"La Tomba" di Lovecraft

Fu nella morbida luce del tardo pomeriggio che entrai per la prima volta nella tomba sulla collina. Mi sentivo sotto l'influsso di un incantesimo e il cuore batteva all'impazzata, con un'esultanza che posso a stento descrivere. Chiusi la porta alle mie spalle, scesi gli scalini che stillavano umidità alla luce dell'unica candela ed ebbi le sensazione di conoscere la strada; e sebbene la candela tremolasse per effetto dei miasmi, io mi sentivo a casa in quell'atmosfera da ossario. Mi guardai intorno e vidi numerose lastre di marmo che reggevano bare o i resti di bare. Alcune erano sigillate e intatte, altre quasi disintegrate, con i manici e le targhe d'argento isolati tra mucchietti di polvere bianche.

Su una targa lessi il nome di Sir Geoffrey Hyde, venuto dal Sussex nel 1640 e morto pochi anni dopo. In un loculo particolarmente vistoso c'era una bara ben conservata e senza occupante, su cui era scritto un nome di battesimo e nient'altro: a leggerlo provai un brivido ma anche un senso d'euforia.

Un misterioso impulso mi spinse ad arrampicarmi sulla grande lastra, a spegnere la candela e a giacere nella cassa vuota. Uscii dalla tomba nella luce grigia dell'alba e chiusi a chiave il lucchetto tenuto dalla catene.