"Il Giro di Vite" di Henry James: inizia così...


In un'atmosfera angosciante e allucinante, misteriosa ed ambigua, James dà vita ad una delle sue storie più riuscite.
"Il Giro di Vite" venne scritto nel 1898, ed è uno dei testi più celebri di  James: dietro l'apparenza di una storia di fantasmi (tema tipico del romanzo gotico anglosassone), di due revenants al centro del romanzo, sono la figura retorica dietro la quale James presenta ciò che ritorna, ciò che si ripete.
I fantasmi di Quint e Jessel (la prima bambinaia di Miles e Flora) sono un'ossessione, ma ambiguamente, o dei bambini o della seconda istitutrice che ha preso il posto di Jessel…

***

Inizia così…

Il racconto ci aveva tenuti col fiato sospeso attorno al focolare, ma, salvo l'ovvia osservazione che esso era raccapricciante, come dovrebbe in fondo essere ogni strana storia narrata la vigilia di  Natale in una vecchia casa, non ricordo che suscitasse alcun commento, sinché qualcuno ebbe a dire che quello era il primo caso a sua conoscenza in cui una prova del genere fosse toccata ad un fanciullo.
Si trattava, ricordo, di un'apparizione in una casa altrettanto vecchia di quella che ci aveva riuniti per l'occasione: una visione spaventosa apparsa ad un bambino che dormiva nella stanza della madre, e che l'aveva destata con il suo terrore; destata non per vincere quell'incubo e farlo teneramente riaddormentare, ma perché ella stessa, prima di esservi riuscita, si trovasse davanti alla medesima visione che lo aveva sconvolto.
Fu questa osservazione a provocare da parte di Douglas - non immediatamente, ma più tardi nella serata - una risposta che ebbe l'interessante conseguenza su cui richiamo la vostra attenzione.
Qualcun altro prese a raccontare una storia di scarso interesse, e mi accorsi che Douglas non l'ascoltava. Questo fu per me il segno che anche lui aveva qualcosa da dirci, e che si trattava soltanto di aspettare. In effetti aspettammo due sere; ma quella sera stessa, prima che ci separassimo, egli ci anticipò quel che aveva in mente.
"Convengo pienamente - nei riguardi del fantasma di Griffin o di quel che fosse - che il suo apparire dapprima al bambino (e di un'età così tenera), aggiunge alla faccenda un senso particolare. Ma, per quanto ne so, non è la prima volta che un fenomeno tanto affascinante coinvolge un bambino. Se la presenza di un bambino dà all'effetto un altro giro di vite, che direste di due bambini?"
"Diremmo, naturalmente", esclamò qualcuno, "che darebbe due giri di vite. E anche che vogliamo conoscerne la storia."
Mi sembra ancora di vedere Douglas ritto davanti al camino, le spalle al fuoco, le mani in tasca, lo sguardo rivolto dall'alto in basso, al suo interlocutore.
"Nessuno all'infuori di me, finora, ne ha mai sentito parlare. è semplicemente troppo orribile."
Parecchie voci, com'era ovvio, dichiararono che questo conferiva alla cosa un estremo interesse, e il nostro amico, con arte sottile, si preparò il trionfo volgendo gli occhi su di noi ed aggiungendo "è al di là di ogni immaginazione. Non conosco nulla che gli si possa paragonare."
"Per terrore allo stato puro?", ricordo di aver chiesto.
Sembrò voler dire che la cosa non era tanto semplice; che non trovava le parole per definirla. Si passò la mano sugli occhi, fece una smorfia leggera, come di pena.
"Per spavento... spavento che ti stringe la gola!"
Oh, che delizia!", strillò una delle donne.
Non le badò; guardava me, ma come se, invece di me, vedesse quello di cui parlava. "Per assoluta, sovrannaturale ripugnanza e orrore e pena."
"Bene, allora", dissi, "mettiti a sedere e comincia."
Si voltò verso il fuoco, con un calcio smosse un ceppo, lo fissò per un istante. Poi si voltò di nuovo verso di noi: "Non posso cominciare. Devo prima scrivere in città."
Queste parole furono accolte da un unanime mormorio di disappunto e da molte rimostranze; al che, col suo fare preoccupato, si spiegò. "La storia è scritta. Si trova in un cassetto chiuso a chiave... non ne è uscita per anni. Potrei scrivere al mio domestico e mandargli la chiave; lui potrebbe inviarmi il plico così come lo trova." [...]
"E il resoconto è tuo? Hai registrato tu la cosa?"
"Nient'altro che l'impressione. L'ho incisa qui. (si toccò il cuore). Non l'ho mai perduta."
"Ma il tuo manoscritto, allora...?"
"è vergato con un inchiostro vecchio sbiadito, in una bellissima grafia". Esitò di nuovo. "Di una donna. è morta da vent'anni. Mi mandò quelle pagine prima di morire."
Tutti adesso stavano in ascolto e qualcuno naturalmente fece un commento malizioso o almeno tentò di trarne delle illazioni. Ma se Douglas lasciò cadere le illazioni senza sorridere, lo fece anche senza irritarsi. "Era una persona piena di fascino, ma aveva dieci anni più di me. Era l'istitutrice di mia sorella", disse quietamente. "Era la più piacevole donna con quella occupazione che io abbia mai conosciuto; e avrebbe potuto farsi onore in qualunque altra. è stato molto tempo fa, e l'episodio accadde molto prima ancora. Io allora ero al Trinity College, e la trovai a casa quando vi tornai per le vacanze del secondo corso. Vi restai molto quell'anno... era un anno dolcissimo; nelle sue ore libere talvolta passeggiavamo e conversavamo in giardino... e in quelle occasioni fui colpito dal suo acume e dalla sua simpatia.
Oh sì, non sorridete: mi piaceva moltissimo, e ancora oggi mi rallegro nel pensare che anch'io le piacevo. Altrimenti, non mi avrebbe raccontato quella storia.  Non l'aveva mai raccontata a nessuno."
[...]
"A causa della morte in India dei loro genitori, egli era diventato il tutore di un nipotino e di una nipotina, figli di un suo fratello minore, un militare, che aveva perduto due anni prima. Questi due bambini, per una sorte delle più strane per un uomo nelle sue condizioni - un uomo solo senza esperienza e senza un filo di pazienza - pesavano interamente sulle sue spalle. Ne era nata una grave preoccupazione e, senza dubbio per colpa sua, una serie di sbagli grossolani; ma egli provava un'immensa pietà per i due piccoli, e aveva fatto tutto ciò che aveva potuto; in particolare li aveva mandati nell'altra sua casa, poiché il posto più adatto per loro era evidentemente la campagna, e li aveva tenuti là sin da principio, con le migliori persone che potesse trovare per accudirli separandosi per questa ragione persino dai propri servitori, e andando egli stesso, non appena gli era possibile, a vedere come stavano. La cosa più imbarazzante era che i due orfanelli non avevano praticamente nessun altro al mondo, e che gli affari assorbivano quasi tutto il suo tempo. Li aveva sistemati a Bly, dimora salubre e sicura, e aveva messo a capo di quella piccola colonia - ma solo ai gradi più bassi - una eccellente donna, la signora Grose, che era stata a suo tempo cameriera di sua madre e che, ne era certo, sarebbe piaciuto alla visitatrice. La signora Grose badava ora all'andamento della casa e fungeva provvisoriamente da istitutrice della bambina, a cui - non avendo figli suoi - era profondamente affezionata. Il personale di servizio era molto numeroso, ma naturalmente la signorina che avrebbe dovuto recarsi laggiù in qualità di istitutrice avrebbe avuto pieni poteri. Avrebbe inoltre dovuto, durante le vacanze, prendersi cura del bambino, che da un trimestre era in collegio (era forse troppo giovane per andarci, ma che altro si poteva fare?) e che, dato che le vacanze stavano per cominciare, sarebbe stato di ritorno da un giorno all'altro.
Nei primi tempi ai due bambini aveva badato una signorina che avevano avuto la sfortuna di perdere.
Persona degnissima, si era presa cura di loro in maniera splendida sino alla sua morte: grave contrattempo che, per l'appunto, non aveva lasciato altra alternativa che il collegio per il piccolo Miles.
La signora Grose, da allora, aveva fatto quanto poteva per l'educazione e le necessità pratiche di Flora; c'erano, oltre a lei, una cuoca, una cameriera, una donna che si occupava della cascina, un vecchio pony, un vecchio stalliere e un vecchio giardiniere, tutti parimenti rispettabili.
Douglas aveva tracciato il quadro sino a quel punto, quando qualcuno fece una domanda. "E di che cosa morì l'istitutrice precedente?... di un eccesso di rispettabilità?"
La risposta del nostro amico fu immediata.
"Lo si saprà in seguito. Non voglio anticipare."
"Scusatemi... credevo fosse proprio quello che state facendo."
"Al posto della nuova istitutrice", insinuai, "io avrei voluto sapere se l'incarico comportava..."
"Necessariamente un pericolo di morte?"
Douglas completò il mio pensiero.
"In effetti lo voleva sapere, e lo seppe. Sentirete domani che cosa seppe. Nel frattempo, com'era naturale, la proposta le apparve leggermente inquietante. Era giovane, inesperta, impressionabile: le si spalancava davanti la prospettiva di gravi doveri e di scarsa compagnia, di una solitudine di gravi doveri e di scarsa compagnia, di una solitudine quasi senza confini. Esitò... chiese un paio di giorni per consigliarsi e riflettere. Ma il salario che le veniva offerto superava di gran lunga le sue modeste pretese, e in un secondo colloquio decise di correre il rischio, e accettò."
E Douglas, a questo punto, fece una pausa che, a beneficio della compagnia, mi spinse a dire: "La morale della favola è che lo splendido giovinotto la affascinò al punto di farla cedere."
[...] "Egli le espose francamente tutte le difficoltà che aveva incontrato... a molte candidate le sue condizioni erano apparse proibitive. In certa misura, ne erano spaventate. Suonava poco chiaro, suonava strano; soprattutto a causa della condizione principale."
"Che era?"
"Che non lo avrebbe mai dovuto disturbare... mai, per nessuna ragione: né farlo chiamare, né lamentarsi, né scrivere; doveva risolvere tutti i problemi da sola" [...]

"Presenze" di Rusty Lemorande (1992) ["The turn of the screw"] è ispirato al racconto di James 



è un film che ho visto parecchi anni fa, ma ricordo che era carino.