; non si dice sempre un “Vampiro”? I dizionari non registrano la parola al maschile? Non lo mettiamo in dubbio; ma essendo una donna che in questo romanzo recita la parte di persecutrice dei vivi, non conveniva farlo sapere? “il Vampiro” sarebbe stato un termine corretto? Ci è sembrato che potevamo femminilizzare la parola senza mancare al dovuto rispetto della lingua. Saremmo felici se, in queste pagine leggere, non l'abbiamo offesa in modo più grave."

Inoltre, e questa è una cosa che non mi è mai capitata leggendo libri, Lamothe-Langon inserisce all'interno del romanzo quattro spartiti di romanze scritti da una compositrice francese del periodo, tale Mlle Adèle Sendrier (o Sandrié). Non sono però riuscito a ottenere altre informazioni su questa Mlle Sendrier. Mi sembra una cosa quantomeno singolare che uno scrittore del primo Ottocento chieda la collaborazione di una compositrice per poter inserire in una storia sui vampiri le sue romanze! Ti allego i file degli spartiti che ho estratto dal romanzo vampiresco. Sarebbe bello poter trovare dei musicisti che suonino quelle melodie!.Sarebbe come resuscitare un fantasma...E ti trascrivo pure un estratto dal libro (traduzione sempre mia):

(dal Cap. XII) Raoul si sveglia in un bagno di sudore, e, al culmine dello spavento, osa appena aprire gli occhi, in mezzo all'oscurità profonda che lo circonda.
Tutto ciò che gli è capitato imprime nella sua anima un terrore da cui il suo coraggio naturale non può preservarlo. Gli sembra che il cielo gli abbia appena comunicato una spaventosa luce, e che debba trarne profitto adesso. Tutti i prodigi che l'avevano meravigliato sono spiegati: è nella tomba che Alinska ha preso il potere che lo sorprende. Pensava di dover lottare contro una donna sconvolta da una violenta passione, ed è con un'Intelligenza infernale che bisogna combattere. Cede infine alla superstizione, e crede più alle istigazioni di un sogno che a tutto ciò che la ragione può ispirargli per rassicurarlo. Mentre si abbandonava al delirio dell'immaginazione, si ricorda che quella stessa notte madame Delmont è occupata a vegliare suo figlio. Ella può, senza essere assillata dal demone che ha accolto, ascoltare le rivelazioni importanti che Raoul deve fargli. Forse Alinska, immersa in un sopore mortale, non potrà intromettersi fra lui e la madre della prima vittima di questa ragazza sacrilega. Questa idea lo mette in agitazione; si lancia senza indugio fuori dal letto, si veste in fretta, e sta per aprire la porta, quando improvvisamente una nuova idea lo ferma. Freme al pensiero di attraversare disarmato le vaste sale del castello, nelle quali era possibile che un orrido Vampiro errasse in quel momento. Dimentica che l'uomo è inerme contro ciò che non è più sottomesso alle leggi della natura, e al chiarore della luna che brillava attraverso la finestra cerca le sue pistole, che gli restano sempre cariche addosso. Munito di questo mezzo di difesa, confidando nella purezza delle sue intenzioni, esce infine dalla camera, dirigendosi verso quella del malato, nella quale crede di incontrare la moglie del suo colonnello.
Temendo sempre che il più leggero rumore togliesse ad Alinska il suo sonno letargico, avanza lentamente, trattiene cautamente il respiro, e trema al pensiero che qualcuno possa udirlo. Ha già salito lo scalone, è arrivato nella grande sala, e niente di spaventoso si è mostrato. Entra nel salotto, che similmente attraversa, senza spiacevoli incontri, e sta già per aprire la porta della camera, dove madame Delmont è accanto al figlio: ma in quel momento pensa che forse è assopita, e che mostrandosi inopinatamente davanti a lei, le avrebbe provocato un istante di involontario spavento. Per assicurasi che ella dorma, o che stia vegliando, avvicina l'occhio al buco della serratura e guarda nell'appartamento.
Oh sorpresa! Non è Hélène che vi si trova, ma piuttosto l'inesplicabile Alinska. Si muove a passi lenti; sembra agitarsi nondimeno con impazienza; guarda ora il letto nel quale riposa il bambino, ora la luna, che continua ad avanzare in un cielo senza nubi... L'orologio del castello battè l'una del mattino... Allora il viso di Alinska si altera, una gioia raccapricciante le contrae i lineamenti, si toglie precipitosamente il guanto che nasconde la mano sinistra, e si d'improvviso si precipita sul letto. Posa la bocca fetida sulla bocca pura del bambino, e sembra bere a lunghi sorsi il sangue che aspira dal petto di quell'essere sventurato.
Era troppo per Raoul. A costo della vita, non poteva sopportare l'orribile spettacolo. Prende una pistola, che carica subito; apre precipitosamente la porta, e si slancia verso il mostro di cui vuole punire i misfatti.
“ Ora finalmente ti sei rivelata, - esclama, - va, torna all'inferno, non insudiciare più la terra con la tua presenza.” Dice, e senza più calcolare le conseguenze della sua azione tira il grilletto. Il colpo parte, Alinska è colpita; ma, più rapida dell'aquila sorpresa nel suo nido dall'audace cacciatore, si getta giù dal letto che profanava.
“A me! - dice, - a me, la morte! Non illuderti, miserabile; sei tu che stai per seppellire il mio segreto nel termine della tua esistenza.”
Un pugnale affilato le brilla in mano. Invano Raoul tira il secondo colpo, che devia raggiungendo la parete. Il ferro omicida, diretto al suo petto, gli penetra nel cuore, e Raoul, non avendo neanche il tempo di emettere un sospiro, cade sul pavimento, abbandonato dalla vita."


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