Arrigo Boito: "Nerone"



PRIMA PARTE

Schiettamente romantico, fu Arrigo Boito, che appartenne agli Scapigliati. Creò e musicò un'opera teatrale divenuta celebre: il Mefistofele; compose per Verdi i libretti dell'Otello, del Falstaff, e per Ponchielli la Gioconda.

Ottenuto il trionfo del "Mefistofele", si diede a scrivere una tragedia: il "Nerone", pubblicandolo nel 1901.

Boito ritrasse la vita come spettacolo tragico in cui il delitto, il peccato, il capriccio e il pervertimento contrastano con la bontà, con l'amore e la dolcezza.

Il Male vince ma il poeta osserva il dramma con ironia sottile che lo salva dalla disperazione.

Un che di buffo, di stravagante e anormale si delinea nella tragedia.

Il Nerone: la tragedia ha 5 anni. Si apre sulla via Appia in una notte nuvolosa, rischiarata appena da fugaci raggi lunari e da un lume cinereo che non proietta ombre. A destra e a sinistra della via, tumuli, tombe, una lampada funeraria che sta per estinguersi, la vestigia di un'ara e molti rottami di monumenti.

Un uomo, fra i ruderi, scava una fossa, ed è Simon Mago, un ebreo.

Un altro uomo incappucciato fa la guardia: è Tigellino d'Agrigento, un astuto che conosce la debolezza di Nerone e muoverà fra poco tutta la scena per trasformare la paura dell'Imperatore in gioia tumultuosa di trionfo.

Nerone ha ucciso Agrippina. Voci ora vaghe, ora minacciose, errano per campi e su di esse domina il grido ferale: "Nerone-Oreste! Il Matricida"

Nerone spunta ravvolto in una toga funebre e porta un'urna fra le braccia.

Corre o fugge, ed ansa di terrore, che ovunque gli pare che lo inseguano le Erinni.

Ha lasciato il Boville il corteo degli uomini armati; è venuto solo, perché le ceneri di Agrippina devono essere sepolte in segreto né ha da vedersi traccia dello scavo nel quale Simon Mago le farà sparire. Il rito funebre si compie. Nerone pronuncia parole che coprono con la loro falsità il suo rimorso e mettono in evidenza il suo carattere istrionico:


Miseranda! Io stesso

colgo la cieca notte e mi nascondo

per darti preci e ignota sepoltura.

[s'inginocchia]

Ecco, mi prostro, m'atterro, m'accuso.

Se degli istinti lo sguardo penetri

nell'alme nostre, il mio contempla, madre,

interno orror.


Questo è l'ultimo vivo

di tua tragica stirpe, in me il Destino 

tutte addensa sue forze e le consuma.

M'invade il Nume antico! è l'opra mia

l'opra del Fato!

[ergendosi fieramente]

Ah! ben dicea quel grido:

Io sono Oreste!


Alle voci paurose e infernali si uniscono i canti dei viatori che muovono verso Roma ripetendo i motivi di Saffo. Passano famiglie di gladiatori e schiavi, e le loro nenie, che sanno d'Oriente, sono interrotte da gridi di minaccia contro l'Urbe e contro il matricida.

La lotta tra il male che domina, e il bene che ormai gioisce del Vangelo, si svolge occulta in quest'atmosfera musicale che ne diffonde e talora ne illumina il senso.

Ma la scena è sempre da streghe: è quella tenebrosa immaginata dai romantici.

"Quest'è l'era che scendono i demoni - dalla regione lunare..."

Le Erinni che Nerone ha viste, le Erinni che lo inseguono non sono create dal terrore: vivono realmente.

Eccole, il matricida fugge con Tigellino; ma Simon Mago le affronta.

Chi è dunque quella donna audace e astratta, che porta al collo delle idre assonnate e che, se la luna la ferisce, somiglia alla Sfinge, a Medusa, a un'Euménide o a un demonio? Chi è? è Asteria.

Non è un mostro, ma un'ardita donna d'Africa, una fanciulla.

Insegue Nerone, perché egli è il suo nume: è un angelo crudele che popola di spettri le tenebre e scuote sulle plebi il flagello sublime della tirannia e dell'orrore.


Dalla gran Sirte, dove il flutto latra

contro l'avel, di mia stirpe Cirena,

venni alla fiamma, povera falena,

dalla sua gloria sfolgorante ed atra.

è il mio nume! il suo volto è un astro d'ira!


Ma Asteria lo ama da quando, sei notti prima, lo ha scoperto sulla duna d'Anxur:


Oh! come mi guardava fiso!

ma il suo corsier impaurito il trasse

lontan, fuggendo, al lume della luna.


Simon Mago dichiara che può rialzare il volo affranto del sogno di Asteria, purché ella traccia e nessuno la conosca.

Asteria promette.

Ora passano a stuolo, nelle tenebre, i sacerdoti di Cibele, agitando rami di pino e flagelli, come demoni invasati.

Simon Mago cerca un rifugio: Asteria gli indica quello di cui lei è comparsa, e che è sotterra, lì vicino, in un antro oscuro, ove si trovano delle tombe cristiane.

Vi si può scendere da una buca aperta dietro un'ara. Simone sparisce: Asteria si abbandona come morta su di un sepolcro che le sta accanto.

Allontanatasi la schiera dei sacerdoti urlanti, mentre si diffonde l'alba e i monti si scoprono, ecco una donna in bianca stola che vien da Roma: si ferma, accende la lampada funeraria sopra un sepolcro eretto da poco, s'inginocchia, congiunge le mani e prega.

Dalle sue labbra escono le soavi parole del Pater noster.

E Asteria che le ode, si alza e va accanto alla mite donna.

Costei è Rubria, che circonda il suo esser di mistero.

è sulle orme di Cristo, ma che cosa fa a Roma? Fanuèl, il marinaio d'Oriente, venuto, come San Pietro, a ripetere la parola di Gesù fra le turbe laziali, Fanuèl, il dolce apostolo, che passa anche lui in quest'attimo sulla via Appia, conosce di Rubia solo il nome e la persona.

Ama la sua dolcezza e la sua esistenza, però nulla riesce a saper di lei che vive nella città dei Cesari e forse appartiene al patriziato.

Non s'aspettava di rivederla, proprio a quell'ora e in quel luogo; e corre a darle l'addio. Egli va ad Ostia, deciso ad imbarcarsi. Vuole riprendersi il mare.


Non t'alzar. Il nostro addio

sia questa prece che sale al Signore

fra i bagliori dell'alba.


Il colloquio è interrotto da Simon Mago, che spunta dall'antro degli avelli con una torcia in mano.

Simon Mago, Simon di Sebàste, è noto a Fanuèl, perché è gran nemico dei cristiani. Vorrebbe adesso venire a patti, e con fare mefistofelico invita l'apostolo a cedergli della sua magia.

S'alzerà sui sette colli un tempio che soggiogherà l'Orbe e in questo tempio Fanuèl, profeta Re, avrà un altare!


Guarda laggiù: pel sangue che l'inonda

l'arca d'oro di Cesare sprofonda,

furibonda ruìna a precipizio;

plebi nefande confuse nel vizio

plaudono a Roma che canta e che crolla.

Tremano tutti: Cesare, la folla,

le coorti [...] con me su quei captivi

del fango e della porpora distendi

le tue mani, la tua Magia mi vendi,

due sovrumani vedrà il mondo allor!


Fanuèl lancia contro di lui un forte anatema e Simone fugge gridando che gli procurerà rovina. Nerone sempre atterrito torna al sepolcro della madre.

Tigellino vuol calmarlo e gli suggerisce di avvertire il senato che Agrippina ordiva la morte del figlio e, scoperta, s'è uccisa - fingeranno di prestar fede - grida Nerone - faran vedere che credono - aggiunge Tigellino - tu giòvati della loro viltà - si sentono cortei di militi in marcia. Vengono forse ad assaltare e a punire il matricida?

S'odono squilli: ecco i Mauritani, i Germani, i Pretoriani; ecco un'immensa folla che cerca l'imperatore. Nerone si fa piccolo, desidererebbe sparire.

Animo!, gli sussurra Tigellino, vengono a riprendere te che sei grande, te che sei Cesare e cantano gli inni tuoi - le tenebre si squarciano: la notte dell'orrore diviene la notte dell'esaltazione. 

Il matricida ha vinto e con lui vince anche Tigellino, che, per aver preparato con arte simile trionfo, vien nominato capo dei Pretoriani.

Il secondo atto ha come scena il tempio di Simon Mago. Il fasto orientale, la magia e la malafede vi hanno splendido rifugio e, con il mefistofelico Simone, qui si scorge l'augure che ride dietro l'altare, il satanico Gobrias, il quale invoca Zoè, Nous, Ecclesia, Logos, adora l'Abisso Profondo, origine inperscrutata degli Enti primi, le Sigizie, il Paraklito, e, quando ha il nappo in mano per le libagioni, lo tracanna d'un fiato. Ridere e bere: ecco gli atti con cui esprime il suo credo. Ogni alba inauguri un Nume in Roma e a lui "pazzo cervel, pronto a celiar" sia possibile averne guadagno.

La nuova Dea sarà Asteria che dovrà rifulgere, misteriosa e ammaliante, per render Nerone docile ai voleri dell'ingordo Mago.


Asteria: Oh! sogno mio! Ma sull'altar perché

tu aderger vuoi queste membra mortali

Simon Mago: Egli la dea ti crede

che sulla notte e sui terrori ha regno.

Bada a te!