Verga e la Scapigliatura

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Nota: per un commento critico al Verga verista, vedi: http://intervistemetal.blogspot.com/2018/07/giovanni-verga-1-i-romanzi-e-vita-dei.html
Per la Scapigliatura, vedi anche:
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/06/la-scapigliatura.html
http://armida.unimi.it/bitstream/2170/950/1/Racconti-della-Scapigliatura-milanese.armida.pdf
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/08/introduzione-alla-narrativa-italiana.html
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/06/introduzione-al-racconto-fantastico.html
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2018/01/boito-e-camerana.html

Un decennio dopo le prime prove letterarie, Verga si trova a Milano, che viveva il pieno della sua stagione scapigliata. L'Arrighi ne aveva anticipato  già nel 1858, la fisionomia bivalente: "Da un lato, il profilo più italiano che milanese, pieno di brio, di speranza e di amore; e rappresenta il lato  simpatico e forte di questa classe, inconscia della propria potenza,  propagatrice delle brillanti utopie, focolare di tutte le idee generose...  D'altro lato, invece, un volto smunto, solcato, cadaverico, su cui stanno le  impronte delle notti passate nello stravizio e nel giuoco, su cui si adombra  il segreto d'un dolore infinito... i sogni tentatori di una felicità  inarrivabile e le lagrime di sangue e le tremende sfiducie e la finale  disperazione."

Concetti che ribadirà anche Arrigo Boito in una lirica intitolata "Dualismo":  "Son luce ed ombra; angelica farfalla e verme immondo"

Ma chi erano e cosa volevano gli scapigliati?

Per la cronaca mondana erano dei bohémiens, dei poeti maledetti con estremi goliardici e tragici.
Maestro riconosciuto e venerato dalla compagnia era Rovani: se per gli amici  il suo romanzo ("Cento anni") stava almeno alla pari dei "Promessi sposi", la  sua propensione all'assenzio, le stravaganze e le provocazioni scandalistiche erano diventate ben presto per loro un obbligatorio modello di vita.
Nonostante le sbornie e le carnevalate, l'alta società accolse gli  scapigliati nei suoi salotti più privilegiati, nei caffé alla moda, specialmente al Savini, per quanto loro preferissero le osterie di Porta  Ticinese.
Alcuni, Praga e Tarchetti sopra tutti, spinsero il loro rifiuto del mondo contemporaneo a scelte di vita allucinate e macabre, culminante in una  morte-suicidio per alcoolismo o etisia. (Nota di Lunaria: vedi  https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/12/la-bellezza-la-malattia-e-la-morte-in.html  e  http://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/12/la-bellezza-dellorrido-nel-romanticismo.html )
Verga conobbe e frequentò la Scapigliatura milanese ma il modello che quella avanguardia imponeva era improponibile ad un convinto borghese siciliano come era lui. La sua lontananza si misura anche nella pietà del ricordo funebre di Emilio Praga, poche parole in una lettera all'amico Cameroni: "povero Praga!... mi pare ancora di vederlo con quel viso disfatto e quell'occhio intelligente perduto nell'ebrezza che stringeva il cuore!"

Più vicino al cuore di Verga invece è Arrigo Boito, il più accademico, anche nel Satanismo, (*) e il più longevo del gruppo. La fisionomia letteraria degli scapigliati è riducibile a precise tematiche comuni. Prima di tutto sono "anti": antiborghesi, antimanzoniani, anticarducciani. Soprattutto ce l'hanno col Manzoni: non sono tanto contro lo scrittore e la sua lezione di stile, ma contro il mito manzoniano e i suoi epigoni. "Odio il mestiere d'imitar Manzoni" scriveva Praga; e ancora nel "Preludio a Penombre": "Casto poeta che l'Italia adora, vegliardo in sante visioni assorto. Tu puoi morir! Degli antecristi è l'ora. Cristo è rimorto"
Anticarducciani, in quanto non accettavano il trionfalismo risorgimentale, la sanità classica, la lezione culturale del grande Carducci. Tra i prosatori scapigliati spiccano Igino Ugo Tarchetti e Carlo Dossi. Gli scritti del Tarchetti, disuguali, talvota incompiuti, propongono una sensibilità eccezionale, torbida, necrofila, con squarci lirici anelanti a purezza e bontà. "Una nobile follia" narra la crisi di un giovane combattente in Crimea, la sua delusione per la vita militare; infine la sua morte, che è sacrificio (e alibi). Il romanzo scandalizzò i benpensanti: più di una caserma fu data alle fiamme. Tarchetti se la cavò con un paio di duelli. Per lui, bellissimo, trepidarono le dame milanesi (e trepidano ancora. Se ci fosse la possibilità di resuscitarlo... Nota di Lunaria)
"Storia di una gamba" narra la cancrena di un arto che si trasmette al resto del corpo. "Fosca", romanzo incompiuto (1869), storia di una donna malata e ripugnante che conquista e plagia il bellissimo ufficiale Giorgio, innamorato di Clara, donna bella e sana, ma traditrice.
Al Verga lettore questi romanzi si presentavano come un'orgia, un sabba di fantasie malate e offendevano soprattutto la sua misura, il suo senso del vero.

(*) Nota di Lunaria: Si tenga presente che il Satanismo letterario ottocentesco (anticipato dal Titanismo) era basato sugli ideali di libertà romantici-patriottici (liberazione dal dominio straniero) o in funzione anticlericale per esaltare la scienza e il progresso contro l'oscurantismo della chiesa. Vedi Lucifero "Portatore di Luce con la fiaccola della Ragione", allegoria che esemplifica al meglio tutto questo, perché "ribelle al dio padre, il tiranno celeste", che nell'ottica degli anticlericali ottocenteschi, rappresentava l'autorità repressiva e il potere della chiesa o dello Stato.
Per un approfondimento, vedi: https://intervistemetal.blogspot.com/2017/11/milton-satana-e-il-black-metal.html

VERGA E IL SUO UNICO RACCONTO GOTICO: "Le Storie del Castello di Trezza"

"Il silenzio era profondo; il vento cacciava le nuvole rapidamente, e di tanto in tanto faceva stormire gli alberi del giardino; il cielo era inargentato a strappi; le ombre sembravano inseguirsi sulla terra illuminata dalla luna, e il mormorio del mare e quel sussurrio delle foglie, sommesso, ad intervalli, a quell'ora aveano un non so che di misterioso. La signora Matilde volse gli occhi di qua e là, in aria distratta, e li posò sulla mole nera e gigantesca del castello che disegnavasi con profili fantastici su quel fondo cangiante ad ogni momento. La luce e le ombre si alternavano rapidamente sulle rovine, e un arbusto che avea messo radici sul più alto rivellino, agitavasi di tanto in tanto, come un grottesco fantasma che si inchinasse verso l'abisso. "Vede?", diss'ella con quel sorriso incerto e colla voce mal ferma. "C'è qualche cosa che vive e si agita lassù!" "Gli spettri della leggenda." "Chissà!"

"La notte s'era fatta tempestosa, il vento sembrava assumere voci e gemiti umani, e le onde flagellavano la rocca con un rumore come di un tonfo che soffocasse un gemito d'agonia. Il barone dormiva.
Ella lo vedeva dormire, immobile, sfinita, moribonda d'angoscia, sentiva la tempesta dentro di sé, e non osava muoversi per timor di destarlo. Avea gli occhi foschi, le labbra semiaperte, il cuore le si rompeva nel petto, e sembravale che il sangue le si travolgesse nelle vene.
Provava bagliori, sfinimenti, impeti inesplicabili, vertigini che la soffocavano, tentazioni furibonde, grida che le salivano alla gola, fascini che l'agghiacciavano, terrori che la spingevano alla follia. Sembravale di momento in momento che la vòlta dell'alcova si abassasse a soffocarla, o che l'onda salisse e traboccasse dalla finestra, o che le imposte fossero scosse con impeto disperato da una mano che si afferrasse a qualcosa, o che il muggito del mare soverchiasse un urlo delirante d'agonia: il gemito del vento le penetrava sin nelle ossa, con parole arcane ch'ella intendeva, che le dicevano arcane cose, e le facevano drizzare i capelli sul capo, e teneva sempre gli occhi intenti e affascinanti nelle orbite incavate ed oscure di quel marito dormente, il quale sembrava la guardasse attraverso le palpebre chiuse, e leggesse chiaramente tutti i terrori che sconvolgevano la sua ragione. Di tanto in tanto si asciugava il freddo sudore che le bagnava la fronte, e ravviava macchinalmente i capelli che sentiva formicolarsi sul capo, come fossero venuti cose animate anch'essi. Quando l'uragano taceva, provava un terrore più arcano, e con un movimento macchinale nascondeva il capo sotto le coltri, per non udire qualcosa di terribile. Ad un tratto quel suono che parevale avere udito in mezzo agli urli della tempesta, quel gemito d'agonia, visione o realtà, s'udì più chiaro e distinto. Allora mise uno strido che non aveva più nulla d'umano, e si slanciò fuori ddal letto. Il barone, svegliato di soprassalto, la scorse come un bianco fantasma fuggire dalla finestra, si precipitò ad inseguirla, saltò sul ballatoio e non vide più nulla. La tempesta ruggiva come prima. Sul precipizio fu trovato il fazzoletto che avea asciugato quel sudore d'angoscia sovrumana."