Uno dei miei primi scritti, al riguardo, che riaggiorno nel 2018. Vedi anche approfondimento qui: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/06/introduzione-al-racconto-fantastico.html
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2018/10/verga-e-la-scapigliatura.html
Info tratte da
Può l'Italia vantare una tradizione di Letteratura oscura, decadente, spesso necromane e sepolcrale?
Sì, certamente!
Se si lasciano da parte autori arci noti come Manzoni e si va alla ricerca di autori come gli Scapigliati o i già citati poeti ottocenteschi e novecenteschi (Pascoli, Corazzini, Graf, Cardarelli, Valeri, Grande, De Bosis, Campana, Comi... e l'elenco potrebbe continuare!) tutti cantori di cimiteri, sudari, e avelli...
Riguardo alla Scapigliatura, sorta a Milano nel 1860-1875 (il termine fu coniato da Arrighi), abbiamo tantissimi esempi di novelle e romanzi basati su amori morbosi o contrastati, morte, malattia (anche fisica: molti Scapigliati morirono di tisi...)
Individualismo, eccentricità, languori di fantasticherie, spleen... Certamente sono "coetanei" dei poeti francesi maledetti, ma non semplici cloni e soprattutto non meritano l'oblio di cui godono a causa dello scomodo paragone con il Decadentismo francese, a mio parere troppo astratto e vagheggiato, laddove la Scapigliatura ha raccontato atmosfere più concrete e tangibili.
Vediamo qualche esempio:
"Donato del Piano" di Federico de Roberto: "Grigia, minuta, a larghe falde piove la cenere dal cielo ottenebrato e ricopre la terra, e seppellisce i viventi. Nei campi agguagliati, piccole elevazioni indicano il posto di una tomba; ma ben presto quelle pieghe si livellano anch'esse, e per l'immenso cimitero del mondo niun segno distingue più la cenere della terra dalla cenere delle generazioni mietute."
"Fosca" di Iginio Ugo Tarchetti:
"Per la rovina che il dolore fisico e le malattie avevano prodotto sulla sua persona ancora così giovine. Un lieve sforzo di immaginazione poteva lasciarne intravedere lo scheletro, gli zigomi e le ossa della tempie avevano una sporgenza spaventosa, l'esiguità del suo collo, formava un contrasto vivissimo colla grossezza della sua testa, di cui un ricco volume di capelli neri, folti, lunghissimi, quali non vidi mai in un'altra donna...tutta la sua vita era ne' suoi occhi che erano nerissimi, grandi, velati... La sua bruttezza era per la massima parte effetto della malattia... Certo ella aveva coscienza della sua bruttezza."
Ma Giorgio, il protagonista, rimane affascinato da questa conturbante e fatale Venere Sepolcrale:
"Il pensiero fisso... Quella donna volesse trascinarmi con Sé nella tomba.... Il vederla già consunta, già incadaverita... Abbracciarmi, avvinghiarmi... Il nostro amore non era più un segreto.... Levai gli occhi in volto a Fosca.... D'affanno mormorò alle mie orecchie queste terribili parole: Sii mio! Sii mio! Una nebbia mi oscurò l'intelletto, e non ebbi forza di resistere... La malattia di Fosca si era trasfusa in me."
O in "Nobile follia" di Tarchetti:
"Ovunque noi ponevamo il piede, la morte ci aveva preceduti. Non vi era più lembo di terra o di mare dove la guerra, il colera o le febbri non avessero mietuto migliaia di vittime... Negli ozii tormentosi di quelle lugubri giornate d'inverno, sepolti in quelle profonde capanne scavate nella terra e coperte da uno strato immenso di neve, io pensavo a quelle scene di lutto e di orrore che si svolgevano intorno a me."
Interessante anche il racconto di "La lettura U" basata sui deliri di un pazzo.
Abbiamo poi un'altra eroina,
"Narcisa" di Luigi Gualdo:
"Ella era bella più che sia possibile immaginare. Vedendola si aveva alfine dinnanzi agli occhi il compendio di tutti i sogni... Riuniva tutte le visioni: un poeta nordico, amante delle pallide figure ossianesche l'avrebbe trovata più completa di ogni altra sua creazione... Certo la figura di una donna così bella, così seducente e insensibile ma tutta invasa da una passione arcana passata come un'apparizione e poi subito sparita...."
O da "Decadenza":
"Cadde allora in una tristezza più amara di prima. Subì la reazione di quel momento di gioia che aveva gustato. Tutto ciò che si vedeva intorno che diventava insopportabile... e col cuore straziato dall'idea che si vedeva costretto a seguire la via opposta che tanto bramava. Pensò che era meglio approfittare di quell'intervallo doloroso della sua esistenza."
Nei racconti neri e gotici:
Camillo Boito, "Macchia grigia": "Ecco che anche in questo momento uno spettro scialbo e confuso mi balla di contro, ecco che insudicia il foglio bianco... Il sole era già tramontato, e la scrivania rimane in silenzio! La macchia cresce! prende una forma di uomo... Mi caverò gli occhi!!"
Vediamo anche qualche verso di poesia:
"L'ellera" ( = l'edera) di Tarchetti
Virtù d'eterno amore
nell'ellera si asconde
mai per mutar di verni
muta color di fronte
al freddo sasso avvinti
gli steli innamorati.
"Sogni" di Tarchetti
Sognai. L'orrido ho in mente impresso
in un avel calati eram per gioco
scende il coperchio immane a poco a poco
ci chiude
eternità sovr'esso.
Emilio Praga, "Preludio"
Noi siamo i figli dei padri ammalati
aquile al tempo di mutar le piume
svolazziam muti, attoniti, affamati
sull'agonia di un nube
nebbia remota è lo splendore dell'arca
[...]
Il patriarca s'attende invano...
e invan l'esausta vergine si abbranca ai lembi del sudario...
degli Antecristi è l'ora! Cristo rimorto!
Arrigo Boito "Dualismo"
Son luce ed ombra
angelica farfalla o verme immondo
sono un caduto cherubo dannato a errar sul mondo
o un deone che sale
affaticando l'ale verso un lontan ciel
ecco perchè nell'intime cogitazioni
io sento la bestemmia dell'angelo che irride al suo tormento...
ogni gemma brilla di pianto
acerba stilla fatta d'acerbo duol.
E ora, alcuni frammenti di Poesia Ottocentesca - e primi del '900 -
Enrico Panzacchi: "Terribil sirena invernale"
Par dentro alla neve, tra gli alberi,
la piccola casa sepolta.
Tu canti,e non sai nella tenebra chi fuori pensoso, t'ascolta. T'ascolta cantare...
cantare in mesti, volubili metri...
tu evochi le care memorie,
terribil sirena invernale!
Danno echi d'angoscia e di pianti gli avori
del tuo pianoforte, un tetro pensiero di morte
esala ne' dolci tuoi canti...
Severino Ferrari: "Sprazzo di sangue getta sulla casa"
Sprazzo di sangue getta sulla mia casa,
l'aurora che si tinge al mio dolore,
da un tristo sogno la fanciulla invasa,
che la s'ode fra il sonno singhiozzare...
Le mani al duro lavoro gettano sangue.
Apri ed io mi alzo lento nel lenzuolo...
Oh triste nozze! Oh sempiterno duolo!
Adolfo de Bosis: "I notturni"
Il tramonto disfiora sue magiche ghirlande
lento e una dolce spande malinconia per l'ora...
Ma l'alma il puro grande tuo bacio, o Notte, implora!
Ben tu venga o possente Notte.
Giovanni Marradi: "Neve in campagna"
Fra il candore de' colli algidi intorno
biancheggian selve rigide e severe,
fantasmi di defunte primavere
nella penombra di un cinereo sfondo.
Bianchi fantasmi, visioni fra un bianco polverio
d'atomi erranti sorgono rigidi
e stan gli alberi...
e tutto imbianca un gelo, tutto agghiaccia un oblio.
Pompeo Bettini: " Nella valle sonora manca il giorno"
Io salgo al cimitero, coi bracci aperti disperatamente.
Le croci chiamano nell'ombra crescente
al loro amplesso fiero, saltano gli insetti per il cupo verde
... Ama d'un sol amor fino alla morte
e guarda spesso il cielo.
Note tecniche tratte da
Emilio Praga, Igino Ugo Tarchetti, Camillo e Arrigo Boito, Luigi Gualdo, Carlo Dossi, Giovanni Faldella, Roberto Sacchetti, Camerana, Pinchetti, Bazzero sono il nucleo del movimento della Scapigliatura. I suoi protagonisti appartengono alla "generazione crucciosa". è Cletto Arrighi ad inventare il nome Scapigliatura.
Spetta a questi giovani scrittori dare conto dello sconforto amaro che pervadeva quel periodo post-risorgimentale, quando ormai non vi era più necessità di romanzi storici capaci di infiammare gli animi con echi di versi patriottici.
La contrapposizione fra "i giovani irrequieti, travagliati e turbolenti che vivono in maniera eccentrica e disordinata" e "i ricchi contenti, le fanciulle guardate a vista, le donne che amano i mariti" acquista una valenza storica. La connotazione urbana e milanese è la caratteristica più importante della Scapigliatura.
Un "dualismo scapigliato" viene attribuito a dissidi d'indole psicologica-esistenziale; ricordiamo le lacerazioni devastanti di Praga, i turbamenti schizofrenici di Tarchetti, ufficiale di carriera e autore del pamphlet più radicale contro lo spirito militare.
Minate dal disadattamento, dai vizi, da malattie (alcool, assenzio, tisi e tifo) le vite degli Scapigliati furono brevissime: Praga morì a 36 anni, Sacchetti a 34, Tarchetti non oltrepassò la trentina.
Pinchetti e Camerana si uccisero, rendendo reali i versi di Boito: "Torva è la Musa. Per l'Italia nostra\corre levando impetuosi gridi\una pallida giostra\di poeti suicidi"
La morte per scelta o per consunzione, mentre denuncia l'incapacità di sopportare i tormenti, getta una luce nefasta su un'intera generazione: "tutti amarono l'arte con geniale sfrenatezza; la vita uccise i migliori"
Boito così presentava l'attitudine del gruppo: "Noi scapigliati romantici in ira, alle regolari leggi del Bello, prediligiamo Quasimodi nelle nostre fantasticherie"; il riferimento a Quasimodo, l'eroe di "Notre Dame de Paris" allude subito al clima e al gusto dove regnano il deforme, il macabro, il terrificante: "Il Bello sta nell'orrido\nella Beltà è l'Orror" (Pinchetti)
Nota di Lunaria: ma si tenga presente che un certo gusto del macabro era già stato introdotto in certa poesia barocca del Seicento.
Il recupero che gli Scapigliati fanno del maledettismo romantico, in opposizione ad autori come Verga e Manzoni, denuncia la ribellione degli artisti della "generazione crucciosa" che si rivoltano contro l'assetto utilitaristico-borghese, contro il "borghesume dei banchieri", come lo definì Praga. Eppure gli Scapigliati erano tutti figli di imprenditori, di notabili, di illustri famiglie lombarde, e tutti manifestavano risentimento contro la loro classe d'appartenenza.
E detestavano la cultura "malata di arretratezza e accademismo" prediligendo autori come Hugo, Baudelaire, Nerval, Gautier, Murger, Musset, Richter, Hoffmann, Poe.
Gli Autori Scapigliati scoprirono presto il fascino meduseo della bellezza femminile: "[...] una beltà che lascia trasparire le passioni."
Gli Scapigliati fanno i conti con una donna dinamica, attraente, non più solo "angelo del focolare". L'io femminile appare come fonte di eros ma anche di contaminazione, eterea o demoniaca. Nei racconti scapigliati, l'antitesi tra Eros e Thanatos raggiunge l'incandescenza; le due femminilità (la madre dolce e amorosa e la peccaminosa femme fatale) non trovano una sintesi pacificatrice.
Tale "schizofrenia del femminile" è insita nella donna, come spiega un personaggio tarchettiano:
"Tutto ciò che vi è nella donna - le sue opere, i suoi pensieri, le sue parole, i suoi atti - tutto è seduzione, benché seduzione tacita e delicata. Oh l'uomo è assai più puro! Nella fanciulla si trova sempre la donna - l'angelo bisogna cercarlo nella madre"
In questa ossessione fra aneliti alla purezza e smanie per gli "amplessi della femmina nuda", appaiono anche le questioni dell'emancipazione femminile; è il periodo (1854) dove serpeggia anche il dogma dell'immacolata concezione, che così Praga commentava:
"Bella commedia! e trassero\in clinica Maria\e alle genti bandirono\dogmatica utopsia: olà, madama è vergine!"
Citiamo le più celebri protagoniste femminili dei racconti scapigliati: Fosca, Rosilde, Narcisa, Nerina, la contessa Livia, Ambra, la zingara Luscià, la baronessa Vittoria, la marchesa di Pallanza, Irene, Regina, la Contessina di Nievo. Tutte le eroine e i personaggi femminili dei racconti degli Scapigliati sono attive e caratterizzano l'intreccio del racconto; spesso usano elementi seduttivi, come delle vere dark ladies (lettere, voci attraenti, occhiate, denaro, urla, sonnambulismo); e gli uomini soccombono spesso a questo fascino distruttivo. Nel conflitto dei sessi, che iniziava a diffondersi a seguito della crisi del dominio patriarcale, curiosamente è la Fosca di Tarchetti ad ammettere che "le donne prediligono gli uomini autorevoli, per non dire autoritari":
"Le donne, ancorché non cessino di essere cortesi coi buoni e coi miti, cedono sempre di preferenza agli uomini audaci, prepotenti, pronti all'offesa, disprezzatori degli altri, vanagloriosi di sé, in una parola ai peggiori degli uomini"
"Nulla di languido, di tenero nei suoi atti e nella sua persona, bensì una franchezza provocante. Era una di quelle donne fredde, insensibili, che per una reazione oscura, infiammano i sensi inconsciamente, senza volerlo, vi accendono effervescenze strane, dei deliri pazzi e furiosi, che esse non comprendono; la loro bellezza superba, originale, esagerata, sconvolge in chi ne è colpito l'equilibrio morale, ha delle linee d'acciaio che straziano il cuore. I loro sguardi fieri e imperiosi cacciano innanzi a scudisciate frotte di desideri mostruosi, feroci. Volontà inflessibili, quando si danno, è per prendere tutto il vostro essere, per spremerlo, per stritolarlo; ambizioni che non conoscono il piacere e lo sdegnano, qualche volta lo sfruttano."
Era difficile per i lettori milanesi del "Pungolo" apprezzare un progetto di vita femminile così ferocemente spavaldo: se poi aggiungiamo che Anna Bossano contesta il primo dovere delle donne "le pareva che la maternità dovesse impacciarla nel suo piano di guerra","Questo richiamo ai suoi uffici di donna l'umiliava" si comprendono le ragioni dell'oblio calato sul romanzo sacchettiano.
In realtà Anna non riesce a raggiungere il suo traguardo: basta una spinta del marito ubriaco a farla precipitare giù dalle scale, dove muore tra le braccia del domestico fedele. è il prezzo da pagare per la maggior parte delle eroine scapigliate: nel momento in cui lo scrittore le rende protagoniste attive del loro destino, le condanna a subirne le conseguenze; il moralismo riesce a vincere e distrugge chi turba l'ordine e i valori precostituiti, soprattutto nei rapporti tra uomo e donna.
Come si è visto, la morte di donne annullate nel gelo della morte sono frequenti: Carlotta, contesa tra un pittore egocentrico e un anatomista folle ("Un corpo"); Rosilde, morta pochi giorni dopo aver partorito un figlio non riconosciuto ("Memorie del presbiterio"); Luscià, rom fuggitiva, uccisa per sbaglio da un marito ("Tenda"); Krimilth, visionaria non vedente ("Da uno spiraglio"); Teresa, ragazza sedicenne sedotta e abbandonata ("Macchia grigia"); la malinconica Elvira del racconto omonimo; ma si potrebbero citare tante altre donne: Adalgisa, Giulia, Anna, Fiordalisa, Alfonsina, donna Claudia... tutte donne ispiratrici d'amore e morte, angeli e demoni, eros e thanatos, "donne morte di bellezza" (come Narcisa): "Ecco apparecchiata la mia camera nuziale e la mia tomba a un tempo... la vita e la morte... il gelo del sepolcro e il fuoco dell'amore sì lungamente represso..."; solo la morte preserva "nel candore verginale tutte le tumide promesse di una splendida Eva"
Nei racconti degli Scapigliati la sessualità femminile è vista come una minaccia che irrompe nella dimensione del reale e del quotidiano: Fosca ne è diventata il prototipo; "l'isterismo fatto donna", simbolo della pulsione distruttiva della morte e del desiderio erotico represso, una donna brutta ma intelligente che rivendica la libertà degli istinti primari contro i tabù della sua epoca.
pdf utile: http://armida.unimi.it/bitstream/2170/950/1/Racconti-della-Scapigliatura-milanese.armida.pdf
UN MIO RACCONTO, SCRITTO IN ONORE DI TARCHETTI
Nota di Lunaria: in questo racconto Mi autocelebro, certa che se fossi vissuta nel 1863 (e anni successivi) Tarchetti si sarebbe disperatamente innamorato di Me. Altro che "Carlotta" o "Clara Maffei"
Milano, 5 Marzo 1864
Diletto Salvatore, non posso che confidare a te solo l'incredibile esperienza che ebbi qualche giorno fa.
Tu sai che disprezzo Milano, la miglior città d'Italia solo per gli agi del benessere materiale ma che fiacca il mio animo: non un filo d'erba, non una selva per rinfrascare il mio spirito! E così, errando, mi allontano dalla frenesia della città borghese di questo secolo che ha visto il trionfo della Scienza e la Fiaccola della Ragione sulle superstizioni passate e vo' per la campagna lombarda, trovando ristoro per le tacite e oscure selve funestate dagli angui e dai corvi rapaci e gracchianti.
Un poco prima che cali l'imbrunire, con quelle ombre del crepuscolo violetto che tanto mi ristorano e mi sono di riposo agli affanni della giornata (tu sai che lavoro letteralmente l'intero giorno!) mi fermo a contemplare que' cimiteri rustici di campagna, dove hanno tranquilla sepoltura gli umili contadini e le laboriose massaie.
Ebbene, fu proprio in uno di quei cimiteri infestati da rampicanti selvaggi che si avvinghiano sulle lapidi quasi corrose dal tempo, consumate dall'umidità insalubre e dai miasmi della palude e dall'incuria obliosa dei viventi, che ebbi una visione che solo la parola "sovrannaturale" può definire!
Oh Salvatore! Come posso trovare le parole per descrivere ciò che vidi? Forse unico tra i figli d'Adamo, io vidi LEI, avvolta in un manto di velluto di un nero così cupo che giammai occhio umano ha potuto sostenerne la cupezza!
Ebbene, amico mio, mentre sostavo tra le felci, meditando sul celebre carme foscoliano sui Sepolcri, io vidi questa visione muliebre di divina bellezza, che col passo leggiadro e lo strascico purpureo ondeggiante, incedeva tra le fosse e i tumuli, a poca distanza da me.
Con vedovili gramaglie, un viso pallido e labbra scarlatte di un sangue carnale e vivo, e quei capelli, oh!, capelli corvini! Un ricco volume di capelli neri, folti, lunghissimi, quali non vidi mai in altra donna.
Occhi celesti di una beltà sorprendente. Fattezze snelle, leggiadre! Dio, come esprimere colle parole la bellezza sublime di quella Donna!
Se poi donna reale fu, e non fata Morgana o spettro o vampira!
Tu sai che lo scorso anno mi innamorai di Carlotta, sì, durante il soggiorno a Varese, tu sai che il mio cuore palpitò per Carlotta e che ebbi a soffrire molto per amore. Certo, infausti giorni furono quelli! Ed ebbi a temere che il mio cuore, così dolente e spezzato, non avrebbe mai più potuto sospirare e gioire d'amore.
Ma Carlotta ora non è che vana parvenza e polvere obliata, perché Colei che io vidi, di bellezza acherontea, è ormai la Signora incontrastata a cui ho consegnato il mio cuore.
Oh Salvatore, ora rifletto: come ho potuto innamorarmi di Carlotta e sospirare notte e giorno, immaginando che ella mi degnasse di interesse?
Carlotta, chi fu mai costei?
Ebbene, io ora amo perdutamente, e sarò perdutamente riamato da Colei che s'aggirava tra le edere e i gigari verdi, sul declinare del giorno.
Come ho detto, ella si aggirava con grazia tra le croci, con un libro di poesia dalle lande d'Albione sotto il braccio e ogni tanto sostava un poco, per sistemarsi i capelli d'ebano che Zefiro col suo soffio faceva ondeggiare come una chioma medusea di vivi serpenti neri!
La guardavo estasiato, già struggendomi d'amore per Lei. Improvvisamente ella volse quegli occhi cerulei verso di me e mi fissò.
Un lieve sorriso apparve sul volto niveo e candido; parve sussultare un poco perché il cammeo che indossava, appeso ad un nastrino di velluto nero, le ondeggiò leggermente sul seno.
Avanzando su un manto di viole porporine, oltrepassò un cespuglio di rosa canina e si avvicinò a me.
Io la fissai ammutolito, mentre il dubbio che si trattasse di un miraggio, di un attacco di follia, si faceva strada nella mia mente.
"Ci incontriamo, finalmente", disse ella e parmi che la sua voce melodiosa fosse incrinata da un'ombra di malinconia.
Non sapevo cosa rispondere perciò dopo un attimo di titubanza, chiesi: "Mia Signora, venite qui spesso? Forse mi scorgeste la volta passata."
Ella mi guardò con ardente desiderio (Dio! Venni trafitto da quegli occhi di cristallo purissimo!) e disse: "Oh, Igino!"
"Come sapete il mio nome?", osai balbettare.
"Oh, Igino! Io provengo da un tempo lontano, lontanissimo, eppure non ti ho dimenticato, amandoti al di là della barriera del tempo crudele che ci ha separato! Destinati a stare insieme, ma vittime del fato crudele, che mi fece nascere nel 1986 mentre tu sei vivo e presente in questo 1864! Eppure, vedi, ho trovato il modo di ingannare il tempo, di retrocedere fino a questo 5 marzo 1864, solo per venire da te!"
Mi gettai ai suoi piedi, perdutamente innamorato, tutto suo!
E adesso invoco il suo nome: Lunaria! Lunaria! Io ora amo perdutamente Lunaria, e sarò perdutamente riamato da Lei!