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Di Milton, William Blake pensava che si fosse inceppato a parlare di angeli e Dio e che avesse piena libertà quando scriveva di diavoli e inferno, e che proprio per questo era un vero poeta, e apparteneva al partito del Diavolo senza saperlo.
La coscienza di appartenere al "partito del Diavolo" è un tratto distintivo di molti letterati romantici, non solo inglesi, dei primi decenni dell'Ottocento.
Il "Satanismo" di molti Romantici consisteva in uno spirito di contraddizione, nella forza di un'istintiva libertà naturale che perennemente cerca di opporsi all'ordine delle cose.
(soprattutto se con "ordine delle cose" si intendono roba come il sessismo e la misoginia cristiana "ordinati da san paolo su ispirazione dello Spirito Santo". Nota di Lunaria)
E ovviamente, se oggi Milton fosse vivo, sarebbe in prima fila ai concerti dei Cradle of Filth, anzi, avrebbe persino composto i testi
Nell'esaltazione romantica questa forza finiva col diventare come l'incarnazione della libertà, dell'autonomia individuale che - pur sempre soggiogata e disperata - cerca di scardinare l'assetto tradizionale, l'ordine precostituito del mondo, ogni cosa che allora pareva di impaccio al pieno dispiegarsi dell'iniziativa personale dell'uomo.
Una ricerca violenta di libertà di espressione, sia nell'arte sia nella vita: questa interpretazione può bastare per comprendere un primo aspetto della poesia romantica inglese.
L'accesa e tormentata fantasia lirica e figurativa di Blake, oppure anche l'invocazione gridata da Percy Bysshe Shelley al "Selvaggio Vento dell'Ovest":
Tu il mio spirito sii, spirito fiero!
Sii tu me stesso, o spirito ribelle!
I miei morti pensieri, vizze foglie,
caccia per l'universo, a porre il seme
d'una nascita nuova.
e le biografie inquiete, polemiche e tragiche di George Byron e John Keats, "quasi innamorato dalla placida Morte", che morì giovanissimo, come Shelley, che annegò durante un naufragio, nel mare italiano.
Due anime romantiche, disperatamente innamorate della Bellezza e dell'Arte... con Keats la lirica romantica inglese ha raggiunto la sua espressione più alta.
Questo grande poeta inglese è sepolto a Roma, nel cimitero protestante.
I poeti romantici rifiutavano l'arida ragionevolezza dell'Illuminismo, e guardando l'armonia del cosmo, cominciava a scoprire dentro e fuori di sé un mistero, un'incomprensibilità maestosa e suggestiva delle cose, un turbine di sentimenti e richiami che si fondevano in un'unica voce, un'unica esigenza di fondo: la nascita nuova implorata da Shelley al Vento dell'Ovest, una nuova verginità spirituale, un occhio incontaminato per vedere le cose del mondo e uno spirito tanto libero e puro da essere capace di riconoscersi dipendente dal grande mistero dell'essere, capace di raggiungere, mediante l'arte, una fusione con esso.
Specialmente nei poeti romantici inglesi questo ideale di vita e di poesia prende corpo: è nella loro "riflessività", a volte così dolente e disperata, che noi possiamo scoprire questa grande sensibilità.
Due grandi poeti, diversi per temperamento, aprono il periodo della lirica romantica inglese: William Wordsworth e Samuel Taylor Coleridge, che diedero vita alla scuola del "Laghisti", dal distretto dei Laghi in cui entrambi si erano rifugiati e che ritrassero nelle loro opere.
La grandezza, la poesia della natura, il mistero che in essa è nascosto, fornirono l'ispirazione a questi due poeti.
Wordsworth cercò di esprimere il sentimento possente che può ispirare la contemplazione delle cose, quando siano viste con occhi ingenui, come di fanciullo.
Lo notiamo nella sua breve lirica intitolata "L'arcobaleno":
Il cuore mi sussulta quando vedo
l'arcobaleno in cielo:
così era all'inizio della vita;
così è ora che sono fatto uomo;
così pur sia quand'io divenga vecchio,
o lasciate ch'io muoia!
Padre dell'Uomo è il Bimbo; e l'uno dall'altro
i miei giorni desidero legati
da naturale reverenza e amore.
L'ottimismo del "Secolo dei Lumi", il Settecento, svanì presto: la situazione politico-sociale dimostrava quanto fosse fragile quella illimitata fiducia nella Dea Ragione che avrebbe dovuto essere il rimedio di tutte le ingiustizie e il male del mondo.
La Rivoluzione Francese con i suoi orrori, l'avventura napoleonica, le guerre, le economie nazionali dissanguate: tutto ciò fece aprire gli occhi alle persone. Fu questo brusco risveglio che impresse una svolta in letteratura: iniziò una "fuga dal presente", i letterati e i poeti presero a cercare nella fantasia quei sentimenti che venivano costantemente smentiti nella realtà.
Thomas Gray (1716-1771) e William Cowper (1731-1800) uniscono nuovi stati d'animo a un gusto ancora settecentesco.
James MacPherson (1736-1796), Thomas Percy (1729-1811) e Thomas Chatterton (1752-1770) creano un nuovo genere di poesia, virata su toni tenebrosi, malinconici, del sogno. I loro argomenti, tratti dalla storia del Medioevo, sono le antiche leggende piene di commozioni liriche e di eroismo, che "abusano" di tinte forti (cimiteri, streghe, fantasmi) facendo credere che le loro opere fossero "traduzioni di antichi manoscritti medievali", composti da bardi, i cantori vaganti dei secoli passati. Leggiamo una parte dell"Invocazione alla Luna" che apre un canto ossianico di MacPherson:
Figlia del ciel, sei bella; è di tua faccia
dolce il silenzio; amabile ti mostri
e in oriente i tuoi cerulei passi
seguon le stelle; al tuo cospetto, o Luna,
si rallegran le nubi, e 'l seno oscuro
riveston liete di leggiadra luce...
Ma verrà notte ancor, che tu, tu stessa
cadrai per sempre, e lascerai nel cielo
il tuo azzurro sentier; superbi allora
sorgeran gli astri e in rimirarti avranno
gioia così, come'avean pria vergogna...
E inizia da qui il tratto più caratteristico del Romanticismo: la fusione della poesia con la vita del poeta. Il poeta è sempre tale, la sua vita è tutta tesa al "Bello Ideale".
E ciò si nota in quella scuola poetica detta "dei Laghisti", come William Wordsworth (1770-1850) e Samuel Taylor Coleridge (1772-1834) che si ritirarono a vivere nel Cumberland, la regione dei laghi, donde il nome "Laghisti" per essere a più immediato contatto con le fonti della loro ispirazione: la Natura, la trasfigurazione sognante e fantastica del paesaggio, delle montagne, dei piccoli fatti quotidiani della vita.
Come scrisse Wordsworth, essi si proponevano "di dare il fascino della novità alle cose di ogni giorno... con lo svegliare l'attenzione della mente dal letargo dell'abitudine e indirizzarla alla bellezza e alle meraviglie del mondo intorno a noi."
E scrissero liriche come questa:
Oh, quando stavo sospeso sopra il nido del corvo
a stento aggrappato ai ciuffi d'erba e alle minuscole fenditure,
nella sdruccevole roccia,
e quasi sollevato (così sembrava) dal vento che soffiava con forza
addossandomi alla nuda parete rocciosa,
oh in quel momento mentre, solo, ero sospeso sulla cresta pericolosa, con quale strano suono fischiava al mio orecchio
il vento arido e forte! Il cielo non sembrava un cielo della terra
e con quale velocità correvano le nubi!
LA POESIA ROMANTICA
Alla base della migliore poesia romantica sta un'esigenza morale.
Tale esigenza si legge benissimo anche nelle composizioni di quello che il nostro Carducci definì "Spirito di Titano entro Virginee Forme", "Poeta del Liberato Mondo", "Cuor de' cuori", Cor cordium: sono le parole incise sulla pietra sepolcrale di Percy Bysshe Shelley.
Come Byron e Keats anche Shelley amò soggiornare in Italia.
La stessa ansia che aveva spinto Wordsworth a divinizzare la Natura come "un Dio panteisticamente inteso" (1) è presente anche in Shelley: una delle sue celebri Odi è dedicata al Vento dell'Ovest. (2)
(1) Come si evince da questi versi: "è una limpida sera calma e chiara\l'ora divina è intenta come suora\in sua muta preghiera\l'ampio sole volge al tramonto con serenità\La mitezza del cielo è sopra il mare. Odi! L'Essere immenso è desto e vivo\ed il suo moto senza fine rende fragore qual di tuono, eternalmente."
(2) Selvaggio vento dell'ovest, tu soffio\dell'essenza d'autunno\o tu non vista presenza\che trascini morte foglie\(spettri fuggenti un mago incantatore) […] Spirito selvaggio, che in ogni luogo t'agiti e distruggi [...]
Anche in John Keats (1795-1821) la direzione della fuga dal presente si volge verso l'intimo dell'animo, al fondo del quale trova una perfetta armonia di bellezze classiche e una malinconia senza fine. Leggiamo "A un Usignolo":
Dileguarmi lontano, dissolvermi, tutto dimenticare
ciò che tu tra le foglie non conoscesti mai;
la stanchezza, la febbre, il cruccio
qui, dove stanno gli uomini e s'odono gemere l'un l'altro;
dove la paralisi scrolla gli ultimi pochi capelli tristi e grigi
dove la gioventù si fa pallida, magra, spettrale e muore
dove il solo pensare è esser pieni d'affanno
di disperazione dalle ciglia di piombo
dove Bellezza non può serbare i suoi occhi lucenti
e Amor novello struggersi per lei oltre il domani...
è un canto romantico puro: le parole di un poeta condannato dalla tisi a una morte precoce che si congederà dalla vita dettando la sua epigrafe: "Qui giace uno il cui nome fu scritto sull'acqua"