Salvator Rosa nacque a Napoli il 21 luglio 1615 e muore il 15 marzo 1673. è molto famoso per i suoi dipinti, ma Salvator Rosa scrisse anche poesie.
LA STREGA
Era la notte, e l'orme
a le prede d'amor quieta muvea
turba di Citherea,
turba che mai non dorme,
perché nell'aria bruna
scintillar non vedea
sotto povero ciel luce di luna.
Infra quest'ombra amica
movea Filli le piante,
implacabil nemica
d'amator non curante,
e rassembrava al moto, alla favella,
agitando la face
d'uno sdegno tenace,
dell'Inferno d'amor furia novella.
Poiché l'amar non vale,
dicea colma di rabbia,
a meritar d'un traditor la fede,
girerò questo piede,
aprirò queste labbia, scoppierò dall'interno
di vietati scongiuri arte fatale,
potente a convocar nume d'Averno.
Nume che vendichi
l'ira di lui,
nume che l'agiti
ne' regni bui,
nume che fulmini
l'empio mal nato, ond'io tradita fui,
poiché il crudel non m'ode,
poiché non prezza il pianto,
alla frode, alla frode,
all'onte, all'onte,
all'incanto, all'incanto,
e chi non mosse il ciel, mova Acheronte.
Io vo' magici modi
tentar, profane note,
herbe diverse, e nodi,
ciò ch'arrestar può le celesti rote,
mago circolo,
onde gelide,
pesci varij,
acque chimiche,
neri balsami,
miste polveri,
pietre mistiche,
serpi e nottole,
sangui putridi,
molli viscere,
secche mummie,
ossa e vermini,
suffumigij,
ch'anneriscano
voci horribili,
che spaventino,
linfe torbide,
ch'avvelenino,
stille fetide,
che corrimpino,
ch'offuschino,
che gelino,
che guastino,
ch'ancidano,
che vincano
l'onde stigie.
In quest'atra caverna,
ove non giunse mai raggio di sole,
da le tartaree scuole
trarrò la turba inferna,
farò ch'un nero spirto
arda un cipresso, un mirto,
e mentre a poco, a poco
vi struggerò l'imago sua di cera,
farò che a ignoto foco
sua viva imago pera,
e quand'arde la finta arda la vera.
Forse così questa beltà schernita
con magica possanza
estinguerà per me l'empio che ha vita,
ravviverà per me morta speranza.
Poiché il crudel non m'ode,
poiché non prezza il pianto,
alla frode, alla frode,
all'onte, all'onte,
all'incanto, all'incanto,
e chi non mosse il ciel, mova Acheronte.
LAMENTO
[...] Sensi, voi, ciò che godete
il finire ha per natura;
occhi miei, quando vedete
con tacite rapine il tempo fura;
e non piango, e non tremo, e non m'attristo
s'ogni mondano acquisto,
ogni cosa che fu
si cangia in polve e mai non torna più.
Pensieri, contentatevi,
siate desti e siate accorti;
frali sensi, rammentatevi
che i giorni del piacer sono i più corti.
Viene a piangere che nasce,
al morir apre le porte;
tomba al huom sono le fasce,
vita non già, ma strade della morte:
e le nostre superbie, i nomi e l'opre
poca terra ricopre;
ogni cosa che fu
si cangia in polve e mai non torna più.
Suon funebre in te rimbombi
se voi far l'alma perita;
chi per scuole have le tombe
impari a spender ben l'hore di vita.
E tu, cor mio, non vedi, alma, non pensi,
che per la vita, de' sensi...
Ogni cosa che fu
si cangia in polve e mai non torna più.
LA PITTURA
[...] La state all'ombra, e il pigro Verno al foco
trà modesti desij l'Anno mi vede,
pinger per gloria, e poetar per gioco.
Delle fatiche mie scopo, e mercede
e soddisfare al Genio, al Giusto, al Vero
chi si sente scottar ritiri il piede.
Dica pur quanto sà rancor severo:
contro le sue saette ho dobbio usbergo;
non conosco interesse e son sincero,
non ha l'Invidia nel mio petto usbergo;
[...]
Arte alcune non v'è, che porti seco
delle scienze maggior necessità;
che de' color non può trattar il Cieco:
che tutto quel, che la Natura fà,
o sia soggetto al senso, ò intellegibile,
per oggetto al Pittor propone e dà.
Che non dipinge sol quel, ch'è visibile:
Mà necessario è, che talvolta additi
tutto quel, ch'è incorporeo, e ch'è possibile
[...]
Vi e poi tal'un, che col pennel trascorse
a dipinger Faldoni, e Guitterie,
e Facchini, e Monelli, e Tagliaborse,
Vignate, Carrè, Calcare, Osterie,
Stuolo d'ubriaconi e Genti ghiotte,
Tignosi, Tabaccari, e Barberie
Nigregnacche, Brancon, Trentapagnotte,
[...]
E questi quadri son tanto apprezzati,
che si vedon dei grandi entro gli studi
di superbi ornamenti incorniciati.
Così vivi mendichi afflitti, e nudi
non trovan da coloro un sol denaro:
che nei dipinti poi spendon gli scudi.
Così ancor io da quelli stracci imparo,
che de moderni Prencipi l'istinto
prodigo è ai lussi, alla pietade avaro
quel, che abboriscon vivo, aman dipinto.
IL TIRRENO
E sapin pur di Cleantea Lucerna
tutte l'opre di noi caduce e inferme;
cosa non v'è qua giù che duri Eterna.
Muoiono i Collossei, muoion le Terme,
son polve i Mondi, le sue pompe un Nulla
e l'humana alterigia un fumo, un Verme.
In questa che ci alletta, e ci trastulla
comica finzion che nome ha vita
prologo di Tragedia e a noi la Culla
[...]
Meglio è ignoto tremar sui gioghi Alpini
che habitar le Cità, ch'altro non sono
che honorate Prigion di Cittadini
[...]
So i deserti al peccar Teatri Angusti
e l'asprezza de gli Antri, e de le valli
Inferni a i Rei, e Paradisi e ai Giusti.
Vedi anche: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2021/07/i-capricci.html https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2021/10/claude-lorrain.html