Renée Vivien

Su segnalazione di Andrea, che l'ha trascritta (come ha fatto anche per "Zofloya" https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/10/zofloya-di-charlotte-dacre.html), riporto uno stralcio di Renée Vivien; fu una poetessa francese vissuta nei primi anni del Novecento, amica di Colette. Il suo unico romanzo, "Donna m'apparve", che descrive la sua relazione con l'aristocratica Natalie Clifford Barney, è stato pubblicato in Italia solo nel 1988.

Qui trovate un suo racconto, tradotto da Andrea: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2021/01/il-velo-di-vasthi-di-rvivien-in.html

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“Vieni stasera...Sono avida di stelle”, vergai in fretta. Già vedevo gli occhi ironici di Vally attraverso i grappoli di orchidee azzurre che le ricadevano sulla fronte. Al breve scritto accompagnai un bouquet di fiori invernali che lei ama tanto, i fiori dell'arte, ignari delle libere esplosioni nell'aria assolata.

Uscii nella pioggia del crepuscolo, inebriandomi dell'alitare della meravigliosa tristezza di quell'acquerugiola serale. In cuore avevo una malinconia febbrile.

“Vally”, mormorai nella nebbia, “Vally”... Il suo nome si rompeva sulle mie labbra come un singhiozzo.

Ricordavo quel tempo già lontano quando la incontrai per la prima volta e il brivido che mi pervase quando i miei occhi incontrarono i suoi di acciaio mortale, i suoi occhi blu e acuminati come una lama. Mi prese allora l'oscuro presentimento che quella donna mi stesse intimando l'ordine del destino e che il suo aspetto fosse quello inevitabile del mio futuro. Vicino a lei provavo vertigini di luce e il richiamo di acque abissali. Il fascino del pericolo era in lei e lei m'attirava inesorabilmente.

Neanche tentai di sfuggirle, sarebbe stato più facile sfuggire alla morte stessa.



Capitolo IX. 

“La incoerenza delle ore che seguirono mi stupì e mi spaventò. Camminai a lungo nella notte, a tentoni, come chi viene colpito all'improvviso dall'amaurosi.
Mi ricordo che, nella mia camera, i profumi, dolci come veleni, mi bruciavano le narici e la gola...Non vedevo altro che la smisurata fronte di Ione...Il battito delle mie palpebre irritava i miei occhi malati...Mi assopii in un torpore pesante, ottuso, come quello di un ubriaco buttato sul selciato.
...Mi svegliai...La camera era blu di tenebre. Uno stupore rigido immobilizzava i miei pensieri smarriti.
...Ione leggeva ai piedi del mio letto, contemplava le sue mani, in quel modo strano che le era familiare. Senza rivolgermi lo sguardo, indietreggiò e nell'angolo si perse in un chiarore di nebbia e di sogno.
Con uno sforzo penoso, tentai di alzarmi per andarle incontro...Ma scivolai, cadendo in un flusso di lava ardente che ribolliva ai piedi del mio letto. Avrei voluto gridare aiuto ma il fiume fumante mi trascinava come un fuscello di paglia perso in quelle onde di fuoco. Su ognuna delle rive del torrente, delle anziane donne facevano cuocere delle uova e del riso sulla fiamma liquida. La luna era di rame, come un sole invernale. La cenere cadeva dall'alto come fitta grandine.
Avevo il palato e la gola arsi da una sete abominevole.
...I miei occhi si aprirono su di un tempio da cui fuoriusciva un alito infuocato come quello di una fornace...Un trono di rubini imporporava l'ombra come un astro cadente. E, dall'alto di quel trono, la dea Kalì mi osservava con una ferocia religiosa. Lasciò cedere un teschio che stava stritolando come una cagna affamata, e mi sorrise con i suoi denti rossi...
Lo scirocco mi avvolgeva, in un turbine di sabbia bruciata e di polvere gialla. La sabbia e la polvere riempivano atrocemente i mei polmoni feriti. Spalancai la bocca, e un rantolo soffocato mi squarciò il petto...sabbia e polvere mi soffocavano, mi accecavano, mi seppellivano.
Gridai, ad una notte senza stelle.
Alcune sacerdotesse con le dita impregnate di nardo ritmavano mistiche danze. Erano per metà velate da un tessuto color blu notte. L'ombelico era impreziosito da un grosso smeraldo, e il loro sesso scoperto bruciava di oro e di rame...Ed io ero una piuma di pavone che una di loro agitava in una danza lasciva. Questo movimento rituale mi scuoteva senza pietà...
Dalla finestra aperta della casupola si sentivano le voci delle passanti e con queste voci, da quella finestra aperta entrava l'infinito dell'ignoto. Ma io non le ascoltavo. Fissavo una rosa bianca che ondeggiava in alto, sulla volta.
E poi un paesaggio puerilmente artificioso come quelle illustrazioni inglesi nei racconti di fate norvegesi o tedeschi. Alberi dalle foglie dipinte si susseguivano lungo un viale più liscio della chioma di una bimbetta.
Uno scroscio di cascate...Il sibilo di serpenti perso nel mormorio del fogliame...
E mi ritrovai davanti al cadavere di Vally...Vally che galleggiava su di una palude stagnante. I due seni smorti parevano due ninfee azzurre. I suoi occhi rovesciati GUARDAVANO ME...Capì che ero stata io ad annegarla, nella palude stagnante. Galleggiava con i capelli intrecciati da alghe ed iris, come una Ofelia perversa. L'avevo uccisa per un motivo senza senso. Ora i suoi occhi senza sguardo mi avrebbero contemplato in eterno...
Percepii sul mio viso l'alito freddo di un sepolcro. Mi trovavo in piedi in mezzo a quattro bare. La più grande era quella di un uomo. Aveva qualcosa di massiccio e di imponente. Capii allora che doveva essere la bara di un uomo di prestigio, - forse un politico o un diplomatico...Fiori senza poesia erano sparsi in ampie macchie d'ombre: le immortali, pesanti viole del pensiero, petali di velluto cremisi.
Vicino a questa massa, tenue ed esile c'era una bara embrionale, una bara da larva, bagnata dal crepuscolo del limbo...Delle corone incolore, dal profumo molto sottile, appassivano in semplicità. Questa bara per bambini era tragica e insipida, come quella di qualsiasi altra cosa.
Un'altra bara striminzita era ricoperta da orribili vetri funebri, con il legno solcato di rughe simili a tele di ragno. Quelle detestabili corone di perle nere e gialle stavano senz'altro a perpetuare la memoria di una vecchia borghese dalla voce tetra.
E là, nella parte più in ombra, circondata dalla fervida e perpetua adorazione dei ceri, una bara virginale profumata di violette bianche...Capii che quella era la bara di Ione....
In quel silenzio tanto misterioso persino i battiti del mio cuore avevano taciuto...
Ma, più spaventoso delle trombe del giudizio, si udì la crepa del legno della grande bara. Era il fermentare della putrefazione...
Un rantolo, un rantolo, un ultimo rantolo...Avevo cessato di esistere. Ero un'anima privata del corpo, una massa informe indistinta, senza contorno, senza consistenza, che ondeggiava, con l'unica sensazione di freddo e di nudità.
Una preghiera ondeggiava su quel vuoto cosciente di sé: “Una personalità! Un corpo! Un nome! O! Ridiventare qualcuno! Essere quello che fui, sebbene io lo abbia dimenticato!”
L'ombra...il nulla...






Poesie, tratte da: “Èvocations” (1903)

ALLA STREGA


Il risveglio sta per turbare la pace delle tue palpebre.

La lucciola in lontananza ha guarnito di luci

I prati, e l'asfodelo ha aliti d'amore.

Viene la notte: affrettati, mia strana compagna,

Poiché la luna ha rinverdito l'azzurro della montagna,

Poiché la notte è per noi quel che per altri è il giorno.


Non odo, in mezzo alle foreste taciturne,

Che il fruscio della tua veste e delle ali notturne.

E il fiore d'aconito dischiuso sotto i tuoi passi,

Esala i suoi profumi di veleno e d'ebbrezza.

I tuoi capelli sciolti ti fanno, o mia Amante!

Una porpora di sangue che le regine non hanno.


E poiché il mio Desiderio ti incalza e vuole la sua preda,

Che il tuo singulto risponda alle mie lacrime di gioia!

Gli occhi d'oro dei gufi sono simili ai tuoi occhi

Che sondano gli spiriti, che scrutano le tenebre,

Che vedono nell'avvenire le funebri aurore,

E l'ombra della morte sul letto degli Dei.


Da: ”Cendres et poussières” (1902)

SOMIGLIANZA INQUIETANTE


Ho visto sulla tua bassa fronte l'incanto del serpente,

Le tue labbra hanno sorbito il sangue di una ferita.

E qualcosa in me si nausea e si pente,

Quando il tuo freddo bacio mi dardeggia il suo morso.


Uno sguardo di vipera è nei tuoi occhi socchiusi,

E la tua testa furtiva e piatta si raddrizza

Più minacciosa dopo il languore del riposo.

Ho sentito il veleno in fondo alla tua carezza.


Durante i giorni d'inverno fiacchi e freddolosi,

Tu sogni ai tepori delle profonde vallate,

E si pensa, vedendo il tuo lungo corpo sinuoso,

A scaglie d'oro lentamente dispiegate.

Ti odio, ma la tua morbida e splendida bellezza

Mi prende, mi affascina e mi attira senza posa,

E il mio cuore, pieno di spavento davanti alla tua crudeltà,

Ti disprezza e ti adora, o Rettile e Dea!



EPITAFFIO

Dolcemente passasti dal sonno alla morte,

Dalla notte alla tomba e dal sogno al silenzio,

Come dilegua il singhiozzo di un accordo

Nell'aria di una sera d'estate che muore di torpore.

In fondo al Crepuscolo dove sprofondano i colori,

Dove il mondo impallidito sfuma in fondo al sogno,

Sembri ascoltare il riflusso della linfa

Mormorare, musicale, nelle vene dei fiori.

Il velluto della terra dalle mute carezze

Ti rinserra, e sulla tua fronte piangono le viole.



DESIDERIO

Ella è stanca, dopo tante estenuanti lussurie.

Il profumo emanato dalle sue membra straziate

È pieno del ricordo dei lenti lividi.

La dissolutezza ha scavato i suoi smorti occhi azzurri.


E la febbre delle notti avidamente sognate

Rende ancor più pallidi i suoi pallidi capelli biondi.

I suoi atteggiamenti hanno dei languori spossati.

Ma ecco che l'Amante dalle crudeli unghie lunghe


D'improvviso la riafferra, e la stringe, e l'abbraccia

Con un ardore così selvaggio e così dolce a un tempo

Che il bel corpo spezzato si offre, implorando grazia,

In un rantolo d'amore, di desiderio e di spavento.


E il singhiozzo che sale con monotonia,

Esasperandosi per eccesso di voluttà,

Urla come si urla nei momenti dell'agonia,

Senza speranza di intenerire l'immensa sordità.


Poi, l'atroce silenzio, e l'orrore che arreca,

Il brusco soffocamento della querula voce,

E sul collo, simile a morti steli,

Impallidisce il segno verde e sinistro delle dita.


Immagini a tema, che mi piacciono