Una cosa è certa: soltanto chi è tanto temerario da amare alcunché su questa terra guarda preoccupato alla morte. Soltanto chi è stato deluso nei propri pensieri può, infine, giungere a cercare formalmente la morte. Eppure, proprio in questo caso, ciò cui si anela è una vita più vera. Siamo così arrivati al cardine di tutte le domande: quando viviamo liberamente?
Il desiderio di abbandonare questo mondo ha trovato una volta per tutte mirabile espressione in uno dei più antichi testi letterari dell'umanità risalente alla cultura antico-egizia, il "Dialogo di un uomo stanco della vita con la sua anima":
"Oggi ho visto davanti a me la morte. Un malato risana, se dopo la sventura ritorna nello spazio aperto. Oggi ho visto davanti a me la morte come profumo di mirra quando sediamo al riparo del sole nei giorni ventosi. Oggi ho visto davanti a me la morte come profumo di loto quando sediamo sulla riva dell'ebrezza. Oggi ho visto davanti a me la morte come il cessare della pioggia quando il contadino rientra a casa dal campo. Oggi ho visto davanti a me la morte come un cielo rischiarato. Oggi ho visto davanti a me la morte come colui che desideri rivedere la propria casa dopo aver trascorso lunghi anni di prigione."
"L'oltretomba è il luogo della nostra dimora, la meta del cuore; la patria è l'occaso, approdo del nostro viaggio. Farò un'ombra, sarà piacevolmente fresca, così potrai compiangere le altre anime che hanno troppo caldo. Berrò l'acqua alla fonte e lascerò sorgere l'ombra."
Esiste una terza via per affrontare la morte, che scaturisce direttamente dalla vacuità della vita ovvero dall'inanità dell'esistenza. Questo modo di sperimentare la morte è descritto da Hugo von Hofmannsthal in uno dei suoi drammi in versi, "Il folle e la morte". Claudio, seduto alla finestra, scruta la vita indaffarata della città e medita sulla smorta e fredda aridità della propria esistenza che non ha saputo trovare una ragione in alcun sofisma, né un senso in alcuna dottrina:
"Come fiori divelti che una torbida
acqua trascina nei suoi gorghi, gli anni
della mia gioventù sono trascorsi,
e non sapevo che ciò fosse esistere.
Mi circondava un pallido crepuscolo,
ero oppresso nell'intimo, sconvolto,
sentivo freddo il cuore, opachi i sentimenti
e preclusa in strada ogni realtà:
non sorsero tempeste a liberarmi,
non fui travolto dagli alti marosi,
il dio non si levò sulle mie peste
su cui combatti finché vinci o posi."
E questa, la risposta della Morte:
"Quello che a tutti spetta a te fu dato,
vivere in terra una vita terrena.
In ciascuno di voi soffia uno spirito
che dà a questo caos di cose morte
la sua proporzione e di un deserto
fa il giardino su cui felicità
fiorisce, ora vigore, ora disgusto.
Triste per te se appena oggi l'impari!
Si lega in questa terra e si è legati,
ci si espande in gioiose ore, si trema;
e si piange nel sogno e si è turbati,
si rinuncia, ancor trepidi di attesa,
caldi del soffio della vita, assorti
ma ogni cosa matura a me vien resa."
Non c'è interrogativo dell'esistenza umana che resterebbe immutato davanti alla consapevolezza della perenne presenza della morte.
Fra dolore, amore e noia, fra stanchezza, compassione e accidia, fra disperazione, desiderio e smarrimento si nascondono i tre diversi travestimenti in cui ci può apparire la morte.