Trama: Didone, vedova di Sicheo, ucciso da suo fratello Pigmalione re di Tiro, fuggì in Africa, dove edificò Cartagine. Fu richiesta in moglie da molti, soprattutto da Iarba re dei Mori ma Didone rifiutò sempre, per prestar fede al defunto marito.
Intanto, giunge Enea, naufragato a causa di una tempesta, e viene ristorato e accolto da Didone, che se ne innamora.
Ma gli Dei comandano ad Enea di andarsene da Cartagine, per proseguire verso l'Italia ed Enea parte; Didone, disperata, si uccide.
Ovidio narra che Iarba si impadronì di Cartagine dopo la morte di Didone e che la sorella della regina, Anna, fosse anch'essa invaghita di Enea.
Il Metastasio segue la tradizione di Ovidio con il personaggio di Anna, chiamandola Selene, e introduce Iarba sotto le mentite spoglie di Arbace, come falso ambasciatore di Iarba, mentre Araspe, il confidente di Iarba, è innamorato di Selene.
ATTO PRIMO, SCENA III
DIDONE: Parte così, così mi lascia Enea!
Che vuol dire quel silenzio? in che son rea?
SELENE: Ei pensa abbandonarti. Contrastano in quel core, né so chi vincerà, gloria ed amore.
DIDONE: è gloria abbandonarmi?
OSMIDA: (si delusa) Regina, il cor d'Enea non penetrò Selene. Dalla reggia de' Mori [i Mauri, abitanti della Mauritania, oggi Marocco] qui giunger dee l'ambasciatore Arbace...
DIDONE: Che perciò?
OSMIDA: Le tue nozze chiederà il re superbo.
[...]
ATTO PRIMO, SCENA VIII
ARASPE
Empio! L'orror che porta
il rimorso d'un fallo anche felice,
la pace fra' disastri
che produce virtù, come non senti?
O sostegno del mondo
[...]
ATTO SECONDO, SCENA XI
DIDONE: Incerta del mio fato
io più viver non voglio. è tempo ormai,
che per l'ultima volta Enea si tenti.
Se dirgli i miei tormenti,
se la pietà non giova,
faccia la gelosia l'ultima prova.
[...]
Con alma forte,
come vuoi, sceglierò Iarba o la morte.
ATTO TERZO, SCENA VI
SELENE: Senti: se a noi t'involi,
non sol Didone, ancor Selene uccidi.
ENEA: Come?
SELENE: Dal dì ch'io vidi il tuo sembiante,
celai timida amante
l'amor mio, la mia fede;
ma, vicina a morir, chiedo mercede:
mercé, se non d'amore,
almeno di pietà; mercè...
ENEA: [...] Con generosa brama,
fra i rischi e le ruine,
di nuovi allori il crine
io volo a circondar
ATTO TERZO, SCENA XII
DIDONE: [...] Osmida, corri, vola sul lido, aduna insieme
armi, navi, guerrieri;
raggiungi l'infedele,
lacera i lini suoi, sommergi i legni:
portami fra catene
quel traditore avvinto;
e, se vivo non puoi, portalo estinto.
ATTO TERZO, SCENA XVII
IARBA: [...] E pur, Didone, e pure
sì barbaro non sono, qual tu mi credi.
Del tuo pianto ho pietà; meco ne vieni.
L'offese io ti perdono,
e mia sposa ti guido al letto e al trono.
DIDONE: Io sposa d'un tiranno,
d'un empio, d'un crudel, d'un traditore,
che non sa che sia fede,
non conosce dover, non cura onore?
S'io fossi così vile,
saria giusto il mio pianto.
No, la disgrazia mia non giunse a tanto.
IARBA: In sì misero stato insulti ancora?
Olà, miei fidi andate:
s'accrescano le fiamme. In un momento
si distrugga Cartago; e non vi resti
orma d'abitator che la calpesti.
ATTO TERZO, SCENA XVIII
[...] DIDONE: Solo per vendicarmi
del traditor Enea,
che è la prima cagion de' mali miei,
l'aure vitali io respirar vorrei.
Ah! faccia il vento almeno,
facciano almeno gli Dei le mie vendette;
e folgori e saette,
e turbini e tempeste
rendano l'aure e l'onde a lui funeste.
Vada ramingo e solo; e la sua sorte
così barbara sia,
che si riduca ad invidiar la mia.
ATTO TERZO, SCENA XIX
OSMIDA: Crescon le fiamme e tu fuggir non curi?
DIDONE: [...] Dunque perché congiura
tutto il ciel contro me, tutto l'inferno?
SCENA ULTIMA
No, no, si mora; e l'infedele Enea
abbia nel mio destino
un augurio funesto al suo cammino.
Precipiti Cartago,
arda la reggia, e sia
il cenere di lei la tomba mia.
(Dicendo le ultime parole, corre Didone a precipitarsi disperata e furiosa nelle ardenti ruine della reggia, e si perde fra i globi di fiamme, di faville e di fumo, che si sollevano alla sua caduta)