Diodata Saluzzo Roero



Poetessa al suo tempo celeberrima fu Diodata Saluzzo Roero: il giovane Foscolo la salutò come "Saffo d'Italia", il Manzoni la ebbe in stima. A vent'anni aveva già composto un poema epico sulle Amazzoni in 24 canti e ottave, e a 22 pubblicava un primo volume di liriche. Scrisse poemetti, due tragedie, novelle in prosa e un poema in venti canti ("Ipazia ovvero Delle Filosofie", poema nel quale l'esposizione delle varie teorie filosofiche del tempo sono innestate le più drammatiche vicende.)


"CONTRO DENIGRATORI DELL'ITALIA"

Stassi fra' nembi torbida

notte, e la neve il viatore inganna:

fischiano i venti, e fiedono 

le quiete soglie della mia capanna.

Sorgiam: fra' sassi ripidi

face m'irradia nel temuto orrore;

scuote nell'aer pallido

[...] Dove la selva incurvasi

meco discende, e si discioglie in pianto.

In questa valle, io d'ebano

un'ara bruna all'alte Muse accesi,

e le ghirlande altissime

di cipresso immortale intorno appesi.

[...] Entro la notte gelida,

che intorno cinge quel fatal sentiero,

udrete l'alto sibilo

ch'esce dall'arco dell'offeso arciero;

mentre de' lauri italici

le sacre a vendicare ombre famose

[...]


I DANNI DELL'IMMAGINAZIONE

[...] Io piango: ché d'orror tetro e di morte

tutto il mio cuor miseramente fasci;

e tu presagio di funesta sorte

terribil più dal pianto mio rinasci.

[...]


ALL'ITALIA NEL 1796

Io vidi il fuoco fra la crebra e nera (1)

nube che vela le tue balze alpine

o delle antiche età reina (2) altera,

seduta or mesta sulle tue rovine.

[...] Ma come, oh! come, fra i tremendi orrori,

sacrarti, o madre d'infelici e mia,

ardirò il serto degli Aonii fiori? (3)


Note:

(1) Latinismo per "fitta", "densa" nube.

(2) Regina

(3) Sono i fiori poetici; i monti Aonii della Beozia davano il nome alle muse.


"ROVINE"

Ombre degli avi

per la notte tacita al raggio estivo

di cadente luna,

v'odo fra' sassi diroccati fremere,

che il tempo aduna incerte l'ombre nella vasta

ed arida strada segnata dall'età funesta,

tremante, affretto che dei prischi secoli

l'orror sol resta.

Oh come brune l'alte cime

incurvansi de' larghi muri,

ove penetra appena di Luna

un raggio,

che la dubbia e pallida luce

qui mena perché ferrate le finestre

altissime, ed è merlata la superba torre?

[...]

Pensiero funesto,

in me chi mai ridestasti?

Fuggiam dalle fatali alte rovine.

Raggio di notte,

tu la via rischiarami

fra sassi e spine.