Breve introduzione al Pessimismo
La storia del pessimismo teorico inizia con quella della filosofia. In essa perciò abbiamo il lento trapasso da forme intuitive ed ingenue ad altre sempre più mature, derivate da una più sistematica ed approfondita interpretazione della vita.
Secondo Erodoto, i Traci piangevano la nascita di un uomo come una sventura, e celebravano la sua morte come una festa.
Più esplicito è il pessimismo indiano: sia il brahmanesimo che lo jainismo e il buddhismo ritengono che l'essere è male, cioè illusione, apparenza, e l'unica possibile evasione è rappresentata dal riassorbimento nell'Assoluto Tutto che è Brahma, ovvero dalla quiete del nulla o "nirvana" in cui ciascuno è destinato a posarsi per sempre.
La letteratura greca è soffusa di tristezza, ispirata da quel dualismo radicale che non poteva non fondare l'intima e irrimediabile irrazionalità della realtà cosmica ed umana: gli stessi Dei, in Omero, soggiacciono alla necessità intesa come forza ineluttabile e cieca.
"Forse perché partecipi de' mali
foste dell'uomo, di cui nulla al mondo
di quanto in terra ha spirto e moto, eguaglia
l'alta miseria" (Omero, Iliade)
La terra e il mare sono pieni di mali, scrive Esiodo. Il giorno e la notte spandono le influenze apportatrici di mali ai mortali.
La miglior cosa per i figli degli uomini, pensa Teognide, è di non esser nati e poi, quando siamo nati, il meglio è di varcare più presto possibile le porte dell'Ade.
Sofocle, nella tragedia "L'Edipo a Colono" crede il medesimo. Mimnermo e Anacreonte lamentano la brevità della vita. Simonide di Amorgo ricorda l'incertezza dell'umano destino. Pindaro ritiene che la vita è sogno e l'uomo il sogno di un'ombra; ed Euripide si domanda se questo viver non sia morte...
Gli stoici risentono il pessimismo dell'anima greca: se la realtà umana non ha senso, la filosofia della storia non è concepibile come ricostruzione razionale degli avvenimenti. L'uomo soggiace all'arbitrio di una divinità cieca e gelosa, secondo Erodoto. E, per Tucidide, la storia è ripetizione caotica, priva di un filo conduttore, che le dia un orientamento e ne permetta una interpretazione.
Tra i filosofi il pessimismo è sostenuto da Egesia, discepolo di Socrate, secondo il quale "è assolutamente impossibile la felicità perché il corpo è afflitto da una folla di mali e l'anima soffre e si turba insieme al corpo, e la fortuna impedisce per lo più ciò che è nelle nostre speranze, cosicché per tutto ciò la felicità non può esistere."
Accentuando il dualismo, Platone dà risalto anche maggiore agli aspetti negativi della vita: "Forse veramente la nostra vita è uguale alla morte".
"Teodoro mio, non si può far scomparire il male dal mondo. E necessario è purtroppo che qualche cosa ci sia sempre contraria al bene. D'altra parte, il male non ha certo dimora presso gli Dei; per ineluttabile ragione il male è retaggio di mortale natura e frequenta questo visibile luogo della terra. In conseguenza, unica cosa conviene all'uomo cercare di evadere da questo luogo verso quell'altro quanto più presto è possibile"
Il pessimismo spinge Pirrone d'Elea a rifugiarsi nello scetticismo, dal quale soltanto si attende di conseguire la quiete dell'anima.
Anche il punto di partenza di Epicuro è la constatazione dei mali della vita; "Tutta la terra vive nella sofferenza."
A Roma, Lucrezio, suo discepolo, conclude il "De Rerum Natura" negando ogni senso alla vita: "Quidve mali fuerat nobis non esse creatis?"
E non è certo ottimistica la visione dei tre grandi stoici latici Seneca, Epitteto e M. Aurelio, anche se nella sapienza sono decisi a superare il dolore: "Pulvis et umbra" (l'esistenza), canta Tibullo. Tacito sembra che rifiuti l'influsso della Provvidenza nelle vicende umane.
Karen Blixen "Sette Storie Gotiche"
Karen Blixen, una delle più grandi scrittrici del secolo, oggi viene riscoperta con passione negli Stati Uniti, in Francia, in Germania. Nota anche sotto il nome d'arte di Isak Dinesen, la Blixen era un'aristocratica danese: negli anni Venti amministrò la sua vasta pantagione di caffè nel Kenya, e su quel periodo scrisse un celebre libro: "La mia Africa". Ma la parte più importante della sua opera è quella narrativa che doveva rivelarsi nel 1934 con le "Sette Storie Gotiche". In questo libro la Blixen, esordiente a quasi 50 anni, dispiega un sontuoso ventaglio una visione giunta alla maturità perfetta. Le sue storie "gotiche" sono racconti lunghi, che spesso si svolgono in un tempo sospeso tra la fine del Settecento e la metà dell'Ottocento, l'età aurea del Fantastico e del Nero, mentre i luoghi variano tra le spettrali marine del Nord e un'Italia cariche di malie. E ovunque vi vediamo intrecciarsi le figure dell'Amore e della Morte, dell'Avventura, della Magia, delle Maschere, del Mito, della Passione, degli Enigmi. Ognuno ci offre, con l'arte che si dice abbiano i marinai nel raccontare le storie, ricami sottilissimi di destino, vicende che si inscatolano in altre vicende, che scoprono molteplici fondi, che toccano quell'irriducibile ambiguità che è della vita. Similmente a Hofmannstahl, la Blixen vede il narratore come un imprendibile califfo Harun al-Rashid che si abbandona a tutti i travestimenti del mondo, il continuo camuffarsi di una divinità che ama la beffa, il paradosso, le corrispondenze, le occulte simmetrie. In una lingua dalla ricca architettura, dove ogni parola sprigiona nella frase tutta la sua intensità latente, la Blixen tocca il sordido e il sublime con assoluta equanimità: il vascello fantasma della sua prosa vaga senza tregua nelle regioni più familiari e nelle più inaccessibili e le sue storie sembrano doversi tutte concatenare (come di fatto la Blixen progettava) in una sequenza vertiginosa dove tutto rimanda a tutto, tutto risuona con tutto.
Novalis: Amore e Morte nel Romanticismo Tedesco
"Ieri sera ho riflettuto a lungo sulla passione. Indubbiamente, la passione dell'amore supremo non trova mai quaggiù il suo compimento! [...]"
"Quando ero sulla tomba [della fidanzata] mi nacque l'idea che la mia morte avrebbe dato all'umanità un esempio di fedeltà eterna, e che in qualche modo avrebbe instaurata la possibilità di amare come io ho amato."
"Quando si fugge il dolore è segno che non si vuol più amare. Chi ama dovrà eternamente sentire il vuoto che lo circonda, e serbare la sua ferita aperta. Che Dio mi conservi questo dolore, che mi è indicibilmente caro..."
"Tutte le passioni finiscono come una tragedia, tutto ciò che è limitato finisce con la morte, ogni poesia ha qualcosa di tragico."
"Un'unione che sia conclusa anche per la morte è un matrimonio che ci dà una compagna per la Notte. è nella morte che l'amore è più dolce; per il vivo, la morte è una notte di nozze, un segreto di dolci misteri"
E negli "Inni alla Notte", in cui l'eroe tenebroso supplica che il mattino non rinasca più; e dovremmo citare tutte le opere di Tieck, che definiscono l'amore come una malattia del desiderio, un divino languore...
L'esaltazione della morte volontaria, amorosa e divinizzante: ecco il tema religioso più profondo di questa nuova eresia albigese che fu il Romanticismo tedesco.
La morte è il fine ideale degli "uomini iniziati" della Loge invisible di Jean Paul. In Novalis, essa si confonde con l'amore. Per Kleist essa fu il solo compimento possibile di una passione d'amore suprema alla quale il suo corpo si rifiutava.
Ma i poeti non sono i soli a tentare l'al di là notturno: Schubert specula sul Nachtseite, il lato notturno dell'esistenza. Fichte stesso dà la definizione dell'amore-impossibile-per essenza, il vero amore che rifiuta ogni oggetto per slanciarsi nell'infinito.
Nella realtà, le nostre passioni umane sono sempre legate a passioni contrarie, il nostro amore è sempre legato al nostro odio, e i nostri piaceri ai nostri dolori. E da ciò deriva l'ardore della passione; da ciò quella legge che vincola indissolubilmente il desiderio d'unione totale al desiderio della morte liberatrice. Proprio perché la passione non può esistere senza il dolore, essa ci rende desiderabile la nostra perdita. Ascoltiamo quello che scrive la monaca portoghese Marianna Alcoforado all'uomo che l'ha sedotta: "Vi ringrazio dal profondo del cuore della disperazione in cui mi avete gettata, e disprezzo la pace in cui vivevo prima di avervi conosciuto... Addio! Amatemi dunque sempre, fatemi soffrire dolori ancora peggiori!"
Verso la fine del secolo decimottavo un'altra donna dirà: "Vi amo come vi devo amare: nella disperazione" (Julie de Lespinasse)
Per un approfondimento su Novalis, vedi:
https://novalisinniallanotte.blogspot.com/
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