Gabriele d'Annunzio: le poesie e le pagine più belle


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Gabriele d'Annunzio ha scritto migliaia di versi: in essi canta pressoché tutto: l'amore, la natura, la patria, la famiglia, la mitologia pagana, le gloriose imprese di guerra, la malinconia.
L'opera che ci ha lasciato assomiglia ad una fastosa epopea lirica i cui motivi più esteriori del Decadentismo europeo vengono riassunti.
Vita e linguaggio, in d'Annunzio, tendono misteriosamente a identificarsi e a confluire nel prodigio dell'arte. Non a caso, egli ha potuto dire di se stesso "Vivo, scrivo. Le mie vene pulsano, i miei polmoni respirano, la mia penna scorre."

Nell'Alcyone, che viene considerato il suo capolavoro, il poeta riesce a ricreare l'incanto di un'avventura pagana in bilico tra la realtà e il mito, sulla tenue trama del "racconto" di una felice stagione d'amore in Versilia.
Se esaminiamo alcune delle sue poesie più famose, ci accorgiamo che di esse non possiamo parlare che in termini musicali: le sue poesie non hanno un contenuto in senso tradizionale, ma sono un impalpabile aereo gioco di parole messe insieme obbedendo alle esigenze di un ritmo che le fa srotolare come tante perle sonore su una superficie sfuggente.
Ciò che distingue d'Annunzio dai poeti del suo tempo è la facoltà, davvero prodigiosa, dell'invenzione di sempre nuovi ritmi. Il suono delle parole, l'eco sottile e incalzante delle rime, l'armonia dei versi che si intrecciano, e si fondono tra loro: ecco che cosa si può cogliere nelle migliori poesie di d'Annunzio.

In "Novilunio", una delle ultime poesie dell'Alcyone, mare e terra, sotto la luce ambigua della luna, sembrano darsi la mano per comporre una struggente melodia di parole che ci incanta con la sua dolcezza quasi ipnotica.

Novilunio di Settembre!
Sotto l'ambiguo lume,
tra il giorno senza fiamme
e la notte senza ombre,
il mare, più soave
del cielo nel suo volume
lento, più molle
della nube
lattea che la montagna 
esprime dalle sue mamme
delicate,
il mare accompagna 
la melodia
della terra, la melodia
che i flauti dei grilli
fan nei campi tranquilli
roca assiduamente,
la melodia
che le rane 
fan nelle pantane
morte, nel fiume che stagna
tra i salci e le canne
lutulente,
la melodia
che fan tra i vinchi
che fan tra i giunchi
delle ripe rimote
uomini solinghi 
tessendo le vermene
in canestre,
con sì lunghi
indugi su quelle parole
che ritornano sempre.

Ecco l'inizio della "Pioggia nel Pineto":

Taci. Su le foglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.

E ancora, ne "La Morte del Cervo", l'apparizione del centauro, il mostro mezzo uomo e mezzo cavallo che il poeta finge di incontrare sulle rive del Serchio, in Versilia, e di cui poi descriverà la lotta vittoriosa con un grande cervo:

Quasi era vespro. Atteso avea
soverchio
alla posta del cerco, quatto
quattro
fra le canne; e vinceami l'uggia.
A un tratto
vidi l'uomo che natava in mezzo 
al Serchio.
Un uomo egli era, e pur sentii
la pelle
aggricciarmisi come a odor ferigno.
Di capegli e di barba era 
rossigno
come saggina, folte avea le ascelle;
ma pel diverso da quel delle gote
sotto il ventre parea 
gli cominciasse,
bestial pelo, e che le parti basse
fossero enormi, cosce gambe
piote, 
come di mostro, tanto era il volume 
dell'acqua che moveva il 
natatore
se ben tenesse ambe le braccia
fuore
con tutto il busto eretto in su
le spume.

La fusione tra la realtà e il mito è così perfetta che quasi non ci si accorge della frattura.
Forse una simile felicità inventiva nel ricreare nuovi miti il poeta la trovò soltanto due volte nelle poesie "Versilia" e "Undùlna".
Nella prima è stupendo l'attacco, con la fulminea apparizione della ninfa davanti all'uomo inconsapevole che si godeva il 

I musici umani hanno modi
lor varii, dal dorico al frigio:
divine infinite melodi
io creo nell'esiguo vestigio.

Le tempra dell'onda trascrivo
su l'umida sabbia correndo;
nel tramite mio fuggitivo
gli accordi e le pause avvicendo.

O sabbia mia melodiosa,
non un tuo granello di silice
darei per la pòmice ascosa
della fonte all'ombra dell'ìlice.

Autentico mago della parola, d'Annunzio riesce dunque a creare una poesia in cui veramente tutto è musica, un canto che si inebria di se stesso e che non ha altra ragione d'essere che quella di espandersi in perfetta armonia con le voci eterne della natura.
Ma in questo canto così felice, così aereo, ogni tanto si insinua una nota di tristezza e di malinconia, una nota che ci riporta l'infinita pena di vivere.

Ed ecco, a conclusione di quanto abbiamo detto, come si esprime il d'Annunzio umano: riportiamo alcuni versi da "L'Oleandro":

Oblia la Notte tutte le sue
stelle
e il duolo antico degli amanti
umani.
Che con lei piangeremo ella non sa.
O Notte, piangi tutte le tue stelle!
Il grido dell'allodola domani
dall'amor nostro ci disgiungerà.


Altro approfondimento, tratto da


Da "Alcyone"

"I pastori" (1903)

Settembre, andiamo. è tempo di migrare.
Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi (1) e vanno verso il mare:
scendono all'Adriatico selvaggio (2)
che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente (3) ai fonti
alpestri, che (4), sapor d'acqua natia
rimanga ne' cuori esuli (5) a conforto,
che lungo (6) illuda la lor sete in via. (7)
Rinnovato hanno verga d'avellano. (8)

E vanno pel tratturo (9) antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente, (10)
su le vestigia (11) degli antichi padri.
O voce di colui che primamente (12)
conosce il tremolar della marina! (13)

Ora lungh'esso (14) il litoral cammina
la greggia (15). Senza mutamento (16) è l'aria.
Il sole imbionda sì la viva (17) lana
che quasi dalla sabbia non divaria (18).
Isciacquio, calpestìo, dolci romori.

Ah perché non son io co' miei pastori?


1) I recinti all'aperto sui monti, dove i pastori radunano il gregge per la notte.
2) "Selvaggio" perché l'Adriatico è un mare che diventa spesso tempestoso; inoltre "selvaggio" è un epiteto consueto in d'Annunzio e in Carducci perchè le spiagge dell'Adriatico appaiono inospitali o solitarie.
3) Con lunga voluttà.
4) Affinché
5) Perché i pastori lasciano l'Abruzzo per andare in Puglia.
6) "A lungo"
7) "Non faccia sentir loro la sete, né quella materiale, né quella del cuore in esilio".
8) Il bastone di nocciolo con cui i pastori guidano il gregge.
9) I tratturi sono vie larghe e verdeggianti, che discendono le alture conducendo ai piani le migrazioni delle greggi. Il tratturo è definito "antico" perché esiste fin dai tempi delle più remote migrazioni.
10) "Erbal" è un aggettivo che compare anche in altre Poesie di d'Annunzio. Qui sta a significare: "lungo un silenzioso fiume di erbe".
11) Orme.
12) Per primo.
13) Scorge il mare. è una reminiscenza di Dante: "di lontano/conobbe il tremolar de la marina".
14) Lungo.
15) è citato anche nel "Il fuoco".
16) Calma e dolce, senza niente che la turbi. è una reminiscenza di Dante: "Un'aura dolce, senza mutamento". L'espressione ricorre anche in altre Poesie di d'Annunzio.
17) Perchè non è ancora stata tosata e riveste animali vivi.
18) Non differisce.


"Vas spirituale" (Dimora dello Spirito Santo), 1886

Questa Poesia ricalca una Poesia di Jean Lorrain. Un'enigmatica figura femminile siede su un alto seggio regale, con un'arpa in mano. è riccamente vestita e porta un diadema con i segni dello Zodiaco. Intorno a lei, che se ne sta in silenzio, pensierosa, simboli misteriosi creano un'atmosfera da cerimonia iniziatica. Davanti a lei, un vescovo agita il turibolo.

Siede una donna bianca (1) e taciturna
tenendo l'arpa da le molte chiavi (2)
su'l solio (3) ne la sacra ora notturna.

Angeli immensi reggon li architravi;
e fra simboli oscuri, (4) in su gli incisi
cuoi, regine con mitra (5) èsili (6) e gravi (7)
stanno cogliendo rossi fiordalisi.

Raggian (8) come pianeti i bronzei dischi (9)
su le porte di cedro (10) ; e ne li adorni
velari (11) i liofanti (12) e i liocorni (13)
mesconsi (14) a le giraffe e ai basilischi. (15)

Ella, rigida e pura entro la stola, (16)
pensa una verità teologale.
Chiari i segni de'l ciel zodiacale
a lei giran la chioma di viola. (17)

Li smeraldi e le piume de li uccelli (18)
brillano su'l suo largo vestimento
onde (19) le mani cariche di anelli (20)
si riposano lungo l'istrumento. (21)

E a piè (22) de'l solio (23) il vescovo latino
move in ritmo un turibolo (24) d'argento
ov'arde con la miraa il belzuino. (25)


1) Pallida.
2) Gli arnesi con cui si accorda l'arpa.
3) Sul trono.
4) Misteriosi.
5) Regine adorne di mitra. La mitra è il copricapo dei vescovi.
6) Fragili d'aspetto.
7) Dal portamento severo.
8) Brillano.
9) Piatti ornamentali di bronzo.
10) Legno duro e resistente, ricavata dal cedro del Libano.
11) Sui tendaggi ricamati.
12) Elefanti.
13) Unicorni.
14) Si mescolano.
15) Serpenti che uccidevano con lo sguardo.
16) La lunga veste matronale che arriva fino ai piedi; rende la donna una misteriosa sacerdotessa.
17) Un diadema con i segni dello Zodiaco le gira intorno ai capelli neri dai riflessi violacei. Il diadema è un riferimento a Flaubert e al suo "La tentazione di Sant'Antonio".
18) Un rimando a Flaubert.
19) Uscendo dal quale.
20) Un rimando a Flaubert.
21) Lo strumento.
22) Citazione di Lorrain.
23) Nella prima stampa, si trova "de'l letto".
24) Incensiere.
25) Incenso.


"Canto dell'Ospite" (1882)

O falce di luna calante
che brilli su l'acque deserte,
o falce d'argento,
qual messe di sogni ondeggia
al tuo mite chiarore qua giù!
Aneliti brevi di foglie
sospiri di fiori dal bosco esalano al mare:
non canto, non grido,
non suono pe'l vasto silenzio va,
oppresso d'amore,
di piacere, il popol de' vivi s'addorme...
O falce calante, qual messe di sogni
ondeggia al tuo mite chiaror qua giù!


"Hortus Conclus" (Giardino chiuso)

Apparso sul "Mattino" di Napoli nel 1893; la donna amata (Maria Gravina, che diede al Poeta una figlia, Renata) è per il poeta un mistero inaccessibile e inviolabile, è, secondo una citazione teologica, un "hortus conclusus" ovvero un giardino chiuso.

Giardini chiusi, appena intraveduti,
o contemplati a lungo pe' cancelli
che mai nessuna mano al viandante
smarrito aprì come in un sogno! Muti
giardini, cimiteri senza avelli, (1)
ove erra forse qualche spirto amante (2)
dietro l'ombre de' suoi beni perduti!

Splendon ne la memoria i paradisi
inaccessi (3) a cui l'anima inquieta
aspirò con un'ansia che fu viva
oltre l'ora, oltre l'ira fuggitiva,
oltre la luce de la sera estiva
dove i fiori effondean qualche segreta
virtù (4) da' lor feminei sorrisi (5),

e i bei penduli pomi tra la fronda
puri come la carne verginale
parean serbare ne la polpa bionda
sapori non terrestri a non mortale
bocca, e più bianche nel silenzio intente
le statue guardavan la profonda
pace e sognavano indicibilmente.

Quel mistero dal gesto d'una grande
statua solitaria in un giardino
silenzioso al vespero si spande!
Su i culmini (6) dei rigidi cipressi,
a cui le rose cingono ghirlande (7)
inargentasi (8) il cielo vespertino;
i fonti occulti (9) parlan sommessi; 

Biancheggiano ne l'ombra i curvi cori
di marmo, (10) ora deserti, ove s'aduna
il concilio degli ultimi poeti;
tenue su la messe alta dei fiori (11)
passa la falce de la nova Luna;
ne l'ombra i fonti parlan segreti; (12)
rare sgorgan (13) le stelle, ad una ad una;

un cigno con remeggio lento (14) fende
il lago pura immagine del cielo (15)
(desìo d'amori umani ancor l'accende? (16)
memoria è in lui del nuzial suo lito? (17)
e fluttua nel lene solco il velo (18)
de l'antica Tindaride (19), risplende
su l'acque il lume de l'antico mito.

Di sovrumani amori visioni
sorgono su da' vasti orti (20) recinti
che mai una divina a lo straniero
aprirà coronata di giacinti
per lui condurre in alti labirinti
di fiori verso il triplice mistero (21)
cantando inaudite sue canzoni.

Ma quegli (22),  folle (23) del profumo effuso
dal cor degli invisibili rosai,
chino a la soglia (24) come quando adora,
pieni d'un sogno non sognato mai.
Gli occhi mortali, giù per l'ombre esplora
nel profondo crepuscolo in confuso
il dominio silente (25) ch'egli ignora.

Così la prima volta io vi guardai
con questi occhi mortali, Voi, Signora, (26)
siete per me come un giardino chiuso.

1) Senza tombe.
2) Il fantasma di qualche innamorato.
3) Dove nessuno è mai entrato.
4) Misteriosa fragranza.
5) Dalle loro corolle simili a labbra di donne sorridenti.
6) Cime.
7) Che il tramonto sembra inghirlandare con i suoi rosei colori.
8) Si sbianca. 
9) Nascosti nel folto delle piante.
10) I sedili di marmo disposti in circolo.
11) Le stelle, che sono i fiori del firmamento.
12) Si confidano i loro segreti.
13) Le stelle sono le lacrime del cielo e quindi sgorgano; il riferimento è anche pascoliano ("X Agosto").
14) Muovendo lentamente le zampe.
15) Giove si trasformò in cigno.
16) Il cigno è ancora attratto da amori terrestri, come il cigno in cui si trasformò Giove per unirsi con Leda?
17) Delle sponde dell'Eurota, dove si consumarono le nozze tra il cigno e Leda.
18) La tenue striscia lasciata dal remeggio del cigno sull'acqua sembra un velo di donna fluttuante.
19) Elena, nata dall'amore del cigno e di Leda, qui chiamata Tindaride dal nome Tindaro, il legittimo sposo di Leda.
20) Giardini.
21) I tre gradi successivi dell'iniziazione misterica, necessari a introdurre lo straniero nell'inaccessibile "giardino" e nei suoi misteri.
22) Lo straniero.
23) Inebriato.
24) Sulla soglia che non può valicare.
25) Il regno silenzioso.
26) Maria Gravina.


"L'espressione è il mio modo unico di vivere. Esprimersi, esprimere è vivere." (Gabriele d'Annunzio)

"L'inconsapevole" (1883) (da "Intermezzo di rime")

Come da la putredine le vite
nuove crescono in denso brulicame (1)
e strane piante balzano nutrite
da li umori corrotti d'un carname: (2)

sgorgano i grandi fior' quali ferite
fresche di sangue (3) con un giallo stame
e crisalidi (4) enormi seppellite
stanno tra le pelurie de'l fogliame (5):

così dentro il mio cuore una maligna
flora di versi gonfiasi (6); le foglie
vanno esalando un triste odore umano. (7)

Attratta da'l fulgor de la sanguigna
tinta la inconsapevole (8) ne coglie;
e il tossico (9) le morde acre la mano.


1) Come un fitto brulicame di vermi o insetti cresce da un corpo in putrefazione.
2) E piante mostruose crescono rapide, alimentate dai liquidi corrotti di un carname putrefatto. (nel testo del 1894: "Truci piante" e "Liquidi fermenti")
3) Spuntano grandi fiori rosso vivo, che sembrano ferite colanti ancora sangue fresco.
4) Lo stadio tra il bruco e la farfalla.
5) Le foglie di questa pianta descritta dal Poeta sono coperte di una fitta peluria. (nel testo del 1894: "Ne le rughe del carneo fogliame")
6) I versi ispirati dalla corruzione della sua vita proliferano rigogliosi come quella vegetazione malata che si alimenta della putredine.
7) è l'odore della decomposizione.
8) "La inconsapevole" è la fanciulla innocente, che legge versi di poesia, attratta dalla loro bellezza, senza sapere che le saranno velenosi, o ancora, una fanciulla che si avvicina a una pianta velenosa, ma di grande bellezza. Questa tematica si trova  anche nel "Digitale Purpurea" di Pascoli.
9) Veleno.


Dal "Poema Paradisiaco"

Non pianger più. Torna il diletto figlio
a la tua casa. è stanco di mentire.
Vieni; usciamo. Tempo è di rifiorire.
Troppo sei bianca: il volto è quasi un giglio.

Vieni; usciamo. Il giardino abbandonato
serba ancora per noi qualche sentiero.
Ti dirò come sia dolce il mistero
che vela certe cose del passato.

Ancora qualche rosa è ne' rosai,
ancora qualche timida erba odora.
Ne l'abbandono il caro luogo ancora
sorriderà, se tu sorriderai.

Ti dirò come sia dolce il sorriso
di certe cose che l'oblio afflisse.
Che proveresti tu se ti fiorisse
la terra sotto i piedi, all'improvviso?

[...]

Settembre (di': l'anima tua m'ascolta?)
ha ne l'odore suo, nel suo pallore,
non so, quasi l'odore ed il pallore
di qualche primavera dissepolta.

[...]



Da "La sera fiesolana"

Io ti dirò verso quali reami
d'amor ci chiami il fiume, le cui fonti
eterne a l'ombra de gli antichi rami
parlano nel mistero sacro dei monti;
e ti dirò per qual segreto
le colline su i limpidi orizzonti
s'incurvino come labbra che un divieto
chiuda, e perché la volontà di dire
le faccia belle
oltre ogni uman desire
e nel silenzio lor sempre novelle
consolatrici, sì che pare
che ogni sera l'anima le possa amare
d'amor più forte.
Laudata sii per la tua pura morte,
o Sera, e per l'attesa che in te fa palpitare
le prime stelle!


Nel terzo libro delle Laudi (Alcyone) si trova la poesia universalmente considerata il vertice della lirica dannunziana: "La pioggia nel Pineto". In questo modo Ugo Ojetti la commentava: "Versi, parole, qua e là rime si fanno ancora più labili e liquide. Il continuo ripetere "taci/ascolta/odi?/ascolta" induce il lettore a tendere l'orecchio per cogliere i tanti suoni diversi della pioggia sul pino, sul mirto, sul ginepro; insomma, la poesia invita a sentire, prima che a vedere. Ma il poeta parla ad una donna misteriosa, Ermione, "dalla voce sorgevole", che è con lui sotto la pioggia e le porge felice il volto e le mani e insieme a lui la gode come una fresca benedizione della natura."

La donna, qualunque fosse il suo volto e il suo nome, è stata per d'Annunzio la più vicina e amabile e persuasiva forza della natura, eterna come la luce, le erbe, gli alberi, le acque correnti, i fiori, gli uccelli che sempre si rinnovano e sono sempre gli stessi e ci consolano col loro aspetto, tatto, profumo, canto, variato insieme e immutabile da che mondo è mondo.
La donna che egli si sceglieva e si teneva per giorni o per mesi o per anni vicina, era, come il giglio e la rosa, l'allodola e l'usignolo, l'aurora e il tramonto, la donna stessa che aveva dilettato, consolato, inebriato, Catullo, Orazio, Petrarca, Poliziano.
Se il sembiante di lui mutava, ciò giovava ad avvertirlo che la dolcissima vita passava. Solo guardando la donna in questa maniera naturale e cordiale, senza badare alla sua volontà d'essere qualcuno, egli sentiva per quel tramite la diretta e sicura comunione con la natura.
Come il canto dell'usignolo quando cessava, la donna amata, quando si allontanava gli faceva sentire l'infinita pace della solitudine  e gli lasciava, poiché era bella, l'esempio o il desiderio della perfezione. Non solo Ermione, Undulna, Versilia, Berenice, Dafne, ma anche le donne delle sue prose avevano sempre assunto nelle pagine più caratteristiche e alate questo volto e stupore di messaggere del mistero, di ansiosi volti della natura e dell'infinito; e sanno e non sanno ciò che, chiudendo gli occhi o aprendo le braccia, piangendo o ridendo, o fuggendo o abbandonandosi, esse rivelano d'eterno.
Musica anch'esse.
La donna e la musica: ecco per d'Annunzio le chiavi dell'infinito, cioè di questa poesia panica per la quale il poeta non descrive la natura ma si trasfonde tutto e si trasforma in essa. A scriverla gli occorreva quella maestria e virtù della parola e della metrica che soltanto dopo il 1900 egli raggiunge; e questa virtù e sicurezza gli raddoppiano energia e fantasia. Che l'amata sia sola con lui nell'aperto o sotto il sole o sotto le stelle ascoltando la voce dell'acqua o del vento o che in una stanza chiusa s'effonda dal pianoforte o dal violino una musica che egli può con un cenno far sostare o replicare; e presto il poeta sente il suo stesso corpo levitare, farsi tutto spirito, penetrare dovunque, da quella stalla o da quella vetta lassù fino al lumicino che splende nel buio della vallata per la finestra d'un casolare, possedere tutto, essere tutto...

Nota di Lunaria: i Blind Fool Love hanno celebrato "La pioggia nel pineto" nella loro canzone "Natura Morta"




"La pioggia nel pineto"

Taci. Su le foglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
[...]
Ascolta, ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
[...] Or s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda [...]


"Meriggio"

A mezzo il giorno
sul Mare etrusco
pallido verdicante
come il dissepolto
bronzo dagli ipogei, grava
la bonaccia. Non bava
di vento intorno
alita. Non trema canna
su la solitaria
spiaggia aspra di rusco,
di ginepri arsi.
[...]
Non ho più nome né sorte
tra gli uomini; ma il mio nome
è Meriggio. In tutto io vivo
tacito come la Morte.


"Il Novilunio"

Novilunio di settembre!
Nell'aria lontana
il viso della creatura
celeste che ha nome
Luna, trasparente come
la medusa marina,
come la brina nell'alba,
labile come
la neve su l'acqua,
la schiuma su la sabbia,
pallido come
il piacere
su l'origliere,
pallido s'inclina
e smuore e langue
con una collana
sotto il mento sì chiara
che l'oscura;
silenzioso viso esangue
della creatura
celeste che ha nome Luna,
cui sotto il mento s'incurva
una collana
sì chiara che l'offusca,
nell'aria lontana
ov'ebbe nome Diana
tra le ninfe eterne,
ov'ebbe nome Selene
dalle bianche braccia
quando amava quel pastore
giovinetto Endimione
che tra le bianche braccia
dormiva sempre.
[...]
Ma dice Ermione,
non lieta non triste:
"T'inganni. Quella ch'è sì chiara
è la falce
dell'Estate, è la falce
che l'Estate abbandona
morendo, è la falce
che falciò le ariste
e il papavero e il cìano
quando fiorìano
per la mia corona
vincendo in lume il cielo e il sangue;
ed è la faccia dell'Estate
quella che langue
nell'aria lontana, che muore
nella sua chiaritate
sopra le acque
tra il giorno senza fiamme
e la notte senza ombre [...]"


Dal "Notturno"

Ho messo la bocca nella pienezza della morte. Il mio dolore s'è saziato nella bara come in una mangiatoia. Non ho poi potuto sopportare altro nutrimento. Rivivo i giorni funebri, ora per ora, attimo per attimo [...]
I giorni d'angoscia, le notti di veglia ritornano. Il passato è presente, con tutti i suoi aspetti, con tutte le sue vicende.
Risoffro il mio dolore, ripiango il mio pianto [...] Tutto l'orrore funebre con tutti i suoi aspetti si rispecchia nella mia lucidità implacabile.
E talvolta vedo me stesso com'egli avrebbe potuto vedermi dalla sua bara. Sono talvolta il cadavere e colui che lo contempla.
[...] O liberazione, liberazione, a te consacro queste mie bende intrise di sangue impoverito e di lacrime fredde, a te consacro questa mia pupilla che più non vede né veder vuole se non la cupa che in me suscito aurora.

Dai "Taccuini"

[...] Talvolta il teschio traspare. Teste toccate dalla Morte, segnate dall'Operaia terribile [...] Il cielo è d'una purità sublime, incurvato su i monti che le prime nevi imbiancano.
Un tepore lento si forma dalla preghiera, sopra le baionette nude e verticali, Il fogliame moribondo dei pioppi tremola di continuo, oro nell'oro. Il Carso è laggiù, avido di sangue, desideroso di avere tra i suoi fiumi occulti il fiume rosso fumante. Si sente che la rossa e calda corrente si forma sotto il sasso, per poi sboccare come una piena di gloria nel promesso Avvenire... [...] Odo il canto della terra; odo la pulsazione dei cuori di carne e di sangue; odo il silenzio di sotterra e il silenzio che sta di là dell'azzurro.




Da "Canto Novo"

II

Un corno d'oro pallido
ne'l ciel verdognolo brilla; sospirano
i flutti; è il novilunio;
amate, o giovini baldi, le vergini

oceanine! Soffiano
a tratti li umidi venti, sospirano
l'acque: o giovini, o vergini,
è il novilunio di maggio; amatevi!

(...)

Oh fervido 
amor d'una libellula!
ne'l sonno i petali chini pispigliano.

Un diadema fulgido
da'l cielo irradia l'acqua di gemme
faville;

(...)

Le strofi saffiche
in murmure grave ed eguale
oscillavano per la penombra,
di sonni e sogni a la stanca anima
suaditrici... Oh come Lilia
marmorea splendea ne la fredda
purità deì grandi occhi smaltati!

(...)

Venne, e di strani legami d'edera
ella, de' lunghi capelli avvinsemi;
tremando la bocca mi porse
ove bevvi un licore fatale

VII

Languidi i venti cantano per la freschissima selva
dormente ne la vasta luce plenilunare,
dormente su l'onda che mormora dolce e a la notte
nembi d'effluvi manda, conscia di stranii amori.
(...) Lontano una vergine torma 
su 'l monte, a la luna, sogna divini amori

(...)