''La cuccetta superiore'' di Francis Marion Crawford

Qualcuno chiese i sigari. Avevamo chiacchierato a lungo, e la conversazione cominciava a languire; il fumo del tabacco aveva impregnato i pesanti tendaggi, il vino era arrivato fino al cervello, intorpidendolo, ed era chiaro ormai che, se qualcuno non avesse fatto qualcosa per sollevare i nostri spiriti depressi, la riunione sarebbe giunta presto al suo epilogo naturale, e noi - gli ospiti - saremmo tornati a casa in fretta per andare a letto, con ottime probabilità di piombare in un sonno profondo.
Nessuno aveva detto cose notevoli, forse perché nessuno aveva cose notevoli da dire. Jones ci aveva raccontato in tutti i più piccoli particolari la sua ultima avventura di caccia nello Yorkshire. Il signor Tompkins, di Boston, ci aveva spiegato a lungo e dettagliatamente i principi in base ai quali la Atchinson, Topeka e Santa Fè Railroad, non solo estendeva il suo territorio, allargava la sua influenza e trasportava bestiame senza farlo morire di fame prima del giorno della consegna vera e propria, ma era riuscita anche per anni a ingannare quei passeggeri che acquistavano i biglietti nella fallace convinzione che la suddetta Compagnia fosse realmente in grado di trasportare vite umane senza distruggerle. Il signor Tombola aveva cercato di persuaderci con argomenti che non c'eravamo presi la briga di demolire, che l'unità del suo paese non assomigliava affatto al tipo corrente di siluro moderno, progettato con la massima cura, costruito con innegabile abilità dai più grandi arsenali europei, ma, una volta costruito, destinato ad essere guidato da mani inette in una regione dove, senza che nessuno lo vedesse, lo udisse o se ne spaventasse, sarebbe al di là di ogni dubbio, esploso nelle sconfinate distese del caos politico.
Non reputo necessario fornire ulteriori particolari. La conversazione aveva assunto proporzioni che avrebbero annoiato Prometeo incatenato alla sua roccia, che sarebbero state sufficienti a distrarre Tantalo, e che avrebbero respinto Issione a cercare riposo nel semplice ma istruttivo dialogo di Herr Ollendorf piuttosto che sottomettersi al ben più grave pericolo di ascoltare i nostri discorsi. Eravamo seduti a tavoli da ore; eravamo annoiati, stanchi, e nessuno accennava a muoversi.
Qualcuno domandò dei sigari. Istintivamente ci voltammo tutti verso colui che aveva parlato. Brisbane era un uomo sui trentacinque anni, notevole per quelle doti che soprattutto attraggono l'attenzione. Era un tipo robusto. Le proporzioni della sua figura non denotavano nulla di insolito all'occhio comune, anche se la sua statura era superiore alla media. Era alto più di un metro e ottantacinque e piuttosto largo di spalle; non appariva grasso, ma, d'altra parte nemmeno lo si sarebbe potuto dire magro; la testa, piccola, era appoggiata su un collo forte e muscoloso; le mani, grandi ed energiche, sembravano dotate della particolare abilità di rompere le noci senza l'ausilio di un comune schiaccianoci e, guardandolo di profilo, non si poteva fare a meno di notare la straordinaria ampiezza delle sue maniche e l'insolita misura del suo petto. Era uno di quei tipi che, come si suol dire, ingannano, vale a dire che, per quanto apparisse forte, era in realtà ancora più forte di quanto apparisse. Non credo opportuno dilungarmi sui suoi lineamenti: testa piccola, capelli sottili, naso lungo, due baffi appena accennati e la mascella quadrata. Tutti conoscevano Brisbane e, quando chiese un sigaro, tutti lo guardarono.
"è una questione molto singolare", disse Brisbane.
Tutti smisero di parlare. La voce di Brisbane non era alta, ma aveva la caratteristica di insinuarsi nella conversazione generale e di tagliarla come un coltello. Tutti si fecero attenti. Quando si accorse di essere riuscito ad accaparrarsi l'interesse generale, Brisbane accese il sigaro con tutta tranquillità.
"è una questione molto singolare quella dei fantasmi", continuò. "Tutti chiedono sempre se qualcuno ha visto un fantasma. Ebbene, io l'ho visto."
"Chi? Voi? Che cosa volete dire, Brisbane? Via, un uomo della vostra intelligenza..."
Un coro di esclamazioni accolse la straordinaria affermazione di Brisbane. Tutti chiesero sigari, e Stub, il maggiordomo, si materializzò improvvisamente da chissà dove con una nuova bottiglia di champagne secco. La situazione era salva; Brisbane stava per narrarci qualcosa.

"Sono un vecchio marinaio", disse Brisbane, "e devo traversare l'Atlantico abbastanza spesso. Come è logico, ho le mie preferenze. Quasi tutti gli uomini hanno le loro preferenze. Ho visto un tale aspettare in un bar di Broadway per tre quarti d'ora una certa vettura pubblica che gli riusciva particolarmente gradita. Credo che dalle preferenze di costui il proprietario del bar derivasse almeno un terzo del suo reddito.
Ho l'abitudine di aspettare certe determinate navi quando sono obbligato ad attraversare l'oceano. Forse sarà un pregiudizio, ma in vita mia ho sempre avuto buone traversate, con un'unica eccezione. La ricordo benissimo: era una tiepida mattina di giugno, e gli ufficiali di dogana, in attesa di un transatlantico che già stava risalendo da Quarantine, avevano un'aria indaffarata e pensierosa. Il mio bagaglio non era granché; non mi porto mai appresso molto.
Mi unii alla folla dei passeggeri, dei facchini e di quegli ossequiosi individui in giacca azzurra e bottoni di ottoni che sembrano spuntare come funghi dal ponte di una nave all'ancora per offrire i loro non richiesti servigi ai passeggeri dotati di spirito di indipendenza. Ho notato spesso con un certo interesse l'evoluzione spontanea di questi signori. Non ci sono quando arrivate; cinque minuti dopo che il pilota ha gridato "Avanti!" essi, o almeno le loro giacche azzurre e i loro bottoni di ottone, sono scomparsi dai ponti e dalle passerelle nella maniera più assoluta, quasi fossero stati tutti quanti chiusi in quello stanzino che la tradizione attribuisce unanimemente a Davy Jones. Ma, al momento della partenza, eccoli, rasati di fresco, con tanto di giacca azzurra, smaniosi di intascarsi una mancia.
Mi affrettai a salire a bordo. Il Kamtschatka era una delle mie navi preferite. Dico era perché ci tengo a sottolineare che ora non lo è più. Non posso infatti immaginare allettamento in grado di convincermi a fare un altro viaggio su quella nave. Sì, so che cosa volete dire. è pulitissima, ha un tonnellaggio tale da assicurare la stabilità e le cuccette inferiori sono per la maggior parte doppie. Presenta un mucchio di vantaggi, ma io non farò più traversate con essa.
Scusate la disgressione. Salii a bordo, dunque, e subito venni avvicinato da uno steward, il cui naso rosso e i cui baffi ancora più rossi mi erano ugualmente familiari.
"Centocinque, cuccetta inferiore", dissi, con il tono disinvolto, caratteristico di chi considera una traversata dall'Atlantico una faccenda normale come quella di prendere un cocktail da Delmonico, in centro.
Lo steward prese la mia valigia, il mio cappotto e il mio plaid. Non dimenticherò mai l'espressione del suo viso. Non che si facesse pallido. I più celebri maghi sostengono che neppure i miracoli possono mutare il corso della natura. Non esito a dire che non diventò pallido, ma, dalla sua espressione, pensai che fosse sul punto di piangere, o di starnutire, o di lasciare cadere la mia valigia. Dato che quest'ultima conteneva due bottiglie particolarmente pregiate di sherry che mi erano state offerte in omaggio per il viaggio dal mio vecchio amico Snigginson van Pickyns, mi sentivo estremamente nervoso. Ma lo steward non fece nulla di quanto temevo.
"Bene, che sia dannato!", disse a bassa voce, e mi precedette.
Pensai che il mio Mercurio, quello che mi stava guidando verso la zona degli Inferi, avesse bevuto un po' troppo grog, ma non dissi nulla e lo seguii. La centocinque era sulla sinistra della nave, verso poppa. Non c'era nulla di insolito nella cabina. La cuccetta inferiore, come quasi tutte quelle del Kamtschatka, era doppia. C'era molto spazio; il lavabo, di forma insolita, sembrava fatto apposta per dare l'idea del lusso a un indiano del Nord America; c'erano le solite, inutili mensole di legno scuro che potranno magari servire ad attaccare un ombrello ma che non sono assolutamente in grado di reggere un comune spazzolino da denti. Sul poco invitante materasso era ripiegate quelle coperte che un grande umorista moderno ha giustamente paragonato a pasticcini di carne fredda.
La questione degli asciugamani era affidata in tutto e per tutto all'immaginazione. Le brocche di vetro erano piene di un liquido trasparente lievemente venato di scuro, dal quale però giungeva alle narici, meno lieve e niente affatto piacevole, qualcosa che ricordava lontanamente l'olio di macchina. Tendaggi di colore cupo nascondevano per metà la cuccetta superiore. La vaga luce di giugno diffondeva un chiarore incerto su quella piccola scena di desolazione. Uh! Come odiavo quella cabina.
Lo steward depositò i miei bagagli e mi guardò come se volesse fuggire, probabilmente in cerca di altri passeggeri e di altre mance. è sempre buona politica quella di accattivarsi la simpatia di simili personaggi, e io, di conseguenza, non esitai a fargli scivolare in mano alcune monete.
"Farò del mio meglio perché possiate trovarvi comodo", osservò, mentre metteva in tasca le monete. Ma nella sua voce c'era un tono di dubbio che mi sorprese. Forse la tariffa delle sue mance era cresciuta e non si sentiva soddisfatto; ma, tutto sommato, ero incline a pensare che, come si sarebbe probabilmente espresso lui, aveva bevuto "un goccio di troppo". Ma mi sbagliavo, e devo riconoscere che gli facevo torto.

Durante quel giorno non accadde nulla che fosse particolarmente degno di nota. Lasciammo il molo all'ora stabilita, ed era piacevole trovarsi in viaggio, perché il tempo era diventato caldo e soffocante e il movimento della nave provocava una brezza deliziosa. Tutti sanno com'è il primo giorno di mare. Si passeggia sui ponti, ci si guarda a vicenda e ogni tanto si incrocia qualche vecchia conoscenza di cui si ignorava la presenza a bordo.
Non si sa ancora se quanto verrà servito a tavola sarà buono, cattivo o indifferente, ma dopo i primi due pasti questo interrogativo è risolto; non si può prevedere che tempo farà fino a quando la nave non è arrivata bene al largo della Fire Island. I tavoli sono affollati, ma poi, improvvisamente, ci si trova in pochi. Gente dal viso pallidissimo schizza su dalla sua sedia e si precipita verso la porta, e ogni vecchio marinaio respira più liberamente quando il vicino indisposto si allontana precipitosamente del suo fianco, lasciandogli maggior spazio per i gomiti e il dominio incontrastato del barattolo della mostarda.
Tutte le traversate dell'Atlantico si assomigliano, più o meno, e noi che battiamo spesso questa rotta non facciamo certo il viaggio per provare qualche sensazione nuova. Balene e iceberg sono sempre oggetto di interesse, ma, in ultima analisi, una balena è molto simile a un'altra balena, ed è raro il caso che si riesca a vedere da vicino un iceberg.
Per la stragrande maggioranza di noi il momento più delizioso della giornata a bordo di un transatlantico è quello in cui, dopo aver fatto l'ultimo giro del ponte, dopo aver fumato l'ultimo sigaro, e dopo essere riusciti a stancarci, ci sentiamo autorizzati a ritirarci in tutta tranquillità.
La prima sera di quel viaggio mi sentivo particolarmente pigro, e andai a letto nella centocinque più presto di quanto non sia mia abitudine. Entrando, notai con stupore di avere un compagno. In un angolo c'era una valigia, molto simile alla mia, e sulla cuccetta superiore si vedevano una coperta di viaggio accuratamente ripiegata, un ombrello e un bastone.
Avevo sperato di essere solo, e mi sentii deluso; ma mi chiesi chi mai poteva essere il mio compagno di cabina e decisi di dargli almeno un'occhiata.
Mi ero appena coricato quando arrivò. Era, per quanto potevo vedere, un uomo molto alto, pallido e magro, dai capelli e dai baffi brizzolati, e dagli occhi di un grigio scialbo. Ebbi la precisa
impressione che avesse qualcosa di ambiguo: era, insomma, il tipo di individuo che si vede a Wall Street senza essere in grado di dire con precisione che cosa faccia lì, il tipo di individuo che frequenta sempre il Café Anglais, che sembra sempre solo e che beve champagne; lo si può incontrare sui campi di corse, ma neppure lì si capisce bene che cosa faccia. Un'eleganza un po' troppo vistosa, un po' troppo eccentrica. A bordo di ogni transatlantico oceanico si incontrano tre o quattro persone di questo tipo.
Giunsi alla conclusione che non mi interessava fare la sua conoscenza, e decisi di dormire dicendomi che avrei studiato attentamente le sue abitudini per essere in grado di evitarlo. Se si fosse alzato presto, io mi sarei alzato tardi; se si fosse coricato tardi, io mi sarei coricato presto. Non avevo desiderio alcuno di far conoscenza. I tipi del genere, conosciuti una volta, sono tutti uguali. Poveretto! Era inutile che mi preoccupassi tanto per ciò che lo riguardava perché, dopo quella prima notte nella cabina centocinque, non ebbi più occasione di vederlo.
Stavo dormendo profondamente, quando fui d'un tratto svegliato da un rumore molto forte. A giudicare dal rimbombo, il mio compagno di cabina doveva essere caduto dalla cuccetta superiore sul pavimento. Udii che si stava dando da fare con la serratura e il catenaccio della porta, che riuscì ad aprire quasi subito, poi avvertii il suo scalpiccio nel corridoio, come se corresse al limite delle sue possibilità; si era lasciato la porta aperta alle spalle. La nave stava rollando un poco, e mi aspettavo di sentirlo inciampare o cadere, ma quello correva come se fosse in gioco la sua stessa vita.
Il battente cigolava sui cardini, seguendo il movimento dello scafo, e quel rumore mi dava maledettamente sui nervi. Mi alzai per chiudere, poi tornai, con andatura ondeggiante, alla mia cuccetta, nelle tenebre. Subito piombai di nuovo nel sonno, ma non ho neppure la più lontana idea del tempo che dormii.
Quando mi risvegliai faceva ancora buio, ma avvertii una spiacevole sensazione di freddo e mi sembrava che l'aria fosse umida. Conoscete anche voi il sentore caratteristico di una cabina che è stata impregnata di acqua di mare. Mi coprii come meglio potevo e mi appisolai subito, mentre preparavo  le lamentele che avrei dovuto esporre l'indomani e sceglievo gli epiteti più efficaci della nostra lingua.
Udii il mio compagno di cabina che si voltava e si rivoltava nella cuccetta superiore. Probabilmente era tornato mentre dormivo. A un certo momento mi parve di sentirlo gemere, e giunsi alla conclusione che doveva soffrire di mal di mare. è questo un particolare molto spiacevole, quando ci si trova a dormire nella cuccetta inferiore. Ma, ciò nonostante, mi appisolai di nuovo e dormii fino alle prime luci dell'alba.
La nave stava rollando forte, più della sera precedente, e la luce grigia che filtrava dal portello cambiava di intensità ad ogni momento, a seconda del mutevole angolo di inclinazione che il beccheggio faceva assumere al vetro. Faceva molto freddo, un freddo assurdo, se si pensava che si era nel mese di giugno. Girai la testa, guardai il portello e vidi, con profonda sorpresa, che era aperto e rovesciato verso il basso. Imprecai ad alta voce, credo, poi mi alzai per chiuderlo.
Tornando, diedi un'occhiata alla cuccetta superiore. I tendaggi apparivano perfettamente chiusi; con ogni probabilità, il mio compagno di cabina aveva sentito freddo, come me. Avevo la precisa impressione di aver dormito più che a sufficienza. La cabina era quanto mai scomoda, anche se, strano a dirsi, non avvertivo più l'umidità che tanto mi aveva infastidito nel corso della notte. Il mio compagno dormiva ancora profondamente, il che rappresentava un eccellente occasione per evitarlo; di conseguenza mi vestii subito e salii sul ponte.
La giornata era tiepida e nuvolosa, e sulla distesa delle acque gravava un pesante sentore oleoso. Erano le sette quando uscii dalla cabina... molto più tardi di quanto avessi immaginato. Incontrai il medico di bordo, che già si era alzato per respirare una prima boccata d'aria del mattino. Era un giovane dell'Irlanda occidentale, un tipo robusto, dagli occhi azzurri e dai capelli neri che già mostrava un accento di pinguedine; aveva un'espressione sana e allegra che lo faceva apparire simpatico a prima vista.
"Una splendida mattina!", osservai, per attaccare discorso.
"Bene", rispose guardandomi con un improvviso interesse, "è una bella mattina e non è una bella mattina. Se proprio vi va di conoscere il mio parere, non è un granché."
"è vero, no, non è precisamente una bella mattina", ammisi.
"è quello che chiamerei un tempo variabile", precisò il medico.
"Ho avuto l'impressione che facesse molto freddo stanotte", osservai. "Ma quando mi sono guardato intorno, mi sono accorto che il portello era spalancato. Non me n'ero accorto quando mi ero coricato. E la cabina era, per di più, umida."
"Umida?", fece. "Dove vi hanno messo?"
"Alla centocinque."
Con mia grande sorpresa, il medico sussultò in maniera più che visibile e mi guardò fissamente.
"Che c'è?", domandai.
"Oh, niente", mi rispose. "Solo che nel corso degli ultimi tre viaggi, tutti si sono lamentati di quella cabina."
"Me ne lamenterò anch'io. Per prima cosa, non è aerata come si deve. è una vera vergogna."
"Credo che le vostre proteste saranno inutili", rispose il medico. "Sono convinto che c'è qualcosa... bene, non sta certo a me impaurire i passeggeri."
"Non dovete temere di spaventarmi", replicai. "Posso sopportare tutta l'umidità di questo mondo. Se mi buscherò un brutto raffreddore, mi rivolgerò a voi."
Offrii un sigaro al mio interlocutore, che lo accettò e lo esaminò con aria molto critica.
"Non si tratta precisamente di umidità", osservò. "Ma credo che riuscirete a cavarvela benissimo. Avete un compagno di cabina?"
"Sì, un tipo curioso, che esce nel cuore della notte e lascia la porta aperta."
Ancora una volta il medico mi guardò con un'espressione strana.
Poi accese il sigaro, e il suo volto assunse un'espressione grave.
"è tornato?", chiese dopo qualche istante.
"Sì. Dormivo, ma mi sono svegliato e ho sentito che si muoveva. Poi ho avvertito una sensazione di freddo e mi sono addormentato di nuovo. Questa mattina ho trovato il portello aperto."
"Sentite", disse il Dottore, adagio, "non è che questa nave mi interessi più di tanto. La sua reputazione non mi riguarda. Ma adesso vi dirò che cosa farò. Ho a mia disposizione una cabina molto spaziosa. La dividerò con voi, anche se è la prima volta che vi incontro."
Una proposta del genere mi sorprese moltissimo. Non riuscivo a immaginare come mai dimostrasse un così improvviso interesse per il mio benessere. Ma, quando aveva parlato dalla nave, la sua voce aveva assunto un tono curioso.
"Siete davvero molto gentile, dottore", dissi. "Ma in tutta sincerità, credo che la cabina possa essere aerata o ripulita, o qualcosa di simile. Perché la nave non vi interessa?"
"Nella nostra professione non siamo superstiziosi, signore", mi rispose, "ma in genere il mare ha la caratteristica di rendere tale la gente. Non intendo far nascere pregiudizi in voi, e neppure intendo spaventarvi , ma, se volete accettare il mio consiglio, fareste meglio a trasferirvi nella mia cabina."
Poi, con la massima serietà, aggiunse: "Perché dovete tener presente che chi dorme nella centocinque, si tratti di voi o di un altro, finisce in mare."
"Mio Dio! e perché?", domandai.
"Per il semplice fatto che nel corso degli ultimi tre viaggi coloro che hanno dormito là sono finiti realmente in mare", rispose con tono grave.
La notizia era sbalorditiva e terribilmente spiacevole, lo ammetto. Guardai fissamente il medico per vedere se si stava prendendo gioco di me, ma la sua espressione era più seria che mai. Lo ringraziai calorosamente per la sua offerta, ma gli dissi che intendevo rappresentare l'eccezione alla regola in base alla quale chi dormiva in quella particolare cabina finiva in mare. Egli non insistette ma, sempre serissimo, mi fece intendere che, prima del termine della trasversata, avrei probabilmente avuto modo di riprendere in considerazione la sua proposta.
Quando scendemmo per la prima colazione, alla quale faceva onore solo un numero davvero esiguo di passeggeri, notai come un paio degli ufficiali che mangiavano con noi avessero un'aria turbata. Terminato di mangiare, scesi nella mia cabina a prendere un libro. Le tendine della cuccetta superiore erano ancora strettamente accostate. Il silenzio era assoluto. Con ogni probabilità il mio compagno di stanza stava ancora dormendo.
Uscendo, incontrai lo steward che aveva l'incarico di badare a servirmi. Mi bisbigliò che il Capitano desiderava vedermi, poi sgattaiolò via giù per il corridoio, come se fosse particolarmente ansioso di evitare domande da parte mia. Mi diressi verso la cabina del Capitano e lo trovai che mi aspettava.
"Signore", disse, "vorrei chiedervi un favore."
Risposi che ero dispostissimo a fargli cosa gradita.
"Il vostro compagno di cabina è scomparso. Risulta che si è ritirato presto ieri sera. Avete per caso notato qualcosa di strano nel suo atteggiamento?"
La domanda, che veniva a confermare nella maniera più esatta i timori che il medico mi aveva espresso non più tardi di mezz'ora prima, mi lasciò piuttosto scosso.
"Non vorrete dire che è finito in mare, vero?", chiesi.
"Temo proprio di sì", rispose il Capitano.
"è la cosa più straordinaria...", cominciai.
"Perché?", mi interruppe.
"In tal caso è il quarto, vero?"
In risposta a un'altra domanda del Capitano, spiegai, senza accennare al medico, che avevo saputo tutto ciò che riguardava la centocinque. Parve molto seccato quando seppe che ero già al corrente. Gli raccontai allora che cosa era accaduto nel corso della notte.
"Quanto mi dite corrisponde quasi esattamente a quello che mi è stato detto dai compagni di cabina di due degli altri tre. Sono saltati giù dalla cuccetta e si sono precipitati di corsa nel corridoio. Due di loro sono stati visti buttarsi in mare dagli uomini di guardia; ci siamo fermati e abbiamo calato le scialuppe, ma non siamo riusciti a trovarli. Ma nessuno ha visto o sentito colui che è andato perduto stanotte... ammesso che sia andato realmente perduto. Lo steward, che forse è un tipo superstizioso, e che si aspettava che qualcosa non andasse per il suo giusto verso, è andato a dargli un'occhiata stamane e ha trovato la cuccetta vuota, ma c'erano invece gli abiti, proprio come lui li aveva lasciati. Lo steward era il solo a bordo che lo conoscesse di vista, e lo ha cercato dappertutto. è scomparso! Ora, signore, vorrei pregarvi di non far cenno di questa circostanza agli altri passeggeri: non voglio che la nave si faccia una cattiva fama, e per un transatlantico non c'è nulla di peggio di una tradizione di suicidi. Potrete scegliervi fra le cabine degli ufficiali, la mia compresa, quella che preferite, per tutto il resto della traversata. La proposta vi sembra equa?"
"Certo", risposi, "e ve ne sono grato. Ma dato che sono solo e ho l'intera cabina a mia disposizione, preferirei non muovermi. Se lo steward porterà via le cose di quel disgraziato, vorrei rimanere dove sono. Non dirò una sola parola su questa faccenda, e credo di potervi promettere che non seguirò il mio compagno di stanza."
Il capitano fece del suo meglio per farmi cambiare idea, ma io
preferivo di gran lunga avere una cabina da solo piuttosto che trovarmi sistemato con un qualsiasi ufficiale di bordo. Non so se mi sono comportato da sciocco, ma se avessi seguito il suo consiglio, ora non avrei altro da raccontare. Sarebbe rimasta la spiacevole coincidenza di diversi suicidi che si erano verificati tra coloro che avevano dormito nella stessa cabina, ma questo sarebbe stato tutto.
Invece la storia non finì lì, no di certo. Ostinato come sono per natura, decisi di non lasciarmi turbare da racconti del genere, anzi, arrivai al punto di discutere la questione con il capitano. C'era qualcosa che non andava in quella cabina, dissi. In primo luogo, era umida. La notte precedente, il portello era stato lasciato aperto. Forse il mio compagno di stanza era già ammalato quando era salito a bordo, o forse, dopo essersi coricato, era stato colto da una crisi di delirio. Era possibile che si nascondesse da quache parte e che più tardi si riuscisse a trovarlo. Era necessario aerare la stanza e aggiustare il fermo del portello. Se il Capitano mi autorizzava, avrei provveduto io a fare in modo che quanto giudicavo necessario venisse fatto immediatamente.
"Avete naturalmente il diritto di rimanere dove preferite", mi rispose, piuttosto irritato; "ma, per ciò che mi riguarda, sarei più soddisfatto se sloggiaste e mi lasciaste chiudere quella cabina, in modo da mettere termine a questa lugubre storia."
Ma i nostri punti di vista non coincidevano, e lasciai il Capitano dopo avergli promesso il più assoluto silenzio circa la comparsa del mio compagno. Quest'ultimo non aveva conoscenze a bordo, e nel corso della giornata nessuno si accorse della sua mancanza. Verso sera, incontrai di nuovo il Dottore, il quale mi chiese se avevo cambiato parere. Gli risposi di no.
"Allora lo cambierete prima che non sia passato molto tempo", disse, con tono quanto mai grave.
Giocammo a whist quella sera, e mi coricai tardi. Confesserò ora che provai una sensazione niente affatto piacevole quando entrai nella mia cabina. Non potevo fare a meno di pensare all'uomo alto che avevo intravisto la sera precedente e che ora era morto annegato, e veniva sballottato qua e là dalle onde, due o trecento miglia alle nostre spalle. Il suo viso mi si stagliò chiaramente davanti mentre mi spogliavo, e arrivai fino al punto di scostare le tendine della cuccetta superiore, quasi a persuadermi che era realmente scomparso.
Avevo chiuso a chiave la porta della cabina. Improvvisamente notai che il portello era aperto e affrancato verso il basso. Era una cosa, questa, che non potevo sopportare. Mi infilai in fretta e furia la vestaglia ed andai a cercare Robert, lo steward del mio corridoio. Ero furibondo, lo ricordo e, quando lo trovai, lo trascinai piuttosto rudemente fino alla soglia della centocinque e lo spinsi verso il portello aperto.
"Si può sapere perché diavolo lasciate aperto il portello tutte le sere, briccone che non siete altro? Non sapete che una cosa del genere è contraria ai regolamenti? Non sapete che se la nave si inclina e l'acqua comincia ad entrare, nemmeno dieci uomini riuscirebbero più a chiuderlo? Denuncerò al Capitano che voi mettete a repentaglio la nave, delinquente!"
Ero letteralmente fuori di me. L'uomo si fece pallidissimo, tremante, poi cominciò a chiudere la spessa lastra di vetro tondo dalla pesante intelaiatura di ottone.
"Perché non mi rispondete?", chiesi rudemente.
"Se permettete, signore, nessuno a bordo riesce a tenere chiuso di notte questo portello. Potete provarci voi. Io non intendo restare più a bordo di questa nave, no certo, signore. Ma, se fossi al vostro posto, me la batterei subito e andrei a dormire con il Dottore, questo farei. Guardate, signore, vi pare o no che sia chiuso come si deve? Provate a vedere se riuscite a muoverlo di un solo millimetro."
Afferrai energicamente il portello e dovetti riconoscere che era saldo come una rupe.
"Bene, signore", continuò Robert, trionfante, "scommetto la mia reputazione di steward di prima categoria, che entro mezz'ora sarà di nuovo aperto; e assicurato in basso, per di più signore, questo è lo strano... assicurato in basso."
Esaminai la grande vite e il dado a gancio che la completava.
"Se si apre stanotte, Robert, vi darò una sovrana. Non è possibile! Potete andare."
"Una sovrana avete detto? Molto bene, signore. Grazie, signore. Buona notte, signore. Un tranquillo riposo, signore, e sogni dorati di ogni genere."
Robert sgattaiolò via, lieto di essere stato congedato. Naturalmente, pensavo che cercasse di giustificare la propria negligenza con una qualsiasi storia sciocca, che intendesse spaventarmi, e non credevo a una sola parola di quanto aveva detto. La conseguenza fu che egli si intascò la sua sovrana e io passai una notte particolarmente spiacevole.
Andai a letto, e mi ero avvolto nelle coperte da meno di cinque minuti, quando l'inesorabile Robert spense la luce che ardeva ferma dietro la lastra di vetro vicino alla porta. Giacqui immobile nelle tenebre, cercando di prendere sonno, ma in breve mi accorsi che la cosa mi riusciva impossibile.
La sfuriata con lo steward mi era servita da sfogo, ed era valsa anche a cancellare la spiacevole sensazione che avevo provato all'idea dell'annegato che era stato mio compagno di stanza; ma non avevo più sonno, e rimasi sveglio per diverso tempo, gettando ogni tanto un'occhiata al portello che potevo appena vedere dal punto dove stavo disteso e che al buio sembrava un sottopiatto vagamente luminoso sospeso nelle tenebre.
Credo di essere rimasto così per circa un'ora, e ricordo che mi stavo appisolando, quando fui scosso da una ventata d'aria fredda e dalla precisa sensazione di spruzzi di schiuma soffiati sulla mia faccia. Balzai in piedi e, non tenendo conto al buio del beccheggio della nave, fui subito catapultato attraverso la cabina sul divano collocato sotto il portello. Ma mi ripresi subito e mi misi in ginocchio. Il portello era ancora spalancato e affrancato verso il basso!
Ora, questi sono i fatti. Ero ben sveglio quando mi ero alzato, e poi, ammesso che fossi stato ancora mezzo addormentato, la caduta mi avrebbe certo risvegliato. Inoltre, mi ero ammaccato malamente i gomiti e le ginocchia, e le ammaccature erano lì il mattino seguente a testimoniare il fatto, nel caso ne avessi dubitato. Il portello era spalancato e affrancato verso il basso... una cosa tanto inspiegabile che, ricordo, quando lo notai, provai non tanto paura quanto stupore.
Tornai subito a chiuderlo, e assicurai con tutte le mie forze il dado a vite. Faceva molto scuro nella cabina. Pensai che il portello doveva essersi aperto nel giro di un'ora dal momento in cui Robert lo aveva chiuso, e decisi di sorvegliarlo, per vedere se si sarebbe aperto di nuovo. Le intelaiature di ottone sono molto pesanti e non è certo facile muoverle; difficile credere che tutta questa massa fosse stata rovesciata dalla semplice scossa di una vite. Rimasi ad osservare attraverso lo spesso cristallo le strisce alternate di mare bianche e grigie che spumeggiavano lungo i fianchi della nave. Devo essere restato immobile lì per un quarto d'ora circa.
Improvvisamente udii, nella più chiara delle maniere, qualcosa che si muoveva dietro di me in una delle cuccette, e un attimo dopo, mentre d'istinto mi voltavo a guardare - anche se, naturalmente, non potevo vedere nulla nelle tenebre - udii un debole gemito. Attraversai con un salto la cabina, scostai le tendine della cuccetta superiore allungai le mani avanti per accertarmi se c'era qualcuno lassù. Qualcuno c'era.
Ricordo che, mentre mettevo le mani avanti, la sensazione fu quella che avrei provato se le avessi immerse nell'aria di una cantina umida, e da dietro le tendine venne un soffio di vento che puzzava in maniera orribile di acqua marina stagnante. Afferrai qualcosa che aveva la forma di un braccio umano, ma era scivoloso, umido, e di un freddo gelido. Poi, improvvisamente, mentre davo uno strappo, la creatura si precipitò violentemente verso di me: era una massa gelatinosa, melmosa, mi parve, pesante e bagnata, eppure dotata di una forza sovrumana.
Retrocedetti barcollando attraverso la cabina, e dopo un istante la porta si aprì e la "cosa" corse fuori.
Non avevo avuto il tempo di spaventarmi e, ripresomi subito, mi slanciai anch'io oltre la porta e iniziai la caccia al massimo della mia velocità, ma era ormai troppo tardi. Potevo vederla una decina di metri davanti a me... sono sicura di averla vista... un'ombra scura che si muoveva nel corridoio scarsamente illuminato, rapida come la sagoma di un veloce cavallo proiettata davanti a un calesse dalla lanterna in una notte scura. Ma un attimo dopo era sparita, e io mi trovai a stringere il lucido corrimano della paratia, là dove il corridoio svoltava verso l'osteriggio. Avevo i capelli dritti in testa, e un sudore gelido mi colava giù per la faccia. Non mi vergogno affatto di dirlo: ero terribilmente spaventato.
Ma dubitavo ancora dei miei sensi, e mi scossi. Era assurdo, pensai. Certo non avevo digerito il formaggio gallese che avevo mangiato: avevo avuto un incubo. Raggiunsi di nuovo la cabina e vi entrai a prezzo di un certo qual sforzo. Tutta la stanza sapeva di acqua marina stagnante come quando mi ero svegliato la mattina precedente. Dovetti fare appello a tutte le mie forze per andare a cercare fra le cose mie una scatola di cerini.
Mentre accendevo una lanterna che porto sempre con me nel caso voglia leggere dopo che le luci sono state spente, mi accorsi che il portello era di nuovo aperto, e allora cominciò a impadronirsi di me una specie di raccappricciante orrore che non avevo mai provato e che non desidero mai più provare. Ma riuscii ad accendere la lanterna, e mi accinsi ad esaminare la cuccetta superiore, convinto di trovarla fradicia di acqua di mare.
Invece rimasi deluso. Qualcuno aveva dormito in quel letto e il puzzo di mare era forte, ma le coperte erano quanto di più asciutto si possa immaginare. Pensai che forse Robert non aveva avuto il coraggio di rifare il letto dopo l'incidente della notte precedente...che tutto era stato un brutto sogno. Scostai le tendine al massimo ed esaminai la cuccetta con la cura più scrupolosa. Era perfettamente asciutta. Ma il portello era di nuovo aperto.
In preda a una specie di intontito sbalordimento e di orrore, lo chiusi e lo avvitai, poi infilai il mio massiccio bastone sotto il gancio di ottone e lo spinsi con tutte le mie forze, fino a quando, sotto la pressione, lo stesso metallo prese a incurvarsi. Poi agganciai la lanterna al velluto rosso dello schienale del divano, e mi misi a sedere per ritrovare il mio equilibrio, se mi fosse riuscito. Rimasi seduto lì tutta la notte, incapace di pensare al riposo... incapace di pensare, semplicemente. Ma il portello rimase chiuso, e io credevo che ora non si sarebbe di nuovo aperto senza l'intervento di una forza considerevole.
Comparvero finalmente le prime luci del mattino, e mi vestii allora adagio, pensando a tutto quanto era accaduto nel corso della notte.
Era una bella giornata, e salii sul ponte, lieto di godermi i primissimi raggi del sole, e di avvertire il sentore della brezza che soffiava sulle acque azzurre, così diverso dal puzzo malefico, stagnante, della mia cabina. Istintivamente mi diressi a poppa, verso la cabina del medico. E lo trovai là, la pipa stretta fra i denti, a godersi il fresco del mattino, proprio come il giorno precedente.
"Buongiorno", disse tranquillamente, ma mi fissava con evidente curiosità.
"Dottore, avevate perfettamente ragione. C'è qualcosa che non va in quella stanza."
"Immaginavo che avreste cambiato parere", rispose, trionfante.
"Avete passato una brutta notte, eh? Devo farvi bere qualcosa di stimolante? Ho una ricetta che è veramente straordinaria."
"No, grazie", esclamai. "Ma vorrei raccontarvi che cosa è successo."
Cercai allora di riferire con la massima precisione e con la massima chiarezza possibili quanto era avvenuto, senza trascurare di confessare di aver provato la peggiore paura che avessi mai avuto in vita mia. Indugiai soprattutto sul fenomeno del portello, il che era un fatto che potevo dimostrare, ammesso che tutto il resto fosse stato un'illusione. Lo avevo chiuso due volte durante la notte, e la seconda volta avevo addirittura piegato l'ottone forzandovi sotto il mio bastone. Credo di aver insistito molto su questo punto.
"A quanto sembra, credete che io possa dubitare della storia", disse il medico, sorridendo al mio particolareggiato resoconto sullo stato del portello. "Non ne dubito affatto invece. Anzi, vi rinnovo il mio invito. Trasportate la vostra roba qui e prendetevi metà della mia cabina."
"Venite invece voi ad occupare metà della mia per una notte", replicai. "Aiutatemi ad arrivare in fondo a questa faccenda."
"Arriverete in fondo a qualcos'altro, se ci riproverete", rispose il medico.
"In fondo a che cosa?", domandai.
"In fondo al mare. Io sto per lasciare questa nave. Non mi va."
"Allora non volete aiutarmi a scoprire?..."
"Io no di certo", si affrettò a interrompermi il medico. "Il mio dovere è di tenermi bene in forma e aggiornato... non quello di andare a stuzzicare fantasmi o altre cose del genere."
"Credete davvero che sia un fantasma?", domandai, piuttosto sprezzante. Ma, mentre parlavo, ricordavo ancora benissimo l'orribile sensazione soprannaturale che si era impadronita di me durante la notte. Il medico mi guardò fissamente.
"Siete in grado di dare qualche ragionevole spiegazione di cose del genere?", chiese. "No, assolutamente. Bene, voi dite che finirete per trovare una spiegazione. Io dico che non la troverete, signore, per il semplice fatto che non c'è."
"Ma, mio caro Dottore", replicai, "siete proprio voi, un uomo di scienza, a dirmi che le cose del genere non possono essere spiegate?"
"Sì", rispose seccamente. "E, anche ammesso che fosse possibile, la loro spiegazione non mi riguarderebbe."
Non mi sorrideva l'idea di passare un'altra notte da solo nella cabina, ma ero fermamente deciso ad arrivare alla radice di quegli strani avvenimenti. Credo non siano molti gli uomini che avrebbero dormito là da soli, dopo aver passato due notti come quelle che avevo passato io. Ma ero risoluto a tentare, se non fossi riuscito a trovare qualcuno disposto a condividere la mia veglia. Il medico non aveva evidentemente inclinazione alcuna per un esperimento del genere. Disse che era un chirurgo e che, se si fosse verificato un incidente a bordo, lui doveva essere subito disponibile. Non poteva correre il rischio di farsi trovare con i nervi sconvolti. Forse aveva ragione, ma sono incline a pensare che tanta preoccupazione fosse dettata soprattutto dal fatto che non aveva nessuna voglia di restarmi accanto. A una mia precisa domanda, rispose che ben difficilmente a bordo avrei trovato qualcuno disposto a coadiuvarmi nelle mie ricerche, e allora, dopo un altro breve scambio di frasi, mi congedai da lui. Poco dopo incontrai il Capitano e gli narrai la mia storia. Dissi che, se nessuno accettava di passare la notte con me, avrei pregato di lasciare la luce accesa in continuità, e avrei tentato da solo.
"Sentite", mi rispose, "voglio dirvi che cosa intendo fare. Veglierò io con voi, e vedrò cosa succede. Sono convinto che, assieme, riusciremo a svelare il mistero. Può darsi che a bordo ci sia qualcuno il quale, per guadagnarsi un passaggio gratuito, spaventa i passeggeri. O magari è possibile che ci sia qualcosa di strano nell'attrezzatura di quella cuccetta."
Suggerii di ordinare al falegname di bordo di andare a dare un'occhiata all'incastellatura, ma non vi nascondo che l'offerta del Capitano di passare la notte con me mi riempì di gioia. Lui andò a chiamare il carpentiere e gli disse di fare ciò che avevo suggerito.
Scendemmo subito. Avevo fatto togliere tutte le coperte dalla cuccetta superiore, ed esaminammo il locale con la massima cura per vedere se c'era un'asse allentata o un pannello che poteva venire aperto o scostato. Saggiammo dappertutto la parete, battemmo il pavimento, svitammo le varie parti della cuccetta inferiore e le smontammo; in altre parole, non ci fu un solo centimetro quadrato della cabina che non venisse osservato e messo alla prova. Tutto era nel più perfetto ordine, e rimettemmo ogni cosa al suo posto. Stavamo terminando il nostro lavoro, quando Robert bussò e mise dentro la testa.
"Bene, trovato qualcosa, signore?", chiese, con un sorriso cupo.
"Avevate ragione per ciò che riguarda il portello, Robert", dissi, e gli diedi la sovrana che gli avevo promesso. Il carpentiere sbrigava le sue mansioni in silenzio e con innegabile abilità, seguendo le mie indicazioni. Solo quando ebbe terminato, parlò.
"Sono un uomo qualunque, signore", disse. "Ma secondo me, fareste meglio a raccogliere tutta la vostra roba e a permettermi di chiudere la porta di questa cabina con viti da dodici centimetri. Non c'è mai stato niente di buono qui, signore, e questo è quanto. Che io ricordi, quattro vite sono andate perduto qua dentro, e questo in quattro viaggi. Al vostro posto rinuncerei, signore... rinuncerei senz'altro."
"Voglio provare per una notte ancora", replicai.
"Io al vostro posto rinuncerei, signore, rinuncerei... è molto meglio. è un'impresa molto pericolosa", ripeté il manovale, e, riposti gli attrezzi nel sacco, uscì dalla cabina.
Ma l'idea di avere la compagnia del Capitano mi aveva ridato coraggio in misura considerevole, e decisi che nulla doveva dissuadermi dall'andare a fondo di quella strana faccenda. Quella sera rinunciai al formaggio gallese e al grog, e non partecipai neppure alla solita partita di whist. Volevo essere ben sicuro dei miei nervi, e la mia vanità mi rendeva ansioso di fare una bella figura agli occhi del Capitano.

Il Capitano era uno di quegli splendidi esemplari di marinai spericolati e allegroni che, grazie al loro coraggio, alla loro perspicacia e alla loro calma nelle situazioni difficili, finiscono per arrivare a posizioni di altissima responsabilità. Non era uomo da lasciarsi spaventare da una sciocca diceria, e il semplice fatto che fosse disposto a starmi accanto nelle mie ricerche stava a dimostrare, in tutta evidenza, come fosse convinto che ci fosse qualcosa che assolutamente non andava, qualcosa che né poteva essere spiegato con le teorie correnti né poteva venire irriso come una banale superstizione. In un certo senso c'erano in gioco anche la sua reputazione e la reputazione della nave. Non è una sciocchezza perdere passeggeri che finiscono in mare, e lui lo sapeva.
Verso le dieci di quella sera, mentre stavo fumando un ultimo sigaro, mi raggiunse e mi portò fuori dal flusso degli altri passeggeri che stavano passeggiando sul ponte nella tiepida notte.
"La questione è piuttosto seria, signor Brisbane", disse. "Dobbiamo essere pronti alle due eventualità: a quella di rimanere delusi, o a quella di affrontare momenti molto difficili. Capite benissimo che non posso permettermi di prendere la cosa sottogamba, e devo chiedervi di firmare una dichiarazione, qualunque cosa possa succedere. Se non succede niente stanotte, proveremo di nuovo domani e dopo domani ancora. Siete pronto?"
Scendemmo assieme ed entrammo nella cabina. Passando vidi Robert, lo steward, che si teneva in fondo al corridoio e ci guardava con il suo solito sorriso, quasi fosse sicuro che di lì a poco sarebbe successo qualcosa di spaventoso. Il Capitano chiuse la porta alle nostre spalle e diede un giro di chiave.
"Forse sarà bene che mettiate la vostra valigia davanti alla porta", mi suggerì. "Uno di noi due potrebbe sedercisi sopra. In questo modo niente potrà uscire. Il portello è assicurato con la vite?"
Lo trovai come lo avevo lasciato al mattino, anzi, sarebbe stato impossibile aprirlo senza fare ricorso ad un leva. Scostai le tendine della cuccetta superiore per essere in grado di sorvegliarla meglio. Su consiglio del Capitano, accesi la lanterna, e la piazzai in modo che il raggio cadesse sulle coperte bianche.
Insistette per essere lui a sedersi sulla valigia, affermando che desiderava poter giurare di essere rimasto seduto davanti alla porta.
Poi mi chiese di ispezionare la cabina, operazione questa che non richiese molto tempo, perché mi fu sufficiente guardare sotto la cuccetta inferiore e sotto il divano piazzato davanti al portello. Non c'era assolutamente niente.
"è impossibile che un qualsiasi essere umano entri qui o apra il portello", dissi.
"Molto bene", disse il Capitano, calmissimo. "Se adesso vediamo qualcosa, deve trattarsi o di immaginazione o di qualcosa di soprannaturale."
Mi misi a sedere sul bordo della cuccetta inferiore.
"La prima volta che è successo", disse il Capitano, accavallando le gambe e appoggiandosi con la schiena alla porta, "è stato in marzo. è risultato che il passeggero che dormiva qui, nella cuccetta superiore, era un pazzo... o almeno, era noto per essere un po' tocco, e aveva intrapreso la traversata senza nemmeno avvertire i suoi amici. Si è precipitato fuori nel cuore della notte e si è buttato in mare, prima che l'Ufficiale di Guardia riuscisse a bloccarlo. Ci siamo fermati e abbiamo calato in mare una scialuppa: era una notte di bonaccia, una di quelle notti che precedono le tempeste; ma non siamo riusciti a trovarlo. Naturalmente, più tardi, il suicidio è stato attribuito alla forma di pazzia che lo tormentava."
"è una cosa che capita abbastanza spesso, vero?", domandai, distrattamente.
"Non spesso, no", rispose il Capitano. "è la mia prima esperienza in materia, anche se ho saputo di casi simili avvenuti a bordo di altre navi. Bene, come stavo dicendo, è successo in marzo. Proprio nel viaggio seguente... Che cosa state guardando?", chiese, interrompendo bruscamente la sua storia.
Non gli risposi, credo. Avevo gli occhi come inchiodati al portello. Mi pareva che il dado di ottone stesse cominciando a girare molto lentamente sulla vite... tanto lentamente che non ero neppure sicuro che si muovesse. Lo sorvegliai con la massima attenzione, fissandomi bene in mente la sua posizione, e cercando di accertarmi se cambiava. Come si accorse di quello che stavo guardando, anche il Capitano guardò.
"Si muove!", esclamò, in tono convinto. "No, non si muove", aggiunse dopo un minuto.
"Se la vite fosse spanata", dissi, "il portello si sarebbe aperto durante il giorno; stasera invece l'ho trovato chiuso perfettamente, come l'avevo lasciato stamattina, tale e quale."
Mi alzai e provai il dado. Era allentato, certo, perché con un piccolo sforzo riuscii a girarlo con le mani.
"Lo strano è", disse il Capitano, "che il secondo uomo che è andato perduto dovrebbe essersi buttato proprio da quel portello. Abbiamo passato momenti difficili quella volta. Si era nel cuore della notte e il tempo era molto burrascoso; è stato trasmesso l'allarme che uno dei portelli era aperto e che la nave imbarcava acqua. Sono sceso e ho trovato inondato dappertutto. Siamo riusciti a chiudere, ma l'acqua aveva avuto il tempo di fare qualche altro danno. Da allora, ogni tanto la cabina puzza di acqua di mare. Siamo giunti alla conclusione che il passeggero doveva essersi buttato, anche se solo Dio sa come possa aver fatto. Lo steward continuava a ripetermi che non riusciva a tener chiuso niente qui. Parola mia, adesso riesco a sentire quella puzza! E voi?", domandò, annusando l'aria con espressione sospettosa.
"Sì, e molto bene", risposi, e fui scosso da un brivido mentre lo stesso odore di acqua marina stagnante si faceva più forte nella cabina. "Ora, per puzzare a questo modo, la cabina dev'essere fradicia", continuai; "eppure, quando l'hanno esaminata con la massima cura stamattina, assieme al carpentiere, era perfettamente asciutta. è la più straordinaria... Attenzione!"
La lanterna che era stata collocata sulla cuccetta superiore si era improvvisamente spenta. Filtrava ancora luce sufficiente dalla lastra di vetro vicina alla porta, dietro la quale si intravvedeva la lampada regolamentare. La nave rollava pesantemente e le tendine della cuccetta superiore ondeggiarono, sollevandosi fin quasi al centro della cabina, per poi tornare al loro posto. Mi alzai di scatto dal bordo del letto e, nello stesso istante, il Capitano balzò in piedi con un alto grido di sorpresa. Mi ero voltato con l'intenzione di prendere la lanterna per esaminarla quando udii la sua esclamazione e, subito dopo, il suo grido di aiuto. Mi precipitai verso di lui. Stava lottando con tutte le sue forze
con l'intelaiatura di ottone del portello. Ma sembrava che, malgrado i suoi sforzi, il portello gli piegasse indietro le mani. Afferrai allora il mio bastone, una pesante mazza di quercia che ho l'abitudine di portare sempre con me, lo infilai nell'anello e mi appoggiai sopra con ogni mia energia. Ma quel legno massiccio si spezzò bruscamente e io caddi sul divano. Quando mi sollevai, il portello era spalancato, e il Capitano stava in piedi, appoggiato alla porta, pallido come un morto.
"C'è qualcosa in quella cuccetta!", esclamò, con voce strana, gli occhi che quasi gli schizzavano dalla testa. "Sorvegliate la porta, mentre io guardo... Non ci sfuggirà, qualunque cosa sia!"
Ma, invece di prendere il suo posto, saltai sul letto inferiore e afferrai qualcosa che giaceva nella cuccetta superiore.
Era qualcosa di fantasmagorico, di indescrivibilmente orribile, e si agitava nella mia stretta. Era come il corpo di un uomo annegato da molto tempo, eppure si muoveva, e aveva la forza di dieci uomini vivi; ma io stringevo con tutte le mie energie... Quella cosa era scivolosa, viscida, orribile... i suoi bianchi occhi morti sembravano fissarmi nella penombra; aveva addosso l'odore putrido dell'acqua marina stagnante, e i lucidi capelli le ricadevano in strani riccioli fradici sul viso morto. Lottai con quella cosa putrida; si appoggiò a me e spinse indietro, e mancò poco mi rompesse le braccia; poi mi passò le sue braccia cadaveriche intorno al collo, quel morto vivente, e mi sopraffece, tanto che alla fine caddi con un gran grido e lasciai la presa.
Mentre cadevo, la cosa mi scavalcò e parve buttarsi sul Capitano. Quando lo vidi l'ultima volta in piedi, aveva il viso pallidissimo e le labbra rigide. Mi parve che allungasse un violento pugno a quell'essere morto, poi cadde anche lui in avanti, sulla faccia, con un inarticolato grido di orrore.
La cosa indugiò un istante, parve aleggiare sul suo corpo prostrato e, se avessi avuto ancora voce, avrei gridato in preda a un terrore allo stato puro. Poi l'essere svanì improvvisamente, e parve ai miei sensi turbati che fosse uscito dal portello aperto, anche se è inspiegabile come ciò fosse possibile, se si tengono presenti le ridotte misure di quell'apertura. Rimasi a lungo disteso sul pavimento, mentre il Capitano giaceva accanto a me. Alla fine riuscii a riprendermi, almeno in parte, e subito seppi di avere un braccio rotto... l'ossicino dell'avambraccio sinistro, vicino al polso.
Riuscii faticosamente a rimettermi in piedi e con la mano sana cercai di sollevare il Capitano. Egli gemette, si mosse e finì per riprendere i sensi. Non era ferito, ma sembrava terribilmente stordito.
Bene, che cosa volete sapere ancora? Non c'è altro. Qui termina la mia storia. Il carpentiere ebbe la soddisfazione di piantare una mezza dozzina di viti da dodici centimetri nella porta della centocinque; e se mai avrete occasione di viaggiare sul Kamtschatka, potete chiedere una cuccetta in quella cabina. Vi risponderanno che è già occupata sì... è occupata da quella cosa morta.
Terminai il viaggio nella cabina del medico. Mi curò il braccio rotto e mi consigliò di non "stuzzicare fantasmi e altre cose del genere", mai più. Il Capitano era molto taciturno, e non navigò più su quella nave, che è ancora in attività di servizio. Per ciò che mi riguarda, anch'io non metterò più piede su quella nave. è stata un'esperienza molto spiacevole, e ho provato una paura terribile, il che è una cosa che non mi piace affatto. Questo è tutto. Ecco come ho visto un fantasma... ammesso che fosse un fantasma. Ma era un morto, ad ogni modo.