I versi più belli di Giovanni Battista Marino

tratti da


Per un approfondimento alla Poesia del '600, vedi: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/09/poesia-barocca-del-seicento.html
Per un approfondimento su Preti e Fontanella, vedi: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/12/la-rosa-la-lucciola-e-la-perla-nella.html
Per un'analisi comparata tra Marino, Petrarca e Tarchetti, vedi: http://intervistemetal.blogspot.it/2017/12/i-capelli-femminili-nellestetica.html 
Per una poesia inedita di Giambattista Marino: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2022/06/giambattista-marino-una-poesia-inedita.html
Per le poetesse del Seicento: https://intervistemetal.blogspot.com/2021/01/le-poetesse-di-fine-cinquecento-e-del.html

Dall'Adone  

per altri approfondimenti vedi: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2018/01/giambattista-marino-i-versi-piu-belli.html



Dall'Adone

Canto I

De la reggia materna il figlio uscito,
con quello sdegno allor se n'allontana
con cui soffiar per l'arenoso lito
calcata suol la vipera africana,
o l'orso cavernier, quando ferito
si scaglia fuor de la sassosa tana
e va fremendo per gli orror più cupi
de le valli lucane e de le rupi.

Sferzato, e pien di dispettosa doglia,
fuggì piangendo a la vicina sfera,
là dove cinto di purpurea spoglia,
gran monarca de' tempi, il Sole impera.
E 'n su l'entrar de la dorata soglia,
stella nunzia del giorno, e condottiera,
Lucifero incontrò, che 'n oriente
apria con chiave d'or l'uscio lucente.

E 'l Crepuscolo seco a poco a poco,
uscito per la lucida contrada
sovra un corsier di tenebroso foco,
spumante il fren d'ambrosia e di rugiada,
di fresco giglio e di vivace croco, (1)
forier del bel mattin, spargea la strada,
e con sferza di rose e di viole
affrettava il camino innanzi al Sole.
[...] Pianse al pianger d'Amor la mattutina
del re de' lumi ambasciadrice stella,
e di pioggia argentata e cristallina
rigò la faccia rugiadosa e bella,
onde di vive perle accolte in brina
poté l'urna colmar l'alba novella,
l'alba che l'asciugò col vel vermiglio
l'umido raggio al lagrimoso ciglio. (2)

(1) è il fiore dello zafferano e sta qui ad indicare l'intenso colore giallo dorato
(2) Preziosismo estremo di immagini: le lacrime di Venere mattutina che si sono fatte perle e il colore dell'alba che si concretizza nella visione del velo vermiglio


Canto III: una delle più famose descrizioni di rosa

Rosa riso d'amor, del ciel fattura,
rosa del sangue mio fatta vermiglia,
pregio del mondo e fregio di natura
de la terra e del sol vergine figlia,
d'ogni ninfa e pastor delizia e cura,
onor de l'odorifera famiglia,
tu tien d'ogni beltà le palme prime,
sovra il vulgo de' fior donna sublime.
[...] Porpora de' giardin, pompa de' prati,
gemma di primavera, occhio d'aprile,
di te le Grazie e gli Amoretti alati
fan ghirlanda a la chioma, al sen monile.
Tu, qualor torna a gli alimenti usati
ape leggiadra o zefiro gentile,
dài lor da bere in tazza di rubini
rugiadosi licori e cristallini.


Canto V: il mito di Narciso al fonte ritorna anche nelle pagine dell'"Adone"

Tra verdi colli (1) in guisa di teatro
siede rustica valle e boschereccia;
falce non osa qui, non osa aratro
di franger gleba o di tagliar corteccia.
Fonticel di bell'ombre algente ed atro,
inghirlandato di fiorita treccia,
qui dal sol si difende e sì traluce
ch'al fondo cristallin l'occhio conduce.

Su la sponda letal di questo fonte,
che i circostanti fior di perle asperge
e fa limpido specchio al cavo monte
che lo copre dal sol quando più s'erge
appoggia il petto e l'affannata fronte,
le mani attuffa e l'arse labra immerge.
[...] Mancando alfin lo spirto a l'infelice,
troppo a se stesso di piacer gli piacque;
depose a piè de l'onda ingannatrice
la vita, e, morto in carne, in fior rinacque;
l'onda, che già l'uccise, or gli è nutrice,
perch'ogn suo vigor prende da l'acque.
Tal fu il destino del vaneggiante e vago
vagheggiator de la sua vana imago.

(1) è la descrizione della fonte presso cui Narciso, specchiandosi si innamora del proprio volto ivi riflesso; morirà nal vano tentativo di avvicinare quel viso al suo.


Van le vergini belle a schiera sparte.
scalze il piè, scinte il seno e sciolte il crine.
Rozza incoltura in lor, beltà senz'arte,
fa de l'anime altrui maggior rapine.
Parte per l'erba va scherzando e parte
tra le linfe argentate e cristalline.
Parte coglie viole ed amaranti
per farne dono ai fortunati amanti.

[...]

Oh dolcezza ineffabile infinita,
soave piaga e dilettosa arsura,
dove quasi fenice incenerita
ha culla insieme il core e sepoltura,
onde da duo begli occhi alma ferita
muor non morendo e 'l suo morir non cura,
e trafitta d'Amor sospira e langue,
senza duol, senza ferro e senza sangue.

Così dolce a morir l'anima impara,
esca fatta a l'ardor, segno a lo strale,
e sente in fiamma dolcemente amara
per ferita mortal morte immortale.
Morte, ch'al cor salubre, ai sensi cara,
non è morte, anzi è vita, anzi è natale:
Amor, che la saetta e che l'incende,
per più farla morir, vita le rende.

[...]

Ma già fugge la luce e l'ombra riede,
e s'accosta a Marocco il sole intanto.
Imbrunir d'oriente il ciel si vede,
cangia in fosco la terra il verde manto.
Già cede al grillo la cicala, e cede
il rosignuolo a la civetta il canto,
che garrisce le stelle e dice oltraggio
del bel pianeta al fuggitivo raggio.


Dagli Idilli Pastorali

"La bruna pastorella": Lilla e Lidio sono i due protagonisti di questo idillio pastorale: nel vagheggiare la bellezza della donna amata, le attenzioni di Lidio si concentrano sugli occhi di lei, che lo avvincono e lo innamorano. Il discorso procede con giochi di argutezze barocche, mentre viene stabilita una serie di paragoni, a significare l'inimitabile splendore delle brune pupille.
Infine, Lilla, subentrando all'amato nel dialogo, osserva discendere le ombre della sera interrotte dalle luci fugaci e balenanti delle lucciole notturne.

Lidio:

O de la bella mora,
[...] negri sì ma leggiadri,
foschi sì ma lucenti,
occhi dolci e ridenti
[..] O luci tenebrose,
tenebre luminose, occhi divini,
dal brillar de' cui giri
ne l'Indo orientale
qualunque gemma più pregiata e chiara
a scintillare impara;
vostre brune pupille
sembran carboni spenti,
ma vostri vaghi sguardi son faville
vigorose e cocenti.
Quel notturno colore
scolora l'alba e move invidia al giorno;
quel vostro smalto oscuro
al zaffiro fa scorno, ingiuria a l'oro;
quel brun, quel negro vostro
è puro e vivo inchiosto,
onde con l'aureo strale
scrive Amor la sentenza
de la mia dolce e fortunata morte.


Lilla:

Già l'ombra de la terra
si dilata per tutto. Ecco, d'intorno
un denso umido velo
la gran faccia del cielo
ricopre, e folta nebbia
occupando le piagge imbruna i colli.
Vedi la luccioletta
fiaccola del contado
e baleno volante,
viva favilla alata,
viva stella animata [...]


Lidio:

Andiam, bella mia fiamma,
ch'io tra l'ombre e gli orrori
de la notte e del bosco
altra per guida mia non curo o cheggio
né lucciola né luce:
sol mi basta quel sol che mi conduce.

Altri versi di Marino:

"Delirio amoroso"

Serpe sembri al feria che ben ascose stan sovente le serpi in fra le rose...


"Al Sonno"

O del silenzio figlio, e de la notte,
padre di vaghe immaginate forme,
sonno gentil, per le cui tacite orme son l'alme al ciel d'amor spesso condotte.
Or che'n'grembo a le levi ombre interrotte
ogni cor, fuor che'l mio, riposa e dorme,
l'erebo oscuro, al mio pensier conforme lascia ti prego
e le cimmerie grotte, e vien col dolce tuo tranquillo oblio
e col bel volto in ch'io mirar m'appago,
a consolare il vedovo desio
ché se ite (1) la sembianza,
onde son vago, non m'è dato goder,
godrò pur io
de la morte, che bramo, l'imago.

(1) andate
 

"Eco"

Le mie parole ascolta da quest'ombrosa grotta.
Ma non ridere altrui ciò ch'io ragiono.
Tu, da le membra sciolta, voce flebile e rotta,
accogli pur de le mie voci il suono:
ma se care ti sono,
teco le chiudi e serba.
E questa pietra oscura, che a te fu sepoltura
e de la pena tua grave ed acerba
ancor freme e rimbomba del mio dolor ti sia tomba.


"La lucciola"

Già l'ombra de la terra si dilata per tutto.
Ecco, d'intorno un denso umido velo,
la gran faccia del cielo ricopre
e folta nebbia occupando le piagge imbruna i colli.
Vedi la luccioletta, fiaccola del contado
e baleno volante.
Viva favilla alata,
viva stella animata
pur come ne le piume abbia il focile vibrando
per le siepi ali d'argento
e foco alternar le scintille.
è tempo ormai verso l'ovile,
a passi corti e lenti, di ricondur gli armenti.


"Era già notte"

Era già notte, e lo stellato velo
coprian le nubi d'ogn'intorno accolte,
e fioccando cadean dall'alto cielo
falde di neve in mille giri avvolte,
e Borea (1), il crudo apportar del gelo,
avea le briglie al suo furor disciolte,
onde in quel punto, al tempestar del verno,
parea la notte un tenebroso inferno.
Ed era ormai vicin l'ora fatale,
che la mia bella mi promise un giorno
di dar ristoro al mio dolor mortale,
pria che l'alba facesse in ciel ritorno;
quindi lava al mio cor piaga letale
il ciel, che, tempestoso d'ogni intorno,
parea che oscuro e d'atra invidia pieno
gir (2) mi negasse a la mia cara in seno.
Ma, giunta l'ora, invan l'aria tempesta,
invan soffiano i venti e le procelle,
che punto l'andar mio già non arresta
furor d'inverno e oscurità di stelle;
là me ne vo, dove aspettando desta
Lilla sen sta con due fidate ancelle,
e, giunto alfin, con un sospir cocente
dò il segno che m'impose ed ella il sente. [...]
Tocca l'avida man le mamme (3) intatte,
e si riscalda dentro quel sen cocente,
e le dita dal gel quasi disfatte
vengon di fuoco a meraviglia ardente,
e mentre impressa in quell'eburneo latte
or l'una mamma stringo, ed or sovente
provo dolcezza tal, che il cor vien meno
tra gli alabastri di quel bianco seno.

(1) vento di settentrione
(2) andare
(3) mammelle


Commento alla Rosa

Il dialogo tra Mopso e Tirsi propone un argomento comune nella storia della poetica barocca: l'elogio dei fiori, in questo caso, della rosa. Sarà Tirsi in particolare a cantarne le virtù, ricollegandosi a quanto della rosa viene detto nell'"Adone": il fiore bellissimo che acquistò il suo colore di rubino allorché Venere, punta da una spina, lo cosparse del proprio sangue. La celebrazione procede con un crescendo di morbidezza nella disposizione delle immagini ed alternando il ricordo storico-mitologico alla raffinatezza lessicale del linguaggio barocco. Singolarmente curate nell'uso attento dei vocaboli le strofe in cui il poeta vagheggia lo schiudersi della rosa dal "verde nodo del bocciolo". Riecheggianti invece l'eco melanconica di alcuni momenti della poesia del Quattrocento le parole conclusive  di Mopso: lo spegnersi del sole e il languire della rosa che sono tutt'uno con il declinare delle gioie e della bellezza. Lorenzo Il Magnifico e il Poliziano avevano pure fatto rivivere liricamente questa emozione: più sottilmente amara, forse, penetrata di una melanconia più profonda. 

Fama è che Citerea
col suo leggiadro Adone
ne l'acerba stagione
cacciando un dì correa,
quando a la vaga dea
spina nocente e cruda
punse del bianco piè la pianta ignuda.
Ne la bella ferita
la rosa allor s'intinse
e 'l suo candor dipinse;
mentre la dea smarrita
de la guancia fiorita
discolorò le rose,
fe' di novo color l'altre pompose.
Di sanguinose brine
le belle foglie asperse
allor la rosa aperse;
e di gemme più fine
mostrò ricche le spine,
che d'ostro umide e molli
pompa aggiunsero ai prati e fregio ai colli.
D'atti cotanti audaci
la diva non si dolse,
anzi in lei lieta accolse
mille e mille vivaci
amorosetti baci,
e con l'acceso labro
doppio l'accrebbe ardor, doppio cinabro.
"E tu", disse, "sarai
il mio fior più gradito;
del mio sangue vestito,
de' fior lo scetro avrai;
tu di Pesto i rosai,
tu gli orti indi ed iblei
farai felice, e gli arabi e i sabei."
[...]
Già imbruna le contrade
il sol, che cede e langue,
e seco a un tempo essangue
langue la rosa e cade.
O d'umana beltade
gloria caduca e leve,
o diletto mortal, come se' breve!




Approfondimento: Le rose in Girolamo Preti http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/12/la-rosa-la-lucciola-e-la-perla-nella.html

"Rose impallidite"

Ite (1) in dono a colei, pallide rose,
a cui l'alma donai senza mercede;
e poi che'l mio penar non cura, o crede,
siate del mio morir nunzie amorose.
Vidi voi d'ostro (2) già tinte e pompose;
d'ostro che 'l labro suo forse vi diede.
Ora il pallor di Morte in voi si vede,
imitatrici del mio duol pietose.
Dite se pur vi mira e se v'accoglie
ch'io son mal vivo e sarò tosto esangue come voi,
moribonde aride foglie;
e se'l vostro color pallido langue,
ella ravvivi l'odorate spoglie
con l'onda del mio pianto e del mio sangue.

(1) andate
 (2) color porpora