La Setta dei Vampiri: gli stralci più belli
Il primo straordinario romanzo di una saga irresistibile: l'amore non è mai stato così pericoloso.
I vampiri vivono in mezzo a noi. Si riuniscono in una setta segreta inaccessibile agli umani. Tra le sue ferree regole quella più rigida riguarda l'amore: se un membro della setta si innamora di un umano, va incontro a conseguenze devastanti.
James sa che l'unico modo per salvare la vita della sua giovane amica Poppy, malata di un male incurabile, è trasformarla in un vampiro, ma sa anche che questo gesto d'amore gli costerà caro.
Ma cosa accade quando l'amore infrange ogni tabù?
Era il primo giorno delle vacanze estive quando Poppy scoprì che stava per morire.
Lunedì. Il primo vero giorno di vacanza (il fine settimana non contava). Poppy si svegliò con una magnifica sensazione di leggerezza e pensò: "Niente scuola". La luce del sole filtrava attraverso la finestra, colorando i leggeri tendaggi intorno al letto con una sfumatura dorata. Poppy li spinse da parte e saltò giù dal letto. Fece una smorfia di dolore.
Ahi. Di nuovo quella fitta allo stomaco. Un dolore tormentoso, come se qualcuno si aprisse la strada a morsi verso la sua schiena. Piegarsi in avanti le dava un po' di sollievo.
No, pensò Poppy. Mi rifiuto di star male durante le vacanze estive. Mi rifiuto. Un po' di pensiero positivo era quel che ci voleva.
(...) Tre interi mesi, pensò. è un'eternità. Tre mesi sono un'eternità.
Fu strano che stesse pensando proprio questo quando accadde.
"Potremmo andare a dare un'occhiata ai nuovi negozi al Village...", aveva cominciato a dire, quando il dolore la assalì all'improvviso e il respiro le morì in gola.
Fu orribile - una fitta profonda, intensa e straziante che la fece piegare in due. Il cartone del latte le scivolò dalle dita e tutto si oscurò intorno a lei.
(...) Poppy sentì il cuore batterle forte. Non in fretta ma forte. Tum... tum... tum, in mezzo al petto, facendo vibrare tutto il corpo. Comunicandole un senso di vertigine e di irrealtà.
Non ci pensare. Non sarà nulla. Leggi una rivista.
Ma sembrava che le sue dita non volessero muoversi.
(...) C'era qualcosa di terribile che non andava in lei, e per guarire avrebbe dovuto sottoporsi a cure spaventose. L'abisso chiuso e l'abisso spalancato. (...) Aveva la sensazione che la sua vita di prima fosse stata un sogno, e adesso avesse di fronte la dura realtà.
(...) Poppy invece lo sa, pensò. Nel profondo dell'animo, lei sa che sta accadendo qualcosa di spaventoso, altrimenti non mi avrebbe chiesto di fare queste ricerche. Ma cosa si aspetta di me, che vada a dirle che morirà nel giro di pochi mesi?
(...) Aveva visto tante volte la morte in diciassette anni. Ne conosceva le diverse fasi, conosceva la differenza fra l'attimo in cui si ferma il respiro e l'attimo in cui il cervello smette di funzionare, l'inconfondibile pallore spettrale di un cadavere fresco. Il modo in cui i bulbi oculari si appiattiscono circa cinque minuti dopo la morte. Era un dettaglio che pochi conoscevano. Cinque minuti dopo essere spirati, gli occhi si appiattiscono e si velano di grigio.
(...) Nessuno del Popolo delle Tenebre poteva innamorarsi di un umano. Infrangere la legge comportava la condanna a morte.
Non aveva importanza. Ora sapeva cosa doveva fare. Dove doveva andare.
(...) Sto per morire, pensò Poppy.
Strano, ma non aveva paura. Quel che provava era un enorme stupore, che continuò a crescere, sempre più, e ogni pensiero veniva interrotto da quelle tre parole.
è colpa mia perché (sto per morire) non sono andata prima dal dottore.
(...) Qualcosa dentro di me, pensò. Sto per morire per qualcosa che è dentro di me, come gli alieni in quel film. è dentro di me adesso. In questo preciso momento.
Posò entrambe le mani sullo stomaco, poi si tirò su la maglietta e scrutò l'addome. La pelle era liscia, immacolata. Non sentiva alcun dolore.
Ma è qui dentro, e io sto per morire per causa sua.
Morire presto. Tra quanto tempo? Non li ho sentiti parlare di tempi.
(...) "James, ce l'ho. E... non perdona; è un tipo di tumore che non perdona. Hanno detto che si è già esteso. Hanno detto che sto per..."
Non riuscì a pronunciare l'ultima parola, anche se la stava urlando nella testa.
"Stai per morire", disse per lei James. (...)
"(...) Gli articoli che ho letto parlano di grande sofferenza. Dolori terribili."
"James", ansimò Poppy.
"A volte devono intervenire chirugicamente solo per eliminare il dolore. Ma qualunque cosa facciano, non servirà a salvarti. Possono imbottirti di sostanze chimiche e bersagliarti di radiazioni, ma morirai comunque. Probabilmente prima della fine dell'estate."
"(...) Lui si voltò e le afferrò il polso, chiudendo le dita sopra il braccialetto di plastica dell'ospedale. "Voglio che tu capisca che non possono aiutarti", disse, sfinito e rabbioso.
"Lo capisci?"
"Sì, lo capisco", disse Poppy. "(...) Sei venuto per dirmi questo? Vuoi uccidermi prima del tempo?"
Le dita del giovane si serrarono dolorosamente intorno al polso. "No! Io voglio salvarti."
Poi emise un lungo sospiro e ripeté quelle parole con più calma, ma con la stessa intensità. "Io voglio salvarti, Poppy. (...) C'è qualcosa che devo dirti. Qualcosa che mi riguarda."
"James..." Ora Poppy riusciva di nuovo a respirare, ma non sapeva cosa dire. James sembrava impazzito. In un certo senso, se tutto il resto non fosse stato così orribile, si sarebbe sentita lusingata. James aveva abbandonato la consueta freddezza nei suoi confronti.
(...) "Tu pensi di conoscere tutto di me, ma non è così. C'è qualcosa di molto importante che non sai."
Ora Poppy era completamente stordita. Non capiva come mai James continuasse a parlare di se stesso quando era lei che stava per morire.
(...) "So che suona strano, ma... Poppy, io sono un vampiro."
(...) Alla fine Poppy riuscì a formulare un pensiero completo. "Non mi importa cosa puoi fare", disse con voce stridula. "Tu non puoi essere un vampiro. Ti conosco da quando avevi cinque anni. E sei cresciuto, anno dopo anno, proprio come me. Spiegami questo."
"Tutto quel che sai è sbagliato". Quando vide che l'amica continuava a fissarlo senza parlare, sospirò di nuovo e proseguì: "Tutto quel che pensi di sapere riguardo ai vampiri lo hai appreso dai libri o dalle fiction televisive. Ed è tutto scritto da umani, te lo assicuro. Nessun membro del Mondo delle Tenebre violerebbe il codice di segretezza."
"Il Mondo delle Tenebre. E dove si trova?"
"Non è un luogo. è una sorta di società segreta, per vampiri, streghe e licantropi."
(...) "Ho intenzione di trasformarti in vampiro, piccola."
(...) Fu come il raggio di luce di una torcia in una stanza buia come la pece.
Voleva vivere?
Oh, Dio, ma certo che lo voleva.
Fino a quel giorno aveva dato per scontato di avere pieno diritto di vivere. Non si era mai mostrata grata per il privilegio riservatole. Ma adesso capì che non si trattava di qualcosa di scontato - e capì anche che avrebbe dovuto lottare per ottenerlo.
Rilassati, si disse. Non importa quanto sarà doloroso, non importa quanto sarà orribile, ma devi affrontarlo. Devi. La tua vita dipende da questo.
Il cuore le batteva così forti che tutto il suo corpo tremava.
"In questo punto", stava dicendo James, tastandole la gola con le dita gelide, in cerca della vena.
Sbrigati, pensò Poppy. Facciamola finita.
Provò un senso di calore quando James si chinò su di lei, prendendola delicatamente per le spalle. Ogni terminazione nervosa del suo corpo era cosciente della presenza del ragazzo. Poi sentì un respiro fresco sulla gola e subito, prima che potesse ritrarsi, una doppia puntura.
Quelle zanne sarebbero affondate nella sua carne. Per creare due piccoli fori, e permettere a lui di bere il suo sangue...
Adesso mi farà davvero male, pensò Poppy. Non aveva più tempo per prepararsi. La sua vita era nelle mani di un predatore.
"Poppy, che stai facendo? Non opporre resistenza, altrimenti sentirai dolore."
James le stava parlando - ma le labbra calde non si erano mosse dalla sua gola. La voce era nella sua mente.
Non sto resistendo, pensò Poppy. Sono solo pronta a sentire dolore, tutto qui.
Provò una fitta intensa e bruciante quando i denti le incisero la pelle. Aspettò che il dolore si acuisse - ma non lo fece. Cambiò.
Oh, pensò Poppy.
Quel calore era davvero piacevole. Un senso di liberazione, di donazione.
E di intimità. Lei e James erano sempre più vicini, come due gocce d'acqua che precipitano insieme prima di fondersi.
Sentiva la mente di James. I pensieri, le sensazioni. Le sue emozioni fluivano in lei, attraverso di lei.
Tenerezza... preoccupazione... affetto. Una rabbia cupa e determinata di fronte alla malattia che la minacciava. Disperazione perché non c'era altro modo per aiutarla.
E desiderio - desiderio di condividere tutto con lei, di renderla felice.
Sì, pensò Poppy.
Un'improvvisa ondata di dolcezza le diede un senso di vertigine. Cercò a tentoni la mano di James, intrecciò le dita alle sue.
James, pensò, in un misto fra gioia e stupore, che tentò di comunicare al ragazzo con una carezza esitante.
Poppy. Percepì la sorpresa e la delizia che provava anche lui.
E per tutto il tempo quell'impalpabile piacere continuò a crescere, sempre più intenso, fino a farla fremere.
Come ho potuto essere così stupida?, si disse Poppy.
Aver paura di questo. Non è orribile. è... naturale.
Non si era mai sentita così vicina a qualcuno. Insieme, era come se fossero un unico essere, non preda e predatore, ma partner in una danza. Poppy-e-James.
Gli sfiorò l'anima.
Strano, ma fu lui adesso ad aver paura. Lei lo avvertì chiaramente.
"Poppy, no - tante cose oscure - non voglio che tu veda..."
Oscure, certo, pensò Poppy. Ma non oscure e terrificanti. Oscure e tristi. Una tristezza immensa. La sensazione di non appartenere a nessuno dei due mondi che conosceva.
Di non appartenere a nessun luogo.
Tranne...
D'un tratto Poppy scorse nella mente di James un'immagine di se stessa. Fragile e graziosa, uno spirito dell'aria con occhi di smeraldo. Una silfide, con un cuore di puro acciaio.
Non sono così, pensò. (...) "Non ami una ragazza per la sua bellezza. La ami perché intona un canto che solo tu puoi comprendere..."
A quel pensiero si unì un forte senso di protezione.
Allora era questo che James provava per lei - l'aveva scoperto, finalmente. Lei era qualcosa di prezioso, che doveva essere protetto a ogni costo...
A ogni costo. Non importava quel che gli sarebbe successo. Poppy cercò di seguire i pensieri più profondi di James, per scoprirne il significato. C'erano di mezzo regole - no, leggi… (...)
Che strano, pensò Poppy. Tutto è come prima - e tutto è così diverso.
Come se avesse raggiunto la terraferma dopo essere quasi annegata nell'oceano. Il terrore che le aveva martellato nel petto per tutto il giorno era svanito, e per la prima volta nella vita si sentì totalmente al sicuro.
(...) "Cos'altro dobbiamo fare?", volle sapere Poppy.
In tutta risposta, James si avvicinò il polso alle labbra e fece un rapido movimento con il capo, come per strappare un pezzo di stoffa con i denti.
Quando abbassò la mano, Poppy vide il sangue.
Scorreva in un rivolo sottile lungo il braccio dell'amico, talmente rosso da sembrare quasi irreale.
"Devi farlo. Senza il mio sangue dentro di te, non diventerai un vampiro quando morirai. Morirai e basta. Come ogni altra vittima umana."
"Esitante, si protese verso James - non con la mano, ma con la mente (...) e trovò la mente di James, splendente come un diamante e ardente come un fuoco. Non si sentiva una cosa sola con lui, come quando avevano condiviso il loro sangue. Era come guardarlo dall'esterno, percependo le sue emozioni a distanza. Ma fu sufficiente. Il calore, il desiderio, la voglia di proteggerla erano chiaramente percepibili, così come l'angoscia. Il dolore che provava sapendo che lei stava soffrendo - e che lo detestava. Gli occhi di Poppy si riempirono di lacrime. "Ci tieni davvero", sussurrò.
Incontrò gli occhi grigi di James, e vi lesse uno sguardo che non ricordava di avervi mai visto prima. "Ci sono due regole fondamentali nel Mondo delle Tenebre", enunciò tranquillamente. "Una è che non devi rivelare agli umani la sua esistenza. L'altra è che non devi innamorarti di un umano. Io le ho violate entrambe."
"(...) Arrotolò una manica dalla giacca a vento e s'incise il polso con un'unghia.
Il sangue parve nero nell'oscurità della stanza, ma Poppy si scoprì a fissare affascinata quelle piccole perle liquide.
Le labbra si schiusero e il respiro si fece veloce.
"Coraggio", la incitò James, e sollevò il polso davanti a lei. Un istante dopo la bocca di Poppy vi aderì come una ventosa, succhiando sangue come se dovesse salvarlo dal morso di un serpente."
"Sul viso aveva un'espressione di innocente sollievo. Quella freschezza che hanno solo i bambini. E stava... cambiando. Era bianca, traslucida. Era inquietante, spettrale, e sebbene Phil non avesse mai visto un cadavere, istintivamente capì che quello era il pallore della morte. Lo spirito di Poppy l'aveva abbandonata. Il suo corpo era vuoto e inespressivo, non più animato da un soffio vitale.
La mano che Phil stringeva era inerte, non era la mano di una persona immersa nel sonno. La pelle aveva perso la sua luminosità, come se qualcuno l'avesse spazzata via con un soffio."
Messaggi brevi, terrorizzanti. Avvertimenti minacciosi, premonizioni che annunciano il ritorno di una creatura da un'altra epoca. Sono biglietti nascosti in luoghi che solo Hannah Snow conosce, ed è stata lei stessa a scriverli. Solo che non ricorda di averlo fatto. E quando viene improvvisamente assalita da un lupo, Hannah capisce che tutte le certezze su cui ha costruito la sua vita sono solo illusioni. Quelle che credeva creature leggendarie sono reali: lupi mannari, streghe e vampiri sono ovunque.
La rivelazione più sconvolgente, però, riguarda lei stessa.
Aveva sempre pensato di essere una semplice ragazza con molti amici e molti sogni. In realtà la sua vita attuale è solo l'ultima di infinite reincarnazioni, e nelle pieghe del tempo c'è anche un vampiro che la cerca da sempre: la sua anima gemella, che ha sfidato la morte e i secoli per ritrovarla.
Ma sulle tracce di Hannah c'è anche un altro vampiro, che cerca di ucciderla per placare il suo odio eterno...
"Devo dormire. è l'unica cosa che mi farebbe sentire meglio, pensò. Ma non riusciva neppure a sedersi.
Forse ho bisogno di aria.
Era uno strano pensiero. Non aveva mai veramente avvertito la necessità di uscire solo per respirare aria fresca: del resto nel Montana non mancavano certo gli spazi aperti. Ma qualcosa la attirava, la sollecitava verso l'esterno. Era come un impulso al quale non riusciva a opporsi. (...) La luna copriva tutto con un velo di luce argentea e l'orizzonte appariva lontanissimo. (...) Fu in quel momento che si accorse di essere osservata. Era la stessa identica sensazione che provava da settimane, la sensazione che nell'oscurità ci fossero occhi fissi su di lei. Violente scariche di adrenalina le attraversarono il corpo.
Non farti prendere dal panico, disse tra sé e sé. è solo una sensazione. Probabilmente non c'è nulla, qui fuori. Fece un passo indietro verso la porta. Non voleva muoversi troppo velocemente. Aveva l'irrazionale certezza che, se si fosse voltata e si fosse messa a correre, qualsiasi cosa la stesse guardando sarebbe sbucata fuori e l'avrebbe catturata.
Mentre arretrava, i suoi sensi erano così all'erta che vedeva dei puntini grigi e sentiva un flebile squillo. Tentava disperatamente di carpire un qualche movimento, un suono. Tutto, però, era immobile e gli unici rumori erano i normali suoni distanti della natura.
Poi vide l'ombra.
Nera contro l'oscurità meno intensa della notte, si muoveva tra gli arbusti (...) si dirigeva verso di lei. (...) "Aspetta", le giunse una voce dall'oscurità. "Ti prego aspetta."
Una voce maschile. Sconosciuta. Ma sembrava afferrarla, trattenerla."
"Sono anch'io un abitante del Mondo delle Tenebre?"
"No, tu sei umana." Le parlava come se le stesse ricordando fatti orribili che non desiderava disseppellire.
"Le Anime Antiche sono semplici esseri umani che continuano a tornare." (...) "Ricordo... che eravamo fatti l'uno per l'altra. Che eravamo...", pronunciò lentamente la parola, "anime gemelle".
"Thierry la prese per le spalle per respingerla e poi semplicemente si bloccò. La stringeva disperato, impotente. Baciandole il collo ancora e ancora. Hannah capì che stava perdendo il controllo... e poi il contatto aguzzo dei denti.
Era come il dolore. Era come la tenerezza, un male che dava piacere."
"La sete di sangue stava tentando di rompere l'equilibrio nella sua mente, e tremare era tutto ciò che poteva fare per evitare di afferrare lei e affondarle i denti nella soffice carne della gola."
"Hana gli fece il più timido dei sorrisi. E poi morì. I suoi occhi grigi si scurirono. Occhi ciechi. La sua pelle era bianca, spettrale, e il corpo assolutamente immobile. Mentre il suo spirito la stava lasciando, parve più piccola. (...) Impotente, trafitto dall'amore come da una lancia, le scostò i capelli dal viso. Le sfiorò la guancia con il pollice, lasciandole una striscia di sangue. La guardò inorridito. Contro la sua pallida pelle, quel segno risaltava come uno sfregio rosso. Anche il suo amore era mortale. Quella carezza l'aveva marchiata."
Vedi anche: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/12/il-diario-del-vampiro-il-risveglio.html
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/01/intervista-col-vampiro-caccia-al.html
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/04/storie-di-vampiri.html
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/05/il-vampiro-di-new-york.html
LA SETTA DEI VAMPIRI:
1) Il Segreto
2) Le Figlie dell'Oscurità
3) L'Incantesimo
4) L'Angelo Nero
5) La Prescelta
6) L'Anima Gemella
7) La Cacciatrice
8) L'Alba Oscura
9) La Maledizione
1) LA SETTA DEI VAMPIRI: IL SEGRETO
Il primo straordinario romanzo di una saga irresistibile: l'amore non è mai stato così pericoloso.
I vampiri vivono in mezzo a noi. Si riuniscono in una setta segreta inaccessibile agli umani. Tra le sue ferree regole quella più rigida riguarda l'amore: se un membro della setta si innamora di un umano, va incontro a conseguenze devastanti.
James sa che l'unico modo per salvare la vita della sua giovane amica Poppy, malata di un male incurabile, è trasformarla in un vampiro, ma sa anche che questo gesto d'amore gli costerà caro.
Ma cosa accade quando l'amore infrange ogni tabù?
2) LA SETTA DEI VAMPIRI: LE FIGLIE DELL'OSCURITà
A Briar Creek, tranquilla cittadina dell'Oregon, sono arrivate tre sorelle, Rowan, Kestrel e Jade, dalla bellezza straordinaria. Vivono in un'antica dimora vicino alla casa di Mark e Mary-Lynnette Carter.
Mai si era visto un tale splendore, e ben presto Mark si scoprirà ossessionato da Jade. Ma le nuove vicine hanno qualcosa di strano, di indecifrabile: sembrano nascondere un inquietante segreto. E quando una notte Mark e Mary-Lynnette decidono di seguirle nel bosco, si ritrovano inghiottiti da un incubo che va oltre ogni immaginazione. Perché le tre splendide sorelle non sono creature umane: sono fuggite dal Mondo delle Tenebre e il loro crudele fratello Ash ha ricevuto l'ordine di scovarle per riportarle indietro.
A tutti i costi.
3) LA SETTA DEI VAMPIRI: L'INCANTESIMO
Thea è bionda e ha gli occhi chiari. Blaise ha gli occhi grigi e i capelli corvini. Bellissime, le due cugine sono come il giorno e la notte.
Vivono con gli umani, ma sono diverse da tutti.
Sono cresciute come sorelle, e il legame tra sorelle è il più forte tra chi è stato iniziato alla magia.
Quando vengono espulse dal liceo per aver aver causato il crollo di un'intera ala dell'edificio, c'è una luce sinistra negli occhi di Blaise: lo sguardo di chi intraprende il cammino della magia nera.
E ora, in una nuova città, la magia bianca di Thea è messa a dura prova dall'attrazione per l'affascinante Eric, perché una sola scintilla d'amore potrebbe essere fatale. Alle creature delle tenebre è vietato avere contatti con esseri inferiori: quale forza sarà in grado di prevalere?
4) LA SETTA DEI VAMPIRI: L'ANGELO NERO
Gillian Lennox vaga per i corridoi della sua scuola come se fosse invisibile, nessuno la nota, il ragazzo per cui ha una cotta non sa neppure che esiste. Non è facile essere una ragazza qualsiasi, timida, insicura.
Ma se la sua vita da adolescente è un inferno, la morte può cambiare le carte in tavola.
Una terribile disgrazia, e Gillian cade in un fiume ghiacciato. Per lei è finita, o almeno così sembra.
A questo punto però uno strano angelo oscuro corre a salvarla, le dice che la sua ora non è ancora giunta e la riporta nel mondo dei vivi. Con l'aiuto del suo strano amico, Gillian si trasforma, diventa la ragazza più popolare della scuola, tutti l'adorano. Quando infine scopre di essere la discendente di un'antica stirpe di streghe, capisce che anche lei fa parte del Mondo delle Tenebre. Tra amori impossibili, angeli custodi, parenti da tempo defunti e poteri soprannaturali, Gillian Lennox scoprirà di essersi trasformata in una ragazza molto, molto speciale.
5) LA SETTA DEI VAMPIRI: LA PRESCELTA
La vita di Rashel è stata distrutta dall'odio e dalla violenza. E adesso solo la vendetta può darle una ragione per andare avanti. Un vampiro ha brutalmente ucciso sua madre e morso Timmy, il suo più grande amico. Da allora Rashel si è trasformata in un'assassina a sangue freddo, letale, silenziosa, spietata come le Creature della Notte a cui dà la caccia.
Nessuno sospetta della sua doppia vita: di giorno va a scuola, mentre di notte si unisce ai cacciatori di vampiri, si muove nell'ombra per uccidere, e non perdona.
Ma persino una vita segnata dal sangue e dal dolore può cambiare improvvisamente. E quando incontra Quinn, un vampiro intenzionato a contrastare i suoi simili, Rashel capisce che esiste una forza più potente dell'odio. Ma nel Mondo delle Tenebre può esserci spazio per l'amore?
6) LA SETTA DEI VAMPIRI: L'ANIMA GEMELLA
Messaggi brevi, terrorizzanti. Avvertimenti minacciosi, premonizioni, che annunciano il ritorno da un'altra epoca.
Sono biglietti nascosti in luoghi che solo Hannah Snow conosce, ed è stata lei stessa a scriverli. Solo che non ricorda di averlo fatto. E quando viene improvvisamente assalita da un lupo, Hannah capisce che tutte le certezze su cui ha costruito la sua vita sono solo illusioni. Quelle che credeva creature leggendarie sono reali: lupi mannari, streghe e vampiri sono ovunque.
La rivelazione più sconvolgente, però, riguarda lei stessa.
Aveva sempre pensato di essere una semplice ragazza con molti amici e molti sogni. In realtà la sua vita attuale è solo l'ultima di infinite reincarnazioni, e nelle pieghe del tempo c'è anche un vampiro che la cerca da sempre: la sua anima gemella, che ha sfidato la morte e i secoli per ritrovarla.
Ma sulle tracce di Hannah c'è anche un altro vampiro, che cerca di ucciderla per placare il suo odio eterno...
7) LA SETTA DEI VAMPIRI: LA CACCIATRICE
Jez Redfern non conosce la pietà. Nella notte i suoi denti scintillano per il sangue delle vittime, attacca senza pensare, senza odio, senza esitazioni. Ma quando scopre che sua madre era un'umana e che il Concilio del Mondo delle Tenebre ha sterminato tutta la sua famiglia, rinnega la sua natura, smette di bere sangue, e diventa la peggiore nemica della sua razza.
Di giorno va a scuola, di notte dà la caccia ai suoi compagni di un tempo. Ma secondo le antiche profezie tutto sta per cambiare, gli equilibri che da secoli regolano la convivenza tra il Popolo delle Tenebre e gli umani rischiano di saltare.
I vampiri stanno diventando sempre più forti, l'epoca del Mondo Diurno è al tramonto, le Creature delle Tenebre aspettano nell'ombra, ansiose di scatenare l'Apocalisse. Solo i quattro Poteri Selvaggi possono impedire il disastro e salvare la razza umana.
8) LA SETTA DEI VAMPIRI: L'ALBA OSCURA
Miles è scomparso senza lasciare traccia. La sua ragazza Sylvia sa qualcosa, ma non apre bocca, e si nasconde dietro un cumulo di bugie.
Maggie, la sorella di Miles, non ha scelta. Inizia ad indagare, e non si arrende finché tutte le illusioni e le finte certezze su cui ha costruito la sua vita non crollano, una dopo l'altra. Per la prima volta la terribile verità si offre ai suoi occhi: la notte è popolata di vampiri potenti e folli, da mutaforma e nobili streghe.
è il Mondo delle Tenebre, una società sanguinaria di strane creature, in cui gli umani sono ridotti in schiavitù, venduti e comprati come bestie.
Hunter Redfern, il capostipite dei vampiri, sogna di devastare il mondo degli umani e di portare i suoi eserciti alla conquista del giorno. Ma non tutti gli abitanti della notte sono assassini senza scrupoli... Maggie troverà la sua anima gemella, il compagno più improbabile e strano che si possa avere.
E avrà una sola, unica occasione per sventare i piani di Hunter: gli equilibri tra i due mondi dipendono soltanto da lei.
Intervista col Vampiro + Caccia al Vampiro: trame e stralci!
"Intervista col Vampiro"
Romanzo horror, romanzo gotico, romanzo storico e filosofico, "Intervista col Vampiro" (1976) ha segnato l'inizio di una delle saghe narrative di maggior successo mondiale degli ultimi anni.
Col suo capolavoro, Ann Rice ha ricreato il mito notturno del vampiro, trasformandolo in una figura oscuramente luminosa capace di incarnare, e di raccontare, i mali, le paure e le angosce di noi contemporanei.
Inizia così…
"Capisco...", disse pensieroso il vampiro, poi attraversò lentamente la stanza fino alla finestra. Qui restò a lungo, in piedi, contro la luce fioca di Divisadero Street e i bagliori intermittenti del traffico. Adesso il ragazzo riusciva a distinguere più chiaramente l'arredamento della stanza, il tavolo rotondo di quercia, le sedie.
E su una parete, un lavandino e uno specchio. Posò la cartella sul tavolo e aspettò.
"Quanto nastro hai con te?" chiese il vampiro voltandosi, così che il ragazzo ora ne poteva scorgere il profilo. "Ce n'è abbastanza per la storia di una vita?"
"Certo, se è una bella vita. A volte, quando mi va bene, intervisto anche tre o quattro persone in una notte. Ma dev'essere una bella storia. Mi pare corretto, no?"
"Molto", rispose il vampiro. "Quand'è così, desidero raccontarti la storia della mia vita. Lo desidero veramente."
"Perfetto", disse il ragazzo. Estrasse rapidamente il piccolo registratore dalla cartella e controllò cassetta e batterie.
"Sono proprio impaziente di sentire che cosa glielo fa credere, perché Lei..."
"No", interruppe il vampiro. "Non possiamo cominciare così. Sei pronto col tuo apparecchio?"
"Sì"
"Allora siediti. Io accendo la lampada lassù."
"Pensavo che i vampiri non amassero la luce", intervenne il ragazzo.
"Non crede che il buio aumenti l'atmosfera..."
Poi si fermò. Il vampiro, con le spalle alla finestra, lo osservava.
Il ragazzo non riusciva a decifrare l'espressione del suo viso: c'era qualcosa che lo inquietava in quella figura immobile. Di nuovo provò a dire qualcosa e rinunciò. Tirò un sospiro di sollievo quando il vampiro si diresse verso il tavolo e afferrò il cordone della lampada.
Di colpo la stanza fu inondata da una cruda luce gialla.
Il ragazzo, levando gli occhi sul vampiro, non riuscì a trattenere un moto di stupore. Le sue dita arretrarono danzando sul tavolo fino ad artigliare il bordo. "Santo Cielo!", mormorò, poi riprese a fissarlo ammutolito.
Il vampiro era perfettamente candido e levigato, come scolpito nell'avorio, e il suo viso appariva esanime come una statua, a eccezione di quegli occhi verdi, ardenti come fiamme in un teschio, che scrutavano intensamente il ragazzo. Ma poi il vampiro sorrise con un velo di malinconia e la liscia massa bianca del suo volto si mosse ridisegnandosi con i tratti infinitamente flessibili ed essenziali di un cartone animato. "Vedi?", chiese dolcemente.
Il ragazzo rabbrividì, alzando la mano come per ripararsi da una luce violenta. Il suo sguardo scorse lentamente sulla giacca nera e impeccabile appena intravista nel bar, sulle lunghe piaghe del mantello, sulla cravatta di seta nera annodata alla gola e sul luccichio del colletto, bianco come la carne del vampiro.
S'incantò a osservare la folta capigliatura corvina, le onde pettinate all'indietro sulle orecchie e i riccioli che sfioravano appena l'orlo del colletto.
"Allora, la vuoi ancora l'intervista?", domandò il vampiro.
Il ragazzo aprì la bocca prima di riuscire ad emettere un suono. Annuì. "Sì", rispose infine.
Il vampiro si sedette lentamente di fronte a lui e sporgendosi in avanti gli disse in tono gentile, confidenziale: "Non aver paura. Fai partire il nastro."
Allungò un braccio verso il ragazzo. Questo fece un balzo all'indietro, mentre due rivoli di sudore gli scorrevano ai lati del viso.
Il vampiro gli strinse vigorosamente una spalla.
"Credimi, non ti farò del male", lo rassicurò.
"Ci tengo davvero a questa occasione. è molto più importante per me di quanto tu possa credere. Voglio cominciare".
Ritirò la mano e rimase immobile in attesa.
Il ragazzo si asciugò la fronte e le labbra col fazzoletto, balbettò che il microfono era inserito, schiacciò il tasto e annunciò che l'apparecchio era acceso.
"Lei non è stato sempre un vampiro, vero?", attaccò.
"No", rispose l'altro. "Avevo venticinque anni quando lo divenni.
Era il 1791."
Il ragazzo fu colpito dalla precisione della data, che ripeté prima di chiedere: "Come avvenne?"
"Ci sarebbe una risposta molto semplice. Ma non credo di aver voglia di dare risposte semplici", disse il vampiro.
"Credo di voler raccontare la storia vera..."
"Sì", commentò precipitosamente il ragazzo, che continuava a spiegare e ripiegare il fazzoletto e aveva ricominciato ad asciugarsi le labbra.
"Ci fu una tragedia...", cominciò il vampiro.
"Il mio fratello minore... morì". Poi si fermò, dando modo al ragazzo di schiarirsi la voce e di asciugarsi ancora il viso col fazzoletto prima di cacciarselo in tasca quasi con impazienza.
"Non le fa male, vero?", chiese timidamente.
"Do quest'impressione?" ribatté il vampiro. "No". Scosse la testa. "Ma è una storia che ho raccontato solo a un'altra persona... e tanto tempo fa. No, non mi fa male..."
"A quel tempo vivevamo in Louisiana. Ci avevano assegnato della terra e noi ci tenevamo due piantagioni di indaco, sul Mississippi, molto vicino a New Orleans..."
"Ah, ecco l'accento..." disse piano il ragazzo.
Per un istante il vampiro lo fissò senza espressione. "Ho un accento?"
Cominciò a ridere.
Agitatissimo, il ragazzo rispose frettolosamente. "L'ho notato al bar quando le ho chiesto che cosa faceva per vivere. Solo una leggera asprezza delle consonanti, niente altro. Non avevo immaginato che fosse francese."
"Non preoccuparti", lo rassicurò il vampiro. "Non sono stupito come sembro, solo che qualche volta me ne dimentico. Ma lasciami andare avanti..."
"La prego...", mormorò il ragazzo.
"Stavo parlando delle piantagioni. Ebbero davvero una parte importante nella faccenda, voglio dire, in come diventai un vampiro. Ma ci arriveremo. Per noi era il massimo del piacere; capisci, lì vivevamo infinitamente meglio di come avremmo mai potuto vivere in Francia. O forse era solo un'illusione, causata da quel luogo assolutamente selvaggio che era la Louisiana; ma dato che a noi sembrava così, lo era davvero. Ricordo i mobili importati che ingombravano la casa", il vampiro sorrise.
"E il clavicembalo: delizioso. Lo suonava mia sorella. Le sere d'estate si sedeva alla tastiera con la schiena rivolta alle porte-finestre spalancate. Ricordo ancora quella musica lieve, scorrevole, e vedo la palude che si stendeva al di là delle sue spalle, i cipressi ornati di muschio che ondeggiavano contro il cielo... E poi i suoni della palude, un coro di creature, le grida degli uccelli. Credo ne fossimo innamorati; ci faceva apparire i mobili di palissandro più preziosi che mai, la musica più delicata e desiderabile."
Persino quando il glicine spezzò le persiane nell'attico e, in meno di un anno, penetrò coi suoi viticci le pareti di mattone imbiancato... sì, ne eravamo innamorati.
Tutti tranne mio fratello: non ricordo di averlo mai sentito lamentarsi di qualcosa, ma sapevo cosa provava. A quel tempo mio padre era morto, io ero il capofamiglia e mi toccava continuamente difenderlo da mia madre e da mia sorella. Pretendevano di portarlo in visita o alle feste di New Orleans, ma lui odiava questo genere di cose. Mi pare che avesse smesso di andarci prima dei dodici anni. L'unica cosa che contava per lui era la preghiera, la preghiera e un libro di vite di santi rilegato in pelle.
Alla fine gli costruii una cappella lontano dalla casa e lui prese a passarci la maggior parte della giornata e spesso anche le prime ore della sera.
C'è dell'ironia in questo, a pensarci bene. Lui era così diverso da noi, diverso da tutti, mentre io ero così normale! In me non c'era nulla, proprio nulla fuori dell'ordinario". Il vampiro sorrise.
"Certe volte alla sera uscivo a cercarlo e lo trovavo nel giardino fuori dalla cappella che sedeva assorto su una panchina di pietra; allora gli raccontavo i miei problemi, le difficoltà con gli schiavi, la mia sfiducia nel sorvegliante, nel tempo o nell'amministratore... tutte le preoccupazioni che costituivano le coordinate della mia esistenza. E lui stava ad ascoltare, facendo appena qualche commento, sempre partecipe; me ne andavo con la netta impressione che mi avesse risolto ogni cosa. Non credevo che avrei mai potuto negargli alcunché, e promisi solennemente a me stesso che, quando fosse giunto il momento, gli avrei concesso di abbracciare il sacerdozio, per quanto straziante per me potesse essere la sua perdita. Naturalmente, mi sbagliavo."
Il vampiro si fermò.
Per un momento il ragazzo stette a guardarlo in silenzio, poi sussurrò come risvegliandosi da profonde riflessioni; sembrava che non riuscisse a trovare le parole giuste.
"Ah... non voleva farsi prete?", azzardò.
Il vampiro lo studiò come se cercasse di decifrare il significato della sua espressione. Poi disse: "Intendevo dire che mi sbagliavo sul mio conto, sul fatto di non negargli nulla". Il suo sguardo corse sulla parete in fondo fino a fissarsi sui vetri della finestra. "Cominciò ad avere delle visioni."
"Visioni vere e proprie?", domandò il ragazzo ancora esitante, come pensando ad altro.
"Allora non lo credevo", rispose il vampiro. "Accadde quando aveva quindici anni. A quell'epoca era molto bello: aveva una pelle liscissima e immensi occhi azzurri. Era robusto, non magro come adesso... e come ero anche allora... ma i suoi occhi... quando lo guardavo negli occhi mi pareva di essere solo ai limiti del mondo... su una spiaggia dell'oceano spazzata dal vento. C'era solo il sommesso mugghiare delle onde, nient'altro. Be'", riprese, gli occhi ancora fissi alla finestra, "cominciò ad avere delle visioni. Sulle prime non ne parlò quasi, ma smise completamente di venire a casa a mangiare. Viveva nella cappella."
A qualsiasi ora del giorno e della notte lo trovavo inginocchiato davanti all'altare, sulla nuda pietra.
E la cappella stessa era in stato di abbandono. Aveva smesso di badare alle candele o di cambiare le tovaglie dell'altare o persino di scopare via le foglie. Una notte mi allarmai veramente: ero stato a osservarlo dal pergolato di rose per un'ora intera, e per tutto quel tempo lui era rimasto in ginocchio senza mai muoversi e senza abbassare neanche una volta le braccia, che teneva spiegate a formare una croce. Gli schiavi pensavano tutti che fosse pazzo."
Il vampiro alzò le sopracciglia con aria stupita.
"Io ero convinto che si trattasse soltanto di... un eccesso di zelo. Che nel suo amore per Dio avesse forse esagerato. Poi mi parlò delle visioni. Sia san Domenico che la Madonna erano andati a visitarlo nella cappella, gli avevano detto di vendere tutte le nostre proprietà in Louisiana, tutto quello che possedevamo, e di devolvere il denaro alle opere di Dio, in Francia. Mio fratello doveva diventare un grande capo religioso, riportare il paese all'antico fervore e arrestare la marea dell'ateismo e della rivoluzione. Naturalmente, lui non possedeva denaro suo. Ero io che dovevo vendere le piantagioni e le nostre case di New Orleans e dargli il denaro."
Di nuovo il vampiro si fermò. E il ragazzo sedeva immobile, guardandolo allibito.
"Ah... mi scusi", sussurrò. "Cosa fece lei? Vendette le piantagioni?"
"No". Il volto del vampiro era sempre disteso. "Io risi. E lui... lui arrivò all'esasperazione. Insisteva che l'ordine gli proveniva dalla Vergine stessa: chi ero io per non curarmene? Chi ero io?", ripeté piano, come se stesse nuovamente cercando la risposta a quella domanda.
"Chi ero, in effetti? E più tentava di convincermi, più lo deridevo. Era una sciocchezza, gli dicevo, il frutto di una mente immatura e anche malata. La cappella era stata un errore: l'avrei fatta abbattere immediatamente. Andando a scuola a New Orleans si sarebbe tolto dalla testa queste assurdità. Non ricordo tutto quello che gli dissi, ma ricordo i sentimenti che provai. Dietro a tutto il mio disprezzo e i miei rifiuti c'erano ira repressa e delusione. Ero amaramente deluso. Non gli credevo affatto."
"Ma è comprensibile", si inserì il ragazzo nella pausa, mentre l'espressione esterrefatta del suo viso si attenuava.
"Voglio dire, chi gli avrebbe creduto?"
"è davvero così comprensibile?" Il vampiro guardò il ragazzo. "Io penso che si trattasse di perverso egoismo; lascia che ti spieghi. Io amavo davvero mio fratello, e a volte credevo proprio che fosse un santo in terra. Lo incoraggiavo nella preghiera e nelle meditazioni, come dicevo, ed ero disposto a rinunciare a lui se avesse voluto prendere gli ordini. Se qualcuno mi avesse parlato d'un santo, ad Arles o a Lourdes, che aveva delle visioni, gli avrei creduto. Ero cattolico: credevo nei santi. Conoscevo le loro immagini, i loro simboli, i loro nomi; accendevo ceri nelle chiese davanti alle loro statue di marmo. Ma non credevo, non potevo credere a mio fratello. Non solo non credevo che avesse delle visioni, ma non riuscivo a prendere in considerazione l'idea neppure per un momento. E perché? Perché era mio fratello. Santo poteva anche essere; fuori della norma, senz'altro. Ma Francesco d'Assisi proprio no. Non mio fratello; un mio fratello non ne aveva diritto. Questo è egoismo, capisci?"
Il ragazzo rifletté un po' prima di rispondere; fece cenno col capo e disse che sì, credeva di sì.
"Forse ebbe davvero quelle visioni", riprese il vampiro.
"Allora... lei non crede di sapere... adesso... se le avesse avute o no?"
"No, però so che non vacillò nella sua convinzione neppure per un istante. Questo lo so adesso e lo sapevo allora, la notte che lasciò la mia stanza in preda all'esaltazione e al dolore. Non vacillò mai neppure un istante. E pochi minuti dopo, era morto."
"In che modo?", chiese il ragazzo.
"Semplicemente, attraversò la porta-finestra che dava sulla veranda, stette per un momento in cima alla scala di mattoni e poi cadde. Quando io arrivai era già morto; s'era rotto l'osso del collo."
Il vampiro scosse la testa in segno di costernazione, ma il suo viso era ancora sereno.
"Lo vide cadere?", chiese il ragazzo. "Perse l'equilibrio?"
"No, due domestici lo videro. Dissero che aveva guardato in su, come se avesse visto qualcosa in cielo. Poi tutto il suo corpo s'era mosso in avanti come se fosse stato spinto dal vento. Uno dei domestici riferì anche che mio fratello stava per dire qualcosa quando cadde. Anch'io pensavo che stesse per dire qualcosa, ma fu in quel momento che mi scostai dalla finestra. Gli ero di spalle quando udii il tonfo."
Lanciò un'occhiata al registratore. "Non riuscivo a perdonarmelo. Mi sentivo responsabile della sua morte... e anche tutti gli altri sembravano convinti che io lo fossi."
"Ma com'è possibile? Non ha detto che lo videro cadere?"
"Non era un'accusa diretta...Però tutti sapevano che tra noi era successo qualcosa di spiacevole, che c'era stata un'accesa discussione poco prima della disgrazia. I domestici e mia madre ci avevano sentito. Mia madre non smetteva di chiedermi cosa era accaduto e come mai mio fratello, sempre così tranquillo, si fosse messo a gridare. Poi ci si mise anche mia sorella, e naturalmente io mi rifiutavo di parlare. Ero talmente sconvolto, disperato e infelice che non me la sentivo d'avere pazienza con nessuno; e a ogni costo ero deciso a non parlare con loro di quelle "visioni". Non avrebbero mai saputo che mio fratello era diventato non un santo, ma solo... un fanatico. Mia sorella si mise a letto per non affrontare il funerale; mia madre raccontò a tutti in parrocchia che qualcosa di orribile era successo nella mia stanza, qualcosa che io non intendevo rivelare. Persino la polizia mi interrogò, su richiesta di mia madre. Infine venne a trovarmi il prete e pretese di sapere cos'era successo.
Non lo rivelai a nessuno.
Dissi che c'era stata solo una discussione.
Io non ero nella veranda quando lui era caduto, protestai, e tutti mi guardavano come se l'avessi ucciso io. Ma anch'io avevo questa sensazione. Restai seduto nel salottino accanto al feretro per due giorni, continuando a pensare che lo avevo ucciso io. Rimasi a guardare il suo viso finché mi apparvero delle macchie davanti agli occhi e fui lì lì per svenire. La parte posteriore del cranio si era fracassata sul selciato, e la testa sul cuscino aveva una forma sbagliata.
Mi costringevo a guardarla, a studiarla, vincendo il dolore e il lezzo della decomposizione, ed ero spesso tentato di provare ad aprirgli gli occhi. Fantasie demenziali, impulsi folli! Ma il pensiero dominante era questo; l'avevo deriso, non gli avevo creduto, ero stato duro con lui. Era caduto per colpa mia."
"Tutto questo è veramente accaduto?", mormorò il ragazzo. "Mi sta raccontando qualcosa di... di vero?"
"Sì."
Il vampiro lo guardò senz'ombra di stupore.
"Vorrei continuare il mio racconto."
Ma quando il suo sguardo si soffermò brevemente sul ragazzo e tornò a fissarsi sulla finestra, dimostrò solo un debole interesse per il suo interlocutore, che sembrava impegnato in una specie di muta battaglia interiore.
"Ma Lei ha detto che non sapeva se quelle visioni... che Lei, un vampiro... non sapeva con certezza se..."
"Voglio andare con ordine. Voglio continuare a raccontare le cose come accaddero. No, io non so niente di quelle visioni. A tutt'oggi non so niente."
E ancora una volta attese finché il ragazzo disse: "Sì, continui, per favore."
"Be', volevo vendere le piantagioni. Non volevo rivedere mai più la casa e la cappella. Alla fine le affittai a un'agenzia che le avrebbe amministrate per conto mio e sistemai le cose in modo da non dovermici mai recare di persona. Feci trasferire mia madre e mia sorella in una delle case di New Orleans. Inutile dire che mio fratello non mi abbandonava neppure un secondo; il pensiero del suo corpo che marciva nella terra era fisso in me. Era sepolto nel cimitero di St Louis a New Orleans; io facevo di tutto per evitare di passare davanti a quei cancelli, e tuttavia non cessavo mai di pensare a lui. Ubriaco o sobrio, vedevo il suo corpo marcire nella bara, e non riuscivo a sopportarlo. Mille volte sognai che era in cima alle scale e io gli tenevo il braccio, parlandogli gentilmente; lo esortavo a ritornare nella stanza da letto e gli dicevo dolcemente che gli credevo, che doveva pregare per me perché avessi fede. Frattanto, gli schiavi di Pointe du Lac (così si chiamava la mia piantagione) cominciavano a raccontare di aver visto il suo spettro sulla veranda, e il sorvegliante non riusciva a mantenere l'ordine. Nei circoli mondani a mia sorella venivano spesso rivolte domande offensive sull'incidente, che la resero isterica. Non era affatto isterica; però le sembrava giusto reagire in quella maniera, e così fece. Io bevevo e restavo a casa il meno possibile. Vivevo come un uomo che vuole morire ma non ha il coraggio di darsi la morte. M'aggiravo solitario per strade e vicoli oscuri... m'abbattevo privo di sensi nei cabaret. Rifiutai un paio di duelli più per apatia che per viltà, benchè desiderassi sinceramente di essere ucciso. E alla fine fui aggredito. Avrebbe potuto trattarsi di chiunque: i miei inviti erano aperti a marinai, ladri, maniaci, tutti. Ma fu un vampiro. Mi agguantò una notte a pochi passi dalla porta di casa e mi lasciò in fin di vita o almeno così credetti."
"Vuol dire che... le succhiò il sangue?"
"Sì", rise il vampiro. "Mi succhiò il sangue. è così che si fa."
"Ma lei sopravvisse", osservò il giovane. "Eppure ha detto che quello lo ridusse in fin di vita."
"Bevve il mio sangue fino quasi a farmi morire.
Appena mi trovarono mi misero a letto, confuso e totalmente ignaro di quanto mi era accaduto. Credo di aver pensato che mi fosse venuto un colpo per il troppo bere. Mi aspettavo di morire da un momento all'altro e non mi interessava affatto bere, mangiare o parlare col dottore. Mia madre mandò a chiamare il prete. Quando arrivò ero in preda alla febbre e gli rivelai tutto: le visioni di mio fratello e come mi ero comportato con lui. Ricordo che mi aggrappai al suo braccio, facendogli giurare ripetutamente che non l'avrebbe detto a nessuno. "So di non averlo ucciso io", dissi infine. "Solo che non posso più vivere ora che lui è morto. Dopo averlo trattato in questo modo!"
"è ridicolo", rispose il prete. "Tu puoi vivere benissimo: non c'è nulla di male in te, tranne il tuo autocompiacimento. Tua madre ha bisogno di te, e ancor più tua sorella. In quanto a tuo fratello, era posseduto dal demonio."
A queste parole rimasi talmente sconvolto da non riuscire a protestare.
Il diavolo era l'artefice delle visioni, continuò. Il diavolo imperversava. L'intera terra di Francia era sotto l'influenza del Maligno, e la Rivoluzione era stata il suo massimo trionfo.
Nulla avrebbe potuto salvare mio fratello tranne l'esorcismo, la preghiera e il digiuno, uomini che lo tenessero stretto quando il diavolo infuriava nel suo corpo e cercava di agitarlo.
"è il diavolo che l'ha scaraventato giù dalle scale; è lampante!", dichiarò.
"In quella stanza tu non stavi parlando con tuo fratello, ma col demonio!"
Mi mandò su tutte le furie. Pensavo di essere già stato portato al limite estremo, ma non era così. Il prete continuò a parlare del demonio, del voodoo tra gli schiavi e di casi di invasamento in altre parti del mondo. E io esplosi. Distrussi la stanza nel tentativo di ammazzarlo."
Romanzo horror, romanzo gotico, romanzo storico e filosofico, "Intervista col Vampiro" (1976) ha segnato l'inizio di una delle saghe narrative di maggior successo mondiale degli ultimi anni.
Col suo capolavoro, Ann Rice ha ricreato il mito notturno del vampiro, trasformandolo in una figura oscuramente luminosa capace di incarnare, e di raccontare, i mali, le paure e le angosce di noi contemporanei.
Inizia così…
"Capisco...", disse pensieroso il vampiro, poi attraversò lentamente la stanza fino alla finestra. Qui restò a lungo, in piedi, contro la luce fioca di Divisadero Street e i bagliori intermittenti del traffico. Adesso il ragazzo riusciva a distinguere più chiaramente l'arredamento della stanza, il tavolo rotondo di quercia, le sedie.
E su una parete, un lavandino e uno specchio. Posò la cartella sul tavolo e aspettò.
"Quanto nastro hai con te?" chiese il vampiro voltandosi, così che il ragazzo ora ne poteva scorgere il profilo. "Ce n'è abbastanza per la storia di una vita?"
"Certo, se è una bella vita. A volte, quando mi va bene, intervisto anche tre o quattro persone in una notte. Ma dev'essere una bella storia. Mi pare corretto, no?"
"Molto", rispose il vampiro. "Quand'è così, desidero raccontarti la storia della mia vita. Lo desidero veramente."
"Perfetto", disse il ragazzo. Estrasse rapidamente il piccolo registratore dalla cartella e controllò cassetta e batterie.
"Sono proprio impaziente di sentire che cosa glielo fa credere, perché Lei..."
"No", interruppe il vampiro. "Non possiamo cominciare così. Sei pronto col tuo apparecchio?"
"Sì"
"Allora siediti. Io accendo la lampada lassù."
"Pensavo che i vampiri non amassero la luce", intervenne il ragazzo.
"Non crede che il buio aumenti l'atmosfera..."
Poi si fermò. Il vampiro, con le spalle alla finestra, lo osservava.
Il ragazzo non riusciva a decifrare l'espressione del suo viso: c'era qualcosa che lo inquietava in quella figura immobile. Di nuovo provò a dire qualcosa e rinunciò. Tirò un sospiro di sollievo quando il vampiro si diresse verso il tavolo e afferrò il cordone della lampada.
Di colpo la stanza fu inondata da una cruda luce gialla.
Il ragazzo, levando gli occhi sul vampiro, non riuscì a trattenere un moto di stupore. Le sue dita arretrarono danzando sul tavolo fino ad artigliare il bordo. "Santo Cielo!", mormorò, poi riprese a fissarlo ammutolito.
Il vampiro era perfettamente candido e levigato, come scolpito nell'avorio, e il suo viso appariva esanime come una statua, a eccezione di quegli occhi verdi, ardenti come fiamme in un teschio, che scrutavano intensamente il ragazzo. Ma poi il vampiro sorrise con un velo di malinconia e la liscia massa bianca del suo volto si mosse ridisegnandosi con i tratti infinitamente flessibili ed essenziali di un cartone animato. "Vedi?", chiese dolcemente.
Il ragazzo rabbrividì, alzando la mano come per ripararsi da una luce violenta. Il suo sguardo scorse lentamente sulla giacca nera e impeccabile appena intravista nel bar, sulle lunghe piaghe del mantello, sulla cravatta di seta nera annodata alla gola e sul luccichio del colletto, bianco come la carne del vampiro.
S'incantò a osservare la folta capigliatura corvina, le onde pettinate all'indietro sulle orecchie e i riccioli che sfioravano appena l'orlo del colletto.
"Allora, la vuoi ancora l'intervista?", domandò il vampiro.
Il ragazzo aprì la bocca prima di riuscire ad emettere un suono. Annuì. "Sì", rispose infine.
Il vampiro si sedette lentamente di fronte a lui e sporgendosi in avanti gli disse in tono gentile, confidenziale: "Non aver paura. Fai partire il nastro."
Allungò un braccio verso il ragazzo. Questo fece un balzo all'indietro, mentre due rivoli di sudore gli scorrevano ai lati del viso.
Il vampiro gli strinse vigorosamente una spalla.
"Credimi, non ti farò del male", lo rassicurò.
"Ci tengo davvero a questa occasione. è molto più importante per me di quanto tu possa credere. Voglio cominciare".
Ritirò la mano e rimase immobile in attesa.
Il ragazzo si asciugò la fronte e le labbra col fazzoletto, balbettò che il microfono era inserito, schiacciò il tasto e annunciò che l'apparecchio era acceso.
"Lei non è stato sempre un vampiro, vero?", attaccò.
"No", rispose l'altro. "Avevo venticinque anni quando lo divenni.
Era il 1791."
Il ragazzo fu colpito dalla precisione della data, che ripeté prima di chiedere: "Come avvenne?"
"Ci sarebbe una risposta molto semplice. Ma non credo di aver voglia di dare risposte semplici", disse il vampiro.
"Credo di voler raccontare la storia vera..."
"Sì", commentò precipitosamente il ragazzo, che continuava a spiegare e ripiegare il fazzoletto e aveva ricominciato ad asciugarsi le labbra.
"Ci fu una tragedia...", cominciò il vampiro.
"Il mio fratello minore... morì". Poi si fermò, dando modo al ragazzo di schiarirsi la voce e di asciugarsi ancora il viso col fazzoletto prima di cacciarselo in tasca quasi con impazienza.
"Non le fa male, vero?", chiese timidamente.
"Do quest'impressione?" ribatté il vampiro. "No". Scosse la testa. "Ma è una storia che ho raccontato solo a un'altra persona... e tanto tempo fa. No, non mi fa male..."
"A quel tempo vivevamo in Louisiana. Ci avevano assegnato della terra e noi ci tenevamo due piantagioni di indaco, sul Mississippi, molto vicino a New Orleans..."
"Ah, ecco l'accento..." disse piano il ragazzo.
Per un istante il vampiro lo fissò senza espressione. "Ho un accento?"
Cominciò a ridere.
Agitatissimo, il ragazzo rispose frettolosamente. "L'ho notato al bar quando le ho chiesto che cosa faceva per vivere. Solo una leggera asprezza delle consonanti, niente altro. Non avevo immaginato che fosse francese."
"Non preoccuparti", lo rassicurò il vampiro. "Non sono stupito come sembro, solo che qualche volta me ne dimentico. Ma lasciami andare avanti..."
"La prego...", mormorò il ragazzo.
"Stavo parlando delle piantagioni. Ebbero davvero una parte importante nella faccenda, voglio dire, in come diventai un vampiro. Ma ci arriveremo. Per noi era il massimo del piacere; capisci, lì vivevamo infinitamente meglio di come avremmo mai potuto vivere in Francia. O forse era solo un'illusione, causata da quel luogo assolutamente selvaggio che era la Louisiana; ma dato che a noi sembrava così, lo era davvero. Ricordo i mobili importati che ingombravano la casa", il vampiro sorrise.
"E il clavicembalo: delizioso. Lo suonava mia sorella. Le sere d'estate si sedeva alla tastiera con la schiena rivolta alle porte-finestre spalancate. Ricordo ancora quella musica lieve, scorrevole, e vedo la palude che si stendeva al di là delle sue spalle, i cipressi ornati di muschio che ondeggiavano contro il cielo... E poi i suoni della palude, un coro di creature, le grida degli uccelli. Credo ne fossimo innamorati; ci faceva apparire i mobili di palissandro più preziosi che mai, la musica più delicata e desiderabile."
Persino quando il glicine spezzò le persiane nell'attico e, in meno di un anno, penetrò coi suoi viticci le pareti di mattone imbiancato... sì, ne eravamo innamorati.
Tutti tranne mio fratello: non ricordo di averlo mai sentito lamentarsi di qualcosa, ma sapevo cosa provava. A quel tempo mio padre era morto, io ero il capofamiglia e mi toccava continuamente difenderlo da mia madre e da mia sorella. Pretendevano di portarlo in visita o alle feste di New Orleans, ma lui odiava questo genere di cose. Mi pare che avesse smesso di andarci prima dei dodici anni. L'unica cosa che contava per lui era la preghiera, la preghiera e un libro di vite di santi rilegato in pelle.
Alla fine gli costruii una cappella lontano dalla casa e lui prese a passarci la maggior parte della giornata e spesso anche le prime ore della sera.
C'è dell'ironia in questo, a pensarci bene. Lui era così diverso da noi, diverso da tutti, mentre io ero così normale! In me non c'era nulla, proprio nulla fuori dell'ordinario". Il vampiro sorrise.
"Certe volte alla sera uscivo a cercarlo e lo trovavo nel giardino fuori dalla cappella che sedeva assorto su una panchina di pietra; allora gli raccontavo i miei problemi, le difficoltà con gli schiavi, la mia sfiducia nel sorvegliante, nel tempo o nell'amministratore... tutte le preoccupazioni che costituivano le coordinate della mia esistenza. E lui stava ad ascoltare, facendo appena qualche commento, sempre partecipe; me ne andavo con la netta impressione che mi avesse risolto ogni cosa. Non credevo che avrei mai potuto negargli alcunché, e promisi solennemente a me stesso che, quando fosse giunto il momento, gli avrei concesso di abbracciare il sacerdozio, per quanto straziante per me potesse essere la sua perdita. Naturalmente, mi sbagliavo."
Il vampiro si fermò.
Per un momento il ragazzo stette a guardarlo in silenzio, poi sussurrò come risvegliandosi da profonde riflessioni; sembrava che non riuscisse a trovare le parole giuste.
"Ah... non voleva farsi prete?", azzardò.
Il vampiro lo studiò come se cercasse di decifrare il significato della sua espressione. Poi disse: "Intendevo dire che mi sbagliavo sul mio conto, sul fatto di non negargli nulla". Il suo sguardo corse sulla parete in fondo fino a fissarsi sui vetri della finestra. "Cominciò ad avere delle visioni."
"Visioni vere e proprie?", domandò il ragazzo ancora esitante, come pensando ad altro.
"Allora non lo credevo", rispose il vampiro. "Accadde quando aveva quindici anni. A quell'epoca era molto bello: aveva una pelle liscissima e immensi occhi azzurri. Era robusto, non magro come adesso... e come ero anche allora... ma i suoi occhi... quando lo guardavo negli occhi mi pareva di essere solo ai limiti del mondo... su una spiaggia dell'oceano spazzata dal vento. C'era solo il sommesso mugghiare delle onde, nient'altro. Be'", riprese, gli occhi ancora fissi alla finestra, "cominciò ad avere delle visioni. Sulle prime non ne parlò quasi, ma smise completamente di venire a casa a mangiare. Viveva nella cappella."
A qualsiasi ora del giorno e della notte lo trovavo inginocchiato davanti all'altare, sulla nuda pietra.
E la cappella stessa era in stato di abbandono. Aveva smesso di badare alle candele o di cambiare le tovaglie dell'altare o persino di scopare via le foglie. Una notte mi allarmai veramente: ero stato a osservarlo dal pergolato di rose per un'ora intera, e per tutto quel tempo lui era rimasto in ginocchio senza mai muoversi e senza abbassare neanche una volta le braccia, che teneva spiegate a formare una croce. Gli schiavi pensavano tutti che fosse pazzo."
Il vampiro alzò le sopracciglia con aria stupita.
"Io ero convinto che si trattasse soltanto di... un eccesso di zelo. Che nel suo amore per Dio avesse forse esagerato. Poi mi parlò delle visioni. Sia san Domenico che la Madonna erano andati a visitarlo nella cappella, gli avevano detto di vendere tutte le nostre proprietà in Louisiana, tutto quello che possedevamo, e di devolvere il denaro alle opere di Dio, in Francia. Mio fratello doveva diventare un grande capo religioso, riportare il paese all'antico fervore e arrestare la marea dell'ateismo e della rivoluzione. Naturalmente, lui non possedeva denaro suo. Ero io che dovevo vendere le piantagioni e le nostre case di New Orleans e dargli il denaro."
Di nuovo il vampiro si fermò. E il ragazzo sedeva immobile, guardandolo allibito.
"Ah... mi scusi", sussurrò. "Cosa fece lei? Vendette le piantagioni?"
"No". Il volto del vampiro era sempre disteso. "Io risi. E lui... lui arrivò all'esasperazione. Insisteva che l'ordine gli proveniva dalla Vergine stessa: chi ero io per non curarmene? Chi ero io?", ripeté piano, come se stesse nuovamente cercando la risposta a quella domanda.
"Chi ero, in effetti? E più tentava di convincermi, più lo deridevo. Era una sciocchezza, gli dicevo, il frutto di una mente immatura e anche malata. La cappella era stata un errore: l'avrei fatta abbattere immediatamente. Andando a scuola a New Orleans si sarebbe tolto dalla testa queste assurdità. Non ricordo tutto quello che gli dissi, ma ricordo i sentimenti che provai. Dietro a tutto il mio disprezzo e i miei rifiuti c'erano ira repressa e delusione. Ero amaramente deluso. Non gli credevo affatto."
"Ma è comprensibile", si inserì il ragazzo nella pausa, mentre l'espressione esterrefatta del suo viso si attenuava.
"Voglio dire, chi gli avrebbe creduto?"
"è davvero così comprensibile?" Il vampiro guardò il ragazzo. "Io penso che si trattasse di perverso egoismo; lascia che ti spieghi. Io amavo davvero mio fratello, e a volte credevo proprio che fosse un santo in terra. Lo incoraggiavo nella preghiera e nelle meditazioni, come dicevo, ed ero disposto a rinunciare a lui se avesse voluto prendere gli ordini. Se qualcuno mi avesse parlato d'un santo, ad Arles o a Lourdes, che aveva delle visioni, gli avrei creduto. Ero cattolico: credevo nei santi. Conoscevo le loro immagini, i loro simboli, i loro nomi; accendevo ceri nelle chiese davanti alle loro statue di marmo. Ma non credevo, non potevo credere a mio fratello. Non solo non credevo che avesse delle visioni, ma non riuscivo a prendere in considerazione l'idea neppure per un momento. E perché? Perché era mio fratello. Santo poteva anche essere; fuori della norma, senz'altro. Ma Francesco d'Assisi proprio no. Non mio fratello; un mio fratello non ne aveva diritto. Questo è egoismo, capisci?"
Il ragazzo rifletté un po' prima di rispondere; fece cenno col capo e disse che sì, credeva di sì.
"Forse ebbe davvero quelle visioni", riprese il vampiro.
"Allora... lei non crede di sapere... adesso... se le avesse avute o no?"
"No, però so che non vacillò nella sua convinzione neppure per un istante. Questo lo so adesso e lo sapevo allora, la notte che lasciò la mia stanza in preda all'esaltazione e al dolore. Non vacillò mai neppure un istante. E pochi minuti dopo, era morto."
"In che modo?", chiese il ragazzo.
"Semplicemente, attraversò la porta-finestra che dava sulla veranda, stette per un momento in cima alla scala di mattoni e poi cadde. Quando io arrivai era già morto; s'era rotto l'osso del collo."
Il vampiro scosse la testa in segno di costernazione, ma il suo viso era ancora sereno.
"Lo vide cadere?", chiese il ragazzo. "Perse l'equilibrio?"
"No, due domestici lo videro. Dissero che aveva guardato in su, come se avesse visto qualcosa in cielo. Poi tutto il suo corpo s'era mosso in avanti come se fosse stato spinto dal vento. Uno dei domestici riferì anche che mio fratello stava per dire qualcosa quando cadde. Anch'io pensavo che stesse per dire qualcosa, ma fu in quel momento che mi scostai dalla finestra. Gli ero di spalle quando udii il tonfo."
Lanciò un'occhiata al registratore. "Non riuscivo a perdonarmelo. Mi sentivo responsabile della sua morte... e anche tutti gli altri sembravano convinti che io lo fossi."
"Ma com'è possibile? Non ha detto che lo videro cadere?"
"Non era un'accusa diretta...Però tutti sapevano che tra noi era successo qualcosa di spiacevole, che c'era stata un'accesa discussione poco prima della disgrazia. I domestici e mia madre ci avevano sentito. Mia madre non smetteva di chiedermi cosa era accaduto e come mai mio fratello, sempre così tranquillo, si fosse messo a gridare. Poi ci si mise anche mia sorella, e naturalmente io mi rifiutavo di parlare. Ero talmente sconvolto, disperato e infelice che non me la sentivo d'avere pazienza con nessuno; e a ogni costo ero deciso a non parlare con loro di quelle "visioni". Non avrebbero mai saputo che mio fratello era diventato non un santo, ma solo... un fanatico. Mia sorella si mise a letto per non affrontare il funerale; mia madre raccontò a tutti in parrocchia che qualcosa di orribile era successo nella mia stanza, qualcosa che io non intendevo rivelare. Persino la polizia mi interrogò, su richiesta di mia madre. Infine venne a trovarmi il prete e pretese di sapere cos'era successo.
Non lo rivelai a nessuno.
Dissi che c'era stata solo una discussione.
Io non ero nella veranda quando lui era caduto, protestai, e tutti mi guardavano come se l'avessi ucciso io. Ma anch'io avevo questa sensazione. Restai seduto nel salottino accanto al feretro per due giorni, continuando a pensare che lo avevo ucciso io. Rimasi a guardare il suo viso finché mi apparvero delle macchie davanti agli occhi e fui lì lì per svenire. La parte posteriore del cranio si era fracassata sul selciato, e la testa sul cuscino aveva una forma sbagliata.
Mi costringevo a guardarla, a studiarla, vincendo il dolore e il lezzo della decomposizione, ed ero spesso tentato di provare ad aprirgli gli occhi. Fantasie demenziali, impulsi folli! Ma il pensiero dominante era questo; l'avevo deriso, non gli avevo creduto, ero stato duro con lui. Era caduto per colpa mia."
"Tutto questo è veramente accaduto?", mormorò il ragazzo. "Mi sta raccontando qualcosa di... di vero?"
"Sì."
Il vampiro lo guardò senz'ombra di stupore.
"Vorrei continuare il mio racconto."
Ma quando il suo sguardo si soffermò brevemente sul ragazzo e tornò a fissarsi sulla finestra, dimostrò solo un debole interesse per il suo interlocutore, che sembrava impegnato in una specie di muta battaglia interiore.
"Ma Lei ha detto che non sapeva se quelle visioni... che Lei, un vampiro... non sapeva con certezza se..."
"Voglio andare con ordine. Voglio continuare a raccontare le cose come accaddero. No, io non so niente di quelle visioni. A tutt'oggi non so niente."
E ancora una volta attese finché il ragazzo disse: "Sì, continui, per favore."
"Be', volevo vendere le piantagioni. Non volevo rivedere mai più la casa e la cappella. Alla fine le affittai a un'agenzia che le avrebbe amministrate per conto mio e sistemai le cose in modo da non dovermici mai recare di persona. Feci trasferire mia madre e mia sorella in una delle case di New Orleans. Inutile dire che mio fratello non mi abbandonava neppure un secondo; il pensiero del suo corpo che marciva nella terra era fisso in me. Era sepolto nel cimitero di St Louis a New Orleans; io facevo di tutto per evitare di passare davanti a quei cancelli, e tuttavia non cessavo mai di pensare a lui. Ubriaco o sobrio, vedevo il suo corpo marcire nella bara, e non riuscivo a sopportarlo. Mille volte sognai che era in cima alle scale e io gli tenevo il braccio, parlandogli gentilmente; lo esortavo a ritornare nella stanza da letto e gli dicevo dolcemente che gli credevo, che doveva pregare per me perché avessi fede. Frattanto, gli schiavi di Pointe du Lac (così si chiamava la mia piantagione) cominciavano a raccontare di aver visto il suo spettro sulla veranda, e il sorvegliante non riusciva a mantenere l'ordine. Nei circoli mondani a mia sorella venivano spesso rivolte domande offensive sull'incidente, che la resero isterica. Non era affatto isterica; però le sembrava giusto reagire in quella maniera, e così fece. Io bevevo e restavo a casa il meno possibile. Vivevo come un uomo che vuole morire ma non ha il coraggio di darsi la morte. M'aggiravo solitario per strade e vicoli oscuri... m'abbattevo privo di sensi nei cabaret. Rifiutai un paio di duelli più per apatia che per viltà, benchè desiderassi sinceramente di essere ucciso. E alla fine fui aggredito. Avrebbe potuto trattarsi di chiunque: i miei inviti erano aperti a marinai, ladri, maniaci, tutti. Ma fu un vampiro. Mi agguantò una notte a pochi passi dalla porta di casa e mi lasciò in fin di vita o almeno così credetti."
"Vuol dire che... le succhiò il sangue?"
"Sì", rise il vampiro. "Mi succhiò il sangue. è così che si fa."
"Ma lei sopravvisse", osservò il giovane. "Eppure ha detto che quello lo ridusse in fin di vita."
"Bevve il mio sangue fino quasi a farmi morire.
Appena mi trovarono mi misero a letto, confuso e totalmente ignaro di quanto mi era accaduto. Credo di aver pensato che mi fosse venuto un colpo per il troppo bere. Mi aspettavo di morire da un momento all'altro e non mi interessava affatto bere, mangiare o parlare col dottore. Mia madre mandò a chiamare il prete. Quando arrivò ero in preda alla febbre e gli rivelai tutto: le visioni di mio fratello e come mi ero comportato con lui. Ricordo che mi aggrappai al suo braccio, facendogli giurare ripetutamente che non l'avrebbe detto a nessuno. "So di non averlo ucciso io", dissi infine. "Solo che non posso più vivere ora che lui è morto. Dopo averlo trattato in questo modo!"
"è ridicolo", rispose il prete. "Tu puoi vivere benissimo: non c'è nulla di male in te, tranne il tuo autocompiacimento. Tua madre ha bisogno di te, e ancor più tua sorella. In quanto a tuo fratello, era posseduto dal demonio."
A queste parole rimasi talmente sconvolto da non riuscire a protestare.
Il diavolo era l'artefice delle visioni, continuò. Il diavolo imperversava. L'intera terra di Francia era sotto l'influenza del Maligno, e la Rivoluzione era stata il suo massimo trionfo.
Nulla avrebbe potuto salvare mio fratello tranne l'esorcismo, la preghiera e il digiuno, uomini che lo tenessero stretto quando il diavolo infuriava nel suo corpo e cercava di agitarlo.
"è il diavolo che l'ha scaraventato giù dalle scale; è lampante!", dichiarò.
"In quella stanza tu non stavi parlando con tuo fratello, ma col demonio!"
Mi mandò su tutte le furie. Pensavo di essere già stato portato al limite estremo, ma non era così. Il prete continuò a parlare del demonio, del voodoo tra gli schiavi e di casi di invasamento in altre parti del mondo. E io esplosi. Distrussi la stanza nel tentativo di ammazzarlo."
"Ma la sua forza... il vampiro?"
"Ero fuori di me", spiegò il vampiro. Feci cose che in condizioni normali non avrei mai fatto. La scena è confusa, sbiadita, fantastica... ricordo solo che lo trascinai fuori dalla porta dietro la casa, attraverso il cortile, in cucina; e lì gli sbattei la testa contro la parete di mattoni fin quasi a ucciderlo.
Quando riuscirono a calmarmi, stanco fino alla morte, mi fecero un salasso. Gli imbecilli! Ma stavo dicendo qualcos'altro.
Fu allora che mi resi conto del mio egoismo.
Forse l'avevo visto riflesso nel prete.
Il suo atteggiamento di disprezzo per mio fratello rispecchiava esattamente il mio; il ricorso automatico e superficiale al diavolo; e il rifiuto anche solo di prendere in considerazione l'idea che la santità potesse essere passata così vicino."
"Ma negli indemoniati ci credeva."
"Quella è un'idea molto più accettabile", rispose immediatamente il vampiro. "Chi ha smesso di credere in Dio o nel bene continua lo stesso a credere nel diavolo. Non so perché. No, anzi, lo so: il male è sempre possibile. è il bene è eternamente difficile. Ma capisci che parlare d'invasamento è solo un modo per dare del pazzo a qualcuno. Ebbi questa netta sensazione con quel prete. Sono sicuro che vide la follia. Forse gli era capitato di trovarsi di fronte a un pazzo furioso e l'aveva dichiarato indemoniato. Non è detto che si debba per forza vedere Satana quando si pratica un esorcismo... ma avere davanti un santo e affermare che le sue visioni siano tutte fantasie... no, è puro egoismo rifiutare di credere che sia potuto succedere tra noi."
"Non lo avevo mai considerato da questo punto di vista", disse il ragazzo. "Ma a lei cosa accadde? Mi stava dicendo che per curarla le avevano fatto un salasso... deve averla quasi uccisa."
Il vampiro rise. "Sì, naturalmente. Ma il vampiro tornò quella notte stessa. Voleva Pointe du Lac, la mia piantagione. Era molto tardi. Mia sorella si era appena addormentata.
Ricordo tutto come se fosse ieri. Entrò dal cortile, aprendo le porte-finestre senza un rumore... un uomo alto, di carnagione chiara, con una massa di capelli biondi e movimenti aggraziati, quasi felini. Con garbo dispose uno scialle sugli occhi di mia sorella e abbassò lo stoppino della lampada. Mia sorella sonnecchiava accanto al bacile e al panno con cui aveva inumidito la mia fronte; restò sotto quello scialle senza agitarsi neppure una volta fino al mattino. Ma nel frattempo, io avevo subito una metamorfosi."
"Mi spieghi."
Il vampiro sospirò. Si appoggiò allo schienale della sedia, fissando le pareti. "Sulle prime pensai si trattasse di un altro dottore, o di qualcuno convocato dalla famiglia per tentare di farmi ragionare; ma quel sospetto sparì immediatamente.
Si avvicinò al mio letto e si chinò in modo che il suo viso fosse illuminato dalla lampada, e vidi che non poteva essere un uomo normale. I suoi occhi grigi parevano incandescenti e le lunghe mani bianche che gli pendevano ai lati del corpo non erano quelle di un essere umano.
"Caccia al Vampiro"
Le rocambolesche avventure di un Dracula moderno.
Perché non è così facile essere un vampiro al giorno d'oggi…
Trama: Eric ha qualche problema di memoria. Non ricorda neppure quello che ha mangiato ieri, figuriamoci se può sapere come ha fatto, molti anni fa, a diventare un vampiro. E ultimamente è piuttosto stressato: gli affari allo strip club che gestisce insieme al suo amico Roger non vanno poi così bene e la sua fidanzata Tabitha non fa che chiedergli di trasformarla in vampiro, così potranno stare insieme per sempre.
Ma quando finalmente si decide ad accontentarla, ecco che il suo desiderio per lei si affievolisce e cresce nei confronti della sorella più piccola di Tabitha, Rachel.
Come se non bastasse, Eric ha ucciso involontariamente un licantropo che lo ha attaccato e adesso un branco di lupi lo insegue per la città in cerca di vendetta.
Tra scontri automobilistici, mannari impazziti, trasformazioni mirabolanti, perdite di memoria, sesso bollente e pallottole magiche, il nostro vampiro dovrà dire addio alle sue tranquille serate a base di sangue e pensare in fretta al modo per tirarsi fuori dai guai...
"Caccia al vampiro" è il romanzo di esordio dell'autore, che ha scritto anche il seguito: "ReVamped".
Dalla critica, è stato recensito come "Una storia avvincente che mescola in maniera entusiasmante humour, azione e sesso"
Vi trascrivo uno stralcio che mi è piaciuto e dà l'idea dello stile narrativo del romanzo.
"Due paia di zampe che non avevo notato mi lacerarono il ventre, facendo rotolare a terra le mie viscere, e nello stesso momento sentii il rumore di una testa di lupo che veniva staccata dal collo.
"Vediamo se sei capace di farla ricrescere".
Greta rise di nuovo, ma la sua risata si trasformò presto in un grido, poi udii uno sfrigolio.
Dannazione.
Incerto sul da farsi, saltai all'indietro trascinando con me i due lupi che mi tenevano prigioniero, mandando in pezzi la porta a vetri della facciata del Pollux e atterrando con uno schianto su quello che un tempo era il botteghino.
Il licantropo alla mia sinistra allentò la presa e ne approfittai per divincolarmi, poi tirai verso di me quello alla mia destra e lo azzannai alla gola.
Il sangue dei lupi non ha un sapore molto diverso da quello degli umani. La cosa difficile è riuscire a evitare che i peli restino incastrati in mezzo ai denti.
Non ebbi il tempo di fare un lungo spuntino, ma solo quanto bastò per accelerare il risanamento delle mie ferite. Per noi il sangue è sia un alimento che una medicina.
Gli squarciai la gola abbastanza da metterlo fuori gioco, e mi strofinai gli occhi con il sangue di quella ferita. Un metodo grossolano ma efficace. Tornai a vedere, ma la mia vista era ancora annebbiata; era come se osservassi il mondo attraverso un foglio di carta oleata. Per mia fortuna, le sagome dei lupi sono facilmente riconoscibili.
Mi voltai verso il secondo licantropo giusto in tempo perché mi sferrasse una zampata al ventre mentre cercava di liberarsi dalle macerie del botteghino distrutto. Aveva il pelo pieno di tagli e graffi causati dal vetro.
Alle sue spalle riuscivo a vedere Greta alla prese con il Bulldog e gli altri in mezzo alla strada. (...) Greta approfittò di quel momento di distrazione per strappare la traversina dalle zampe del Bulldog e colpirlo alla testa, ma le sue mani si incendiarono al contatto con il legno.
Affondò i suoi artigli infuocati su di lui, usando il proprio sangue per spegnere le fiamme e poi gli azzannò il collo."
Le rocambolesche avventure di un Dracula moderno.
Perché non è così facile essere un vampiro al giorno d'oggi…
Trama: Eric ha qualche problema di memoria. Non ricorda neppure quello che ha mangiato ieri, figuriamoci se può sapere come ha fatto, molti anni fa, a diventare un vampiro. E ultimamente è piuttosto stressato: gli affari allo strip club che gestisce insieme al suo amico Roger non vanno poi così bene e la sua fidanzata Tabitha non fa che chiedergli di trasformarla in vampiro, così potranno stare insieme per sempre.
Ma quando finalmente si decide ad accontentarla, ecco che il suo desiderio per lei si affievolisce e cresce nei confronti della sorella più piccola di Tabitha, Rachel.
Come se non bastasse, Eric ha ucciso involontariamente un licantropo che lo ha attaccato e adesso un branco di lupi lo insegue per la città in cerca di vendetta.
Tra scontri automobilistici, mannari impazziti, trasformazioni mirabolanti, perdite di memoria, sesso bollente e pallottole magiche, il nostro vampiro dovrà dire addio alle sue tranquille serate a base di sangue e pensare in fretta al modo per tirarsi fuori dai guai...
"Caccia al vampiro" è il romanzo di esordio dell'autore, che ha scritto anche il seguito: "ReVamped".
Dalla critica, è stato recensito come "Una storia avvincente che mescola in maniera entusiasmante humour, azione e sesso"
Vi trascrivo uno stralcio che mi è piaciuto e dà l'idea dello stile narrativo del romanzo.
"Due paia di zampe che non avevo notato mi lacerarono il ventre, facendo rotolare a terra le mie viscere, e nello stesso momento sentii il rumore di una testa di lupo che veniva staccata dal collo.
"Vediamo se sei capace di farla ricrescere".
Greta rise di nuovo, ma la sua risata si trasformò presto in un grido, poi udii uno sfrigolio.
Dannazione.
Incerto sul da farsi, saltai all'indietro trascinando con me i due lupi che mi tenevano prigioniero, mandando in pezzi la porta a vetri della facciata del Pollux e atterrando con uno schianto su quello che un tempo era il botteghino.
Il licantropo alla mia sinistra allentò la presa e ne approfittai per divincolarmi, poi tirai verso di me quello alla mia destra e lo azzannai alla gola.
Il sangue dei lupi non ha un sapore molto diverso da quello degli umani. La cosa difficile è riuscire a evitare che i peli restino incastrati in mezzo ai denti.
Non ebbi il tempo di fare un lungo spuntino, ma solo quanto bastò per accelerare il risanamento delle mie ferite. Per noi il sangue è sia un alimento che una medicina.
Gli squarciai la gola abbastanza da metterlo fuori gioco, e mi strofinai gli occhi con il sangue di quella ferita. Un metodo grossolano ma efficace. Tornai a vedere, ma la mia vista era ancora annebbiata; era come se osservassi il mondo attraverso un foglio di carta oleata. Per mia fortuna, le sagome dei lupi sono facilmente riconoscibili.
Mi voltai verso il secondo licantropo giusto in tempo perché mi sferrasse una zampata al ventre mentre cercava di liberarsi dalle macerie del botteghino distrutto. Aveva il pelo pieno di tagli e graffi causati dal vetro.
Alle sue spalle riuscivo a vedere Greta alla prese con il Bulldog e gli altri in mezzo alla strada. (...) Greta approfittò di quel momento di distrazione per strappare la traversina dalle zampe del Bulldog e colpirlo alla testa, ma le sue mani si incendiarono al contatto con il legno.
Affondò i suoi artigli infuocati su di lui, usando il proprio sangue per spegnere le fiamme e poi gli azzannò il collo."
Altri approfondimenti:
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/01/la-setta-dei-vampiri-gli-stralci-piu.html
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/05/il-vampiro-di-new-york.html
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