"Blood Magic" di Tessa Gratton (Urban Fantasy)

Trama: Silla è disposta a tutto pur di scoprire cosa è successo davvero la notte che i suoi genitori hanno perso la vita, anche a provare gli incantesimi del misterioso libro trovato all'improvviso sulla porta di casa. Nick si è appena trasferito nella villa dall'altra parte del cimitero e quando incontra Silla, nascosta tra le tombe e impegnata con formule in latino, sangue e foglie secche, non crede ai suoi occhi.  Pensava di essersi lasciato la magia alle spalle e invece eccola tornare verso di lui, carica di ricordi, dolore e fascino. Uniti dal destino e da una profonda attrazione, Nick e Silla dovranno combattere contro la presenza oscura che vuole entrare in possesso del libro e di tutto il suo potere, e imparare a controllare la forza intossicante della magia del sangue.

Commento di Lunaria: Davvero entusiasmante, questo "Blood Magic", che mi è piaciuto molto e che metto ai primi posti dei miei Urban Fantasy preferiti insieme alla "Touched saga", "Evernight" https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2021/04/evernight-recensione.html e a "Rose Blood"https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/12/roseblood.html Rispetto ad altri Urban Fantasy più famosi e pubblicizzati, ma che ho trovato piuttosto prolissi, piatti e "fatti in serie" come la saga di "Fallen", "Blood Magic" pur ascrivendosi nel canovaccio degli Urban Fantasy con tutti gli elementi tipici di questo genere di romanzo (i protagonisti adolescenti che vivono il primo amore, la scuola, i genitori che non capiscono...) dà  molto più spazio agli scenari, molto suggestivi, come il bosco notturno e il cimitero (dove si svolge gran parte della vicenda) che contribuiscono a dare a tutta la vicenda una leggera spolverata di "soft horror". Di tanto in tanto i riferimenti al sangue e agli incantesimi vengono intervallati da citazioni prese dal "Macbeth", citazioni non scontate visto che per pregiudizio molto spesso questo genere di romanzo viene considerato "puerile" proprio perché pensato per un pubblico di adolescenti. Unico difetto: il turpiloquio che di tanto in tanto viene usato dai due protagonisti; non mi piace il turpiloquio negli Urban Fantasy e nei romanzi Rosa!


Gli stralci più belli: 

"Non puoi capire chi sei veramente finchè non passi un po' di tempo da sola in un cimitero. La lapide era fredda contro la mia schiena e mi spingeva la maglietta sottile contro il sudore che mi colava sulla pelle. Il crepuscolo pennellava di ombre il cimitero, facendone un luogo sospeso tra giorno e notte in un grigio istante bagnato di lacrime. Sedevo a gambe incrociate con il libro in grembo. Sotto di me, l'erba incolta nascondeva le tombe dei miei genitori."

"I corvi risero, sbucando da lontano in mezzo alle lapidi. Il nugolo nero fendette l'aria tra uno sbattere d'ali e il rauco gracchiare. Li osservai, stagliati contro il cielo grigio, mentre volavano a ovest, verso casa mia."

"Uscii dai boschi del tutto inaspettatamente. Non mi ero neppure accorto che la luce fosse aumentata. (...) Un sottile spicchio di luna mi sorrise tra qualche stella sparsa. Il cielo era violaceo e sereno. E il cimitero si estendeva per almeno 400 metri prima di terminare davanti a un'enorme siepe che lo separava dalla casa del nostro vicino più prossimo."

"Il potere pulsava in quella minuscola goccia di sangue che tremolava sulla punta del mio indice mentre trattenevo il respiro e finalmente - finalmente - cadeva nell'acqua. (...) Noi tre restammo a guardare, immobili. Pensai alle streghe di Macbeth, strette intorno al loro calderone. Ebbene, arcane, nere, fattucchiere di mezzanotte, a qual opra attendete? A un'opra senza nome. Eravamo silenziosi come le lapidi che ci attorniavano."







Sonetti Funebri


LUIS DE GòNGORA Y ARGOTE (1561- 1627)

"Molti colori, luci, ori godremo nella poesia funeraria. E Gòngora è un entusiasta del mondo materiale, e l'anima gli si concentra nei cinque sensi: inclinazione a quanto esercita una resistenza che bisogna gioiosamente superare. Il sonetto indirizzato alla "illustre e graziosissima Maria" riassume la morale del poeta "Goza, goza el color, la luz, el oro", oro, ossia luce trasformata in qualcosa di più palpabile, con un maggior numero di attributi di oggetto [...] 

I sonetti funebri parlano assai poco della morte e del morto; in essi si innalzano il tumula o la tomba. Il dolore non è più che peso funerario, rito, e il verso stesso acquista una giovinezza monumentale, rivaleggiando in saldezza con il sepolcro [...] Parole colte, metafore, allusioni, simmetrie: tutto converge a interrompere la linea pura, l'espressione semplice, nascondendo sotto il disegno. Il risultato è per solito felice, e questo "linguaggio costruito come un oggetto enigmatico" è raggiunto: è creazione poetica."

"IN MORTE DI DUE GIOVANI SIGNORE, SORELLE, NATIVE DI CORDOVA" (1582)

Sopra due urne di molato cristallo

da vitrei piedistalli sostenute

piange due ninfe già prive di vita

il Betis, alle sue umide dimore,

tanto da lui per lor bellezza amate,

che, mentre le altre ninfe addolorate

così precoce morte piangono,

egli, spargendo stanche lacrime:

"Anime - dice - il vostro santo volo

penso seguir fino a quei sacri nidi

ove senza contrasto il ben si gode;

che la vostra beltà e il mio gran pianto

otterrà che il cielo ci tramuti

voi in Gemelli ed io in Acquario.


"IN MORTE DI UNA SIGNORA CHE SI SPENSE GIOVANE IN CORDOVA" (1583)

Scosceso monte, nel cui vasto seno

dure cortecce di robuste piante

portano inciso il nome in parti tante

di chi sta alla terra dié quel ch'è terreno

[...]

Restino fra le tue piante; ricordino

l'immatura fine, e la sua memoria triste,

poi che in tronco sta, l'abbiano i tronchi.


"IN MORTE DI DONNA GUIOMAR DE SA, MOGLIE DI GIOVAN FERNàNDEZ DE ESPINOSA" (1610)

Pallida restituisce al suo elemento

il purpureo splendore di casta rosa

che in pianta, dolce un dì, benché spinosa,

gloria del sole, lusinga fu del vento.

[...]

Già in nuovi campi oggi è tra quei fiori

che un'altra e migliore Aurora accende

di cui le stelle sono caduca brina.


"A DON ANTONIO DA LAS INFANTAS PER LA MORTE DI UNA SIGNORA CON LA QUALE AVEVA CONCERTATO DI SPOSARSI IN SEGURA DELLA SERRA" (1612)

Cinta se non anche stupita la fronte

d'uno ed altro verde oscuro ramo,

agli abeti lasciando di Segura

l'urna lacrimata, con dolente voce

piange il Betis non lungi dalla fonte

in poca terra già molta bellezza

teneri raggi dentro pietra dura

d'un Sol caduto prima di spuntare.

Come triste nel porfido si mira

casta Venere piangere sua quarta Grazia

se lacrime le perle son che sparge!

Oh! Antonio, o del musico di Tracia

prudente imitator! Tua dolce lira

i privilegi rompa oggi alla morte.


"ISCRIZIONE PER IL SEPOLCRO DI DOMENICO GRECO" (1615)

[...] 

Tanta urna, inutilmente dura,

lacrime beva e quanti trasuda odori

funebre scorza d'albero sabeo.


"SUL CATAFALCO PER LE ESEQUIE DEL RE DON FILIPPO III (1621)

Questo funebre trono sì lucente

che nonostante i suoi molti splendori

fragrante lutto copre con la densa

nube d'aromi che stillò d'Oriente

[...]


"IN MORTE DI DON RODRIGO CALDERòN" (1621)

Chiude il tronco sanguinoso non l'opprime,

di quel felicemente sventurato

che dalla incostanza del suo fato

quest'ardesia appena qui redime;

comunque pietà non la sublime

urna che il castigo gli ha negato,

specchio gli erige in bronzo figurato

che invano il tempo la memoria lima.

[...]


"IN MORTE DI UNA DAMA PORTOGHESE IN SANTARéN" (1621)

[...]

e lacrimando affida il suo dolore

alle cortecce che l'ontano veste,

ai sapienti sospiri del suo flauto


"OTTAVA FUNEBRE SUL SEPOLCRO DELLA REGINA DONNA MARGHERITA" (1611)

In questa che ammirate, di pesanti pietre

opera non egizia ma fiammante guglia,

unguenti oggi privilegiano soavi

la morta umanità di Margherita;

se di quanti la pompa degli uccelli

il funebre suo legno richiama,

ve n'è che tale aroma stilla, invano

resistendo al verme i tronchi suoi.


"IN MORTE DI TRE FIGLIE DEL DUCA DI FERIA" (1615)

Tre viole del cielo,

tre di quei fiori ora caduche stelle

che la morte imperlò del suo gelo,

fragrante marmo richiuda,

se di un'alba eterna

non già cingessero la chioma.

 

"SOLITUDINE PRIMA"

 Nautica industria scoprì tale pietra,

che, come abbraccia l'edera lo scoglio,

essa il metallo fulminante abbraccia

di cui Marte si veste, e, lusinghiera,

il diamante irretisce che più brilla

nella notturna cappa della sfera,

la stella al nostro polo più vicina,

e con virtù non scarsa,

se distante l'alletta,

se innalza l'inclina,

ora alla loggia rosea dell'Aurora

bella, ora verso quella che suggella,

fredda cerulea tomba,

le ceneri del giorno.


"SOLITUDINE SECONDA" (1614)

Non aria modulata sono

ma dolenti lacrime soavi

questi miei gravi lamenti,

voci del sangue, sangue dell'anima.

Le affidi alla tua calma

o mar, chi già alla tua fortuna

le confidò più che al suo fato.

[...]

  

"LA CLESSIDRA"

Che vale, tempo tiranno,

la ristretta prigione

che di vetro ti costruimmo

per tenerti in mano

se trattenerti è vano.


JUAN DE TARSIS Y PERALTA "Silenzio, nel tuo sepolcro depongo"

Silenzio, nel tuo sepolcro depongo

roca voce, penna cieca, triste mano

al fin che il mio dolore

non canti invano

al vento dato e nell'arena scritto.

Tomba e morte d'oblio vo chiedendo,

benchè d'avvisi più che di anni bianco,

non altro che a ragion oggi m'arrendo

ed al tempo darò quanto mi tolgo.

Limiterò speranze e desideri e nell'orbe

di un chiaro disinganno

margini porrò brevi alla mia vita

alfin che non mi vincano gli agguati

di chi pretende procurar mio danno

e originò sì provvida partita.


L'Amore tragico nei personaggi di Torquato Tasso: Erminia e Clorinda

Info tratte da


Nel poema del Tasso i personaggi più riusciti sono quelli dominati non da sentimenti religiosi ma dall'amore, come Erminia o Armida. Le storie d'amore descritte dal Tasso sono tutte infelici o tragiche: così l'amore di Erminia per Tancredi è un amore non corrisposto ed infelice, quello di Tancredi per Clorinda si conclude tragicamente quando Clorinda verrà uccisa proprio da Tancredi, da colui che tanto la ama. Il poema ha quasi le stesse caratteristiche della vita del Tasso: come la sua vita fu inquieta, priva di serenità, dolorosa, così i suoi personaggi sono tormentati.  Erminia, Tancredi sono personaggi che esprimono le inquietudini, i sogni, i pensieri del Tasso. Il Tasso proietta la tristezza del suo animo anche nelle descrizioni paesistiche e ci compiace di descriverla nei suoi aspetti malinconici: il crepuscolo, la notte. In ciò il Tasso anticipa un gusto ed una sensibilità che verranno ripresi dagli scrittori del Romanticismo.


ERMINIA TRA I PASTORI

Tancredi, il valoroso guerriero cristiano, sfidato a duello dal violento Argante, ha combattuto con lui un intero giorno, e venuta la sera e posta fine alla prova, si ritira ferito nelle sue tende. Erminia, figlia del vinto re di Antiochia, che una volta è stata prigioniera di Tancredi, ed ora, liberata, sta a Gerusalemme tra gli infedeli, arde d'amore per lui, che però non corrisponde all'amore della fanciulla. Indossate le armi della guerriera Clorinda, Erminia esce dall'accampamento degli infedeli sperando di poter arrivare a quello cristiano. Ma è sorpresa da una pattuglia cristiana e inseguita. Trova rifugio presso una famiglia di pastori. Il più vecchio racconta ad Erminia di essere stato, da giovane, nella corte di Menfi, desideroso di gloria e di onori e di avere provato la vita falsa ed iniqua delle corte; è tornato alla vita pastorale, di cui tesse l'elogio. Erminia trova nelle parole del pastore un conforto per la sua sofferenza amorosa e decide di rimanere lì per un po'. Si dedica alle attività pastorali, ma il suo cuore è sempre dominato dall'amore per Tancredi. Questo è il brano più famoso della "Gerusalemme Liberata" e Goethe scrisse in un suo diario che a Venezia lo sentiva declamare dai gondolieri. Il Tasso non ha descritto soltanto la passione amorosa di Erminia, innamorata ma non corrisposta, ma ha cantato anche la dolcezza della vita pastorale (Nota di Lunaria: tema poi ripreso dalla poesia italiana settecentesca dell'Arcadia) L'uno e l'altro sentimento, l'amore non corrisposto e l'aspirazione ad una vita primitiva e libera, furono profondamente sentiti dal poeta e quindi questo brano ha un valore biografico. 

I

In tanto Erminia in fra l'ombrose piante

d'antica selva dal cavallo è scorta: (1)

né più governa il fren la man tremante, (2)

e mezza quasi par tra viva e morta.

Per tante strade si raggira e tante

il corridor ch'in sua balìa la porta,

ch'al fin da gli occhi altrui pur si dilegua:

ed è soverchio omai ch'altri la segua. (3)

   

1) è portata

2) la sua mano tremante non riesce a reggere la briglia

3) Il cavallo fa così tante strade tortuose che alla fine Erminia si sottrae agli occhi degli altri ed è inutile che cerchino di inseguirla.


II

Qual dopo lunga e faticosa caccia

tornansi mesti ed anelanti i cani,

che la fèra perduta abbian di traccia,

nascosa in selva da gli aperti piani; (4)

tal pieni d'ira e di vergogna in faccia

riedono stanchi i cavalieri cristiani

ella pur fugge, e timida e smarrita

non si volge a mirar s'anco è seguita.


4) La fiera che si è nascosta nella selva scappando dalla pianura.


III

Fuggì tutta la notte, e tutto il giorno

errò senza consiglio e senza guida,

non udendo o vedendo altro d'intorno,

che le lagrime sue, che le sue strida.

Ma ne l'ora che 'l sol dal carro adorno

scioglie i corsieri, e in grembo al mar s'annida, (5)

giunse del bel Giordano a le chiare acque,

e scese in riva al fiume, e qui si giacque.


5) Al tramonto, quando, mitologicamente parlando, il Sole stacca i cavalli dal carro col quale attraversa il cielo e si tuffa nel mare.


IV

Cibo non prende già; ché de' suoi mali

solo si pasce, e sol di pianto ha séte:

ma 'l sonno, che de' miseri mortali

è co'l suo dolce oblio posa e quiete,

sopì co' sensi i suoi dolori, e l'ali

dispiegò sovra lei placide e chete;

né però cessa Amor con varie forme

la sua pace turbar mentre ella dorme. (6)


6) Il sonno, procurando la dimenticanza (oblio) degli affanni, è riposo e quiete per i mortali. Ma non è così per Erminia turbata da Amore anche quando dorme. In queste due ultime ottave l'angoscia di Erminia trova una descrizione indimenticabile: paragonando questa fuga con quella di Angelica ci si accorge che quella è una scorribanda attraverso i boschi, variata da imprevisti incontri che diventano piacevoli sviluppi dell'azione, questa invece è dominata da un cupo dolore efficacemente reso persino dal tono dei versi.


V

Non si destò sin che garrir gli augelli

non sentì lieti e salutar gli albori, (7)

e mormorar il fiume e gli arboscelli,

e con l'onda scherzar l'aura e co i fiori.

Apre i languidi lumi, (8) e guarda quelli

alberghi solitarii de'pastori;

e parla voce udir tra l'acqua e i rami,

ch'a i sospiri ed al pianto la richiami. (9)

  

7) Le luci del giorno

8) Gli occhi 

9) Nella serenità della natura, Erminia non trova conforto, ma incitamento al suo dolore


VI

Ma son, mentr'ella piange, i suoi lamenti

rotti da un chiaro suon ch'a lei ne viene, 

che sembra, ed è, di pastorali accenti

misto e di boscareccie inculte avene. (10)

Risorge, e là s'indrizza a passi lenti,

e vede un uom canuto a l'ombre amene

tesser fiscelle (11) a la sua greggia a canto,

ed ascoltar di tre fanciulli il canto.


10) Suono di canti pastorali e di rozze (inculte) zampogne (avene)

11) Ceste di vimini 


VII

Vedendo quivi comparir repente

l'insolite arme, sbigottir costoro;

ma gli saluta Erminia, e dolcemente 

gli affida, (12) e gli occhi scopre e i bei crin d'oro:

seguite, dice, avventurosa gente (13)

al Ciel diletta, il bel vostro lavoro;

ché non portano già guerra quest'armi

a l'opre vostre, a i vostri dolci carmi.


12) Li rassicura

13) O gente fortunata e cara al cielo


VIII

Soggiunse poscia: o padre, or che d'intorno

d'alto incendio di guerra arde il paese,

come qui state in placido soggiorno

senza temer le militari offese?





APPROFONDIMENTO

Info tratte da


Il gesto di Rinaldo è quello che ha le conseguenze più gravi tra le avversità che colpiranno le armate cristiane: una legge proibisce il duello tra i crociati e condanna a morte i colpevoli. Per cui, Rinaldo deve fuggire e l'esercito dei crociati resta privo del suo paladino più valoroso.
Quando Armida lascia il campo con i dieci cavalieri, altri la seguono di nascosto: così l'esercito dei cristiani viene decimato nel numero e iniziano a serpeggiare sfiducia e paura.
Intanto, i pagani attendono rinforzi ma non danno battaglia, anche se Argante e Tancredi si battono:

Vinta de l'ira è la ragione e l'arte,
e le forze il furor ministra e cresce.
Sempre che scende il ferro, o fòra o parte
o piastra o maglia; e colpo in van non esce.
Sparsa è d'arme la terra, e l'arme sparte
di sangue, e 'l sangue co' l sudor si mesce.
Lampo nel fiammeggiar, nel romor 
tuono, fulmini nel ferir le spade sono.

Parafrasi in italiano corrente:

L'ira prevale sulla prudenza e sul rispetto
delle regole schermistiche,
e la rabbia sola dosa le forze e le accresce.
Ogni volta che la spada cala giù, fora o taglia
una piastra o una maglia (della corazza)
non c'è colpo che cada a vuoto.
Il terreno è cosparso di frammenti di armi
e le armi di sangue, e il sangue si mescola al sudore.
Le spade sembrano lampi per il loro fiammeggiare,
tuoni per il fragore che fanno, fulmini per le ferite che infliggono.

Il duello di Tancredi e Argante che viene interrotto al calare della sera, è stato seguito soprattutto da una donna, che ha assistito al combattimento dall'alto delle mura assediate: è Erminia, una giovane principessa pagana, per qualche tempo prigioniera dei cristiani, finché Tancredi le ha ridato la libertà.

Erminia si è innamorata follemente di Tancredi, così bello e gentile, che l'ha trattata come un'ospite e non come una prigioniera, e non ha mai smesso di ardere d'amore per lui.
Erminia è esperta e conosce le erbe medicinali e così quando le chiederanno di curare le ferite di Argante non si rifiuterà, ma allo stesso tempo ella ama Tancredi e il suo animo è turbato dal duello: "... fan dubbia contesa entro al suo cuore\due potenti nemici: Onore e Amore"
Erminia decide di fuggire da Gerusalemme e sottrae l'armatura di Clorinda per non essere fermata alle porte.
Le guardie la lasciano passare e appena fuori dalla città, Erminia corre al campo cristiano.
è stata preceduta dal suo paggio, che avverte Tancredi che "una donna pagana si è offerta di curarlo" e la fanciulla attende il suo ritorno con ansia:

Ma ella in tanto impaziente a cui 
troppo ogni indugio par noioso e greve 
numera fra se stessa i passi altrui,
e pensa: or giunge, or entra, or tornar deve.
E già le sembra, e se ne duol, colui
men del solito assai spedito e levi.
Spingesi al fine inanti e 'n parte ascende
onde comincia a discoprir le tende.
Era la notte e 'l suo stellato velo
chiaro spiegava e senza nube alcuna;
e già spargea rai luminosi e gelo 
di vive perle la sorgente luna.
L'innamorata donna iva co'l cielo
le sue fiamme sfogando ad una ad una;
e secretarii del suo amore antico
fea i muti campi e quel silenzio amico.
Poi, rimirando il campo, ella dicea:
o belle a gli occhi miei tende latine!
aura spira da voi che mi ricrea,
e mi conforta pur che m'avvicine:
così a mia vita combattuta e rea
qualche onesto riposo il ciel destine,
come in voi solo il cerco, e solo parmi
che trovar pace io possa in mezzo a l'armi.

Parafrasi in italiano corrente:

Ma intanto, ella, impaziente, e alla quale
ogni indugio sembra troppo esasperante e insopportabile canta mentalmente i passi del paggio, e pensa: ecco, ora arriva, ora entra, ora deve tornare.
E già le sembra, e ne è addolorata, che quello 
sia molto meno veloce del solito.
Alla fine, si spinge avanti (da sola) e sale
fino a un punto dal quale può vedere l'inizio dell'accampamento.
Era notte: ed essa spiegava
il suo velo di chiare stelle senza nessuna nube;
già la luna sorgente spandeva i suoi raggi di luce
e un freddo chiarore come di vivide perle.
La donna innamorata andava sfogando
col cielo tutte le sue ardenti passioni;
e rendeva testimoni del suo amore, 
nato da tanto tempo,
i muti campi e il silenzio confortante della natura.
Poi, guardando verso il campo, ella diceva:
o tende latine, così care ai miei occhi!
Da voi spira un'atmosfera che mi riconforta
sempre più man mano che mi avvicino:
possa il cielo dare pace
alla mia vita travagliata e sbagliata;
io la cerco soltanto in voi, e mi pare
di poterla trovare soltanto in mezzo alle armi.

L'episodio di Erminia fuggitiva è uno dei più belli di tutto il poema.
La natura malinconica del Tasso e la sua predilizione per personaggi dolci e infelici appaiono evidenti in questi versi: egli circonda la sua eroina più amata di un alone di pallida luce lunare e spiega il suo canto con una soavità e una tenerezza che saprà ritrovare soltanto in poche altre occasioni: l'attesa fremente, l'abbandono silenzioso all'incanto della notte, l'invocazione appassionata alle luci lontane dell'accampamento, dove giace gravemente ferito Tancredi: il dramma di Erminia è tutto in questi tre momenti, che il poeta evoca senza mai uscire da una misura perfetta, senza neppure sfiorare la retorica o l'artificio.
Il personaggio e la situazione stessa sono talmente aderenti all'indole più profonda del poeta che il verso esce dalla sua penna senza nessun bisogno di essere "trovato", con una sua fluida e sincera armonia.
Lasciando il suo rifugio, Erminia si è portata allo scoperto.
Sotto la luce lunare, l'armatura che indossa la fa scambiare per Clorinda da alcuni guerrieri cristiani che si precipitano verso di lei e la fanciulla, incapace di combattere, sprona il cavallo per fuggire.
Vaga a lungo nella notte fonda, alla fine si addormenta, sfinita, al risveglio si trova in una valle abitata da alcuni pastori, che l'accolgono nelle loro capanne; e per molto tempo Erminia divide con essi la loro vita semplice, ma neppure questo riesce a farle dimenticare l'uomo amato.
Quando il paggio di Erminia ha detto a Tancredi che una donna pagana veniva per curarlo, egli ha subito pensato a Clorinda, e la sua speranza diventa certezza quando gli uomini gli riferiscono di aver visto la guerriera... in realtà, era Erminia travestita con l'armatura di Clorinda!
Tancredi, allora, va alla ricerca di Clorinda, ma si perde in una fitta selva, in un luogo sconosciuto. 
Improvvisamente gli appare un uomo a cavallo: gli chiede di aiutarlo a ritrovare la strada per il campo, ma l'uomo è un demonio in forma umana e lo conduce a un castello dove gli viene teso un agguato: Tancredi viene rinchiuso in una profonda segreta.
Il castello è quello di Armida la maga, e lei ha condotto lì anche gli altri cavalieri; anche il principe normanno è alla sua mercé e la sua cattura segna l'inizio di diverse sciagure per i crociati: le potenze infernali scatenano una tempesta che sconvolge il campo; a seminare il terrore giunge la notizia che è stato trovato, senza testa e senza mani, il cadavere di Rinaldo e l'esercito pagano, guidato da Argante e da Clorinda, attacca i crociati con una violenza spaventosa; con loro combatte anche Solimano, il re dei Turchi: spodestato dai cristiani, egli ha fatto della lotta contro di loro la sua ragione di vita.
Quando la battaglia, con l'aiuto delle potenze celesti, volge al termine, i pagani sono risospinti verso le mura ma Solimano non cessa di riaffermare la sua volontà di battersi fino alla fine.

Nota di Lunaria: riporto il Canto VII dove Erminia, fuggendo, arriva da alcuni pastori, presso i quali dimora.

Intanto Erminia infra l'ombrose piante
d'antica selva dal cavallo è scorta; (1)
Né più governa il fren la man tremante,
e mezza quasi par tra viva e morta.
Per tante strade si raggira e tante
il corridor che in sua balìa la porta,
ch'alfin da gli occhi altrui pur si dilegua; (2)
ed è soverchio omai ch'altri la segua.

1) è condotta.
2) Il soggetto è Erminia.

Erminia fu citata anche dal poeta secentesco Gabriello Chiambrera nel suo poemetto "L'Erminia" (basato sui personaggi del Torquato Tasso)

"Ed ecco Erminia, che in negletti veli, sangue real, quasi lugubre ancella, li move incontra, e colle ciglia oscure di lagrimosa nube, a lui s'inchina [a Tancredi] e dolente il saluta...

Qui è descritto il suicidio di Erminia:

"Va per aspre pendici e va per monti, nociv'erbe cogliendo, ond'ella preme licor temuto di mortal veleno (1)
... e le purpuree labbra del tosco asperse (2) e quell'orrido succo mandò nel petto a saziarne il core."

(1) raccoglie erbe velenose e le spreme per ricavarne un veleno
(2) e beve il veleno











Ariosto: "Miser, fuor d'ogni ben "


Come tutti i sonetti dell'Ariosto, anche questo ha una struttura petrarchesca; l'orrido paesaggio alpestre cui fa riscontro l'animo del poeta tormentato dalla solitudine e dal pensiero della donna lontana, è reso con insolito vigore e con un'immediatezza sincera. 

Anche la stessa terzina finale, nonostante l'iperbole, rende con efficacia l'affanno del poeta.


Miser, fuor d'ogni ben, carco di doglia (1),

per questi aspri, selvaggi, orridi sassi (2), 

or con sicuri, or con dubbiosi passi,

mi vo struggendo d'empia, ardente voglia; (3)


ch'altro cielo, altre mura ed altra soglia

chiude 'l mio cor (4), e la mia Donna stassi lontan, 

forse con gli occhi umidi e bassi,

e a me di rivederla Amore invoglia.


Onde meco vaneggio e, pien di fele,

di gelosia, di noia e di martiri,

empio l'aria di duol la notte e 'l giorno;


tal che l'accese, amare mie querele

e le nebbie atre e folte dei sospiri

escon dei scogli e de le pietre intorno.



Note:

1) Carico di dolore.

2) Monti

3) Dallo sfrenato e ardente desiderio di rivedervi

4) Perché il mio cuore è chiuso sotto un cielo diverso, in una città (mura) ed in casa (soglia) diverse.