Intervista col Vampiro + Caccia al Vampiro: trame e stralci!

"Intervista col Vampiro"


Romanzo horror, romanzo gotico, romanzo storico e filosofico, "Intervista col Vampiro" (1976) ha segnato l'inizio di una delle saghe narrative di maggior successo mondiale degli ultimi anni.
Col suo capolavoro, Ann Rice ha ricreato il mito notturno del vampiro, trasformandolo in una figura oscuramente luminosa capace di incarnare, e di raccontare, i mali, le paure e le angosce di noi contemporanei.

  
Inizia così…

"Capisco...", disse pensieroso il vampiro, poi attraversò lentamente la stanza fino alla finestra. Qui restò a lungo, in piedi, contro la luce fioca di Divisadero Street e i bagliori intermittenti del traffico. Adesso il ragazzo riusciva a distinguere più chiaramente l'arredamento della stanza, il tavolo rotondo di quercia, le sedie.
E su una parete, un lavandino e uno specchio. Posò la cartella sul tavolo e aspettò.
"Quanto nastro hai con te?" chiese il vampiro voltandosi, così che il ragazzo ora ne poteva scorgere il profilo. "Ce n'è abbastanza per la storia di una vita?"
"Certo, se è una bella vita. A volte, quando mi va bene, intervisto anche tre o quattro persone in una notte. Ma dev'essere una bella storia. Mi pare corretto, no?"
"Molto", rispose il vampiro. "Quand'è così, desidero raccontarti la storia della mia vita. Lo desidero veramente."
"Perfetto", disse il ragazzo. Estrasse rapidamente il piccolo registratore dalla cartella e controllò cassetta e batterie.
"Sono proprio impaziente di sentire che cosa glielo fa credere, perché Lei..."
"No", interruppe il vampiro. "Non possiamo cominciare così. Sei pronto col tuo apparecchio?"
"Sì"
"Allora siediti. Io accendo la lampada lassù."
"Pensavo che i vampiri non amassero la luce", intervenne il ragazzo.
"Non crede che il buio aumenti l'atmosfera..."
Poi si fermò. Il vampiro, con le spalle alla finestra, lo osservava.
Il ragazzo non riusciva a decifrare l'espressione del suo viso: c'era qualcosa che lo inquietava in quella figura immobile. Di nuovo provò a dire qualcosa e rinunciò. Tirò un sospiro di sollievo quando il vampiro si diresse verso il tavolo e afferrò il cordone della lampada.
Di colpo la stanza fu inondata da una cruda luce gialla.
Il ragazzo, levando gli occhi sul vampiro, non riuscì a trattenere un moto di stupore. Le sue dita arretrarono danzando sul tavolo fino ad artigliare il bordo. "Santo Cielo!", mormorò, poi riprese a fissarlo ammutolito.
Il vampiro era perfettamente candido e levigato, come scolpito nell'avorio, e il suo viso appariva esanime come una statua, a eccezione di quegli occhi verdi, ardenti come fiamme in un teschio, che scrutavano intensamente il ragazzo. Ma poi il vampiro sorrise con un velo di malinconia e la liscia massa bianca del suo volto si mosse ridisegnandosi con i tratti infinitamente flessibili ed essenziali di un cartone animato. "Vedi?", chiese dolcemente.
Il ragazzo rabbrividì, alzando la mano come per ripararsi da una luce violenta. Il suo sguardo scorse lentamente sulla giacca nera e impeccabile appena intravista nel bar, sulle lunghe piaghe del mantello, sulla cravatta di seta nera annodata alla gola e sul luccichio del colletto, bianco come la carne del vampiro.
S'incantò a osservare la folta capigliatura corvina, le onde pettinate all'indietro sulle orecchie e i riccioli che sfioravano appena l'orlo del colletto.
"Allora, la vuoi ancora l'intervista?", domandò il vampiro.
Il ragazzo aprì la bocca prima di riuscire ad emettere un suono. Annuì. "Sì", rispose infine.
Il vampiro si sedette lentamente di fronte a lui e sporgendosi in avanti gli disse in tono gentile, confidenziale: "Non aver paura. Fai partire il nastro."
Allungò un braccio verso il ragazzo. Questo fece un balzo all'indietro, mentre due rivoli di sudore gli scorrevano ai lati del viso.
Il vampiro gli strinse vigorosamente una spalla.
"Credimi, non ti farò del male", lo rassicurò.
"Ci tengo davvero a questa occasione. è molto più importante per me di quanto tu possa credere. Voglio cominciare".
Ritirò la mano e rimase immobile in attesa.
Il ragazzo si asciugò la fronte e le labbra col fazzoletto, balbettò che il microfono era inserito, schiacciò il tasto e annunciò che l'apparecchio era acceso.
"Lei non è stato sempre un vampiro, vero?", attaccò.
"No", rispose l'altro. "Avevo venticinque anni quando lo divenni.
Era il 1791."
Il ragazzo fu colpito dalla precisione della data, che ripeté prima di chiedere: "Come avvenne?"
"Ci sarebbe una risposta molto semplice. Ma non credo di aver voglia di dare risposte semplici", disse il vampiro.
"Credo di voler raccontare la storia vera..."
"Sì", commentò precipitosamente il ragazzo, che continuava a spiegare e ripiegare il fazzoletto e aveva ricominciato ad asciugarsi le labbra.
"Ci fu una tragedia...", cominciò il vampiro.
"Il mio fratello minore... morì". Poi si fermò, dando modo al ragazzo di schiarirsi la voce e di asciugarsi ancora il viso col fazzoletto prima di cacciarselo in tasca quasi con impazienza.
"Non le fa male, vero?", chiese timidamente.
"Do quest'impressione?" ribatté il vampiro. "No". Scosse la testa. "Ma è una storia che ho raccontato solo a un'altra persona... e tanto tempo fa. No, non mi fa male..."
"A quel tempo vivevamo in Louisiana. Ci avevano assegnato della terra e noi ci tenevamo due piantagioni di indaco, sul Mississippi, molto vicino a New Orleans..."
"Ah, ecco l'accento..." disse piano il ragazzo.
Per un istante il vampiro lo fissò senza espressione. "Ho un accento?"
Cominciò a ridere.
Agitatissimo, il ragazzo rispose frettolosamente. "L'ho notato al bar quando le ho chiesto che cosa faceva per vivere. Solo una leggera asprezza delle consonanti, niente altro. Non avevo immaginato che fosse francese."
"Non preoccuparti", lo rassicurò il vampiro. "Non sono stupito come sembro, solo che qualche volta me ne dimentico. Ma lasciami andare avanti..."
"La prego...", mormorò il ragazzo.
"Stavo parlando delle piantagioni. Ebbero davvero una parte importante nella faccenda, voglio dire, in come diventai un vampiro. Ma ci arriveremo. Per noi era il massimo del piacere; capisci, lì vivevamo infinitamente meglio di come avremmo mai potuto vivere in Francia. O forse era solo un'illusione, causata da quel luogo assolutamente selvaggio che era la Louisiana; ma dato che a noi sembrava così, lo era davvero. Ricordo i mobili importati che ingombravano la casa", il vampiro sorrise.
"E il clavicembalo: delizioso. Lo suonava mia sorella. Le sere d'estate si sedeva alla tastiera con la schiena rivolta alle porte-finestre spalancate. Ricordo ancora quella musica lieve, scorrevole, e vedo la palude che si stendeva al di là delle sue spalle, i cipressi ornati di muschio che ondeggiavano contro il cielo... E poi i suoni della palude, un coro di creature, le grida degli uccelli. Credo ne fossimo innamorati; ci faceva apparire i mobili di palissandro più preziosi che mai, la musica più delicata e desiderabile."
Persino quando il glicine spezzò le persiane nell'attico e, in meno di un anno, penetrò coi suoi viticci le pareti di mattone imbiancato... sì, ne eravamo innamorati.
Tutti tranne mio fratello: non ricordo di averlo mai sentito lamentarsi di qualcosa, ma sapevo cosa provava. A quel tempo mio padre era morto, io ero il capofamiglia e mi toccava continuamente difenderlo da mia madre e da mia sorella. Pretendevano di portarlo in visita o alle feste di New Orleans, ma lui odiava questo genere di cose. Mi pare che avesse smesso di andarci prima dei dodici anni. L'unica cosa che contava per lui era la preghiera, la preghiera e un libro di vite di santi rilegato in pelle.
Alla fine gli costruii una cappella lontano dalla casa e lui prese a passarci la maggior parte della giornata e spesso anche le prime ore della sera.
C'è dell'ironia in questo, a pensarci bene. Lui era così diverso da noi, diverso da tutti, mentre io ero così normale! In me non c'era nulla, proprio nulla fuori dell'ordinario". Il vampiro sorrise.
"Certe volte alla sera uscivo a cercarlo e lo trovavo nel giardino fuori dalla cappella che sedeva assorto su una panchina di pietra; allora gli raccontavo i miei problemi, le difficoltà con gli schiavi, la mia sfiducia nel sorvegliante, nel tempo o nell'amministratore... tutte le preoccupazioni che costituivano le coordinate della mia esistenza. E lui stava ad ascoltare, facendo appena qualche commento, sempre partecipe; me ne andavo con la netta impressione che mi avesse risolto ogni cosa. Non credevo che avrei mai potuto negargli alcunché, e promisi solennemente a me stesso che, quando fosse giunto il momento, gli avrei concesso di abbracciare il sacerdozio, per quanto straziante per me potesse essere la sua perdita. Naturalmente, mi sbagliavo."
Il vampiro si fermò.
Per un momento il ragazzo stette a guardarlo in silenzio, poi sussurrò come risvegliandosi da profonde riflessioni; sembrava che non riuscisse a trovare le parole giuste.
"Ah... non voleva farsi prete?", azzardò.
Il vampiro lo studiò come se cercasse di decifrare il significato della sua espressione. Poi disse: "Intendevo dire che mi sbagliavo sul mio conto, sul fatto di non negargli nulla". Il suo sguardo corse sulla parete in fondo fino a fissarsi sui vetri della finestra. "Cominciò ad avere delle visioni."
"Visioni vere e proprie?", domandò il ragazzo ancora esitante, come pensando ad altro.
"Allora non lo credevo", rispose il vampiro. "Accadde quando aveva quindici anni. A quell'epoca era molto bello: aveva una pelle liscissima e immensi occhi azzurri. Era robusto, non magro come adesso... e come ero anche allora... ma i suoi occhi... quando lo guardavo negli occhi mi pareva di essere solo ai limiti del mondo... su una spiaggia dell'oceano spazzata dal vento. C'era solo il sommesso mugghiare delle onde, nient'altro. Be'", riprese, gli occhi ancora fissi alla finestra, "cominciò ad avere delle visioni. Sulle prime non ne parlò quasi, ma smise completamente di venire a casa a mangiare. Viveva nella cappella."
A qualsiasi ora del giorno e della notte lo trovavo inginocchiato davanti all'altare, sulla nuda pietra.
E la cappella stessa era in stato di abbandono. Aveva smesso di badare alle candele o di cambiare le tovaglie dell'altare o persino di scopare via le foglie. Una notte mi allarmai veramente: ero stato a osservarlo dal pergolato di rose per un'ora intera, e per tutto quel tempo lui era rimasto in ginocchio senza mai muoversi e senza abbassare neanche una volta le braccia, che teneva spiegate a formare una croce. Gli schiavi pensavano tutti che fosse pazzo."
Il vampiro alzò le sopracciglia con aria stupita.
"Io ero convinto che si trattasse soltanto di... un eccesso di zelo. Che nel suo amore per Dio avesse forse esagerato. Poi mi parlò delle visioni. Sia san Domenico che la Madonna erano andati a visitarlo nella cappella, gli avevano detto di vendere tutte le nostre proprietà in Louisiana, tutto quello che possedevamo, e di devolvere il denaro alle opere di Dio, in Francia. Mio fratello doveva diventare un grande capo religioso, riportare il paese all'antico fervore e arrestare la marea dell'ateismo e della rivoluzione. Naturalmente, lui non possedeva denaro suo. Ero io che dovevo vendere le piantagioni e le nostre case di New Orleans e dargli il denaro."
Di nuovo il vampiro si fermò. E il ragazzo sedeva immobile, guardandolo allibito.
"Ah... mi scusi", sussurrò. "Cosa fece lei? Vendette le piantagioni?"
"No". Il volto del vampiro era sempre disteso. "Io risi. E lui... lui arrivò all'esasperazione. Insisteva che l'ordine gli proveniva dalla Vergine stessa: chi ero io per non curarmene? Chi ero io?", ripeté piano, come se stesse nuovamente cercando la risposta a quella domanda.
"Chi ero, in effetti? E più tentava di convincermi, più lo deridevo. Era una sciocchezza, gli dicevo, il frutto di una mente immatura e anche malata. La cappella era stata un errore: l'avrei fatta abbattere immediatamente. Andando a scuola a New Orleans si sarebbe tolto dalla testa queste assurdità. Non ricordo tutto quello che gli dissi, ma ricordo i sentimenti che provai. Dietro a tutto il mio disprezzo e i miei rifiuti c'erano ira repressa e delusione. Ero amaramente deluso. Non gli credevo affatto."
"Ma è comprensibile", si inserì il ragazzo nella pausa, mentre l'espressione esterrefatta del suo viso si attenuava.
"Voglio dire, chi gli avrebbe creduto?"
"è davvero così comprensibile?" Il vampiro guardò il ragazzo. "Io penso che si trattasse di perverso egoismo; lascia che ti spieghi. Io amavo davvero mio fratello, e a volte credevo proprio che fosse un santo in terra. Lo incoraggiavo nella preghiera e nelle meditazioni, come dicevo, ed ero disposto a rinunciare a lui se avesse voluto prendere gli ordini. Se qualcuno mi avesse parlato d'un santo, ad Arles o a Lourdes, che aveva delle visioni, gli avrei creduto. Ero cattolico: credevo nei santi. Conoscevo le loro immagini, i loro simboli, i loro nomi; accendevo ceri nelle chiese davanti alle loro statue di marmo. Ma non credevo, non potevo credere a mio fratello. Non solo non credevo che avesse delle visioni, ma non riuscivo a prendere in considerazione l'idea neppure per un momento. E perché? Perché era mio fratello. Santo poteva anche essere; fuori della norma, senz'altro. Ma Francesco d'Assisi proprio no. Non mio fratello; un mio fratello non ne aveva diritto. Questo è egoismo, capisci?"
Il ragazzo rifletté un po' prima di rispondere; fece cenno col capo e disse che sì, credeva di sì.
"Forse ebbe davvero quelle visioni", riprese il vampiro.
"Allora... lei non crede di sapere... adesso... se le avesse avute o no?"
"No, però so che non vacillò nella sua convinzione neppure per un istante. Questo lo so adesso e lo sapevo allora, la notte che lasciò la mia stanza in preda all'esaltazione e al dolore. Non vacillò mai neppure un istante. E pochi minuti dopo, era morto."
"In che modo?", chiese il ragazzo.
"Semplicemente, attraversò la porta-finestra che dava sulla veranda, stette per un momento in cima alla scala di mattoni e poi cadde. Quando io arrivai era già morto; s'era rotto l'osso del collo."
Il vampiro scosse la testa in segno di costernazione, ma il suo viso era ancora sereno.
"Lo vide cadere?", chiese il ragazzo. "Perse l'equilibrio?"
"No, due domestici lo videro. Dissero che aveva guardato in su, come se avesse visto qualcosa in cielo. Poi tutto il suo corpo s'era mosso in avanti come se fosse stato spinto dal vento. Uno dei domestici riferì anche che mio fratello stava per dire qualcosa quando cadde. Anch'io pensavo che stesse per dire qualcosa, ma fu in quel momento che mi scostai dalla finestra. Gli ero di spalle quando udii il tonfo."
Lanciò un'occhiata al registratore. "Non riuscivo a perdonarmelo. Mi sentivo responsabile della sua morte... e anche tutti gli altri sembravano convinti che io lo fossi."
"Ma com'è possibile? Non ha detto che lo videro cadere?"
"Non era un'accusa diretta...Però tutti sapevano che tra noi era successo qualcosa di spiacevole, che c'era stata un'accesa discussione poco prima della disgrazia. I domestici e mia madre ci avevano sentito. Mia madre non smetteva di chiedermi cosa era accaduto e come mai mio fratello, sempre così tranquillo, si fosse messo a gridare. Poi ci si mise anche mia sorella, e naturalmente io mi rifiutavo di parlare. Ero talmente sconvolto, disperato e infelice che non me la sentivo d'avere pazienza con nessuno; e a ogni costo ero deciso a non parlare con loro di quelle "visioni". Non avrebbero mai saputo che mio fratello era diventato non un santo, ma solo... un fanatico. Mia sorella si mise a letto per non affrontare il funerale; mia madre raccontò a tutti in parrocchia che qualcosa di orribile era successo nella mia stanza, qualcosa che io non intendevo rivelare. Persino la polizia mi interrogò, su richiesta di mia madre. Infine venne a trovarmi il prete e pretese di sapere cos'era successo.
Non lo rivelai a nessuno.
Dissi che c'era stata solo una discussione.
Io non ero nella veranda quando lui era caduto, protestai, e tutti mi guardavano come se l'avessi ucciso io. Ma anch'io avevo questa sensazione. Restai seduto nel salottino accanto al feretro per due giorni, continuando a pensare che lo avevo ucciso io. Rimasi a guardare il suo viso finché mi apparvero delle macchie davanti agli occhi e fui lì lì per svenire. La parte posteriore del cranio si era fracassata sul selciato, e la testa sul cuscino aveva una forma sbagliata.
Mi costringevo a guardarla, a studiarla, vincendo il dolore e il lezzo della decomposizione, ed ero spesso tentato di provare ad aprirgli gli occhi. Fantasie demenziali, impulsi folli! Ma il pensiero dominante era questo; l'avevo deriso, non gli avevo creduto, ero stato duro con lui. Era caduto per colpa mia."
"Tutto questo è veramente accaduto?", mormorò il ragazzo. "Mi sta raccontando qualcosa di... di vero?"
"Sì."
Il vampiro lo guardò senz'ombra di stupore.
"Vorrei continuare il mio racconto."
Ma quando il suo sguardo si soffermò brevemente sul ragazzo e tornò a fissarsi sulla finestra, dimostrò solo un debole interesse per il suo interlocutore, che sembrava impegnato in una specie di muta battaglia interiore.
"Ma Lei ha detto che non sapeva se quelle visioni... che Lei, un vampiro... non sapeva con certezza se..."
"Voglio andare con ordine. Voglio continuare a raccontare le cose come accaddero. No, io non so niente di quelle visioni. A tutt'oggi non so niente."
E ancora una volta attese finché il ragazzo disse: "Sì, continui, per favore."
"Be', volevo vendere le piantagioni. Non volevo rivedere mai più la casa e la cappella. Alla fine le affittai a un'agenzia che le avrebbe amministrate per conto mio e sistemai le cose in modo da non dovermici mai recare di persona. Feci trasferire mia madre e mia sorella in una delle case di New Orleans. Inutile dire che mio fratello non mi abbandonava neppure un secondo; il pensiero del suo corpo che marciva nella terra era fisso in me. Era sepolto nel cimitero di St Louis a New Orleans; io facevo di tutto per evitare di passare davanti a quei cancelli, e tuttavia non cessavo mai di pensare a lui. Ubriaco o sobrio, vedevo il suo corpo marcire nella bara, e non riuscivo a sopportarlo. Mille volte sognai che era in cima alle scale e io gli tenevo il braccio, parlandogli gentilmente; lo esortavo a ritornare nella stanza da letto e gli dicevo dolcemente che gli credevo, che doveva pregare per me perché avessi fede. Frattanto, gli schiavi di Pointe du Lac (così si chiamava la mia piantagione) cominciavano a raccontare di aver visto il suo spettro sulla veranda, e il sorvegliante non riusciva a mantenere l'ordine. Nei circoli mondani a mia sorella venivano spesso rivolte domande offensive sull'incidente, che la resero isterica. Non era affatto isterica; però le sembrava giusto reagire in quella maniera, e così fece. Io bevevo e restavo a casa il meno possibile. Vivevo come un uomo che vuole morire ma non ha il coraggio di darsi la morte. M'aggiravo solitario per strade e vicoli oscuri... m'abbattevo privo di sensi nei cabaret. Rifiutai un paio di duelli più per apatia che per viltà, benchè desiderassi sinceramente di essere ucciso. E alla fine fui aggredito. Avrebbe potuto trattarsi di chiunque: i miei inviti erano aperti a marinai, ladri, maniaci, tutti. Ma fu un vampiro. Mi agguantò una notte a pochi passi dalla porta di casa e mi lasciò in fin di vita o almeno così credetti."
"Vuol dire che... le succhiò il sangue?"
"Sì", rise il vampiro. "Mi succhiò il sangue. è così che si fa."
"Ma lei sopravvisse", osservò il giovane. "Eppure ha detto che quello lo ridusse in fin di vita."
"Bevve il mio sangue fino quasi a farmi morire.
Appena mi trovarono mi misero a letto, confuso e totalmente ignaro di quanto mi era accaduto. Credo di aver pensato che mi fosse venuto un colpo per il troppo bere. Mi aspettavo di morire da un momento all'altro e non mi interessava affatto bere, mangiare o parlare col dottore. Mia madre mandò a chiamare il prete. Quando arrivò ero in preda alla febbre e gli rivelai tutto: le visioni di mio fratello e come mi ero comportato con lui. Ricordo che mi aggrappai al suo braccio, facendogli giurare ripetutamente che non l'avrebbe detto a nessuno. "So di non averlo ucciso io", dissi infine. "Solo che non posso più vivere ora che lui è morto. Dopo averlo trattato in questo modo!"
"è ridicolo", rispose il prete. "Tu puoi vivere benissimo: non c'è nulla di male in te, tranne il tuo autocompiacimento. Tua madre ha bisogno di te, e ancor più tua sorella. In quanto a tuo fratello, era posseduto dal demonio."
A queste parole rimasi talmente sconvolto da non riuscire a protestare.
Il diavolo era l'artefice delle visioni, continuò. Il diavolo imperversava. L'intera terra di Francia era sotto l'influenza del Maligno, e la Rivoluzione era stata il suo massimo trionfo.
Nulla avrebbe potuto salvare mio fratello tranne l'esorcismo, la preghiera e il digiuno, uomini che lo tenessero stretto quando il diavolo infuriava nel suo corpo e cercava di agitarlo.
"è il diavolo che l'ha scaraventato giù dalle scale; è lampante!", dichiarò.
"In quella stanza tu non stavi parlando con tuo fratello, ma col demonio!"
Mi mandò su tutte le furie. Pensavo di essere già stato portato al limite estremo, ma non era così. Il prete continuò a parlare del demonio, del voodoo tra gli schiavi e di casi di invasamento in altre parti del mondo. E io esplosi. Distrussi la stanza nel tentativo di ammazzarlo."  
"Ma la sua forza... il vampiro?"
"Ero fuori di me", spiegò il vampiro. Feci cose che in condizioni normali non avrei mai fatto. La scena è confusa, sbiadita, fantastica... ricordo solo che lo trascinai fuori dalla porta dietro la casa, attraverso il cortile, in cucina; e lì gli sbattei la testa contro la parete di mattoni fin quasi a ucciderlo. 
Quando riuscirono a calmarmi, stanco fino alla morte, mi fecero un salasso. Gli imbecilli! Ma stavo dicendo qualcos'altro.
Fu allora che mi resi conto del mio egoismo.
Forse l'avevo visto riflesso nel prete.
Il suo atteggiamento di disprezzo per mio fratello rispecchiava esattamente il mio; il ricorso automatico e superficiale al diavolo; e il rifiuto anche solo di prendere in considerazione l'idea che la santità potesse essere passata così vicino."
"Ma negli indemoniati ci credeva."
"Quella è un'idea molto più accettabile", rispose immediatamente il vampiro. "Chi ha smesso di credere in Dio o nel bene continua lo stesso a credere nel diavolo. Non so perché. No, anzi, lo so: il male è sempre possibile. è il bene è eternamente difficile. Ma capisci che parlare d'invasamento è solo un modo per dare del pazzo a qualcuno. Ebbi questa netta sensazione con quel prete. Sono sicuro che vide la follia. Forse gli era capitato di trovarsi di fronte a un pazzo furioso e l'aveva dichiarato indemoniato. Non è detto che si debba per forza vedere Satana quando si pratica un esorcismo... ma avere davanti un santo e affermare che le sue visioni siano tutte fantasie... no, è puro egoismo rifiutare di credere che sia potuto succedere tra noi."
"Non lo avevo mai considerato da questo punto di vista", disse il ragazzo. "Ma a lei cosa accadde? Mi stava dicendo che per curarla le avevano fatto un salasso... deve averla quasi uccisa."
Il vampiro rise. "Sì, naturalmente. Ma il vampiro tornò quella notte stessa. Voleva Pointe du Lac, la mia piantagione. Era molto tardi. Mia sorella si era appena addormentata.
Ricordo tutto come se fosse ieri. Entrò dal cortile, aprendo le porte-finestre senza un rumore... un uomo alto, di carnagione chiara, con una massa di capelli biondi e movimenti aggraziati, quasi felini. Con garbo dispose uno scialle sugli occhi di mia sorella e abbassò lo stoppino della lampada. Mia sorella sonnecchiava accanto al bacile e al panno con cui aveva inumidito la mia fronte; restò sotto quello scialle senza agitarsi neppure una volta fino al mattino. Ma nel frattempo, io avevo subito una metamorfosi."
"Mi spieghi."
Il vampiro sospirò. Si appoggiò allo schienale della sedia, fissando le pareti. "Sulle prime pensai si trattasse di un altro dottore, o di qualcuno convocato dalla famiglia per tentare di farmi ragionare; ma quel sospetto sparì immediatamente.
Si avvicinò al mio letto e si chinò in modo che il suo viso fosse illuminato dalla lampada, e vidi che non poteva essere un uomo normale. I suoi occhi grigi parevano incandescenti e le lunghe mani bianche che gli pendevano ai lati del corpo non erano quelle di un essere umano.







"Caccia al Vampiro"


Le rocambolesche avventure di un Dracula moderno.
Perché non è così facile essere un vampiro al giorno d'oggi…

Trama: Eric ha qualche problema di memoria. Non ricorda neppure quello che ha mangiato ieri, figuriamoci se può sapere come ha fatto, molti anni fa, a diventare un vampiro. E ultimamente è piuttosto stressato: gli affari allo strip club che gestisce insieme al suo amico Roger non vanno poi così bene e la sua fidanzata Tabitha non fa che chiedergli di trasformarla in vampiro, così potranno stare insieme per sempre.
Ma quando finalmente si decide ad accontentarla, ecco che il suo desiderio per lei si affievolisce e cresce nei confronti della sorella più piccola di Tabitha, Rachel.
Come se non bastasse, Eric ha ucciso involontariamente un licantropo che lo ha attaccato e adesso un branco di lupi lo insegue per la città in cerca di vendetta.
Tra scontri automobilistici, mannari impazziti, trasformazioni mirabolanti, perdite di memoria, sesso bollente e pallottole magiche, il nostro vampiro dovrà dire addio alle sue tranquille serate a base di sangue e pensare in fretta al modo per tirarsi fuori dai guai...

"Caccia al vampiro" è il romanzo di esordio dell'autore, che ha scritto anche il seguito: "ReVamped".
Dalla critica, è stato recensito come "Una storia avvincente che mescola in maniera entusiasmante humour, azione e sesso"

Vi trascrivo uno stralcio che mi è piaciuto e dà l'idea dello stile narrativo del romanzo.

"Due paia di zampe che non avevo notato mi lacerarono il ventre, facendo rotolare a terra le mie viscere, e nello stesso momento sentii il rumore di una testa di lupo che veniva staccata dal collo.
"Vediamo se sei capace di farla ricrescere".
Greta rise di nuovo, ma la sua risata si trasformò presto in un grido, poi udii uno sfrigolio.
Dannazione.
Incerto sul da farsi, saltai all'indietro trascinando con me i due lupi che mi tenevano prigioniero, mandando in pezzi la porta a vetri della facciata del Pollux e atterrando con uno schianto su quello che un tempo era il botteghino.
Il licantropo alla mia sinistra allentò la presa e ne approfittai per divincolarmi, poi tirai verso di me quello alla mia destra e lo azzannai alla gola.
Il sangue dei lupi non ha un sapore molto diverso da quello degli umani. La cosa difficile è riuscire a evitare che i peli restino incastrati in mezzo ai denti.
Non ebbi il tempo di fare un lungo spuntino, ma solo quanto bastò per accelerare il risanamento delle mie ferite. Per noi il sangue è sia un alimento che una medicina.
Gli squarciai la gola abbastanza da metterlo fuori gioco, e mi strofinai gli occhi con il sangue di quella ferita. Un metodo grossolano ma efficace. Tornai a vedere, ma la mia vista era ancora annebbiata; era come se osservassi il mondo attraverso un foglio di carta oleata. Per mia fortuna, le sagome dei lupi sono facilmente riconoscibili.
Mi voltai verso il secondo licantropo giusto in tempo perché mi sferrasse una zampata al ventre mentre cercava di liberarsi dalle macerie del botteghino distrutto. Aveva il pelo pieno di tagli e graffi causati dal vetro.
Alle sue spalle riuscivo a vedere Greta alla prese con il Bulldog e gli altri in mezzo alla strada. (...) Greta approfittò di quel momento di distrazione per strappare la traversina dalle zampe del Bulldog e colpirlo alla testa, ma le sue mani si incendiarono al contatto con il legno.
Affondò i suoi artigli infuocati su di lui, usando il proprio sangue per spegnere le fiamme e poi gli azzannò il collo."


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