Katherine Mansfield



"La Solitudine"

Viene ora la Solitudine, la notte,

A sedere sul letto in luogo del Sonno.

Bimba affaticata, in attesa del suo passo giaccio

In ascolto e del soffio che il lume estingue.

E siede immobile, né si volge l'inerte,

ma il greve capo scrolla gravemente.

Troppo è invecchiata, e tanto combatté

che il lauro la cinse alla tempia.


Sull'arso lido rompe insaziata la marea,

nel buio mesto gonfia le sue acque.

Nasce straniero un vento: poi è il silenzio.

Per volgermi alla Solitudine mi sono sfinita,

per prenderle la mano e afferrarmi in lei, fin che la terra

alla pioggia s'imbeva della paurosa monotonia.


"Il golfo"

Un golfo di silenzio ormai ci separa:

io su una sponda e tu all'opposto vivi,

non ti vedo né ti odo, a stento so che ci sei.

Col tuo nome antico ti chiamo ognora

e l'eco di me pretendo sia la tua voce.

A varcarlo forse c'è modo? Ma con la parola

o il senso. Così di pianto lo potremmo colmare.

Ma ora voglio frantumarlo con un'alta risata.


"Nel cielo rosso"

Nel cielo rosso due uccelli volano

con affrante ali: muto e solitario

il loro cammino sinistro non cede.

Con i suoi gialli emblemi il trionfante sole

ha lottato contro la terra il giorno intero: arresa

ha pugnalato il suo cuore e raccolto il sangue

in un calice per spanderlo nel cielo della sera.

Nell'ombra lugubre - volano gli infaticabili

dalle piume di morte - s'avvolge allora la terra

che brama senza pupille il cielo purpureo

e gli uccelli dalla ricerca inesausta.


"Solenne un vento eguaglia il canto"

Solenne un vento eguaglia il canto

della pioggia solenne, stanotte.

Gli alberi da lungo tempo quieti

sono scattati unanimi all'agitazione.


Gli alberi teneri, gli alberi grevi,

le piante in frutto stanche e valorose

abbandonano le fronde al vento

che rissa ad alta voce.


I bassi arbusti e i tronchi

curvano sotto lo strepito maestoso,

come il più sottile filo d'erba

scrolla sul suolo indifferente.


"La tempesta"

Corsi la foresta a cercare ansante

un riparo, il singhiozzo a stento trattenuto;

a un albero mi strinsi e sull'aspra scorza

tentai un guanciale per la mia paura.

"Proteggimi", invocai, "sono una bambina smarrita"

Sul viso l'albero mi spioveva gocce d'argento.

Dai confini del mondo un vento sprigionato

mulinava il tardo bosco, e smisurata

ardeva sul mio capo un'onda verde.

Imploravo: "tieni su di me la tua mano"

Col mantello teso nel vento la pioggia mi percoteva,

agili torrenti impaludavano i cespugli,

sentivo che annegando la terra andava alla caverna

dello spazio, nel suo bollore primigenio: più piccola

di una falena, sola reggevo il mio terrore.

Per un arcano impulso, in trionfo allora

"uccidimi dunque!" gridai, buttandomi all'aperto.

Il temporale cessò: mosse le sue ali il sole

remigando nello stagno diafano del cielo.

Il volto nascosi nelle mani, perché arrossivo.

Fluttuavano gli alberi e ridevano un murmure loro.


"Sanary"

Dalla sua calda stanza dominava la baia

attraverso i fusti delle palme lucenti,

là nell'ardore del sole desiderava giacere,

la bruna testa sul guanciale delle braccia,

tenue e immobile da non pensare

sentire e nemmeno sognare.


Il barbaglio del mare scolava sbandato

sotto il cielo, e il ragno del sole,

spinto da una stizzita fame,

risaliva la cupola a filare e filare.

Anche ad occhi chiusi ella lo scorgeva

e come mosche prigioniere i fragili natanti.


All'ora morta nessuno passa

laggiù nella grande polverosa,

un profumo stremato di mimosa

langue nell'aria, ma dolce - così dolce.


"Un tramonto"

Rompe dalle nubi un raggio

sulla traboccante marea, e là sopra,

nel fioco sussulto di creatura condannata

dall'amore per il lume del giorno, sfinito giace.


Questi che volano nel fantasma dell'aria, chi sono?

Ella piange in agonia - Vengono essi per me?

Zitta! Laggiù ora! - latrano le onde.

Ma non c'è nulla da vedere.


Le nivee braccia sorgono a coprirle il capo,

e dell'onde si prostra alle mille ginocchia

indifferenti che reggono, con il raggio morto,

gli uccelli abbattuti dal loro enigma.


"Canzone della vedova alla moda antica"

Un mazzo giocando ella mi porse

di rose sotto la pioggia recise,

delicate bellezze fragili e gelide.

Potevano le rose sanar la mia pena?

(...)

Su questo morirono le rose.

Languirono i petali e caddero,

pendeva corrugato il verde delle foglie,

immobile, entro un defunto universo,

reggevo un mazzo funerario.


Vedi anche: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/06/le-poesie-piu-belle-delle-sorelle_8.html  https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/06/le-poesie-piu-belle-delle-sorelle.html https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/05/le-poesie-piu-belle-delle-sorelle.html https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/06/le-poesie-di-vittoria-aganoor-pompilij.html