Le pagine più belle della ''Maria Stuarda'' di V. Alfieri e la vera regina Maria

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Nell'agosto del 1778, il poeta, su invito e su "soddisfazione dell'amata" Luisa Stolberg, contessa d'Albany, ideò la "Maria Stuarda", la cui stesura è dell'anno seguente e la versificazione definitiva del 1780. Il nodo centrale è l'uccisione di Arrigo Stuart, conte di Darnley, secondo marito di Maria. La regina scozzese, ispirata dal confidente e futuro terzo marito Giacomo Hepburn conte di Bothwell (Botuello), è trascinata all'assassinio più per debolezza e inettitudine che per deliberato volere. Anche in questa tragedia l'Alfieri trasfigura a suo piacimento i personaggi tradendo non poco la realtà; soprattutto nel disegnare la figura della Stuarda, vittima, secondo il poeta, dei consiglieri che la circondano e quasi per nulla artefice diretta delle sue sventure. è molto probabile che lo scrittore piemontese sia stato inconsapevolmente attratto dalla leggenda che, intorno al dramma di Maria, si era venuta sviluppando nell'Europa cattolica, subito dopo la sua morte.


"La Reina di Scotia" del 1602 di Carlo Ruggeri e la versione di Federico della Valle (1628) potrebbero aver dato lo spunto all'Alfieri per l'ideazione di "Maria Stuarda".

Nota di Lunaria: prima di riportare le mie pagine preferite, trascrivo un ulteriore approfondimento

Vittorio Alfieri, parlando della "Stuarda", in un suo "Parere" sulla tragedia dedicata alla regina scozzese, la definiva "l'infelice Maria".
In realtà il suo personaggio non ha dolcezze particolari, né il femminile, aggraziato dolore di figure quali Virginia, Antigone, Elettra, Ottavia; abbandonato com'è al gioco di intrighi della corrotta corte scozzese, vive solo per testimoniare la sua assoluta impotenza: "Precipitar di una in un'altra angoscia ognor dovrò? Fatal destino!... Eppure, che far poss'io?".




Probabilmente l'Alfieri è molto più attratto dalla tela d'inganni che avvolge la regina e molto meno attratto dalle intime sofferenze di Maria: "d'ogni parte io scorgo timore, e dubbi, e perigli, ed errori!"



è vero, il personaggio di Maria è piuttosto freddo; ma forse, in questa occasione, Alfieri ha voluto muoverci a compassione puntando il dito sulla piaga della perversa passionalità che nutre l'animo dei cortigiani e che, inesorabilmente, coinvolge i più deboli, i puri di cuore, anche se il destino li ha dotati di un trono.




Comunque, la realtà storica di Maria Stuarda era ben diversa da quella che l'Alfieri e i suoi contemporanei veneravano.
La fortuna di questo personaggio, evocato da ballate popolari e celebrato dall'esaltazione dei Romantici, è stata costruita ad arte, nel tempo, confondendo la storia con la leggenda.


Maria era nata nel castello scozzese di Linlithgow, ridotto oggi ad un involucro spettrale e vuoto; era nata tra il 7 e l'8 dicembre del 1542. Non molto lontano, nel castello di Falkland, agonizzava suo padre Giacomo V. Rimase orfana presto e la madre la fidanzò con uno dei migliori partiti europei: Francesco di Valois, primogenito di re Enrico II di Francia e di Caterina de' Medici. Maria aveva soltanto 6 anni. Dopo questa decisione che le assicurava la corona francese sì trasferì nella corte del promesso sposo, in attesa del matrimonio. Nel 1558 si celebrarono le nozze. Soddisfatti di questa unione furono praticamente tutti i cattolici, impegnati a riconquistare l'Europa che era passata ai principi protestanti. Morto tragicamente durante un torneo il re Enrico II, e succedutogli il figlio Francesco, Maria sale al trono di Francia. Passano diciotto mesi, e anche Francesco muore "per uno strano mal d'orecchi". Maria torna in Scozia. Elisabetta Tudor teme questo ritorno e le vieta di attraversare l'Inghilterra.
La maggioranza dei sudditi inglesi, essendo cattolici, avrebbe preferito la regina di Scozia, piuttosto che lo scismatico Enrico VIII. Nell'estate del 1565, sfidando i nobili, il parlamento e i sudditi, che in Scozia erano protestanti, Maria sposava Enrico Darnley, nobile cattolico inglese, imparentato con la casa degli Stuart. Presuntuoso, dedito al vino e alle gozzoviglie, il nuovo marito deluse la regina, che per sposarlo e farlo incoronare aveva combattuto e cacciato oltre i confini il fratellastro lord Moray e altri nobili oppositori. Invaghitosi del suo segretario italiano, Davide Rizzio, abile cantante e suonatore d'arpa, provocò la gelosia del consorte. Il Rizzio, sorpreso nel castello di Holyrood a cena con Maria, fu massacrato a pugnalate. Si ripeteva così la sorte avvenuta tre anni prima al poeta Chastelard, che aveva osato penetrare nella stanza da letto della regina. Lo scandalo fu enorme, l'opposizione si consolidò. Intanto il 19 giugno 1566 nasceva Giacomo Stuart, figlio di Maria e probabilmente di Rizzio. Intanto, il disaccordo tra i due sposi era ormai al culmine. Nella notte del 10 febbraio 1567, alle due del mattino, una violenta esplosione provoca il crollo della casa di Kirk of Field, dove da una decina di giorni il sovrano trascorreva la convalescenza in seguito ad un attacco di vaiolo. La regina era partita la sera prima. L'Inghilterra era in fermento. La madre di Enrico implorava giustizia da Elisabetta. Questa scrive alla cugina, esortandola a far luce sull'assassinio.
Il 12 aprile si apre il processo contro Bothwell, che si diceva fosse il mandante dell'assassinio, e tutti sapevano che Maria era legata a Bothwell. Soltanto a sei persone fu concesso di testimoniare per l'accusa; quattromila furono invece le persone che testimoniarono in favore dell'accusato. Circa un mese dopo l'assoluzione, Bothwell diventava il terzo marito di Maria Stuarda. Un mese dopo, tutta la Scozia si solleva contro la regina. La farsa del processo, il precedente assassinio "era più di quanto l'opinione pubblica potesse sopportare anche nel XVI secolo". Dispersi i suoi fedeli, la regina venne ricondotta nella capitale, mentre la moltitudine gridava "al rogo la sgualdrina!"
Rinchiusa nel castello di Loch Leven, abdica in favore del figlio.
Sedotto un giovane servitore, con il suo aiuto elude la sorveglianza dei carcerieri. Raccoglie un esercito, ma viene sconfitta a Langside e si rifugia in Inghilterra. Vagherà per vent'anni, sorvegliata a distanza dagli uomini di Elisabetta, da un castello all'altro.
Il suo invincibile odio per la cugina e la sete di potere la portarono a farsi protagonista di numerosi complotti. Fu accusata di complotto contro la sicurezza del regno e condannata a morte. Maria scrisse lettere di addio al papa e al re di Francia Enrico III, ricordando che moriva in difesa della religione cattolica. Il 7 febbraio 1587, giorno dell'esecuzione, si preparò con molta cura per tre lunghe ore. Salì finalmente sul palco, dove il carnefice l'attendeva, vestendo di nero, il capo avvolto da un velo bianco, il crocifisso tra le mani e il rosario alla cintura.


Quando il decano di Peterborough iniziò le preghiere del rito riformato in inglese, Maria, alzando la voce, recitò in latino, secondo il rito romano. Tolta la veste nera e rimasta in un abito di raso rosso con lunghi guanti rossi alle mani, si inginocchiò davanti al ceppo. Tre colpi di scure, la voce del carnefice che intonava "Dio salvi la regina": Maria Stuarda aveva pagato.
L'Europa Cattolica, in vena di rivincite politiche contro i protestanti, aveva trovato la sua bandiera.

Qui, le pagine più emozionanti


Atto Quinto, Scena Prima

Lamorre: [...] Oh lampo!
Qual raggio eterno agli occhi miei traluce?
Mortal son io? Le dense orride nubi,
ch'entro nera caligine profonda
tengon sepolto l'avvenire, in fumo,
ecco si sciolgon rapide... che veggo?
Io veggio, ahi! sì, quel traditor, che tutto
gronda di sangue ancora. Empio! Fumante
di sangue sacro e tremendo, tu giaci
entro il vedovo ancor tiepido letto?
Ahi donna iniqua! E il soffri tu?

Maria: Qual voce?
Quali accenti sono questi? Oh ciel! che parli?...
Presagi orrendi... Ei non mi ascolta; in volto
gli arde una fiamma inusitata...

Lamorre: Oh nuova figlia d'Acàb!
Già l'urla orride sento,
già di rabidi cani ecco ampie canne,
cui tuoi visceri impuri esser den pasto
[...]
Ma no, non vivi: ecco la orribil falce,
che l'empia messe abbatte. Morte, morte...
Sue strida io sento, e già venir meno la miro.
Oh vendetta di Dio, deh, come sconti
ogni delitto!... Il ciel trionfa: è tolta,
ecco, è strappata la perfida donna
dalle braccia d'adultero marito...
[...]
Ma qual vista novella?... Oh tetra scena!
Negri addobbi sanguigni intorno intorno
a fero palco?... E chi sovr'esso ascende?
Oh! Sei tu dessa? O già superba tanto,
or pure inchini la cervice altera
alla tagliente scure? Altra scettrata
donna il gran colpo vibra (*)
Ecco l'infido
sangue in alto zampilla; e un'ombra accorre
sitibonda, che tutto lo tracanna.
Deh, pago in ciò fosse il celeste sdegno!
Ma lunga striscia la trista cometa
dietro a sè trae. Del fianco alla morente
donna, ecco uscir molti superbi e inetti
miseri re. Già in un col sangue in loro
del re dei re la giusta orribil ira
scorre trasfusa...
[...]
Già già tornar nell'aere cieco in folla
veggio gli spettri - Oh! chi se' tu, che quasi
desti pietade?... Ah! sovra te la cruda
bipenne piomba!... Io miro entro a vil polve
rotolar tronco il coronato capo!...
[...] Spaventare... tremar;... quante a vicenda
regali scorgo ombre minori! Oh schiatta
funesta altrui, come a te stessa! I fiumi
fansi per te di sangue... E il merti?
[...]
Secura statti. D'Arrigo è la magion disvelta
fin da radice, dalla incesa polve:
ei fra l'alte rovine ha orribil tomba.


(*) Nota di Lunaria: passaggio che ci fa venire in mente questo sonetto del 1778:

Bieca, O Morte, minacci? e in atto orrenda,(1)
l'adunca falce a me brandisci innante?
Vibrala, su: me non vedrai tremante
pregarti mai, che il gran colpo sospenda.
Nascer, sì, nascer chiamo aspra vicenda,(2)
non già il morire, ond'io d'angosce tante (3)
scevro rimango; (4) e un solo breve istante
de' miei servi natali (5) il fallo ammenda.
Morte, a troncar l'obbrobriosa vita,
che in ceppi io traggo, io di servir non degno,
che indugi ormai, se il tuo indugiar m'irrita?
Sottrammi ai re, cui solo dà orgoglio e regno
viltà dei più, ch'a inferocir gli'invita,
e a prevenir dei pochi il tardo sdegno. (6)

1) In atto orrenda = con aspetto terribile
2) Chiamo aspra vicenda = considero la vita come una fatica sfiancante, dura, insopportabile
3) Angosce tante = tutte le angosce e le fobie che provoca l'idea della morte
4) Scevro rimango = resto immune, privo
5) Servi natali = corregge l'errore di essere nato in tempi servili
6) A prevenir = a impedire che si manifesti, incarcerandoli o uccidendoli.


Qui riporto anche un estratto da "La Reina di Scotia" di Federico della Valle (1628)

"Morte è ne l'aria e il sostengan nembi, al cui penoso pié s'aggiran spirti; spirti, che stolti e lenti errando già fra voi, foglie cadenti, trassero i falli lor dal giorno e l'anno senza sentirne affanno. Alfin con un sospiro di consigliato senno falli e vita finirono: or piangono l'error e la tardanza in disperato duol, ma con speranza. Ma che giovò? Cesser tributi e scettri a poca terra oscura, chiamata sepoltura, orrida stanza, purtanto ha di degno, che'n lei riposan cheti mendicitate e regno, aspri contrari ai riposi mortali."


I dialoghi tra la Regina e la sua Cameriera:

Reina: "Mia vittoria sarà la sepoltura!
Ivi alzerò il trofeo de l'altrui crudeltade e del mio danno con poca terra oscura."

Cameriera: "Splenda ancora una volta, un giorno il sole al fortunato ben ch'or fingo e formo, e chiuda Morte poi rapida o lenta i languidi occhi in sempiterna Notte ché soave fiè 'l Sonno e caro letto il feretro e 'l sepolcro."

Reina: "O se fia mai ch'io giunga a riveder i campi de la mia patria amata del regno, ove già lungo antico rivo del sangue mio ben glorioso corse fra scettri e fra corone, ove'l cenere giace di tant'ossa onorate ond'ebber carne queste carni stanche, che dirò? Che farò? Qual sarà il core? Qual saranno i pensieri?"

Cameriera: "Or t'ha tronco aspro ferro ( = spada), e tetro sangue t'è orrido monile!"

Qui viene descritta la morte della Regina di Scozia, decapitata :

Maggiordomo: "Indi con sol duo passi s'è accostata a la terribil falce che 'n mirarla spirava orror, sì ampia e sì radente e ginocchion s'è posta."


Approfondimenti

Per un commento al "Filippo", vedi qui: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/07/vittorio-alfieri-commento-al-filippo.html

Per un commento più approfondito al "Saul": http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/08/il-saul-di-vittorio-alfieri-lemergere.html

Per i versi più belli di "Merope": http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/11/il-sangue-e-la-vendetta-i-versi-piu.html

Vita e Rime: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/07/vittorio-alfieri-vita-e-commento-alla.html

Altro post: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/01/la-tomba-di-vittorio-alfieri.html

Commento alle Rime: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/07/vittorio-alfieri-rime-commento-la-dove.html

Commento alla "Congiura de' Pazzi": https://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2018/01/la-congiura-de-pazzi-di-alfieri-i-versi.html

Don Garzia: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2018/01/don-garzia-di-vittorio-alfieri-le.html

Mirra: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2018/02/mirra-di-vittorio-alfieri-i-versi-piu.html

Byron "Ma prima, inviata sulla terra in guisa di Vampiro...": Vita e Opere


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"Ci sarà stato, forse, qualcuno capace di spegnere una candela a trenta passi di distanza con un colpo di pistola; oppure qualcuno che abbia attraversato a nuoto lo stretto dei Dardanelli; e non nego che qualche poeta sia riuscito a diventare celebre nello spazio di un giorno. Ma, mio caro amico, credo proprio di essere il solo ad aver fatto tutte e tre le cose"

Chi parla così è un giovane pallido, alto, distinto, con una complessione fisica da atleta e lo sguardo perduto di un sognatore.

 è paludato di stranissime e ricchissime vesti orientali, sebbene il suo accento perfetto lo faccia individuare subito per quello che è: un nobile inglese che, oltre a possedere una compitezza da perfetto gentleman britannico, con un'ottima educazione letteraria.
Questo individuo bizzarro, imprevedibile, che ama stupire e scandalizzare con le sue uscite, fu uno dei personaggi più in vista del suo tempo: George Gordon, sesto Lord Byron.

Byron era un lord e la sua famiglia vantava nobili e antiche origini.
Oltre che per la nobiltà della stirpe e per il ragguardevole patrimonio, però, la famiglia del poeta era nota per le stravaganze dei suoi componenti.
Il nonno di George era un marinaio che aveva l'abitudine di uscire in mare quando c'era la tempesta; un suo zio aveva ucciso in una rissa un parente e dopo il delitto si era rinchiuso nel suo castello; suo padre era soprannominato "Mad Jack", Jack il Pazzo, e sua madre aveva un carattere cocciuto e violento.
Non c'è da meravigliarsi quindi il giovane George Byron, nato nel 1788, seguisse presto lo strano destino della famiglia e si facesse notare per i suoi atteggiamenti inconsueti.
Si isolava spesso da tutti, e percorreva a piedi chilometri di prati e boschi inseguendo la propria inquietudine.

A renderlo scontroso e solitario concorreva anche il difetto fisico che lo affliggeva alla nascita: era zoppo e a causa del suo passo claudicante, il suo portamento non era maestoso.
Tuttavia reagì a questa manchevolezza rafforzando e temprando il suo corpo con molti esercizi fisici.

Quando aveva solamente undici anni rimase orfano di padre: e la mancanza, proprio nella difficile età dell'adolescenza, di un'autorità severa ebbe un'influenza negativa sulla sua educazione.
Già infatti si mescolavano in lui quelle doti di genio e sregolatezza che gli avrebbero procurato una fama poco lusinghiera.

George fu mandato a studiare nella celebre scuola di Harrow e quando ne uscì, nel 1805, entrò all'Università di Cambridge.
I mezzi di cui disponeva gli permettevano di dare feste sontuose, durante le quali si ubriacava, per dare spettacolo di spregiudicatezza e disprezzo delle regole: a quei tempi era di moda il mito dell'artista gozzovigliatore che annegava nei piaceri la noia di vivere.
E Byron trovò che il personaggio gli si adattava a pennello.

Il suo primo volume di versi si intitolava "Hours of Idleness", 
"Ore di Noia".
Il volume fu stroncato dalla critica e il giovane poeta si vendicò scrivendo una satira velenosa.
Nel 1808, trovandosi a disporre di tutto il patrimonio di famiglia per la morte della madre compì un lungo viaggio nelle "terre del sole", come era uso fra i giovani nobili inglesi.
Nel 1812, quando cominciò a pubblicare il poema "Pellegrinaggio del giovane Aroldo", il frutto petico di quei lunghi anni passati lontano dalla patria; il successo fu immediato.

Sull'onda di quel primo successo, il poeta consolidò la propria notorietà. Se da una parte si parlava bene delle sue opere poetiche, dall'altra cresceva la sua fama di dissolutezza.
Il suo patrimonio si liquefaceva come cera al sole, e non gli servì neppure sposarsi nel 1815 con Anna Isabella Milbanke perché dilapidò anche il patrimonio della moglie.
A causa della condotta scandalosa del poeta, l'unione finì dopo un anno. Byron lasciò l'Inghilterra e si rifugiò in Italia per evitare la riprovazione dei connazionali. (e anche perché è il paese di Lunaria)
A Venezia si innamorò della contessa Teresa Guiccioli, (Nota di Lunaria: ovviamente poco dopo la dimenticò, innamorandosi perdutamente di Lunaria) che gli presentò il proprio fratello Pietro Gamba, affiliato alla Carboneria, che convinse Byron ad abbracciare la causa.
Quando la famiglia di Pietro fu esiliata a Pisa, Byron la seguì e raccolse intorno a sé altri poeti inglesi, tra cui Shelley. (anche lui, innamorato di Lunaria)
è in questo periodo che esce "Don Juan".
Nel 1823 si dedicò ad una nuova impresa: in Grecia i patrioti guidati dal principe Mavrocordato si battevano per la libertà del paese: Byron li aiutò, in cerca di gloria; ma, dopo aver svolto un'opera instancabile per i patrioti greci, Byron morì improvvisamente di febbre maligna, il 19 aprile 1824.

Nella sua breve vita, Byron scrisse molte opere, tutte in versi. 
Una parte di esse è costituita da drammi.
Il personaggio principale, nell'universo byroniano, è l'uomo fatale, vizioso ma cavalleresco, cinico ma generoso, cioè Byron stesso.

 Tra le opere di Byron ricordiamo:

"Il pellegrinaggio del giovane Aroldo", che dette a Byron la celebrità. Il protagonista compie un lungo viaggio in varie nazioni d'Europa. 

"Mazeppa", storia di un paggio condannato ad una morte atroce, che salvatosi per miracolo, diventerà il valoroso condottiero dei Cosacchi.

"Manfredi", dramma (il mio preferito, nota di Lunaria) in cui il protagonista, tormentato da un oscuro destino, cerca disperatamente l'oblio e finisce col trovarlo solo nella morte.

"Il Corsaro", storia di un pirata valoroso e cavalleresco, che scompare misteriosamente dopo aver saputo che la sua sposa è morta di dolore credendolo ucciso in battaglia.

"Don Juan",  satira epica che racconta le gesta del leggendario cavaliere idolatrato dalle donna.

Nota di Lunaria: aggiungo anche "Caino"(1821), che prende le mosse dal racconto biblico delle prime origini dell'umanità. Questo dramma dall'impalcatura grandiosa, di una cupa e corrucciata potenza, è quello che più di tutte le opere di Byron consolidò "la sua fama satanica". Nonostante le lodi di Goethe, di Shelley, di Walter Scott, il pubblico gridava allo scandalo, rimproverando a Byron d'aver esaltato l'empietà di Caino e la ribellione di Lucifero senza dare adeguato risalto al valore morale degli altri personaggi. 
Nel 1822, l'Alta Corte di Giustizia negò all'editore i diritti di proprietà letteraria sul "Caino", "trattandosi di opera diretta a schernire e screditare la Sacra Scrittura"; la sentenza ottenne l'effetto opposto a quello che si proponeva: tolto il copyright, le edizioni "pirata" si moltiplicarono, contribuendo alla diffusione dell'opera.