Chiaramente ispirato a Me
Nel 1830 io aveva quindici anni, e conviveva colla famiglia in una grossa borgata del Tirolo, di cui alcuni riguardi personali mi costringono a sopprimere il nome. Non erano passate più di tre generazioni dacché i miei antenati erano venuti ad allogarsi in quel villaggio: essi vi erano bensì venuti dalla Svizzera, ma la linea retta della famiglia era oriunda della Germania: le memorie che si conservavano della sua origine erano sì inesatte e sì oscure, che non mi fu mai dato di poterne dedurre delle cognizioni ben definite: ad ogni modo, mi preme soltanto di accertare questo fatto, ed è che il ceppo della mia casa era originario della Germania. Eravamo in cinque: mio padre e mia madre, nati in quel villaggio, vi avevano ricevuto quella educazione limitata e modesta che è propria della bassa borghesia. Vi erano bensì delle tradizioni aristocratiche nella mia famiglia, delle tradizioni che ne facevano risalire l'origine al vecchio feudalismo sassone; ma la fortuna della nostra casa si era talmente ristretta che aveva fatto tacere in noi ogni istinto di ambizione e di orgoglio. Non vi era differenza di sorta tra le abitudini della mia famiglia, e quelle delle famiglie più modeste del popolo; i miei genitori erano nati e cresciuti tra di esse, la loro vita era tutta una pagina bianca; né io avevo potuto attingere dalla loro convivenza, né tratte dal loro metodo di educazione alcuna di quelle idee, di quelle memorie di fanciullezza che predispongono alla superstizione e al terrore.
[...]
Nella notte seguente ebbi un altro sogno. Mi trovavo ancora in quel luogo, ma tutto era cambiato; il cielo, gli alberi, le vie non erano più quelli; i fianchi della rupe erano intersecati da sentieri coperti di madreselve; del castello non rimanevano che poche rovine, e nei cortili deserti e negli interstizii delle stanze terrene crescevano le cicute e le ortiche. Passando vicino al monumento che sorgeva prima nella valle e di cui pure non restavano che alcune pietre, l'uomo abbacinato che stava ancora seduto sopra un gradino rimasto intatto, mi disse porgendomi un fazzoletto bruttato di sangue: "Recatelo alla signora del castello." Mi trovai assiso sulle rovine: la signora del castello era seduta al mio fianco - eravamo soli - non si udiva una voce, una eco, uno stormire di fronde nella campagna - essa, afferrandomi le mani, mi diceva: "Sono venuta tanto da lontano per rivederti. Senti il mio cuore come batte... senti come batte forte il mio cuore!... tocca la mia fronte e il mio seno: oh! sono assai stanca, ho corso tanto; sono spossata dalla lunga aspettazione... erano quasi trecento anni che non ti vedeva."
"Trecento anni!"
"Non ti ricordi? Noi eravamo assieme in questo castello: ma sono memorie terribili! Non le evochiamo."
"Sarebbe impossibile; io le ho dimenticate."
"Le ricorderai dopo la tua morte."
"Quando?"
"Assai presto."
"Quando?"
"Fra vent'anni, al venti di gennaio: i nostri destini, come le nostre vite, non potranno ricongiungersi prima di quel giorno."
"Ma allora?"
"Allora saremo felici, realizzeremo i nostri voti."
"Quali?"
"Li ricorderai a suo tempo... ricorderai tutto. La tua espiazione sta per finire, tu hai attraversato undici vite prima di giungere a questa, che è l'ultima. io ne ho attraversate sette soltanto, e sono già quarant'anni che ho compiuto il mio pellegrinaggio nel mondo: tu lo compirai con questa fra vent'anni. Ma non posso rimanere più a lungo con te, è necessario che ci separiamo."
"Spiegami prima questo enimma."
"è impossibile... può avvenire però che tu lo abbia a comprendere. Ho rinfacciato ieri a lui la sua promessa: te ne ho restituito il mezzo, quei due volumi, quelle memorie scritte da te, quelle pagine sì colme di affetto... le avrai, se quell'uomo che ci fu allora sì fatale non t'impedirà di averle."
"Chi?"
"Tuo zio... egli... l'uomo della valle."
"Eglio? Mio zio!"
"Sì, e lo hai tu veduto?"
"Lo vidi, e ti manda per me questo fazzoletto insanguinato."
"è il tuo sangue, Arturo", diss'ella con trasporto, "sia lodato il cielo! Egli ha mantenuto la sua promessa."
Dicendo queste parole la signora del castello sparve - e io mi svegliai atterrito.
[...]
Nell'anno 1849 viaggiando al Nord della Francia, aveva disceso il Reno fin presso al confluente della piccola Mosa e m'era trattenuto a cacciare in quelle campagne. Errando solo un giorno lungo le falde di una piccola catena di monti mi era trovata ad un tratto in una valle nella quale mi pareva essere stato altre volte, e non aveva fatto questo pensiero che una memoria terribile venne a gettare una luce fosca e spaventosa nella mia mente, e conobbi che quella era la valle del castello, il teatro dei miei sogni e della mia esistenza trascorsa. Benché tutto fosse mutato, benché i campi prima deserti, biondeggiassero adesso di messi, e non rimanessero del castello che alcuni ruderi sepolti a metà delle ellere, ravvisai tosto quel luogo e mille e mille rimembranze, mai più evocate, si affollarono in quell'istante nella mia anima turbata. Chiesi ad un pastore che cosa fossero quelle rovine, e mi rispose: "Sono le rovine del Castello Nero; non conoscete la leggenda del Castello Nero? Veramente ve ne sono di molte e non si narrano da tutti allo stesso modo; ma se desiderate di saperla come la so io... se..." "Dite, dite", io interruppi, sedendomi sull'erba al suo fianco. E intesi da lui un racconto terribile, un racconto che io non rivelerò mai benché altri il possa allo stesso modo sapere, e sul quale ho potuto ricostruire tutto l'edificio della mia esistenza trascorsa. Quando egli ebbe finito, io mi trascinai a stento fino ad un piccolo villaggio vicino donde fui trasportato, già infermo, a Wiesbaden, e vi tenni il letto tre mesi. Oggi, prima di partire, mi sono recato a rivedere le rovine del castello - è il primo giorno di settembre, mancano sei mesi all'epoca della mia morte - sei mesi, meno dieci giorni - giacché non dubito che morrò in quel giorno preciso. Ho concepito lo strano desiderio che rimanga alcuna memoria di me. Assiso sopra una pietra del castello ho tentato di richiamarmi tutte le circostanze lontane di questo avvenimento, e vi scrissi queste pagine sotto la impressione di un immenso terrore.
*
L'autore di queste memorie, che fu mio amico e letterato di qualche fame, proseguendo il suo viaggio verso l'interno della Germania, morì il 20 gennaio 1850, come gli era stato presagito, assassinato da una banda di zingari nelle gole così dette di Giessen presso Freiburgo. Io ho trovate queste pagine tra i suoi molti manoscritti e le ho pubblicate.