Al Lazzaretto di Caronno Pertusella... con la maglietta dei Cradle of Filth!

eh sì, era da tanto che volevo vedere il Lazzaretto di Caronno Pertusella, ma impossibile arrivarci da sola! E così, per merito di Tom 💓, ho potuto vedere dal vivo questo splendido Lazzaretto campestre! 😍 E ci sono andata con la leggendaria maglietta dei Cradle of Filth, "Dusk and Her Embrace", un eccezionale regalo che mi è stato fatto. 

Del resto, tutta quella zona fa così "Cradle of Filth" che non c'era posto migliore per inaugurare la maglietta! 😍💜
















Felice Bisazza: "I Beati Paoli"


Felice Bisazza (1809-1867)

Autore de "I Beati Paoli", setta siciliana segreta medievale di giustizieri, detti anche "Fratelli del Paradiso"; qualcosa che ricorda la Santa Veme germanica e fu scoperta a Palermo nel 1185 ma durò per secoli.


I BEATI PAOLI



è mezzanotte: nell'aria bruna

non v'è una stella, non v'è la luna:

sopra gli spaldi delle castella

udì quell'ora la sentinella;

e disse all'erta, dalla spianata,

l'ora è sonata, l'ora è sonata.


Dove ten corri solenne e pia,

segretamente per fosca via,

o di vegliardi pallida schiera,

con due lanterne e una bandiera?

In negra cappa, coperto il viso,

sono i Fratelli del Paradiso!


Fate silenzio! poi dite un ave.

Entrar le fosche temute cave:

ahi dove vanno, per quale sentiero?

che tomba è questa, che cimitero?

Han la bandiera sull'ara alzata;

l'ora è sonata, l'ora è sonata.


Su ferreo desco un libro è aperto,

è dei beati la legge al certo:

spira d'intorno di tombe un lezzo,

una catena pende nel mezzo:

è sotto sotto dalla catena

pende una lampa, ed arde appena.


A un crocefisso di antico sasso

volgono i vecchi il lento passo:

signor, dicendo la negra corte,

tu dai la vita, tu dai la morte:

la nostra mente consiglio aspetta,

Santo dei santi, Dio di vendetta!


Sopra il vangelo hanno giurato

punir di morte sempre il peccato:

su negri seggi si son seduti,

son dieci in tutto, ma stanno muti;

solo si ascolta per quell'arcata:

l'ora è sonata, l'ora è sonata.


Bella, ma come un fior che muore,

santificata dal suo dolore,

giovine donna nel pianto sciolta

Muove all'orrenda funebre volta:

in bianco velo un pargoletto

tacitamente si stringe al petto.


Varca la soglia la sventurata,

s'ode una voce: fosti aspettata!

Ecco comincia il santo rito,

ed ella esclama: non ho marito

sfiorommi il serto del casto giglio,

e poi lasciommi sola col figlio!


Per questa croce, pel Nazareno,

per questo figlio, che ho porto in seno

dopo di averlo cotanto amato,

più non mi volle veder l'ingrato!

Deh! Vendicate, lo vuole Iddio, 

il figlio mio, il figlio mio.


Sparse ha le trecce, lenta la voce,

posa il fanciullo sotto la croce.

Dov'è l'infido? a lei fu detto

Giudici, ei posa in un altro letto!

A pochi passi da questo loco

venga qualcuno, vendetta invoco!


II 


Un'ora è corsa, né squilla ancora

dagli orologi la second'ora

che s'ode un fischio, indi pian piano

rumor di passi, batter di mano:

ecco il consesso dei seggi alzato,

ecco il beato, ecco il beato!


Cappuccio in viso, sandali ai piedi,

la croce in petto, romito il credi;

ma della tunica ecco si nuda,

e sclama:  il vidi con l'empia druda;

pel sacramento fatto al Signore

eccovi il teschio, eccovi il core!


E la dolente? Sembrò pentita,

cercò piangendo fin la sua vita;

ed io risposi ai pianti suoi,

gli angeli miei gli angeli tuoi

ci stan sul capo con la saetta,

voglion vendetta, voglion vendetta!


Altro dicesti? Nulla più dissi,

ella piangeva, io la trafissi;

del sangue il pianto fu vendicato,

mora il peccato, mora il peccato

Fratelli, a' piedi del Rdentore

posate il teschio, posate il core!


Riede la donna turbata in viso,

il figlio cerca da lei diviso:

sotto la croce da lei fu porto,

lo bacia in viso... ma il figlio è morto!

Un cherubino se l'ha rapito,

non ha più figlio, non ha marito!


S'ode un'altr'ora! nell'aria bruna,

non v'è una stella, non v'è luna:

sopra gli spaldi de le castella

udì quell'ora la sentinella,

e disse all'erta, dalla spianata,

l'ora è sonata, l'ora è sonata.




Le Croci a Vanzaghello (le processioni nei campi)

Info tratte da




Rintracciare i luoghi coi resto delle croci, scavando in campagna, ai margini del bosco, lungo sentieri sterrati, i segni di un'antica presenza significa riportare alla luce il significato profondo di alcune tradizioni della cultura contadina.

Comprendere il significato dell'ubicazione di ogni singola croce comporta l'approfondimento della conoscenza di tutti gli angoli di Vanzaghello.

 

DIECI CROCI

Sono dieci le croci ancora installate sul territorio nelle zone più periferiche.

La loro ubicazione non è stata lasciata al caso: si ergono in prossimità di crocicchi, sulle direttrici stradali, in prossimità dei punti cardinali, sul percorso delle rogazioni di primavera al tempo in cui si benedicevano i campi: si organizzavano processioni con partenza dalla chiesa per poi attraversare le strade del paese dirigendosi verso i campi e facendo sosta presso cappelle e croci.

Già nel 1605 a Vanzaghello si celebrava il triduo delle litanie attraverso le campagne percorrendo stretti sentieri; la processione sostava presso le croci di legno e cappellette che sorgevano ai confini dei poderi.

Le croci lignee vennero sostituite, nel 1800, da croci in cemento.

Fu San Carlo Borromeo a dare ordine di erigere, durante gli anni della peste, verso il 1570, le croci nelle strade secondo un progetto di sacralizzazione: stabilì che sorgessero nei trivi e quadrivi (incroci di tre e  quattro strade) [esattamente come ai tempi del paganesimo, visto che era Ecate Trivia la Dea dei trivi e crocicchi]

Secoli fa le case erano poche e tutto intorno solo campi e boschi: la gente per spostarsi a piedi da un paese all'altro preferiva scorciatoie di campagna; la carreggiata consentiva appena il transito di un carretto; proprio in questi luoghi sorgevano croci e cappellette; a Vanzaghello era sempre verso maggio il tempo delle litanie; a Busto Arsizio i ragazzi le chiamavano "la funzion di galüchi" perché coincideva con l'apparizione dei maggiolini. Queste processioni iniziavano all'alba: 5,30 del mattino; si sentiva l'Ave Maria; le donne usavano il "panetu", un fazzolettone triangolare annodato sotto il mento. La processione si portava nelle stradine di campagna in mezzo ai "carésc"; si camminava dove l'erba non cresceva per non bagnarsi i piedi con la rugiada. In corrispondenza delle croci installate sul percorso, il chierichetto porgeva il secchiello con l'acqua benedetta e l'aspersorio al sacerdote il quale benediceva i campi antistanti. 

La processione si faceva per tre mattine consecutive: dalla chiesa S.Ambrogio verso tre direzioni diverse: Castano, Magnago, S.Antonino, Lonate e la Madonna in Campagna.

Il primo giorno la processione percorreva via Novara, verso la prima croce, proseguendo verso la cappellina dedicata a Sant'Agostino, si prendeva la via verso Magnago alla cappellina di S.Grato dove si stendevano molti campi di vanzaghellesi, facendo ritorno da via Roma segnata dall'ultima croce.

La processione si concludeva in chiesa per la Messa.

Il secondo giorno, percorrendo via Soldara, si giungeva fino alla cascina Fogna, entrando, facendo un giro del cortile e sostando si raggiungeva via Croce al Lazzaretto, nella zona Lavarino, dove si ergeva un'altra croce e si tornava verso S.Rocco, passando per la Madonnina.

La messa era celebrata nella chiesa di S.Rocco.

La litania del terzo giorno era la più lunga, con partenza in direzione di Lonate Pozzolo: la prima croce stava in via Virgilio, verso S.Antonino Ticino, l'altra al termine di via Monte Grappa (zona Cruséta) e si faceva ritorno alla Madonna in Campagna per la messa.

L'ultima croce si trovava verso la proprietà del signor Marco Giani, prima del cimitero. A quell'ora già si vedevano i "badilanti" in bicicletta che proveniva da Boffalora e da Besnate alla volta di Busto Arsizio, per lavoro, col tascapane a tracolla.

"Ricordo i campi verdi, la segale che già spigava e qualche ragazzino che si lasciava tentare raccogliendone uno stelo per fabbricare uno zufolo", ricorda la signora Agnese, 94 anni.

Durante le litanie si pregava Dio "par fa andà ben i bügati (i bachi da seta), la stalla, il grané, la casina": la vita del contadino si basava sul raccolto dei campi, sulla salute delle bestie, sulla vendita del vitello, sul latte prodotto dalla mucca.

"Gh'é ul ventu in casina", "c'è il vento in cascina" diceva il contadino, quando il fieno per le bestie si esauriva.

Arrivava così da Busto la figura del macellaio col "sansàl", il mediatore, per acquistare le bestie.

Nonostante le difficoltà, le famiglie offrivano due volte l'anno la "primizia" alla chiesa, cioè uno staio di frumento o segale in primavera e il granoturco in autunno.

Si invocava la pioggia quando la "sücina" seccava i raccolti: si pregava per tre sere consecutive nella chiesa o nella chiesina della Madonna in campagna; tutti partecipavano e delle volte capitava che già sulla strada del raccolto, un furioso temporale costringesse a correre inzuppati verso casa.

Non esistevano ancora gli insetticidi, perciò per scongiurare il pericolo di insetti sulle spighe, si benedivano i campi con acqua benedetta.

Questo genere di riti continuò fino alla fine degli anni '50, e quando il lavoro nei campi fu sostituito da quello industriale, le rogazioni furono abolite dalle riforme postconciliari.


LE SETTE CROCI DELLE LITANIE: DOVE SI TROVANO

Al termine di via Monte Grappa, in prossimità del confine col comune di Lonate, sull'angolo del quadrivio è infisso un cippo seminascosto dall'erba, con i resti dell'armatura in ferro ripiegata dal tempo e dai trattori (zona Cruséta).

Lungo la via Giovanni XXIII verso Sant'Antonino, sulla destra, all'imbocco della via Virgilio (stradina sterrata) sull'angolo c'è il ricordo di una croce: lo scavo eseguito per il collettore se l'è inghiottita.

Quadro Lavarino: in via dei Mulini, presso la zona Burésc, sull'angolo di un trivio, nel terreno Lavarino, a est della fattoria Paiusco, al termine di una "cantiraa" (striscia di bosco) si erge una croce mutilata del Cristo: si notano i fori dei chiodi che ne fissano braccia e gambe.

Al Lazzaretto, nei pressi del nuovo acquedotto di Vanzaghello, della croce ci resta un ferro arrugginito piegato, accanto al coperchio di una cisterna su un rialzo del terreno, completamente ricoperto di erba e terriccio (la cisterna dovrebbe risalire al periodo della peste di San Carlo del 1576)

Sull'angolo di via C.Battisti è ancora intatta la croce in cemento con un piccolo Cristo inchiodato al centro.

In via Roma, presso la posta, si erge una croce, posta sulla strada, al di là della siepe che la separava dai campi.

In via Matteotti, prima della zona piantumata, al di là del fosso, svetta una croce.

Anche la cappella dedicata a Sant'Agostino, al termine di via Novara, era una tappa rituale nella funzione delle litanie. (https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2023/09/la-cappella-di-santagostino-vanzaghello.html)

Vi sono tre croci più grosse, la cui storia non è legata al rito delle litanie, commissionate in occasione della consacrazione del paese: invece di Cristo hanno l'iscrizione "O Ave Crux Unica Spes"

Una di queste croci si trova al semaforo sulla statale di fronte al Patio.

è possibile scorgere la seconda nella zona Quattro Strade curvando a destra verso Busto.

La terza si trovava sull'angolo della strada statale con via Giovanni XXIII, ma è stata abbattuta in seguito ad un incidente automobilistico, e al suo posto c'è un cippo stradale.





Nota di Lunaria: non sono sicura sia lei, perché l'ho intravista di sfuggita mentre ero seduta in automobile, in uno stradone trafficato






















Arrigo Boito: "Nerone"



PRIMA PARTE

Schiettamente romantico, fu Arrigo Boito, che appartenne agli Scapigliati. Creò e musicò un'opera teatrale divenuta celebre: il Mefistofele; compose per Verdi i libretti dell'Otello, del Falstaff, e per Ponchielli la Gioconda.

Ottenuto il trionfo del "Mefistofele", si diede a scrivere una tragedia: il "Nerone", pubblicandolo nel 1901.

Boito ritrasse la vita come spettacolo tragico in cui il delitto, il peccato, il capriccio e il pervertimento contrastano con la bontà, con l'amore e la dolcezza.

Il Male vince ma il poeta osserva il dramma con ironia sottile che lo salva dalla disperazione.

Un che di buffo, di stravagante e anormale si delinea nella tragedia.

Il Nerone: la tragedia ha 5 anni. Si apre sulla via Appia in una notte nuvolosa, rischiarata appena da fugaci raggi lunari e da un lume cinereo che non proietta ombre. A destra e a sinistra della via, tumuli, tombe, una lampada funeraria che sta per estinguersi, la vestigia di un'ara e molti rottami di monumenti.

Un uomo, fra i ruderi, scava una fossa, ed è Simon Mago, un ebreo.

Un altro uomo incappucciato fa la guardia: è Tigellino d'Agrigento, un astuto che conosce la debolezza di Nerone e muoverà fra poco tutta la scena per trasformare la paura dell'Imperatore in gioia tumultuosa di trionfo.

Nerone ha ucciso Agrippina. Voci ora vaghe, ora minacciose, errano per campi e su di esse domina il grido ferale: "Nerone-Oreste! Il Matricida"

Nerone spunta ravvolto in una toga funebre e porta un'urna fra le braccia.

Corre o fugge, ed ansa di terrore, che ovunque gli pare che lo inseguano le Erinni.

Ha lasciato il Boville il corteo degli uomini armati; è venuto solo, perché le ceneri di Agrippina devono essere sepolte in segreto né ha da vedersi traccia dello scavo nel quale Simon Mago le farà sparire. Il rito funebre si compie. Nerone pronuncia parole che coprono con la loro falsità il suo rimorso e mettono in evidenza il suo carattere istrionico:


Miseranda! Io stesso

colgo la cieca notte e mi nascondo

per darti preci e ignota sepoltura.

[s'inginocchia]

Ecco, mi prostro, m'atterro, m'accuso.

Se degli istinti lo sguardo penetri

nell'alme nostre, il mio contempla, madre,

interno orror.


Questo è l'ultimo vivo

di tua tragica stirpe, in me il Destino 

tutte addensa sue forze e le consuma.

M'invade il Nume antico! è l'opra mia

l'opra del Fato!

[ergendosi fieramente]

Ah! ben dicea quel grido:

Io sono Oreste!


Alle voci paurose e infernali si uniscono i canti dei viatori che muovono verso Roma ripetendo i motivi di Saffo. Passano famiglie di gladiatori e schiavi, e le loro nenie, che sanno d'Oriente, sono interrotte da gridi di minaccia contro l'Urbe e contro il matricida.

La lotta tra il male che domina, e il bene che ormai gioisce del Vangelo, si svolge occulta in quest'atmosfera musicale che ne diffonde e talora ne illumina il senso.

Ma la scena è sempre da streghe: è quella tenebrosa immaginata dai romantici.

"Quest'è l'era che scendono i demoni - dalla regione lunare..."

Le Erinni che Nerone ha viste, le Erinni che lo inseguono non sono create dal terrore: vivono realmente.

Eccole, il matricida fugge con Tigellino; ma Simon Mago le affronta.

Chi è dunque quella donna audace e astratta, che porta al collo delle idre assonnate e che, se la luna la ferisce, somiglia alla Sfinge, a Medusa, a un'Euménide o a un demonio? Chi è? è Asteria.

Non è un mostro, ma un'ardita donna d'Africa, una fanciulla.

Insegue Nerone, perché egli è il suo nume: è un angelo crudele che popola di spettri le tenebre e scuote sulle plebi il flagello sublime della tirannia e dell'orrore.


Dalla gran Sirte, dove il flutto latra

contro l'avel, di mia stirpe Cirena,

venni alla fiamma, povera falena,

dalla sua gloria sfolgorante ed atra.

è il mio nume! il suo volto è un astro d'ira!


Ma Asteria lo ama da quando, sei notti prima, lo ha scoperto sulla duna d'Anxur:


Oh! come mi guardava fiso!

ma il suo corsier impaurito il trasse

lontan, fuggendo, al lume della luna.


Simon Mago dichiara che può rialzare il volo affranto del sogno di Asteria, purché ella traccia e nessuno la conosca.

Asteria promette.

Ora passano a stuolo, nelle tenebre, i sacerdoti di Cibele, agitando rami di pino e flagelli, come demoni invasati.

Simon Mago cerca un rifugio: Asteria gli indica quello di cui lei è comparsa, e che è sotterra, lì vicino, in un antro oscuro, ove si trovano delle tombe cristiane.

Vi si può scendere da una buca aperta dietro un'ara. Simone sparisce: Asteria si abbandona come morta su di un sepolcro che le sta accanto.

Allontanatasi la schiera dei sacerdoti urlanti, mentre si diffonde l'alba e i monti si scoprono, ecco una donna in bianca stola che vien da Roma: si ferma, accende la lampada funeraria sopra un sepolcro eretto da poco, s'inginocchia, congiunge le mani e prega.

Dalle sue labbra escono le soavi parole del Pater noster.

E Asteria che le ode, si alza e va accanto alla mite donna.

Costei è Rubria, che circonda il suo esser di mistero.

è sulle orme di Cristo, ma che cosa fa a Roma? Fanuèl, il marinaio d'Oriente, venuto, come San Pietro, a ripetere la parola di Gesù fra le turbe laziali, Fanuèl, il dolce apostolo, che passa anche lui in quest'attimo sulla via Appia, conosce di Rubia solo il nome e la persona.

Ama la sua dolcezza e la sua esistenza, però nulla riesce a saper di lei che vive nella città dei Cesari e forse appartiene al patriziato.

Non s'aspettava di rivederla, proprio a quell'ora e in quel luogo; e corre a darle l'addio. Egli va ad Ostia, deciso ad imbarcarsi. Vuole riprendersi il mare.


Non t'alzar. Il nostro addio

sia questa prece che sale al Signore

fra i bagliori dell'alba.


Il colloquio è interrotto da Simon Mago, che spunta dall'antro degli avelli con una torcia in mano.

Simon Mago, Simon di Sebàste, è noto a Fanuèl, perché è gran nemico dei cristiani. Vorrebbe adesso venire a patti, e con fare mefistofelico invita l'apostolo a cedergli della sua magia.

S'alzerà sui sette colli un tempio che soggiogherà l'Orbe e in questo tempio Fanuèl, profeta Re, avrà un altare!


Guarda laggiù: pel sangue che l'inonda

l'arca d'oro di Cesare sprofonda,

furibonda ruìna a precipizio;

plebi nefande confuse nel vizio

plaudono a Roma che canta e che crolla.

Tremano tutti: Cesare, la folla,

le coorti [...] con me su quei captivi

del fango e della porpora distendi

le tue mani, la tua Magia mi vendi,

due sovrumani vedrà il mondo allor!


Fanuèl lancia contro di lui un forte anatema e Simone fugge gridando che gli procurerà rovina. Nerone sempre atterrito torna al sepolcro della madre.

Tigellino vuol calmarlo e gli suggerisce di avvertire il senato che Agrippina ordiva la morte del figlio e, scoperta, s'è uccisa - fingeranno di prestar fede - grida Nerone - faran vedere che credono - aggiunge Tigellino - tu giòvati della loro viltà - si sentono cortei di militi in marcia. Vengono forse ad assaltare e a punire il matricida?

S'odono squilli: ecco i Mauritani, i Germani, i Pretoriani; ecco un'immensa folla che cerca l'imperatore. Nerone si fa piccolo, desidererebbe sparire.

Animo!, gli sussurra Tigellino, vengono a riprendere te che sei grande, te che sei Cesare e cantano gli inni tuoi - le tenebre si squarciano: la notte dell'orrore diviene la notte dell'esaltazione. 

Il matricida ha vinto e con lui vince anche Tigellino, che, per aver preparato con arte simile trionfo, vien nominato capo dei Pretoriani.

Il secondo atto ha come scena il tempio di Simon Mago. Il fasto orientale, la magia e la malafede vi hanno splendido rifugio e, con il mefistofelico Simone, qui si scorge l'augure che ride dietro l'altare, il satanico Gobrias, il quale invoca Zoè, Nous, Ecclesia, Logos, adora l'Abisso Profondo, origine inperscrutata degli Enti primi, le Sigizie, il Paraklito, e, quando ha il nappo in mano per le libagioni, lo tracanna d'un fiato. Ridere e bere: ecco gli atti con cui esprime il suo credo. Ogni alba inauguri un Nume in Roma e a lui "pazzo cervel, pronto a celiar" sia possibile averne guadagno.

La nuova Dea sarà Asteria che dovrà rifulgere, misteriosa e ammaliante, per render Nerone docile ai voleri dell'ingordo Mago.


Asteria: Oh! sogno mio! Ma sull'altar perché

tu aderger vuoi queste membra mortali

Simon Mago: Egli la dea ti crede

che sulla notte e sui terrori ha regno.

Bada a te!



La Pellagra

Info tratte da


La pellagra si alimentava per le condizioni igienico-alimentari: era la malattia della fame, che spopolava nelle campagne dell'Italia settentrionale e nelle valli alpine. Veniva chiamata "pellarina" o "male della miseria", causata dall'alimentazione a base di polenta di granoturco e distruggeva il sistema nervoso delle persone colpite, facendole diventare matte (Nota di Lunaria: per questo i malati di pellagra erano segregati nei manicomi)




"Il Bacio di una Morta" in tutta la sua sepolcrale bellezza!

Finalmente l'ho trovato! Il Capolavoro di Carolina Invernizio che cercavo da tanti anni! E l'ho trovato pure con la bellissima copertina storica, che qui vedete in tutta la sua sepolcrale bellezza, fronte e retro! 

(ho anche ingrandito l'immagine) 




Ovviamente finito di leggerlo farò la recensione e il pdf mettendo a disposizione di tutti le pagine migliori!




Su Carolina Invernizio vedi anche https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2023/12/il-cadavere-accusatore-di-carolina.html

Titoli delle sue opere che ho trovato nell'elenco su "L'Orfana di Trieste"

Amore che uccide

Amore e Morte

Amori Maledetti

Anime di Fango

Bacio Ideale

Bacio Infame

Birichina

Bottone d'Oro

Catena Eterna

Cuore di Donna

Cuore di Madre

Cuore di Operaio

Cuore di Bimbi

Dora, la Figlia dell'Assassino

Idillio Tragico

I Disperati

I Drammi degli Emigrati

I Drammi dell'Adulterio

Il Cadavere Accusatore

I Ladri dell'Onore

Il Bacio d'una Morta

Il Delitto della Contessa

Il Delitto d'una Madre

Il Figlio del Mistero

Il Genio del Male

Il Marito della Morta

Il Morto di via San Sebastiano

Il Paradiso di Fiammetta

Il Primo Amore

Il Segreto di un Bandito

Il Treno della Morte

Il Trionfo dell'Araba

I Misteri delle Cantine

I Misteri delle Soffitte

I Sette Capelli d'oro della Fata Gusmara

La Bastarda

La Collana di Perle

Il Figlio dell'Anarchico

La Madonna della Neve

La Maledetta

L'Amante del Ladro

La Maschera Bianca

La Morta nel baule

La Peccatrice

La Potenza dell'Amore

La Ragazza del Magazzino

Lara l'Avventuriera

La Regina del Mercato

La Resurrezione di un angelo

La Sconosciuta

La Sepolta Viva

La Spia

L'Atroce Visione

La Vendetta d'una Pazza

La Venere

La Via del Peccato

L'Aviatore

La Villa delle Fate

L'Avventuriero

Le Avvelenatrici

Le Disoneste

Le Figlie della Duchessa

La Danzatrice di Tango

La Donna Fatale

La Fata Nera

La Felicità nel Delitto 

La fidanzata del Bersagliere

La Figlia della Portinaia

La Figlia del Mendicante

La Figlia del Morto

L'Albergo del Delitto

La Lotta per l'Amore

Le Vittime dell'Amore

L'Impiccato delle Cascine

L'Orfana del Ghetto

L'Orfana di Trieste

L'Ultimo Bacio

L'Ultimo Convegno

Mariti birbanti

Morta d'Amore

Nella Rete

Nina, la Poliziotta Dilettante

Odio di Araba

Odio di Donna

Paradiso e Inferno

Peccatrice Moderna

Piccoli Martiri

Raffaella, o i Misteri del Vecchio Mercato

Rina o l'Angelo delle Alpi

Satanella, ovvero la Mano della Morta

Spazzacamino

Un Assassinio in Automobile

Vendetta di Operaio