"La Morte e la Contessa" di Gertrude Atherton

Era un antico cimitero, e coloro che vi giacevano erano morti da tempo. Quelli che morivano allora venivano sepolti nel nuovo camposanto sulla collina, vicino al Bois d'Amour e a poca distanza dalle campane che chiamavano i vivi alla messa. Ma la chiesetta dove si celebravano i riti si ergeva fedele accanto ai morti più antichi: in quell'angolo dimenticato di Finisterre una nuova chiesa non si costruiva da secoli, da quando il calvario era stato innalzato sulla sua pila di pietre nella piazzetta, circondato forse, come adesso, da nude case grigie; da quando il castello era stato eretto con la sua tonda torre giù al fiume per i conti di Croisac. Ma le mura di pietra che racchiudevano quell'antico cimitero erano state mantenute in buono stato e all'interno non si vedevano né erbacce né lapidi cadenti. Era freddo, grigio e desolato, come tutti i cimiteri della Bretagna, però non pareva essere stato deturpato né da addobbi appariscenti, né dall'audacia del tempo. 

A volte, poi, pareva quasi un quadro di bellezza primordiale. Quando il villaggio celebrava l'indulgenza annuale, una grande processione usciva dalla chiesa con preti in abiti sfolgoranti, giovani vestiti a festa con ricche stoffe nere argentate che reggevano in alto gli stendardi e molte fanciulle dalle ariose acconciature, con colletti bianchi, gonne nere e ondeggianti grembiuli di nastri e merletti. Il corteo avanzava, cantando, lungo la strada accanto al muro del cimitero, dove giacevano generazioni di persone che ai loro tempi avevano anch'esse portato i vessilli e intonato il canto rituale dell'indulgenza. Difatti, quei morti erano tutti contadini e preti (i Croisac avevano il loro sepolcro in una grotta nelle colline dietro il castello): là dentro dormivano vecchi e vecchie che avevano pianto ed erano morti per i pescatori partiti per la grande peche e mai più tornati, e qua e là giaceva anche qualche bambino. Chi camminava accanto ai defunti il giorno dell'indulgenza o dopo il rito nuziale, chi partecipava a qualcuna delle cerimonie religiose di minore importanza con cui il villaggio cattolica ravvivava la propria esistenza, aveva sempre, giovane o vecchio che fosse, un'espressione grave e triste. Infatti, le donne sanno fin dall'infanzia che il loro destino è attendere e temere e piangere, e gli uomini che l'oceano è infido e crudele, ma che il pane non può essere estorto a nessun altro padrone.

Così i vivi avevano poca simpatia per i defunti che avevano deposto il loro schiacciante fardello, mentre sotto le loro pietre i morti dormivano piuttosto soddisfatti. Non vi è invidia tra loro per chi vaga alla sera facendo solenni giuramenti nel Bois d'Amour, solo pietà per i gruppi di donne chine a fare il bucato nel ruscello che scorre verso il fiume. Sembrano figure del placido libro verde della natura, queste donne, con i loro copricapi bianchi e splendenti e gli alti colletti; ma i morti si guardano bene dall'invidiarle, e le donne - come gli amanti - si guardano bene dal compatire i morti.

I defunti giacevano immobili nelle loro bare e ringraziavano Dio per la serenità e la pace eterna che avevano trovato. Ma un giorno anche questo, per cui avevano sopportato pazienti tutta la vita, gli fu tolto. Il villaggio era pittoresco e non ce n'era nessuno che gli somigliasse, neanche a Finisterre. Gli artisti lo scoprirono e lo resero famoso. Agli artisti seguirono i turisti, e la vecchia diligenza cigolante divenne un anacronismo. La Bretagna andava di moda tre mesi all'anno, e dovunque ci sia una moda c'è almeno una ferrovia. Quella costruita per accontentare le migliaia di persone che volevano visitare le tristi bellezze selvagge della Francia occidentale fu fatta passare lungo la strada che fiancheggiava il piccolo cimitero di questa storia. Ci vuole molto tempo per svegliare i morti, e questi non udirono i lesti operai e neanche il primo sbuffo della locomotiva. E, com'è ovvio, non udirono neppure le implorazioni dell'anziano prete che chiedeva di far passare i binari da qualche parte.

Una notte questi uscì nel vecchio cimitero, si sedette su una tomba e pianse. Amava i suoi morti, e considerava un tragico peccato che la brama di denaro, la febbre del viaggio e le meschine ambizioni degli uomini che vivevano nelle grandi città, dove quelle ambizioni erano nate, potessero distruggere per sempre la sacra quiete di chi tanto aveva sofferto sulla terra. Molti di loro li aveva conosciuti in vita, perché era assai vecchio; e anche se, come tutti i bravi cattolici, credeva nel paradiso, nel purgatorio e nell'inferno, vedeva comunque i suoi amici così come li aveva sepolti, pacificamente addormentati nelle loro bare, anime distese con le mani giunte come i corpi che le contenevano, in paziente attesa dell'appello finale. Mai ti avrebbe detto, questo vecchio prete, di credere che il paradiso fosse un ampio palazzo echeggiante in cui Dio e gli arcangeli sedevano solitari aspettando il grande giorno in cui i morti eletti sarebbero ascesi per partecipare all'Adunanza, perché era un vecchio semplice e aveva letto e meditato poco. Ma nelle sua umile mente aveva un viavai di fantasie, e vedeva i suoi amici e gli amici dei suoi antenati come ho appena spiegato: anima e corpo immersi nel profondo sonno senza sogni della morte; ma sonno, appunto, non un corpo putrefatto abbandonato della sua spaventata compagna, e per chiunque dorma viene sempre, prima o poi, il momento di svegliarsi. Sapeva che avevano dormito durante le impetuose tempeste che imperversano sulla costa di Finisterre, quando le navi vengono scaraventate sulle rocce e gli alberi si abbattono nel Bois d'Amour. Sapeva che i dolci canti lenti dell'indulgenza non toccavano alcuna corda in quelle memorie ibernate, dal contenuto misero e monotono; e neanche le cornamuse giù al municipio del villaggio (un semplice tetto montato su qualche palo), quando la sposa e le sue amiche danzavano per tre giorni senza che sulle loro meste facce brune comparisse mai un sorriso. Tutto questo i morti lo avevano conosciuto in vita e non poteva né disturbarli né interessarli adesso. Ma quell'orribile intruso della civiltà moderna, un corteo di carrozze dal motore stridulo, avrebbe scosso la terra che li tratteneva e avrebbe lacerato la pacifica aria con suoni tanto dissonanti che né i morti né i vivi sarebbero riusciti a dormire! La vita del prete era stata un lungo sacrificio ininterrotto, ed egli tentava invano di immaginarne uno superiore, un sacrificio cui sarebbe stato contento di sottoporsi se ai morti si fosse potuto risparmiare quel disastro. Ma la ferrovia fu costruita, e la prima notte che il treno passò urlante, scuotendo la terra e facendo tremare le finestre della chiesa, il prete uscì a spruzzare ogni tomba con l'acqua santa. Da quel momento il vecchio ripeté il gesto due volte al giorno, all'alba e alla sera, quando, da plebeo parvenu qual era, il treno scavava una galleria lacerante nell'aria calma; per farlo a volte si alzava da un letto di dolore, altre sfidava il vento, la pioggia e la grandine. E per un po' si illuse che quel suo sacro espediente rendesse più profondo il sonno dei morti, tenendoli al riparo dall'umano potere di risvegliarli.

Ma una sera li udì mormorare. Era tardi. Nel cielo nero non v'era che qualche stella. Dalle lontane pianure solitarie e dal mare non giungeva un alito di vento. Non ci sarebbero stati naufragi quella notte, e tutto il mondo sembrava in pace. Al villaggio le luci erano spente. Una splendeva nella torre di Croisac; dove la giovane moglie del conte giaceva ammalata. Il prete era da lei quando il treno era passato tuonante, e la donna gli aveva mormorato: "Se ci fossi io, su quel treno! Oh, com'è solitaria questa terra! Questo freddo castello echeggiante, senza nessuno con cui parlare, giorno dopo giorno! Se la malattia mi ucciderà, mon père, ditegli di seppellirmi nel cimitero accanto alla strada, cosicché due volte al giorno io possa sentire il treno passare... il treno che va a Parigi! Se mi lasceranno laggiù oltre la collina, griderò ogni notte nella mia bara."

Il prete si era preso cura come meglio poteva dell'anima sofferente della giovane nobildonna, con cui aveva di rado a che fare, per poi tornare di corsa dai suoi morti. Mentre si affannava sulle sue gambe doloranti lungo la strada scura, meditò sulle fantasie della donna, tanto affini alle sue. "Se è davvero sincera, povera giovane", pensò ad alta voce, "eviterò di spruzzare l'acqua santa sulla sua tomba: chi soffre in vita, infatti, dovrebbe avere tutto quel che desidera dopo la morte, e io temo che il conte la trascuri. Ma prego Dio che stanotte i miei defunti non abbiano udito, quel mostro."

Detto questo, si tirò su la veste e recitò in fretta e furia il rosario. Ma quando giunse tra le tombe con l'acqua santa, udì i morti mormorare.

"Jean Marie", disse una voce annaspando tra i suoi toni intorpiditi in cerca di note dimenticate, "sei pronto? Di certo questo è l'appello finale." "No, no", borbottò un'altra voce, "non è una tromba quella che udiamo, François. Quel suono sarà improvviso, acuto e chiaro come le forti raffiche del vento del Nord che attraversano impetuose il mare provenendo dalle terribili gole dell'Islanda. Te le ricordi, François? Grazie a Dio, ci hanno permesso di morire nel nostro letto, circondati dai nipoti e dal sol venticello che spira nel Bois d'Amour. Ah, i nostri poveri compagni che morirono in gioventù, che si recarono alla grande péche una volta di troppo! Ricordi di quando la grande onda si piegò su Ignace come le braccia della sua povera moglie, e noi non lo vedemmo più? Ci prendemmo per mano, convinti che presto sarebbe toccato a noi, ma invece vivemmo e tornammo molte altre volte alla grande péche, e morimmo nel nostro letto. Grace à Dieu! "Perché ci pensi ora... qui nella tomba, dove nulla conta più, neanche per i vivi?" "Non lo so; ma è alla notte in cui Ignace annegò che ho pensato quando l'alito della vita è uscito dal mio corpo. A che cosa hai pensato tu quando eri sul punto di morire?" "Al denaro che dovevo a Dominique e che non possedevo. Tentai di chiederlo a mio figlio, ma la morte sopraggiunse troppo improvvisa e non potei dir niente. Solo Dio sa come tratteranno oggi il mio nome nel villaggio di St. Hilaire." "Sei stato dimenticato", mormorò un'altra voce. "Io sono morto quarant'anni dopo di te e a Finisterre gli uomini hanno la memoria corta. Però tuo figlio era mio amico e so che ha saldato il debito." "E mio figlio? Di lui che ne è stato? Anche lui è qui?" "No, giace negli abissi del mare del Nord. Era il suo secondo viaggio, e dal primo era tornato con un borsellino per la giovane moglie. Ma stavolta non rientrò; lei fece il bucato nel fiume per le signore di Croisac e pian piano morì. Io l'avrei sposata, ma mi disse che le era già bastato perdere un marito. Sposai un'altra donna, e invecchiò di dieci anni nei tre in cui io mi recai alla grande peche. Povera Bretagna: non sa cosa sia la gioventù!" "E tu? Eri vecchio quando sei giunto qui?" "Avevo sessant'anni... mia moglie era venuta prima, come molte mogli. Adesso giace qui. Jeanne!" "è la tua voce, questa, marito mio? Non quella del Signore Gesù Cristo? Che miracolo è mai questo? Credevo che quel rumore terribile fossero le trombe del giudizio." "Non potrebbero esserlo, vecchia Jeanne, perché siamo ancora nelle nostre fosse. Quando le trombe suoneranno, noi avremo ali e vesti di luce e voleremo dritti in cielo. Hai dormito bene?" "Sì! Ma perché ci siamo svegliati? è venuto il momento del purgatorio? O ci siamo già stati?"  "Solo il buon Dio lo sa. Io non ricordo niente. Hai paura? Vorrei poterti stringere la mano, come quando scivolasti via dalla vita nel lungo sonno che tanto temevi e che pure ti fu gradito." "Ho paura, marito mio. Ma è dolce udire la tua voce, rauca e cupa com'è adesso che giunge dalla terra del camposanto. Grazie al buon Dio, mi hai seppellita con il rosario tra le mani", e la donna prese a scorrere rapidamente i grani. "Se Dio è buono", esclamò François, in un tono duro che giunse chiaramente alle orecchie del prete, come se il coperchio della bara fosse marcito, "perché veniamo destati prima del tempo? Quale empio demonio ha tuonato e gridato nei gelidi viali della mia mente? Che Dio sia stato per caso vinto e il Maligno regni al suo posto?" "Che parole blasfeme! Dio regna ora e sempre. Questo non è altro che un castigo che ci ha inflitto per i peccati terreni." "In verità, eravamo stati puniti abbastanza prima di discendere nella pace di questa angusta casa. Ah, ma è buio e freddo! Resteremo forse qui distesi per l'eternità? Sulla terra desideravamo la morte ma temevamo la tomba. Vorrei tornare a essere vivo, povero, vecchio, solo e dolorante. Sarebbe meglio di questo. Maledetto l'empio demonio che ci ha svegliati!" "Non maledire nessuno, figlio mio", disse una voce soave, e il prete si alzò, si tolse il cappello e fece il segno della croce, perché era la voce del suo anziano predecessore. "Non posso dirti che cosa ci abbia scosso in malo modo nelle nostre tombe liberando i nostri spiriti dalla loro beata schiavitù, e non mi piace rendermi conto di questa casa angusta e sentire il peso della terra sul mio cuore stanco. Ma è giusto, deve essere giusto, altrimenti non sarebbe... ah, povero me!" Si udì un pianto infantile, debole, disperato, e da una tomba poco più in là giunse la voce angosciata della madre che tentava di calmarlo. "Ah, buon Dio!", esclamò lei. "Anch'io ho pensato che questo fosse il grande appello e che in un attimo sarei volata in alto, avrei trovato mia figlia e sarei andata dal mio Ignace, il mio Ignace le cui ossa giacciono bianche sul fondo del mare. Le ritroverà, padre, quando i morti risorgeranno? Giacere qui e dubitare sarebbe peggio che vivere!" "Sì, sì", disse il prete, "tutto andrà bene, figlia mia." "Ma adesso non va tutto bene, padre, perché la mia bambina piange ed è sola in una piccola cassa sepolta nella terra. Se potessi farmi strada fino a lei con le mani... ma la mia vecchia madre giace tra noi due." "Recita il rosario!", intimò severo il prete. "Dite il rosario, tutti quanti. Chi non ha il rosario reciti l'Ave Maria cento volte." Subito un rapido mormorio monotono si innalzò da ogni antro solitario di quel terreno dissacrato. Tutti obbedirono salvo la piccola, che continuò a gemere con il dolore disperato dei bambini abbandonati.  Il prete vivo sapeva che per quella notte non avrebbero più parlato e tornò in chiesa a pregare fino all'alba. Stava male per l'orrore e il terrore, ma non per se stesso. Quando il cielo si tinse di rosa, l'aria si colmò dei dolci profumi del mattino e un grido lacerante squarciò il silenzio delle prime ore del giorno, corse fuori e asperse le tombe con una doppia dose di acqua santa. Il treno sferragliò lì accanto con due brevi urli derisori e, prima che la terra smettesse di tremare, il prete accostò l'orecchio al suolo. Ahimè, erano ancora svegli! "Il demone è di nuovo in volo", disse Jean-Marie. "Ma mentre passava ho avuto la sensazione che il dito di Dio stesse toccando il mio sopracciglio. Non può farci del male." "Anch'io ho sentito quella carezza celestiale!", esclamò il vecchio prete. "Anch'io, anch'io, anch'io!", si udì sussurrare da ogni tomba tranne che da quella della bambina. Il prete vivo, profondamente grato per il conforto che aveva portato con quel semplice espediente, imboccò in fretta la strada per il castello. Si dimenticò di non aver mangiato e dormito. Il conte era fra i direttori della ferrovia, e a lui avrebbe rivolto la sua ultima supplica. Era presto, ma a Croisac non dormiva nessuno. La giovane contessa era morta. Un eminente vescovo era arrivato nella notte e aveva officiato gli ultimi riti. Speranzoso, il prete chiese se poteva ardire a presentarsi al vescovo. Dopo una lunga attesa in cucina, gli risposero che poteva parlare con Monsieur l'Eveque. Il sacerdote seguì il servo su per l'ampia scala a chiocciola della torre e al ventottesimo gradino entrò in una sala rivestita di stoffe viola decorate con fiordalisi dorati. Il vescovo era disteso a dieci metri d'altezza su uno degli splendidi letti incassati che in Bretagna si costruiscono addossati al muro. Pesanti tende facevano ombre al suo freddo volto bianco. Il prete, che era basso e curvo, si sentì sovrastato oltre misura da quell'angusta presenza e si fermò a cercare le parole. "Che c'è, figlio mio?", domandò il vescovo con la sua fredda voce affaticata. "La questione è tanto impellente? Sono molto stanco." Tremante e ansioso, il prete raccontò la sua storia, e mentre si sforzava di descrivere la tragedia dei morti tormentati, non solo si avvide della povertà della sua elocuzione - giacché era poco abituato a narrare - ma lo assalì il tormentoso pensiero che quel che diceva apparisse assurdo e innaturale, per quanto a lui sembrasse reale. Non era però preparato alla reazione del vescovo. Il vecchio stava in piedi nel centro della sale, nell'oscurità attenuata e indorata dalle luci ceree degli enormi candelabri; i suoi occhi, che avevano vagato senza vedere da un massiccio mobile intagliato all'altro, si concentrarono d'un tratto sul letto, ed egli si interruppe di colpo, a bocca aperta. Il vescovo si era messo a sedere, livido di rabbia. "E questa è la tua questione di vita o di morte, pazzo chiacchierone?", tuonò. "Per questo sproloquio di stupide menzogne mi togli il riposo, come se fossi un folle come te? Non sei degno di essere prete e di prenderti cura delle anime... Domani..."  Ma il prete era giù fuggito via, torcendosi le mani. Mentre incespicava giù per la tortuosa scala, finì dritto fra le braccia del conte. Monsieur de Croisac si era appena chiuso una porta alle spalle. La riaprì e, condotto il prete nella sala, gli indicò la sua contessa morta, che giaceva in alto contro il muro. Montate su alti piedistalli alla testa e ai piedi del suo magnifico giaciglio, pallide fiammelle si levavano da candelabri d'oro opaco. Gli arazzi azzurri della sala erano sbiaditi, così come i tappeti sull'antico pavimento scuro; difatti, lo splendore si era da tempo dileguato assieme ai Borbone. Il conte viveva nell'antico castello per necessità, ma quella sera pensava con amarezza che, se aveva fatto l'errore di portarvi una ragazza, diverse erano le cose che avrebbe potuto fare per salvarla dalla disperazione e dalla morte. "Pregate per lei", disse al prete, "e seppellitela nel vecchio cimitero. è stata la sua ultima volontà." Il conte uscì e il prete cadde in ginocchio mormorando le sue preghiere per i defunti. Ma i suoi occhi vagarono verso le finestre alte e strette da cui la contessa aveva guardato fuori per ore e giorni, fissando i pescatori diretti a nord per la grande peche, seguiti lungo la sponda del fiume da mogli e madri finché le loro imbarcazioni non venivano ghermite dalle alte onde dell'oceano più in là; spesso non vedevano nulla di più animato della scura marea, degli argini di legno, delle rovine e delle gocce di pioggia che, come aghi, penetravano l'acqua. Il prete non mangiava niente dal magro pranzo consumato alle dodici del giorno prima, e la sua immaginazione era in piena attività.

Si chiese se l'anima lassù gioisse della morte del bel corpo inquieto, dell'appassionata mente meditabonda. Da dov'era inginocchiato non vedeva il viso della donna ma solo le mani ceree. Si chiese se il volto fosse pacifico nella morte o stizzose e infuriato come lo era stato l'ultima volta. Se la grande trasformazione lo aveva disteso, allora forse l'anima sarebbe sprofondata negli abissi delle acque scure, grata per l'oblio, e quel maledetto treno non sarebbe riuscita a svegliarla negli anni a venire.  Alla curiosità seguì la meraviglia. Il sacerdote pose immediatamente fine alle sue preghiere, si rialzò su piedi esausti e gonfi e spinse una sedia vicino al capezzale della defunta. Salendovi sopra, accostò il volto a quello della donna. Ahimè, non era in pace. Vi si era impressa la tragedia dell'amara rinuncia. Dopo tutto era giovane, ed era morta controvoglia. Attorno alle narici aleggiava ancora una fiera tensione, e il labbro superiore era incurvato come se la sua ultima parola fosse stata una bestemmia. Ma era molto bella, malgrado il dimagrimento dei lineamenti. Le sue ciglia sembravano troppo pesanti per quelle guance scavate.  "Pauvre petite!", pensò il prete. "No, non riposerà, né lo desidererebbe. Non spruzzerò acqua santa sulla sua tomba. è stupefacente che quel mostro possa dare conforto a qualcuno, ma se può farlo, così sia." Il sacerdote entrò nel piccolo oratorio accanto alla camera da letto e pregò con maggior fervore. Ma quando, un'ora dopo, cominciò la veglia, lo trovarono in uno stato di stupore, accasciato ai piedi dell'altare. Quando si svegliò era nella sua casa accanto alla chiesa. Passarono quattro giorni prima che gli permettessero di alzarsi per occuparsi delle sue faccende, e a quel punto la contessa era già nella tomba. La vecchia domestica lo lasciò solo. Cadeva una pioggia sottile, una pioggia grigia e tranquilla che offuscava il paesaggio e impregnava il terreno del Bois d'Amour. Era bagnata anche la zona attorno alle tombe, ma nella sua lunga vita di mortificazione il prete aveva sempre fatto poco caso alle intemperie, e quando udì l'eco remota del treno della sera, corse fuori con la sua acqua santa per aspergere tutte le tombe tranne una mentre il convoglio passava a tutta velocità.

Poi si inginocchiò e tese l'orecchio, attento.

Erano passati cinque giorni da quando si era inginocchiato lì l'ultima volta. Forse i morti erano di nuovo precipitati giù e stavano riposando. In un attimo si torse le mani e le innalzò verso il cielo. Tutta la terra sotto di lui era colma di lamenti. Invocavano pietà, pace, riposo; maledicevano l'empio demone che aveva  infranto i chiavistelli della morte; e fra le voci di uomini e bambini, il prete distinse le note vibranti del suo predecessore, che non malediceva, ma pregava con amare suppliche. La bambina urlava con gli accenti del terrore mortale e sua madre tentava di calmarla con voce frenetica.

"Ahimè", gridò Jean-Marie, "mai ci avevano detto com'era il purgatorio! Che cosa ne sanno i preti? Quando minacciavano la punizione per i nostri peccati, non avevamo idea di tutto questo. Dormiamo per qualche ora, ossessionati dal momento del risveglio! Poi un crudele insulto della terra che si è stancata di noi e l'orchestra dell'inferno. E poi ancora! E ancora! E ancora! Oh, Dio! Per quanto tempo? Per quanto tempo?"

Il prete si alzò in piedi incespicando e corse fra le tombe e i sentieri fino al tumulo che ricopriva la contessa. Lì avrebbe udito una voce di lode al mostro della notte e dell'alba, una nota di contentezza in quel terribile coro di disperazione che temeva lo avrebbe fatto impazzire. Giurò che l'indomani avrebbe spostato i suoi morti, avesse dovuto dissotterrarli con le sue stesse mani e trasportarli in cima alla collina dentro tombe scavate con il sudore della propria fronte.

Sulle prime non udì alcun suono. Si inginocchiò e portò l'orecchio alla tomba, poi lo premette con più forza e trattenne il fiato. Un lungo gemito echeggiante lo raggiunse, poi un altro e un altro ancora. Ma senza parola alcuna.

"Sta gemendo per compassione dei miei poveri amici?", si chiese. "O l'hanno terrorizzata? Perché non parla? Forse dimenticherebbero la loro misera condizione se lei raccontasse del mondo che da tanto hanno lasciato. Ma quello non era il loro mondo. Forse è questo che la angoscia, perché sarà più solo qui che in terra. Ah!"

Un acuto grido d'orrore gli perforò le orecchie, poi un urlo ansimante e un altro ancora: tutti si spegnevano in un terribile rimbombo soffocato.

Il prete si alzò torcendosi le mani e guardando l'umido cielo in cerca d'ispirazione.

"Ahimè", singhiozzò, "non è contenta. Ha compiuto un errore terribile. Vorrebbe riposare nella pace dolce e profonda della morte, e quel mostro di ferro e fuoco e i morti frenetici che la circondano non danno pace alla sua anima già tormentata in vita. Nella cripta dietro il castello per lei ci sarebbe riposo, ma qui no. L so: devo compiere il mio dovere... adesso, subito."

Si raccolse le vesti e corse verso il castello veloce quanto glielo permettevano le sue vecchie gambe e i piedi artritici: lassù le luci scintillavano attraverso la pioggia. Sulla riva del fiume incontrò un pescatore e lo pregò di traghettarlo con la sua imbarcazione.

Il pescatore si meravigliò, ma prese il prete fra e sue forti braccia, lo calò nella barca e remò veloce verso il castello. Quando ebbero attaccato, legò gli ormeggi.

"Vi aspetterò in cucina, padre", disse, e il prete lo benedisse e si affrettò verso il castello. Ancor una volta entrò dalla porta della grande cucina, con le mattonelle azzurre, gli ottoni lucidi e gli scaldaletto di bronzo che avevano confortato nobili e monarchi ai tempi dello splendore dei Croisac. Si accasciò su una sedia accanto alla stufa mentre una serva correva dal conte. La donna tornò che il prete ancora tremava e annunciò che il suo padrone l'avrebbe ricevuto in biblioteca.

Era una sala tetra, quella in cui il conte era seduto in attesa del sacerdote: odorava di vitello ammuffito, perché i libri sugli scaffali erano antichi. Qualche romanzo e alcuni giornali erano appoggiati su un pesante tavolo e nel camino era acceso il fuoco, ma la carta da parati era molto scura e i fiordalisi erano macchiati e opachi. A casa, il conte divideva il suo tempo fra la libreria e il fiume, quando non poteva andare nelle foreste a caccia di cinghiali e cervi.

Ma spesso si recava a Parigi, dove poteva permettersi una vita di scapolo in un'ala del suo grande albergo: conosceva troppo bene la stravaganza delle donne per concedere a sua moglie la chiave di quegli sbiaditi saloni.

Quando aveva sposato quella bella ragazza, ne era innamorato, ma le sue lamentele e il suo amaro scontento lo avevano fatto allontanare, e nell'ultimo anno l'aveva tenuta a distanza con ostinato risentimento. Troppo tardi aveva capito, e sognava con ardore una rappacificazione. La giovane era una creatura brillante, appassionata  e spiritosa, e la sua mente insoddisfatta era volata senza sosta al mondo che aveva intensamente assaporato per un solo anno. E lui in cambio le aveva dato così poco!

Mentre il sacerdote entrava, si alzò e fece un profondo inchino Quella visita lo annoiava, ma il buon vecchio prete meritava il suo rispetto; e poi aveva officiato molti servizi e riti per la sua famiglia.

Offrì una sedia all'ospite, però l'anziano sacerdote scosse la testa e si torse e mani nervoso. 

"Ahimè Monsieur le comte", disse, "forse anche voi mi considererete, come Monsieur l'Eveque, un vecchio pazzo. Ma devo parlare, anche se ordinerete ai vostri servi di scaraventarmi fuori dal castello."

Il conte ebbe un lieve sussulto. Si era ricordato di certi commenti acidi del vescovo, che aveva parlato di mandare in paese un giovane curato per sostituire con diplomazia il vecchio prete, ormai rimbambito. Ma la sua risposta fu garbata.

"Voi sapete, padre, che in questo castello nessuno vi mancherà mai di rispetto. Dite quello che desiderate, non temete. Ma adesso volete sedervi? Sono molto stanco."

Il prete prese la sedia e fissò il suo sguardo supplichevole sul conte.

"Si tratta di questo, Monsieur". Parlò rapidamente, per paura che il coraggio lo abbandonasse. "Quel treno terribile, con la sua belva di ferro e carbone vivo, il fetido fumo e la gola stridula, ha svegliato i miei morti. Io li proteggevo con l'acqua santa e loro non lo udivano, ma una notte sono mancato: ero con Madame mentre il treno strideva e svelleva i chiodi dalle bare con le sue scosse. Sono corso indietro, ma ormai il danno era fatto, i morti erano svegli e il caro sonno dell'eternità era infranto. Loro hanno pensato che si trattasse delle trombe del giudizio e si sono chiesti perché fossero ancora  nella tomba. Ma hanno parlato assieme e le cose sono un po' migliorate. Però adesso sono irrequieti: sono all'inferno, e io sono venuto a supplicarvi di farli spostare sulla collina. Ah, pensate, pensate, Monsieur, come ci si deve sentire quando il lungo sonno della tomba viene disturbato così in malo modo... Il sonno per cui viviamo e sopportiamo con tanta pazienza!"

Di colpo s'interruppe e riprese fiato. Il conte aveva ascoltato senza cambiare contegno, convinto di trovarsi di fronte a un pazzo. Ma quella farsa lo stancava e involontariamente la sua mano si era mossa verso una campanella sul tavolo.

"Ah, Monsieur, non ancora! Non ancora!", esclamò affannato il prete. 

"è della contessa che sono venuto a parlarvi. Me n'ero dimenticato. Mi aveva detto che desiderava giacere laggiù e sentir passare il treno per Parigi, quindi sulla sua tomba non ho spruzzato l'acqua santa. Ma anche lei è infelice e terrorizzata, Monsieur. La sua bara è nuova e solida e non riesco a udire le sue parole, ma dalla tomba stasera ho sentito provenire suoni spaventosi, lo giuro sulla croce. Ah, Monsieur, adesso mi credete, finalmente!" 

Infatti il conte, bianco come la donna nella sua bara e tremante dalla testa ai piedi, si era alzato barcollante dalla sedia e stava fissando il prete come se avesse visto lo spettro della contessa.

"Avete sentito...?" ansimò.

"Non è in pace, Monsieur. Geme e grida in maniera terribile e soffocata, come se qualcuno le coprisse la bocca con una mano..."

Quelle furono le sue ultime parole.

In un lampo il conte si riprese e si precipitò fuori dalla stanza.

Il prete si passò una mano sulla fronte e cadde piano a terra.

"Vedrà che ho detto il vero", pensava mentre prendeva sonno, "e domani intercederà per i miei poveri amici."


Il prete giace in cima alla collina, dove nessun treno lo disturberà mai, circondato dai suoi vecchi compagni del cimitero violato. Difatti, il conte e la contessa di Croisac, che venerano la sua memoria, si sono affrettati a concedergli da morto ciò che più aveva desiderato negli ultimi giorni della sua vita. E anche loro stanno bene, perché un uomo può rinascere anche senza scendere nella tomba.