RoseBlood

 Ho preso questo Urban Fantasy del 2017, che mi ispirava... è una rivisitazione del Fantasma dell'Opera. 



Su questo personaggio avevo già letto lo splendido "Il Castello Incantato" https://recensioniromanzirosa.blogspot.com/2020/03/il-castello-incantato-di-anne-stuart.html

Ecco la trama: Rune Germaine ha una splendida voce, paragonabile a quella di un angelo, ma è afflitta da una terribile maledizione: quando si esibisce, infatti, si sente malata e stanca, come se la bellezza del suo canto le rubasse ogni volta un po' di vita. Sua madre, nel tentativo di aiutarla, decide di iscriverla ad un conservatorio poco fuori Parigi, convinta che l'arte potrà curare la strana spossatezza di Rune. Poco dopo il suo arrivo nel collegio di RoseBlood, la ragazza si rende conto che c'è qualcosa di soprannaturale nell'aria: il misterioso ragazzo che vede spesso in cortile, infatti, non frequenta nessuna delle classi a scuola e scompare rapidamente come è apparso.  Non ci vuole molto perché tra i due nasca un'amicizia segreta. Thor indossa abiti che sembrano provenire da un altro secolo e in sua presenza Rune si sente meglio, quasi cominciasse a guarire. Ma tra i corridoi di RoseBlood c'è una terribile minaccia in agguato e l'amore tra Rune e Thor verrà messo a dura prova. Dalla scelta di Thor, infatti, potrebbe dipendere la salvezza di Rune o la sua completa distruzione.


Recensione di Lunaria: davvero bellissimo questo "Rose Blood"! Rivisitazione del "Fantasma dell'Opera" di Leroux, caratterizzato da una narrazione con parole ricche di fascino barocco e operistico.  Insieme alla "Touched saga", "Rose Blood" mi ha conquistata e lo metto ai primi posti nella mia classifica di Urban Fantasy preferiti. A volte mi sono dovuta staccare dalla lettura a malincuore, perché fin dalle prime pagine mi aveva proprio incantato e facevo davvero fatica a smettere di leggerlo.  Unica pecca: l'Autrice, specie a metà romanzo, divaga su qualche personaggio secondario abbastanza inutile, per la verità, di cui "non ce ne può fregare de meno", perdendosi nel raccontarci inezie o prolissità su tizio o caia, e rallentando un po' il ritmo, visto che attendiamo trepidanti che si manifesti il Fantasma e che Rune e Thor si incontrino, ci importa davvero poco dei "compagni di classe di Rune", del tutto irrilevanti, per lo più! 

Sono poche le pagine dove la passione tra Rune e Thor sfocia in amplessi e baci, perché il tutto resta, per la maggior parte del romanzo, sublimato in atmosfere platoniche e "suggerito": un po' di eros carnale in più sarebbe stato gradito...


Gli stralci più belli:

"Il fatto che abbia smesso di piovere mi tranquillizza appena. La nebbia avvolge il paesaggio, calando sulla strada mentre percorriamo il ponte. L'accademia RoseBlood torreggia, cupa e spaventosa. L'architettura barocca, fosca e imponente, la fa sembrare un castello minaccioso e non un teatro dell'opera in un luogo remoto. La cupola dell'auditorium - una calotta di bronzo che si staglia nel cielo uggioso come una corona spettrale -  si poggia su un tetto timpanato su cui un cavallo alato fa da guardia accanto ad Apollo. (...) In "Il Fantasma dell'Opera, un tetto simile giocava un ruolo fondamentale e romantico nella storia. è lì che Christine e Raoul si sono incontrati e dichiarati amore eterno. Erano spiati dal Fantasma (...) L'immenso edificio è ricoperto di edera e licheni. La luce dei fari viene riflessa sulla facciata bagnata, che appare di un bianco etereo, ma quando ci avviciniamo, risalta il vero colore della pietra. Il tempo l'ha erosa fino a farla diventare di un verde turchese squamoso, come la coda di una sirena. Degli antichi lampioni, quelli che ci si aspetterebbe di vedere su una cartolina vittoriana, punteggiano la terrazza anteriore ed emettono un bagliore giallo inquietante nella foschia. (...) La scuola è fianchettata su un lato da un giardino incolto. I primi fiori autunnali crescono in modo disordinato, foglie verdi e argentate, rose cremisi e dei fiori bianchi delicati si infrangono come onde su una recinzione di ferro battuto che un tempo li conteneva. Dietro al giardino, in lontananza, ci sono un cimitero e una cappella. L'edificio in pietra abbandonato sorge alto e fiero, nonostante sia vecchio e decrepito come le lapidi e le statue che lo circondano. Delle vetrate istoriate in frantumi brillano come se fossero gli artigli di una violenta creatura dell'arcobaleno che si fa strada tra la nebbia. Eppure, nonostante la sua bellezza inquietante, sembra piegarsi di paura davanti all'ombra sconfinante della foresta che incombe con l'arrivo della sera."

"Rune", mormorò sottovoce. Nei tempi antichi, le rune erano liturgie mistiche e divine che servivano a lanciare degli incantesimi. Questo spiegava perché era stregato da lei.(...) Aveva assaporato la musica, più sfarzosa del miele fresco che si scioglie sulla lingua; aveva sentito le note sulla sua pelle, che lo placavano come gocce di pioggia durante una giornata calda."

"Thorn aveva seguito gli insegnamenti del suo tutore e aveva creato le proprie maschere - alcune di tessuto, altre di ceramica - per coprire la metà destra del viso e rendere omaggio alla sua stirpe mista. Anche se non aveva nessun difetto fisico da nascondere, dentro di lui si annidava un demone che aveva timore di portare alla luce del giorno." La luce di Rune. Il bianco più puro che avesse mai visto... vero, raro... l'essenza di un angelo. Thorn lo rivoleva per nasconderlo nel proprio corpo, per scaldarlo e far risorgere la sua musa. "Vuole essere libera. L'ho percepito", aggiunse Thorn.

"La loro specie discendeva dai cacciatori... si insinuavano nelle camere buie per indossare come perle preziose sulle loro carne il respiro delle donne addormentate, dirottando i loro sogni e seducendo i loro corpi e il loro spirito, traendo energia dalla loro passione, dai loro bisogni e dalle loro paure."

"Il paesaggio incolto è formato da cespugli, rovi, rampicanti ed erbacce alte fino alle ginocchia su ciascun lato del sentiero di ciottoli. In lontananza, le rose rosse che mi arrivano al petto ondeggiano al ritmo del vento dal sapore di pioggia, come attori che ringraziano per l'encore. I fiori autunnali spuntano dalle tombe dei boccioli estivi ormai morti, che non vogliono lasciar cadere i propri abiti viola, arancione, oro e blu, nonostante quanto siano sgargianti rispetto al panorama appassito. Le nuvole formano una massa grigia che copre il cielo. Uno strato sottile di nebbia cala sulle piante e sul mio viso, come ragnatele eteree. (...) E i fantasmi. Volto lo sguardo verso le rose alla mia destra, quelle che sono morte al tocco della mano di un uomo domenica scorsa. Il modo in cui ondeggiano sugli steli, nere e pesanti, dimostra che non l'ho immaginato. Sento una morsa al petto e i passi vacillano quando noto un pezzo di tessuto grigio, legato a dei fiori dorati sotto un cespuglio spinoso."

"Dal bocciolo di petali sgorga un liquido che scorre e sgocciola, come se le rose sanguinassero dall'interno. I tuoni rombano nel cielo e una goccia di pioggia mi bagna il viso. Tremo, anche se non è la tempesta imminente a farmi rabbrividire, ma il modo in cui il sangue scende nelle fessure sulla roccia accanto ai rovi, formando delle lettere, come se la Morte stessa stesse scrivendo delle parole in corsivo davanti ai miei occhi:  C-a-r-a-R-u-n-e"

"Il mio nome, scritto nel sangue, mi paralizza. Si alza il vento, freddo e brutale. (...) Non riesco a muovermi neanche quando la pioggia fredda mi colpisce, bagnandomi la testa e i vestiti. Non lo faccio, finché non vedo i petali bianchi di rosa puliti, la scritta rossa che si sparge in rivoli, le parole si cancellano, facendomi comunque sentire nauseata alla loro assenza... violata e confusa."

"[...] La sagoma che incombe su di me ha una forma diversa: spalle larghe e un corpo maschile in abiti scuri. Intenta a guardarla, non mi accorgo che ha smesso di piovere, che le nuvole si sono diradate e una luce grigia trasparente indora la stanza. Metto a fuoco la figura in piedi davanti a me prima che posso rendermene conto. Ricci e folti capelli scuri gli ricadono sulla fronte, sgocciolando sul naso della maschera bianca di porcellana che gli copre metà viso. Rivoli d'acqua scorrono sul lato scoperto del volto"

"è il giardiniere... il Fantasma. Non era soltanto la mia immaginazione, era tutto vero. Sono turbata dalla descrizione della sua deformità in ogni rappresentazione della storia, da ciò che nasconde sotto la maschera: pelle marcia gialla... nessun naso o labbro superiore... la fronte e l'occhio affossati. Ma la mia attenzione è attirata dal lato sinistro e dai lineamenti simmetrici e sensuali. è la sua metà complementare, due poli opposti, premuta sul viso immacolato di un uomo come due parti spaiate di argilla."

"Sei sempre stato tu. Le rose sanguinanti, le uniformi strappate, l'uccello morto." (...) Non ho il coraggio di chiedergli perché l'abbia fatto... forse per attirarmi qui, così lo avrei trovato.  Ma perché? Poi capisco... so qual è l'unico motivo per cui vorrebbe che lo trovassi. E lo voglio anche io, lo voglio così tanto che il mio sangue brucia."

"I miei occhi incrociano i suoi, tutti gli altri sensi sono in armonia con ogni aspetto della sua realtà: la forza delle sue dita avvolte nella pelle, strette nella mia mano, il ritmo costante del suo fiato a pochi centimetri dalla mia fronte... il profumo della sua pelle calda, umida e terrosa, come il muschio nella foresta, bagnata dalla luce del sole e dalla rugiada."

"Cosa sei tu?", mormoro. La parte scoperta del suo viso muta, addolcendosi in un'espressione aperta ed eterea da sembrare quasi angelica. "Cosa siamo, vuoi dire." La sua risposta, pronunciata con accento francese, riverbera nella cappella, profonda e roca."




"Santa Cecilia" di Stefano Maderno

Commento tratto da

Questa "Santa Cecilia" è opera di Stefano Maderno, uno dei tanti artisti lombardi che lavorarono a Roma dalla fine del '500.

L'opera venne commissionata allo scultore nel 1599 in seguito al ritrovamento miracoloso, durante il restauro della Chiesa di S. Cecilia, del corpo intatto della martire, morta decapitata.

Ma nulla, se non il segno sottile lasciato dalla spada sul candido collo, rivela l'orrore della morte in questa dolce immagine di fanciulla che sembra dormire.

è un'immagine piena di classica compostezza: l'ultima, forse.

Fra pochi anni il genio del Bernini sovvertirà  le regole della scultura, e Roma si popolerà di un mondo di statue dai gesti enfatici e dai panneggi sconvolti dal vento: sarà il trionfo del Barocco.





Aggiungo altre statue che mi piacciono:



























APPROFONDIMENTO: BREVE INTRODUZIONE AL NEOCLASSICISMO INGLESE:

https://intervistemetal.blogspot.com/2019/12/breve-introduzione-al-neoclassicismo.html

Giosuè Carducci

Ripubblico in edizione aggiornata impreziosita da questo bel commento introduttivo, i miei versi preferiti di Carducci.

 Info tratte da

Poeta dell'Italia uscita dalle battaglie del Risorgimento, repubblicano arrabbiato, anticlericale, professore universitario, favorito ufficiale della regina Margherita, Giosuè Carducci nacque a Valdicastello, in Toscana, il 28 luglio 1835.



Nel 1859 Carducci era un giovane professore che si era già fatto una certa fama come poeta: i suoi versi, al di là dello sfogo personale, conferivano al giovane professore un'aura di patriottismo.

Nel 1860 divenne professore alla cattedra di eloquenza italiana all'università di Bologna: l'Italia trovò in Carducci in poeta che seppe interpretare al meglio tutti gli ideali del Risorgimento.

Pur inserito nel sistema universitario, Giosuè Carducci era uno spirito anarchico, insofferente ad ogni disciplina.

"Odiavo gli impieghi e sono diventato impiegato regio; non ero atto a governar famiglia, ed eccomi una famiglia da guidare [Carducci si era sposato nel 1859]; amo le selve e i boschi e i monti, dove vivrei volentieri a modo di fiera, e convienemi vivere su le lastre e tra le mura stupide di questa città, dove poche fette di cielo mostrate a spizzico per le strade o le finestre aperte devon servire a migliaia di anime; sono superbo, iracondo, villano, sono soperchiatore, fazioso demagogo anarchico, amico insomma del disordine ridotto a sistema, e mi è forza fare il cittadino quieto e da bene...", diceva di sé Carducci in una lettera indirizzata all'amica Luisa Grace-Bartolini.

 Con le sue poesie storico-patriottiche, Carducci tentò di dare all'Italia, ormai riunita sotto la monarchia sabauda, l'illusione di una piccola epopea nazionale: cantò l'antica Roma, il Medioevo, le lotte dei Comuni contro l'imperatore Federico Barbarossa, impersonando la figura del "vate italico", che si lasciò sedurre dal sorriso della regina Margherita, cantandone la bellezza (unicamente perché non aveva visto Lunaria, ovviamente, altrimenti avrebbe cantato le lodi a Me! Nota di Lunaria) e identificandola con quell'Italia che egli vagheggiava:

Onde venisti? Quali a noi secoli

sì mite e bella ti tramandarono?

fra i canti de' sacri poeti

dove un giorno, o regina, ti vidi?

Fulgida e bionda (*) ne l'adamàntina

luce del serto tu passi, e il popolo

superbo di te si compiace

qual di figlia che vada a l'altare;

con un sorriso misto di lacrime

la verginetta ti guarda, e trepida

le braccia porgendo ti dice

come a suor maggior "Margherita"!


(*) Fulgida e corvina, ovviamente, in Lode di Lunaria.


 Carducci contribuì a liberare la poesia italiana dagli influssi del tardo Romanticismo, conferendole una dignità formale che la poneva idealmente a confronto con la severa poesia classica.

Ecco Ferrara l'epica. Leggera

la mole estense i merli alza ridenti,

e specchiando le nubi auree fuggenti

canta del Po l'ondìsona riviera

Tipiche delle poesie di Carducci sono le spezzature dei primi versi, i participi usati come aggettivi e collocati dopo i sostantivi.

Con le "Odi Barbare" tentò una moderna ricostruzione degli antichi metri che rivelassero, nella forma esteriore della poesia, la reazione al Romanticismo, sforzandosi di imporre all'Italia una poesia più virile, più aderente alla Natura, rispetto a Giovanni Prati o ad Aleardo Aleardi.

I temi di fondo della poesia carducciana sono un sentimento della Natura, al di là delle esaltazioni romantiche, che si riallacci a quella superiore armonia tra l'uomo e il mondo che fu la grande conquista della poesia classica greco-romana.

Il paesaggio italiano, nei versi carducciani, è ben definito: egli non parla di alberi generici, ma di cipressi, frassini, pioppi, querce, olmi (esattamente come nella poesia del Pascoli di "Myricae". Nota di Lunaria):


Di cima al poggio allor, dal cimitero,

giù de' cipressi per la verde via,

alta, solenne, vestita di nero

parvemi riveder nonna Lucia:

la signora Lucia, da la cui bocca

tra l'ondeggiar de' i candidi capelli

la favella toscana, ch'è sì sciocca

nel manzonismo de gli stenterelli.

canora discendea, co 'l mesto accento

de la Versilia che nel cuor mi sta,

come da un sirventese del trecento

piena di forza e di soavità.


Giosuè Carducci morì a Bologna, il 16 febbraio del 1907, ricevendo, l'anno prima, il Nobel per la letteratura.

Purtroppo, la critica letteraria del tempo non considerò molto le poesie d'amore di Carducci, che ci svelano il suo lato più intimo, il Carducci innamorato romanticamente, lacerato dalla passione e dalla malinconia, che dedicò liriche a Carolina Cristofori Piva (nelle poesie di Carducci chiamata Lina o Lidia) e alla scrittrice di feuilleton rosa Annie Vivanti (https://recensioniromanzirosa.blogspot.com/2020/10/storia-del-romanzo-rosa.html):

O desiata verde solitudine

lungi al rumor de gli uomini!

qui due con noi divini amici vengono,

vino ed amore, o Lidia

Se tornasse in vita nel 2020, certamente, Carducci sarebbe innamorato di Lunaria, esattamente come Shelley, Byron, Tarchetti, Milton, Tansillo, Monti, Marino e molti altri poeti.

Carducci aprì la strada alla malinconia agreste di Pascoli e alla sensualità estetica di d'Annunzio.

Nota di Lunaria: Carducci è detestato dai cristiani, perché nel 1863 ha scritto l'Inno a Satana. 

Il leggendario cd degli Emperor "In the Nightside Eclipse" contiene una canzone intitolata proprio "Inno a Satana"







ALTRO APPROFONDIMENTO

Qualche verso di Giosuè Carducci! Questi li trascrissi anni fa prendendoli da un'antologia. Comunque, è probabile che dedicherò qualche altro post a Carducci.


"Il comune rustico"

O che tra faggi e abeti erma su i campi

smeraldini la fredda orma si stampi

al sole del mattin puro e leggero,

o che foscheggi immobile nel giorno

morente su le sparse ville intorno

a la chiesa che prega o al cimitero

Sotto la pioggia, tra la caligne

torno ora, e ad esse vorrei confondermi; 

barcollo com'ebbro, e mi tocco,

non anch'io fossi dunque un fantasma.

Oh qual caduta di foglie, gelida,

continua, muta, greve, su l'anima!

Io credo che solo, che eterno,

che per tutto nel mondo è Novembre.

Meglio a chi'l senso smarrì de l'essere

meglio quest'ombra, questa caligine:

io voglio io voglio adagiarmi

in un tedio che duri infinito

(25 giugno 1875)


"Alla stazione in una mattina d'autunno"

Freni tentati rendono un lugubre

rintocco lungo: di fondo a l'anima

un'eco di tedio risponde

doloroso, che spasimo pare.


"A.O.T.T" (Ottavio Targioni Tozzetti) 

In vano l'orrido crin sanguinante infestò Orione

pe'l ciel distende ed il terribil di fiamma accende 

brando strisciante:

bianca di naufraghe ossa minaccia la riva squallida:

dal patrio lido la figlia chiamalo

con lungo strido pallida faccia.


"Canto di primavera"

L'umore che li astri piangono per la notte serena

... dal sangue tuo l'oceano tra selve di coralli

nel sangue nostro i nostri campi ringiovaniscono

e quando lento i chiostri del verde pian d'insubria

apre l'aratro e frange, su l'ossa rivelate

un padre piange.


"A Febo Apollinare"

Dolce fiammeggian l'umide luci

nel vano immote: siede pallor lievissimo

in su le rosse gote.

E anchio pregai: di lacrime io gli abbracciati altari sparsi.


"Alla Croce di Savoia"

Quella luce tra gli orrori de l'italica sventura.

Queste tombe e queste mura

al dì novi la serbar.

Tal su l'urne

de' maggiori a la tarda etrusca prole,

la favilla alma del Sole, i sepolcri tramandar.


"Congedo"

E giace, e il capo asconde, nel manto,

come a sé voglia coprire la vista

che il circonda, de la Morte:

e il vento le profonde sabbie rimove

e ne le orrende spire

par che sepolcro al corpo vivo apporte.


"Voce dalle soffitte"

Piovea per la bruma la nebbia

lividi raggi 

alta la Luna in su'l trivio fangoso

e dispariva dietro le nubi...


"Notte d'estate"

Il pensiero de le tombe come un'ombra in me scende;

né più i fiori né più i tigli danno odore;

tutto il bosco è per me crepuscolo.


"Ballata dolorosa"

Una pallida faccia è un velo nero

spesso mi fa pensoso de la morte;

ma non in frotta io cerco le tue porte,

quando piange il Novembre, O Cimitero.

Cimitero m'è il mondo allor che il sole

ne la serenità di maggio splende

e l'aura fresca move l'acque e i rami,

[...]

Veggo tra'l sole e me sola una faccia,

pallida faccia velata di nero.


"Pe'l Chiarone da Civitavecchia (Leggendo il Marlowe)"

Calvi, aggrondati, ricurvi, sì come becchini

a la fossa, stan radi alberi in cerchio de la suicida riva.

Stendonsi livide l'acque in linea lunga

che trema sotto squallido cielo per la lugubre macchia.

Bevon le nubi del mare, con pendule trombe,

ed il Sole piove sprazzi di riso torbido sovra i poggi.

D'odii et incesti e morti balzando

tra forme angosciose esala un vapor acre d'orrida tristizia,

che sale e fuma, e misto al'aer maligno

feconda di mostri intorno le pendenti nuvole.


"Sole d'Inverno"

Già di cerulea gioia rinnovasi ogni pensiero:

fremere sentomi d'intima vita gli spiriti:

il gelo inerte fendesi.

Già de' fantasmi dal mobile vertice

spiccian gli affetti memori,

scendon con rivoli freschi di lacrime,

giù per l'ombra del tedio.

Scendon con murmuri che agli antri

chiamano echi d'amor superstiti e con letizia

d'acque che a' margini sonni di fiori svegliano.


"Egle"

Stan nel grigio verno pur d'edra e di lauro

vestite, nell'appia trista 

le ruinose tombe.

Passan pe'l ciel turchino che still ancor

da la pioggia avanti il Sole

lucide nubi bianche.


"Anatema!"

Ombre assise su gl'ispidi venti,

Ombre chiuse nei turbini ardenti,

Ombre vaghe sui liquidi lampi,

Ombre erranti su gl'insubri campi,

sovra 'l Po, sovra'l Mar Veneziano,

su'l funesto novarico piano

con tal voce che l'Italia ne freme

Su! Gravate, Anatema, Anatema!

... Sopra il teschio de'l figlio sepolto

con tal voce che il cielo ne frena

Su! Gridate, Anatema, Anatema!     




COMMENTO ALL'INNO A SATANA, tratto da


Carducci è pienamente nel suo tempo quando si propone quale corifeo di una parte della pubblica opinione, quella che crede nel progresso civile e nella scienza: mazziniani, garibaldini, anticlericali, uomini del Partito d'Azione, progressisti, eredi del Risorgimento laico, si riconoscono nell'Inno a Satana 
(che è pure una canzone degli Emperor  https://www.youtube.com/watch?v=6PvYoCVAgFg&t=3s  
Nota di Lunaria) che, nato come un brindisi, convoglia l'esaltazione della gioia della vita e della natura, l'opposizione al dogmatismo, all'oscurantismo, all'ipocrisia. Nell'inno, alimentato dalla cultura massonica e positivistica, convergono la reazione alla mediocre politica filoclericale, il sentimento rivoluzionario antitirannico, la fede nel naturalismo e nella illuministica cultura borghese antiascetica e liberale. 

C'è anche la polemica per il riconoscimento della libertà né mancano i toni profetici che danno i colori della lirica europea del tempo.
Nell'apertura dell'Inno è annunziato il principio del monismo e del panteismo che avrà in seguito, in più disteso linguaggio lirico, espressioni indicative di vitalismo, di naturalismo come forza primordiale a cui l'uomo si abbandona partecipando alla perennità della vita cosmica e che si trasfonde nel sentimento facendo intuire la poesia come amore di vita piena, come balenare di passioni e di ideali. La materia è esaltata nella sua vitalità e nelle sue corrispondenze di ottimismo cosmico (il Sole e la Terra che si sorridono, si ricambiano parole d'amore), nei suoi fenomeni essa è animata da Satana principio dell'esistenza ed esso stesso libertà.
Tale libertà è stata demonizzata dai preti, da Dio e dagli angeli i quali ultimi ormai cadono come spenti pianeti dai firmamenti.
Le divinità cadute sono invenzioni di malvagi pontefici e re sanguinari, le persecuzioni cristiane non vinsero Satana il quale visse animatore di ricerche scientifiche e razionali, di umanesimo e di bellezza che si contrapponevano ai salmi davidici, alla tristezza degli anacoreti. 
Satana, liberatore del dogma e dalla superstizione, si incarna nella scienza moderna di cui è simbolo la macchina a vapore.



  

APPROFONDIMENTO: CARDUCCI E PASCOLI A CONFRONTO

Info tratte da


Giosuè Carducci e Giovanni Pascoli affrontano rispettivamente in "San Martino" e in "Novembre" lo stesso tema, ma in modi del tutto opposti. Entrambi i poeti descrivono quel periodo dell'anno collegato alla ricorrenza di San Martino che evoca immagini di letizia sia perché la spillatura del vino nuovo che solitamente si compie in tale data è un momento gioioso della vita del contadino, sia perché in quei giorni si verifica la cosiddetta "Estate di San Martino", un improvviso ritorno del bel tempo nel cuore della stagione autunnale.

Un confronto tra le liriche ci consente di misurare tutta la distanza che separa i due poeti, i quali, pur essendo contemporanei, adottano diversi modi di poetare. 

Carducci, che è ancorato alle forme ottocentesche, delinea un quadretto realistico legato al momento della spillatura del vino nuovo; Pascoli, che è già proiettato verso il Novecento, vede nell'Estate di San Martino il simbolo di qualcosa di più misterioso e profondo.

Il paesaggio carducciano viene collocato in uno spazio concreto, dai confini chiaramente delineati; gli elementi che ne fanno parte sono presentati secondo un ordine prospettico, come in un dipinto, che si proponga di riprodurre la realtà con la massima verosimiglianza: sullo sfondo il mare e i colli, in primo piano le vie del borgo e l'interno di una casa o di un'osteria, fino alla messa a fuoco di un singolo personaggio: il cacciatore che dalla porta guarda verso il cielo. Lo spazio pascoliano, al contrario, è astratto, indefinito; gli elementi che ne fanno parte sono collocati tutti sullo stesso piano senza che fra di essi si stabilisca alcuna gradazione prospettica.

La lirica carducciana è fondata sulla contrapposizione di due poli, uno positivo e uno negativo, che coincidono con due diversi aspetti della realtà. Il paesaggio naturale appare minaccioso e malinconico, gli interni, contrassegnati dalla presenza dell'uomo, comunicano sensazioni di vitalità e di sana allegria. La poesia pascoliana ci presenta invece una realtà assai più ambigua e inquietante: anch'essa è fondata su una contrapposizione o meglio su una serie di contrapposizioni (luce/buio, vita/morte, presenza/assenza, apparenza/realtà); i poli contrastanti però non corrispondono a due diversi aspetti della realtà, ma coesistono nella medesima immagine. Quella stessa natura che sembra così calda e luminosa, piena di vita, è in effetti percorsa da segnali di morte.

In "San Martino" ogni elemento del paesaggio ha valore in sé e per sé, non rinvia ad altri significati; in "Novembre", invece, ogni immagine è ambigua, allusiva, polivalente. Per esempio, l'aggettivo "nere" vale come nota di colore, ma al tempo stesso suscita sensazioni lugubri di morte, allo stesso modo di "vuoto", "cavo" ecc.

Carducci quando vuole potenziare il significato del suo messaggio ricorre ancora alla similitudine, come nei versi finali di "San Martino". Pascoli si serve di accostamenti più sottili e allusivi, come la sinestesia, il chiasmo, l'ossimoro, la contrapposizione a distanza di termini (gèmmea/fredda).

In conclusione, dai versi di Carducci emerge una visione univoca, ordinata e tutto sommato rassicurante della realtà che appare ancora fondata su valori saldi come il lavoro e l'autenticità della vita dei campi, grazie ai quali l'uomo può fronteggiare le tempeste della vita. Pascoli, al contrario, ci presenta un mondo privo di sicuri punti di riferimento, contraddittorio, inquietante e funereo.