LUIS DE GòNGORA Y ARGOTE (1561- 1627)
"Molti colori, luci, ori godremo nella poesia funeraria. E Gòngora è un entusiasta del mondo materiale, e l'anima gli si concentra nei cinque sensi: inclinazione a quanto esercita una resistenza che bisogna gioiosamente superare. Il sonetto indirizzato alla "illustre e graziosissima Maria" riassume la morale del poeta "Goza, goza el color, la luz, el oro", oro, ossia luce trasformata in qualcosa di più palpabile, con un maggior numero di attributi di oggetto [...]
I sonetti funebri parlano assai poco della morte e del morto; in essi si innalzano il tumula o la tomba. Il dolore non è più che peso funerario, rito, e il verso stesso acquista una giovinezza monumentale, rivaleggiando in saldezza con il sepolcro [...] Parole colte, metafore, allusioni, simmetrie: tutto converge a interrompere la linea pura, l'espressione semplice, nascondendo sotto il disegno. Il risultato è per solito felice, e questo "linguaggio costruito come un oggetto enigmatico" è raggiunto: è creazione poetica."
"IN MORTE DI DUE GIOVANI SIGNORE, SORELLE, NATIVE DI CORDOVA" (1582)
Sopra due urne di molato cristallo
da vitrei piedistalli sostenute
piange due ninfe già prive di vita
il Betis, alle sue umide dimore,
tanto da lui per lor bellezza amate,
che, mentre le altre ninfe addolorate
così precoce morte piangono,
egli, spargendo stanche lacrime:
"Anime - dice - il vostro santo volo
penso seguir fino a quei sacri nidi
ove senza contrasto il ben si gode;
che la vostra beltà e il mio gran pianto
otterrà che il cielo ci tramuti
voi in Gemelli ed io in Acquario.
"IN MORTE DI UNA SIGNORA CHE SI SPENSE GIOVANE IN CORDOVA" (1583)
Scosceso monte, nel cui vasto seno
dure cortecce di robuste piante
portano inciso il nome in parti tante
di chi sta alla terra dié quel ch'è terreno
[...]
Restino fra le tue piante; ricordino
l'immatura fine, e la sua memoria triste,
poi che in tronco sta, l'abbiano i tronchi.
"IN MORTE DI DONNA GUIOMAR DE SA, MOGLIE DI GIOVAN FERNàNDEZ DE ESPINOSA" (1610)
Pallida restituisce al suo elemento
il purpureo splendore di casta rosa
che in pianta, dolce un dì, benché spinosa,
gloria del sole, lusinga fu del vento.
[...]
Già in nuovi campi oggi è tra quei fiori
che un'altra e migliore Aurora accende
di cui le stelle sono caduca brina.
"A DON ANTONIO DA LAS INFANTAS PER LA MORTE DI UNA SIGNORA CON LA QUALE AVEVA CONCERTATO DI SPOSARSI IN SEGURA DELLA SERRA" (1612)
Cinta se non anche stupita la fronte
d'uno ed altro verde oscuro ramo,
agli abeti lasciando di Segura
l'urna lacrimata, con dolente voce
piange il Betis non lungi dalla fonte
in poca terra già molta bellezza
teneri raggi dentro pietra dura
d'un Sol caduto prima di spuntare.
Come triste nel porfido si mira
casta Venere piangere sua quarta Grazia
se lacrime le perle son che sparge!
Oh! Antonio, o del musico di Tracia
prudente imitator! Tua dolce lira
i privilegi rompa oggi alla morte.
"ISCRIZIONE PER IL SEPOLCRO DI DOMENICO GRECO" (1615)
[...]
Tanta urna, inutilmente dura,
lacrime beva e quanti trasuda odori
funebre scorza d'albero sabeo.
"SUL CATAFALCO PER LE ESEQUIE DEL RE DON FILIPPO III (1621)
Questo funebre trono sì lucente
che nonostante i suoi molti splendori
fragrante lutto copre con la densa
nube d'aromi che stillò d'Oriente
[...]
"IN MORTE DI DON RODRIGO CALDERòN" (1621)
Chiude il tronco sanguinoso non l'opprime,
di quel felicemente sventurato
che dalla incostanza del suo fato
quest'ardesia appena qui redime;
comunque pietà non la sublime
urna che il castigo gli ha negato,
specchio gli erige in bronzo figurato
che invano il tempo la memoria lima.
[...]
"IN MORTE DI UNA DAMA PORTOGHESE IN SANTARéN" (1621)
[...]
e lacrimando affida il suo dolore
alle cortecce che l'ontano veste,
ai sapienti sospiri del suo flauto
"OTTAVA FUNEBRE SUL SEPOLCRO DELLA REGINA DONNA MARGHERITA" (1611)
In questa che ammirate, di pesanti pietre
opera non egizia ma fiammante guglia,
unguenti oggi privilegiano soavi
la morta umanità di Margherita;
se di quanti la pompa degli uccelli
il funebre suo legno richiama,
ve n'è che tale aroma stilla, invano
resistendo al verme i tronchi suoi.
"IN MORTE DI TRE FIGLIE DEL DUCA DI FERIA" (1615)
Tre viole del cielo,
tre di quei fiori ora caduche stelle
che la morte imperlò del suo gelo,
fragrante marmo richiuda,
se di un'alba eterna
non già cingessero la chioma.
"SOLITUDINE PRIMA"
Nautica industria scoprì tale pietra,
che, come abbraccia l'edera lo scoglio,
essa il metallo fulminante abbraccia
di cui Marte si veste, e, lusinghiera,
il diamante irretisce che più brilla
nella notturna cappa della sfera,
la stella al nostro polo più vicina,
e con virtù non scarsa,
se distante l'alletta,
se innalza l'inclina,
ora alla loggia rosea dell'Aurora
bella, ora verso quella che suggella,
fredda cerulea tomba,
le ceneri del giorno.
"SOLITUDINE SECONDA" (1614)
Non aria modulata sono
ma dolenti lacrime soavi
questi miei gravi lamenti,
voci del sangue, sangue dell'anima.
Le affidi alla tua calma
o mar, chi già alla tua fortuna
le confidò più che al suo fato.
[...]
"LA CLESSIDRA"
Che vale, tempo tiranno,
la ristretta prigione
che di vetro ti costruimmo
per tenerti in mano
se trattenerti è vano.
JUAN DE TARSIS Y PERALTA "Silenzio, nel tuo sepolcro depongo"
Silenzio, nel tuo sepolcro depongo
roca voce, penna cieca, triste mano
al fin che il mio dolore
non canti invano
al vento dato e nell'arena scritto.
Tomba e morte d'oblio vo chiedendo,
benchè d'avvisi più che di anni bianco,
non altro che a ragion oggi m'arrendo
ed al tempo darò quanto mi tolgo.
Limiterò speranze e desideri e nell'orbe
di un chiaro disinganno
margini porrò brevi alla mia vita
alfin che non mi vincano gli agguati
di chi pretende procurar mio danno
e originò sì provvida partita.