Quella raccolta di poesie del Petrarca che noi indichiamo col nome di "Canzoniere" è detta dal poeta "Rerum vulgarium fragmenta". Sono in totale 366 componimenti; "cosette in volgare" anzi frammenti, li definisce il poeta; ma da essi avranno origine sei secoli di letteratura amorosa.
Nel "Canzoniere" ci sono emozioni, passioni, confessioni, analisi interiori e tutti i toni dell'ansia amorosa: c'è Laura, Laura viva, Laura morta, il ricordo di lei, il pensiero di lei.
è un'idea amorosa che via via si arricchisce, fino a diventare simbolo di ogni bellezza del vivere, fino a significare l'amore stesso dell'universo: una trasfigurazione che si compie non con l'intelletto, ma col cuore. Non a caso l'opera si chiude con una canzone alla Vergine, vestita di Sole: l'amore terreno, purificato nel raccoglimento, attraverso anni di devozione e di doloroso rimpianto, si eleva alla divinità.
In Vita di Laura
C'è, all'inizio, un avvertimento al lettore. Abbia pietà - se sa cos'è l'amore - dei pianti e dei sospiri di cui leggerà avanti. E sappia che il poeta si vergogna di sé e del suo vaneggiare e si pente del "primo giovenile errore" perché ha ormai compreso "che quanto piace al mondo è breve sogno". Quasi quasi si scusa, d'essersi abbandonato a una vanità come la passione amorosa...
Nella chiesa di Santa Chiara, un mattino d'aprile, appoggiato ad una colonna, il giovane Francesco contempla per la prima volta il bel volto di Laura inginocchiata all'altare... così il pittore Anselm Feuerbach immaginò il fatidico incontro che influenzò per secoli la poesia in Italia e in Europa.
Dopo il Prologo, per una serie di circa 30 composizioni, Laura compare e non compare. La intravediamo, ma non è ancora perfettamente realizzata.
Francesco l'ha incontrata in un giorno di Venerdì Santo e lei con uno sguardo l'ha fatto prigioniero: "Ché i be' vostr'occhi, donna, mi legaro". Ora la insegue, ma lei "de' lacci d'Amor leggera e sciolta" lo sfugge.
Laura è un "sole", che "movendo de' begli occhi i rai", risveglia pensieri d'amore. è una giovane donna più "bianca e più fredda che neve", una crudele che "mai pietà non discolora" e una guida che, se la segui, "ti scorta dritto dritto fino al Cielo" e al "sommo ben t'invia."
Un po' una donna da Dolce Stil Novo, dunque, idealizzata quanto basta, angelicata al punto giusto, in linea con tutte le regole codificate dai Cavalcanti e dai Guinizelli per le loro madonne.
I momenti toccanti dell'elegia amorosa, in questa prima parte delle Rime, sono soprattutto quelli in cui il poeta si sofferma a guardare in se stesso, nel fondo della propria tristezza.
La sua donna lo sfugge, non può riamarlo,
e allora eccolo che va in cerca di solitudine, misurando "a passi tardi e lenti/i più deserti campi".
Ben tre canzoni sono dedicate agli occhi di Laura: gli occhi sono luoghi leggiadri, ove "l'Amor fa nido", "luci beate e liete", "lumi del ciel", "divine luci", "vaghe faville angeliche, beatrici"; vincono angoscia e noia, sospingono sulla via del cielo, riempiono di pensieri alti e soavi, sono sorgente di salvezza, riparo nella tempesta, sede d'ogni conforto e d'ogni speranza. Infine, è mille volte meglio morire in presenza loro piuttosto che rimanere privi di una visione così beatificante.
Fedele agli ideali poetici del tempo, il poeta di fronte a Laura è solo, soffre e ha bisogno di lei; sostiene che la cerca per avere una valida guida nel cammino verso il Cielo e un po' di felicità qui sulla terra: senza di lei "ogni loco m'attrista"
Ed accarezza con occhi ben umani quella figura che accende il desiderio: del "chiaro viso" al "bel piè", non c'è particolare che non lo rinserri sempre di più nella sua prigionia d'amore.
Questo, il volto nuovo di Laura: il nuovo modo, umano, di essere amata le dà una consistenza reale e sconosciuta alle varie angelette stilnoviste.
Per un buon tratto, la storia dell'amore di Francesco per Laura è affidata ai sonetti.
E i sonetti, così brevi, scandiscono a perfezione l'alternarsi di gioie e tormenti nel cuore del poeta.
Come potrà sopravvivere, se questa bellissima si rifiuta di amarlo? Impossibile sostenere la lotta che la ragione e i sensi ingaggiano per colpa di lei: bisognerà cercare in Dio un rifugio tranquillo , fuori dal turbinio delle passioni o forse solo la vecchiaia potrà spegnere il fuoco dell'Amore.
Ma il trionfo più luminoso di Laura è forse in quelle due canzoni che sono state definite silvane per l'importanza che ha in esse il valore del paesaggio: "Se 'l pensier che mi strugge" e la successiva e celeberrima "Chiare, fresche e dolci acque": in tutte e due la natura è lì per far da sfondo alla bellezza dell'amata. E la donna di riflesso si fa ancora più bella proprio perché è in questo scenario naturale.
Gli argomenti delle due canzoni sono familiari: il dolore di non essere amato e il ricordo struggente di Laura, con colori e tocchi che arrivano a tanta maestria da farci sentire il profumo di quella sua Valchiusa che dipinge con mano tanto affettuosa.
Il poeta osserva ogni cosa, quasi sperando che "tra' fiori e l'erba" siano rimasti i segni del passaggio di Laura.
Nella seconda canzone, il motivo della natura raggiunge un incanto insuperato: tutto concorre al miracolo; la musica del verso, l'uso degli aggettivi, l'accostamento rapido di immagini alternate. Il paesaggio è fatto di chiare acque, rami gentili, erbe, fiori, "aere sacro, sereno". E a tanta bellezza fa eco, nel ricordo, l'immagine femminile, con "le belle membra", il "bel fianco", la "gonna leggiadra", "l'angelico seno". Dai rami scende "dolce nella memoria" una pioggia di fiori e le corolle volteggianti vengono a soffermarsi sul lembo della veste e sulla treccia bionda ("Qual fior cadea sul grembo, qual su le treccie bionde"). Il quadro è di quelli che non si possono più dimenticare: alla fine non desideriamo che di bearci anche noi, con Laura, di quel perpetuo fiorire e rinverdire.
Poco più avanti, un'altra canzone celebra con sottile melanconia la solitudine della campagna: "Di pensier in pensier, di monte in monte" il poeta va in cerca di riposo e pace, doni che solo la natura sa offrire.
In mezzo alle silvane, una canzone estranea a Laura: è la famosa "Italia mia", tanto cara ai Romantici; è il canto politico più ispirato del Petrarca e per molti anche la lirica civile più alta della nostra letteratura.
Un altro gruppo di sonetti continua i temi amorosi: la bellezza di Laura, l'angoscia dell'amante che non può rassegnarsi a non essere riamato, e ancora, ricordi, delusioni, improvvise speranze, abbandoni e risvegli. Finché, un giorno, la Bellissima gli appare come "cerva candida" che lo affascina ma che poi, mentre lui la contempla, rapidamente si dilegua.
L'apparizione misteriosa e la scomparsa repentina che lascia in lacrime il poeta hanno già il tono del presagio. Ben presto i fantasmi di morte si addenseranno in sonetti dolenti: "Qual paura ho quando mi torna a mente quel giorno, ch'io lasciai grave e pensosa Madonna e 'l mio cor seco" e ancora: "Solea lontana, in sonno consolarme con quella dolce angelica sua vista Madonna, or mi spaventa e mi contrista".
Laura stessa gli appare nella mente per annunziargli "non sperar di vedermi in terra mai".
E infine l'orribile visione: "è dunque ver che 'nnanzi tempo spenta sia l'alma luce che suol far contenta mia vita in pene et in speranze bone?"
Ancora pochi canti e poi la prima parte del Canzoniere si chiude. La seconda parte si aprirà sulla canzone "I' vo pensando e nel pensier m'assale", una lunga meditazione sulla morte.
In Morte di Laura
"Oimè il bel viso, oimè il soave sguardo, oimè il leggiadro portamento altero!"
Laura non è più, e Francesco accoglie con questo grido di disperazione la notizia della sua scomparsa.
"Che debb'io far? che mi consigli Amore?" chiede smarrito. E Amore lo consiglia così: vinca l'eccesso della disperazione e canti piuttosto la sua donna mentre aspetta fiducioso di rivederla in Cielo.
Lo ritroviamo dunque su questa strada: continuerà a cantare la bellezza di lei, continuerà a cercarla nei ricordi, come prima. Ormai la morte ha steso un velo sul fuoco della passione.
Laura è in cielo: Francesco la troverà nelle cose celesti, non più in quelle terrene. Adesso più che mai, lei sarà la sua guida, verso Dio.
Il tormento sembra placato in una specie di colloquio affettuoso con tutte le cose: "Fior, frondi, erbe, antri, onde, aure soavi, valli chiuse, alti colli e piagge apriche", lo ascoltano e gli rispondono.
Ora almeno non c'è più a torturarlo quell'alternarsi di speranze e delusioni, perché "Morte m'ha sciolto, Amor, d'ogni tua legge: quella che fu la mia donna, al ciel è gita, lasciando triste e libera mia vita.
Tutto, da che lei se n'è andata, ha preso i colori della malinconia, perfino la stagione fiorita in cui Zefiro torna e 'l bel tempo rimena."
Niente potrà consolarlo: "né per sereno ciel ir vaghe stelle", né la vista di "oneste donne e belle". Anche nella natura, soltanto chi soffre gli è vicino, come quel "rosignol che sì soave piagne".
Malinconia, rimpianto, meditazione della Morte: da questi toni cupi l'immagine di Laura potrebbe uscire un po' incerta. Invece no. Laura non è meno viva di prima, anzi. Non svanisce nell'etereo, non diviene un simbolo raggelato, non si immobilizza nelle regioni celesti, spoglia ormai, con la carne, di ogni umanità. Al contrario, la sua figura acquista un risalto anche più pieno, adesso che va a a situarsi più che mai al centro del dramma intimo del poeta. Perché egli ormai vorrebbe celebrarla solo come un essere tutto spirituale ma più si ingegna e meno gli riesce di dimenticare che è donna.
Nel dissidio c'è tutto Francesco: sempre in lotta tra il lassù e il quaggiù, sempre pronto a guardare al Cielo e così lesto a ricadere appena i sensi premono: una lotta che dura tutta una vita, senza che mai gli riesca, né di qua né di là, di varcare il confine tra Cielo e Terra.
è questo conflitto che salva Laura dal pericolo di diventare un'ombra senza vita. Francesco - l'intenzione è sincera - vuol trasformarla in creatura di Paradiso, almeno adesso che il suo corpo non c'è più. Ma intanto resta un uomo, con i suoi palpiti, anche se si mette a pregare in ginocchio. E più si sforza di pensarla come essere celeste, e più la fantasia gli affolla di cari, caldi ricordi di quel suo bel corpo di donna.
"Là v'io seggia d'amor pensoso, e scriva, Lei che 'l ciel ne mostrò, terra n'asconde, veggio et odo, et intendo, ch'ancor viva di sì lontano, a' sospir miei risponde."
Basta un corso d'acqua ed eccola uscire di là "or in forma di ninfa, or d'altra diva". E "su per l'erba fresca", egli la vede "calcare i fior com'una donna viva."
Non è nella pace di Dio - come aveva sperato - che egli ora trova un po' di conforto, ma solo in lei, che ricorda in tutti i particolari più minuti: "a l'andar, a la voce, al volto, a' panni."
Alla fine, capirà che non gli è riuscito per niente di limitarsi ad adorare Laura come una santa. Ha trascorso il suo tempo "in amar cosa mortale" e se ne pente. Vede bene che è stata un'illusione divinizzare un amore terreno. Ha sofferto per vent'anni, quando Laura era viva. E da dieci anni la piange morta. Adesso è "tristo de' miei sì spesi anni, che spender si deveano in miglior uso."
è tempo ormai di tralasciare anche i ricordi: tutto ciò che è terreno va dimenticato.
L'ultima canzone sarà una preghiera alla Vergine perché gli conceda finalmente la pace.
Nota di Lunaria: inserisco qui qualche verso del Petrarca, riportati su questa antologia.
nato ad Arezzo nel 1304, seguì la famiglia ad Avignone. Frequentò la facoltà giuridica, ma abbandonò presto gli studi per dedicarsi interamente alla letteratura. Una data importante è l'incontro con una donna, che è stata identificata in Laura de Noves, nella chiesa di Santa Chiara in Avignone: essa fu cantata e trasfigurata dal poeta nel suo capolavoro, il Canzoniere.
Il Petrarca compì molti viaggi: Lombez, in Francia, in Fiandra, in Germania, alla ricerca di manoscritti dei classici latini. Nel 1341 fu incoronato poeta in Campidoglio a Roma. Ad Arquà, presso Padova, si spense nel 1374.
Dal Canzoniere
Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond'io nudriva 'l core
in su 'l mio primo giovenile errore. (1)
quand'era in parte altr'uom da quel ch'i sono,
del vario stile, in ch'io (2) piango e ragiono
fra le vane speranze e'l van dolore,
ove sia chi per prova (3) intenda amore,
spero trovar pietà non che perdono (4).
Ma ben veggio or sì come al popol tutto (5)
favola fui (6) gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;
e de mio vaneggiar vergogna è 'l frutto,
e 'l pentersi e 'l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.
(1) Sviamento
(2) Secondo cui io
(3) Nel caso vi sia chi avendone avuto esperienza
(4) Non solo perdono
(5) A tutti i mortali
(6) Fui materia di discorsi e di riso
Se la mia vita da l'aspro tormento
si può tanto schermire (1), et dagli affanni,
ch'i veggia per vertù degli ultimi anni, (2)
donna, de' be' vostr'occhi il lume spento (3),
e i cape' d'oro fin farsi d'argento,
et lassar le ghirlande e i verdi panni,
e 'l viso scolorir che ne' miei danni
a 'llamentar mi fa pauroso et lento (4);
pur (5) mi darà tanta baldanza Amore
ch'i' vi discovrirò (6) de' miei martiri
qua' sono stati gli anni, e i giorni et l'ore;
et se 'l tempo (7) è contrario ai be' desiri,
non fia ch'almen non giunga (8) al mio dolore
alcun soccorso d tardi sospiri.
(1) Difendere
(2) Per gli effetti della vecchiaia
(3) Offuscato lo splendore
(4) Timoroso ed incerto
(5) Allora, infine
(6) Rivelerò
(7) Allude al tempo e alla vecchiaia
(8) Almeno non giungerà
Solo e pensoso i più deserti (1) campi
vo mesurando (2) a passi tardi e lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti (3)
ove vestigio human l'arena stampi (4).
Altro schermo (5) non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti (6);
perché ne gli atti d'alegrezza spenti (7)
di fuor si legge com'io dentro avampi (8):
sì ch'io mi credo omai che monti e piagge (9)
e fiumi e selve sappian di che tempre (10)
sia la mia vita, ch'è celata altrui.
Ma pur (11) sì apre vie né sì selvagge
cercar non so ch'Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io con lui.
(1) Evitati da tutti
(2) Misurando
(3) Attenti ad evitare
(4) Dove si mostri traccia di piede umano
(5) Riparo
(6) All'attenzione della gente
(7) Privi di ogni gioia
(8) Di amore
(9) Colline e spiagge
(10) Qualità
(11) Eppure
Nota di Lunaria: Vittorio Alfieri nel 1786 scriverà un componimento che a me sembra riecheggiare l'espressività del Petrarca di "Solo e pensoso i più deserti campi":
Tacito orror di solitaria selva
di sì dolce tristezza il cor mi bea,
che in essa al pari di me non si ricrea
tra' figli suoi nessuna orrida belva.
E quanto addentro più il mio piè s'inselva,
tanto più calma e gioia in me si crea;
onde membrando com'io là godea,
spesso mia mente poscia si rinselva.
Non ch'io gli uomini abborra, e che in me stesso
mende non vegga, e più che in altri assai;
né ch'io mi creda al buon sentiero più appresso:
ma, non mi piacque il vil secolo mai:
e dal pesante regal giogo oppresso,
solo nei deserti tacciono i miei guai.
Erano i capei d'oro a l'aura (1) sparsi,
che (2) 'n mille dolci nodi gli avolgea;
e 'l vago lume oltre misura ardea
di quei begli occhi, ch'or ne son sì scarsi (3);
e 'l viso di pietosi color farsi (4),
non so se vero o falso, mi parea:
i' che l'esca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di sùbito arsi? (5)
Non era l'andar suo cosa mortale,
ma d'angelica forma (6); et le parole
sonavan altro che pur (7) voce humana.
Uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel che'i' vidi; e se non fosse or tale,
piagha per allentar d'arco non sana. (8)
(1) All'aria, alludendo a nome Laura
(2) La quale aura
(3) Che ora sono così scarsi di quell'antico splendore
(4) Colorarsi di pietà
(5) è sottointeso l'amore
(6) Il suo incedere non era di persona ma di angelo
(7) Semplicemente
(8) La ferita prodotta dall'arco non si rimargina per quanto la sua corda sia allentata
Chiare, fresche et dolci acque (1),
ove le belle membra
pose (2) colei che sola a me par donna;
gentil ramo, ove piacque
(con sospir mi rimembra) (3)
a lei di fare al bel fiancho colonna (4);
herba et fior che la gonna
leggiadra ricoverse
co l'angelico seno (5),
aere sacro sereno,
ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse (6);
date udienza (7) insieme
a le dolenti mie parole extreme.
[...]
(1) Del fiume Sorga
(2) Immerse
(3) Mi ricordo sospirando
(4) Appoggiare il bel fianco
(5) Che la donna, con l'angelico seno, ricoperse
(6) Dove Amore con la vista degli occhi di lei mi aprì il cuore
(7) Porgete ascolto
Da' be' rami scendea
(dolce ne la memoria)
una pioggia di fior sovra 'l suo grembo;
ed ella si sedea
humile in tanta gloria,
coverta già de l'amoroso nembo. (8)
Qual fior cadea su'l lembo,
qual su le treccie bionde,
ch'oro forbito et perle
erano quel dì a vederle;
qual si posava in terra, e qual su l'onde,
qual con un vago errore (9)
girando parea dir: qui regna Amore.
(8) Dalla nuvola dei fiori
(9) Errando per l'aria leggiadramente
Pace non trovo, et non ò da far guerra; (10)
e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio;
et volo sopra 'l cielo, et giaccio in terra;
et nulla stringo, et tutto 'l mondo abbraccio.
[...]
Pascomi (11) di dolor, piangendo rido;
egualmente mi spiace morte et vita:
in questo stato son, donna, per voi.
(10) Non ho la possibilità di combattere
(11) Mi nutro
La vita fugge, e non s'arresta un'ora,
e la morte vien dentro a gran giornate (12)
e le cose presenti e le passate
mi danno guerra (13), e le future anchora
[...]
(12) A tappe veloci
(13) Mi tormentano
"Morte di Laura"
[...] Or qual fusse 'l dolor qui non si stima (1)
ch'a pena oso pernsarne, non ch'io sia (2)
ardito di parlarne in versi o 'n rima.
[...] Lo spirto, per partir di quel bel seno
con tutte sue virtuti in sé romito (3)
fatto avea in quella parte il ciel sereno.
[...] Pallida no mai più che neve bianca
che senza venti in un bel colle fiocchi,
parea posar come persona stanca
quasi un dolce dormir ne' suo' belli occhi,
sendo (4) lo spirto già da lei diviso,
era quel che morir chiaman gli sciocchi:
morte bella parea nel suo bel viso.
(1) Non si può misurare
(2) E tanto meno sono
(3) Raccolto in sé con ogni sua vitù
(4) Essendo
Vedi anche: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/10/la-morte-vista-nei-versi-di-petrarca.html