"Zofloya" di Charlotte Dacre

 Nota di Lunaria: ho ricevuto dei commenti molto interessanti relativi a un romanzo gotico del 1806, "Zofloya" di Charlotte Dacre. 


Un romanzo che qui in Italia è misconosciuto ma che all'epoca influenzò autori come Shelley. 

Come al solito, si omettono tante autrici (che spesso ebbero anche un successo stratosferico, nella loro epoca) perché si deve cancellare "la Storia delle Donne" per far credere che "le donne non hanno mai fatto niente dal punto di vista letterario, musicale, scientifico e artistico". 

Per cui non posso che condividere con più persone possibili i commenti e le traduzioni fatte da Andrea B., che mi ha contattato e poi ha dato il suo consenso alla pubblicazione del suo contributo sul mio blog e profilo.

Commenti e traduzioni a cura di Andrea B.

Se conosci l'inglese ti consiglierei di leggere “Zofloya, or the Moor” di Charlotte Dacre, pubblicato nel 1806. Di questa scrittrice non è mai stato tradotto nulla in italiano, eppure è una figura molto importante nella storia del romanzo gotico. P. B. Shelley la ammirava moltissimo e il suo primo romanzo gotico, “Zastrozzi” è ispirato proprio a Zofloya. 

Mentre la Radcliffe eccelleva nella suspense e nel mistero, (https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2019/03/ann-radcliffe-i-misteri-di-udolpho-gli.html) la Dacre abbondava in scene violente e situazioni eccessive. In “Zofloya” per esempio ci sono temi scabrosi che molto raramente venivano trattati da altri scrittrici. 

Ad esempio, l'infatuazione di una giovane nobildonna per un uomo di colore, la relazione amorosa tra un giovane e una donna più anziana di lui, una madre in fin di vita che viene ricoperta di insulti dalla propria figlia, senza contare poi i numerosi omicidi e suicidi sanguinolenti e l'erotismo serpeggiante di certe scene (sempre nei limiti dell'epoca, naturalmente). Insomma, un romanzo gotico unico che meriterebbe finalmente una bella edizione in italiano. 

Ho provato a tradurre un brano per darti un'idea dello stile della Dacre:

“Tenebre e tetra solitudine regnavano intorno, quando gli occhi di Vittoria si aprirono di nuovo al senso della vita e alla percezione. Si trovò coricata sulla nuda terra; il fragore del tuono la sovrastava e lampi di vivida fiamma di tanto in tanto mostravano la terrificante sublimità degli oggetti circostanti. Immense montagne, ammassate le une sulle altre, sembravano circondarla, e includere entro il loro inaccessibile seno l'intero universo. Oltre le loro torreggianti pareti (coperte solo da nuvole nebbiose), l'immaginazione, improvvisamente rigettata indietro e vacillante alle proprie concezioni, era impossibilitata a penetrarle. Rocce imponenti e precipizi vertiginosi alla loro base, in cui l'acqua, cadendo da un'altezza incommensurabile, si frangeva impetuosamente contro cupe caverne, simili all'entrata di Pandemonium; rupi alpine, che nelle loro selvagge sporgenze minacciavano rovina allo sventurato che vi si fosse trovato sotto: tale era la scena che, mentre il fulmine blu lampeggiava in terribile e magnifica confusione, colpiva la sua vista. In mezzo a questi orrori spaventosi, a braccia conserte e aria maestosa, posto quasi di fronte a lei, stava il torreggiante Zofloya. A lui la scena appariva congeniale, e Vittoria ammise a se stessa che mai prima d'ora l'aveva visto nel suo proprio ambiente. Gli oggetti comuni sembravano arretrare alla sua presenza, la terra tremare alla fermezza del suo passo; ora solamente la sua innata grandiosità brillava in tutta la sua gloria, aumentando, senza esserne eclissata, la terribile magnificenza della scena. Gli occhi di Vittoria si fissarono involontariamente su di lui; dignità e ineffabile grazia, erano diffuse sulla sua figura intera; per la prima volta provò per lui un'emozione di tenerezza, mista ad ammirazione, e, strana incoerenza, in mezzo ai cupi terrori che le opprimevano il cuore, in mezzo alla notevole sofferenza che la angustiava, provava qualcosa di simile all'orgoglio, riflettendo che un Essere così meraviglioso, così superiore, così bello, dimostrasse tanto interesse per il suo destino.”

Altri brani scelti da “Zofloya” di Charlotte Dacre

(Cap. XVIII)

[…] Infine Vittoria si coricò, e chiuse di nuovo gli occhi. La stanchezza del sonno la opprimeva a un punto tale da privarla completamente di movimento, ma, ciò nonostante, gli occhi involontariamente le si aprirono per metà. Una bruma grigio-argentea riempiva la stanza, diffondendo una specie di crepuscolo; le cortine, ai piedi del letto, si spalancarono, e nello stesso posto si ergeva di nuovo la figura di Zofloya! Con una mano sembrava tenere Berenza, il cui pallido volto sembrava contorto negli spasimi della morte. Il suo petto nudo appariva chiazzato da grandi lividi blu, e i suoi occhi sbarrati fissavano lugubremente l'angosciata Vittoria. Nell'altra mano, il Moro teneva, per le splendide trecce bionde, l'orfana Lilla; la sua forma esile e spettrale sembrava abbigliata da un'ombra traslucida, la sua testa graziosa era abbassata, e su un lato di essa si vedeva una profonda ferita, da cui il sangue era sgorgato giù sulla sua veste eterea. Mentre, ancora incapace di volizione, Vittoria osservava la scena, Berenza e Lilla disparvero, e al loro posto vide le sue proprie sembianze e quelle di Henriquez da una parte e dall'altra del Moro. Ella sembrava allungare le braccia, nelle quali Henriquez si stava gettando, ma ritraendosi d'impeto, Vittoria vide che il suo petto era sfigurato da una spaventosa ferita. Improvvisamente, Berenza e Lilla si riavvicinarono; due ali radiose, che la abbagliarono, spuntarono dalle spalle di Lilla; con un sorriso serafico tese le mani a Berenza e a Henriquez, e innalzandosi insieme a loro da terra, Vittoria non li vide più; il cuore le batteva violentemente, il cervello pulsava, e, cercando di alzarsi, si accorse di avere riacquistato il movimento.

(Cap. XXVI)

[…] Nel frattempo la passione di Vittoria, non avendo più ora, come immaginava, ulteriori ostacoli da superare, raggiunse l'apice della sfrenatezza. – Cercava di attirare l'attenzione di Henriquez con astute blandizie e seduzioni. – Ma vani erano i suoi artifici, perché l'anima di Henriquez era ammaliata dalla semplicità e innocenza della giovane Lilla; ogni altra donna era detestabile al suo sguardo – trovava incomparabili la sua tremula delicatezza, la sua tenera dolcezza e la sua fragile forma di silfide. Avendo quotidianamente sotto gli occhi una tale amabile avvenenza, tutte le altre donne, messe a confronto, apparivano nella mente di Henriquez come esseri di specie diversa. Ma, soprattutto, era Vittoria che vedeva con quasi assoluta avversione; – i suoi tratti marcati sebbene nobili, il suo portamento austero, il suo tono autoritario – la sua audacia, la sua insensibilità, la sua violenza, tutto questo lo colpiva di istintivo orrore; era così all'opposto della mite Lilla che quando, con studiata delicatezza si degnava di farle una carezza, Henriquez quasi tremava per la sua tenera vita, e comparava l'immagine nella sua mente alla candida colomba vezzeggiata dal vorace avvoltoio. 

Alla fine, con infinita riluttanza e amara mortificazione per il suo orgoglio, Vittoria dovette ammettere a se stessa che non solo era indifferente a Henriquez, ma disprezzata e odiata da lui. – A questa amara convinzione fu presa da un capogiro – “Sì, mi detesta,” esclamò in uno sfogo rabbioso – “ma lui dovrà essere, sarà mio – il suo capriccio fanciullesco non gli servirà a nulla; – ah!” Continuò, ammorbidendo i toni concitati – “Getterò me stessa e la mia fortuna nelle sue braccia, – Sacrificherò ancora la mia libertà e gli proporrò di diventare sua moglie.”

In mezzo a queste riflessioni, l'altezzosa Vittoria si rendeva a malapena conto che la causa dell'indifferenza per lei era dovuta all'affetto di Henriquez per Lilla. – Decise quindi di essere subito esplicita – di fare a Henriquez una proposta di matrimonio che  pensava non si sarebbe sognato di rifiutare, e di cogliere la prima occasione per farlo. 

Quella sera stessa, assecondando involontariamente i suoi scopi, Lilla si ritirò presto nelle sue stanze accusando un malessere; e Henriquez, che non sentiva nessun desiderio di rimanere da solo con una donna che suscitava in lui così tanta ripugnanza, si alzò pochi istanti dopo che Lilla aveva lasciato l'appartamento, e inchinandosi da lontano a Vittoria, stava per uscire.

“Rimanete, Henriquez,” esclamò la risoluta Vittoria, alzandosi bruscamente dalla sedia – “Desidero scambiare due parole con voi.”

Henriquez si inchinò, e arrestò i suoi passi.

“Sedetevi – vi supplico.”

“Avete qualcosa di essenziale da comunicarmi, Signora?” domandò Henriquez, incapace di nascondere la sua riluttanza a rimanere con lei, – “o domani andrà egualmente bene?”

“No,” replicò Vittoria con tono enfatico, “vi invito a sedervi, Henriquez.”  

A malincuore Henriquez riprese il suo posto, quando la frenetica donna, incapace di trattenere la sua emozione, si gettò ai suoi piedi, e, afferrandogli la mano –  “Henriquez!” esclamò, “Henriquez, la mia anima vi adora! – guardatemi ai vostri piedi, – vi offro tutto, – tutto ciò che possiedo – la mia mano in matrimonio – concedetemi nient'altro che il vostro amore!”

“Signora,” rispose Henriquez, con studiata calma, liberandosi dalla stretta, – “In quanto moglie di mio fratello avete avuto la mia indulgenza, ma mai la mia stima, – dalla sua MORTE, i miei sentimenti nei vostri confronti hanno assunto una tinta più cupa, – Ora io,” esclamò, dimenticandosi per un momento lo sforzo per conservare una certa freddezza  – “ora io vi odio e disprezzo! – Disgraziata! Indegna e insensibile come siete, aver dimenticato così presto un marito che vi adorava, e doppiamente disgraziata nel confessarmi i vostri empi pensieri. Sapete che la mia anima è irrevocabilmente consacrata a un'altra!”

Vittoria si alzò di scatto, abbandonando la posizione servile. I sentimenti che governavano il suo cuore erano stati irreprimibili; non avrebbe voluto confessare così prematuramente il suo amore, ma la violenza della passione la rendeva troppo vulnerabile! – ora le emozioni suscitate dalla risposta di Henriquez erano egualmente invincibili.

“Miserabile giovane!” esclamò – “Questo è troppo – la vostra offensiva freddezza, i vostri amari rimproveri, li avrei sopportati, – sopportati, orgogliosa come sono, con pazienza! –  ma che voi abbiate osato, senza tremare, ammettere in mia presenza il vostro amore per un'altra” –– 

“Amore!” la interruppe Henriquez con entusiasmo – “Amore! – dite, adorazione, idolatria! – per il cielo la mia Lilla è una gemma troppo brillante per diffondere i suoi puri raggi sotto questo tetto contaminato,  – oh! Disgraziata Vittoria,” continuò, con un sorriso amaro, “e VOI cercate di parlare d'amore all'innamorato di LILLA?” ––

Quali parole possono descrivere i sentimenti di Vittoria? La collera più selvaggia si impadronì della sua mente, mutandosi quasi in immediata pazzia! – Tuttavia vendetta, assetata vendetta, era la sensazione predominante della sua anima, divorando tutte le altre! – con uno sforzo e un sangue freddo a malapena credibili, frenò il tumulto della passione ed evitò di recriminare su Henriquez. – Cosa! Cacciarlo dal castello e perdere così il potere di sacrificare l'aborrita Lilla alla sua vendetta, la pigmea, lo sgorbio insignificante, che aveva giudicato indegna di un pensiero! Perdere anche, per sempre, la possibilità di ammorbidire, (forse anche mitigare) la rigida insensibilità di Henriquez? – No –  il sacrificio alla rabbia frenetica sarebbe stato troppo grande! – 

La decisione era pronta, e istantanea. – Coprendosi il viso con le mani, si lasciò cadere su una sedia, e singhiozzò ad alta voce!

Una reazione così diversa da ciò che aveva imparato ad aspettarsi da Vittoria, conoscendo la violenza della sua natura, sorprese e commosse ad un tempo Henriquez. –  Si pentì presto dell'asprezza con cui aveva parlato, e nella sua mente si impose la riflessione che la donna, la cui unica colpa nei suoi confronti era l'amore che provava per lui, meritava almeno un comportamento più moderato; esitò un istante – la bontà del suo cuore prevalse, e si avvicinò all'astuta Vittoria. 

“Vorrei porgerle, Signora,” disse con voce gentile, (prendendole la mano) – le scuse per il mio ardore – non intendevo, – vi assicuro, non intendevo essere severo, – vorreste dunque,” aggiunse, “perdonarmi, e accettare questa ammissione del mio errore?”

“Oh, Henriquez!” replicò Vittoria, raddoppiando le lacrime, “Sono l'unica ad avere colpa; in questo momento sento dentro di me i rimproveri dovuti alla mia condotta – Le parole che mi sono lasciata sfuggire dalle labbra, ora mi infliggono vergogna e orrore – posso a malapena render conto dell'impulso che mi ha costretta a pronunciarle! – Nobile e generoso come siete, dimenticate, se potete, la frenesia del momento, e non – non,” proseguì, gettandosi ancora ai suoi piedi, “disprezzatemi più di quanto sento che dovreste.”

Henriquez, infinitamente commosso, sollevò fra le sue braccia colei che credeva fosse davvero la confusa e pentita Vittoria; la supplicò di ricomporsi, e di perdonargli il dolore che le aveva arrecato.

“Ah, tutto ciò che chiedo è il VOSTRO perdono,” disse Vittoria, “e la vostra promessa che non rifletterete su ciò che è accaduto questa notte, a mio detrimento. Oh, Henriquez! Vi dimostrerò che se Vittoria cede per un istante a un'imperdonabile debolezza, sa poi come riprendere di nuovo il dominio di sé.”

Henriquez la assicurò che avrebbe cancellato dalla mente ogni impressione sfavorevole nei suoi confronti, e aggiunse che, dall'immediato risveglio di nobili sentimenti nel suo cuore e dalla franchezza con la quale si era accusata, aveva più che espiato la parte imperfetta della sua condotta.

Vittoria, fingendo di essere soddisfatta, e grata per queste affermazioni, prese, con modestia e umiltà ben simulate, la mano di Henriquez, e la portò alle labbra. Quindi, voltandosi, come incapace di reprimere l'emozione, uscì precipitosamente dalla stanza.

(Cap. XXVII)

Raggiungendo il suo appartamento, la miserabile, perché colpevole, Vittoria si gettò sul letto con tormento indescrivibile. Le passioni più furiose, trattenute a forza alla presenza di Henriquez, ora le scuotevano il petto e ora trovavano sfogo in terribili imprecazioni. Malediva se stessa, l'ora della sua nascita, e la madre che l'aveva partorita; l'orgoglio oltraggiato le gonfiava il cuore fino a farlo scoppiare, e la sua furia insaziabile esigeva ad alta voce vendetta, sangue, il sangue dell'innocente Lilla.

“Oh, potessi subito distruggere la prediletta,” esclamò selvaggiamente, alzandosi bruscamente dal letto, e afferrando un pugnale che teneva nascosto nel seno, “Potessi, dico, distruggere quella piccola disgraziata, fulcro d'ogni attenzione, che osa per questo richiamare distruzione sul suo capo.”

“Non ancora, Vittoria,” disse una voce melodiosa; di fronte a lei si ergeva il Moro, che afferrò gentilmente il suo braccio alzato, e sorrise.

“Come sei venuto qui, Zofloya?” ella esclamò “la tua voce, non il tuo sorriso né le tue promesse, hanno il potere di calmarmi ora”.

“Bellissima Vittoria,” egli rispose, “sono venuto per consigliare e per placare.”

“Non puoi fare nessuna delle due cose, Moro, perché Henriquez mi odia, – puoi tu cambiare i genuini sentimenti del cuore? – Puoi tramutare l'odio in amore?”

“Posso fare molto, Vittoria, se avrete fiducia in me.”

“Ma tu non sei uno stregone!”

“È possibile avere una conoscenza in medicina senza tuttavia essere un medico.”

“Oh, sì, hai una conoscenza infinita, Zofloya – ogni giorno lo dimostra in modo inoppugnabile – ma non puoi – no, non puoi infondere magicamente amore per ME nel cuore che ama un'altra.”

“Non immediatamente, quando l'altra si intromette, bella Vittoria.”

“Puoi aiutarmi? – Dimmelo subito, puoi aiutarmi, Zofloya?”

“Adorabile Vittoria!” 

I toni argentini del Moro penetrarono a fondo nel cuore di Vittoria; il suo accento astuto era mellifluamente tenero; lacrime, spontanee lacrime, le sgorgarono dagli occhi, e involontariamente si gettò fra le sue braccia, che si aprirono per riceverla, e pianse sul suo petto. Zofloya la stringeva dolcemente fra le braccia. 

L'illusione di Vittoria durò solo per qualche momento: si sciolse in fretta dall'abbraccio, e disse esitante –

“Che strano, Zofloya! – Non so perché, ma tu mi plachi sempre, e mi attrai irresistibilmente. – Io credo, davvero” aggiunse, con un fervido sorriso, “ che tu sia veramente uno stregone!”

Il Moro ricambiò il sorriso, e chinò, come per riconoscenza, la sua forma leggiadra; – ogni movimento di questo essere singolare sprigionava fascino, e in nulla era così manifesto come nel potere che soggiogava l'orgoglioso cuore di Vittoria.  

“Incomparabile e adorabile padrona,” esclamò, cadendo su un ginocchio e posandosi la mano sul cuore, “Degnatevi di informare il più umile dei vostri schiavi in che modo possa soddisfare le vostre richieste. E ciò detto, abbiate piena fiducia nel suo adempimento.”

“Alzati, allora, Zofloya,” esclamò Vittoria, lusingata e deliziata da una condiscendenza di recente alquanto insolita nel Moro – “Alzati e dimmi – Ah! Non indovini, Zofloya? – Lilla – Lilla!” –

“L'orfana Lilla si frappone fra voi e il vostro amore, – non è così?”

“Sì, sì.”

“E voi vorreste che lei––”

“Morisse!” esclamò Vittoria, ricadendo nella frenesia.

“Calma, calma,” disse il Moro in tono gentile. – “L'orfana Lilla non deve morire, Signora.”

“No!” – 

“No – perché susciterebbe subito dei sospetti, e quindi addio a tutte le vostre speranze – dimenticate, bella Vittoria, che già...”

“Vero, vero,” replicò in fretta Vittoria, “ma allora che si fa?”

“Dobbiamo evitarlo.”

“Oh, che follia! – si deve fare, ad ogni costo – senza il tuo aiuto, allora.”

Zofloya si rabbuiò. – “Sia così allora, Signora,” esclamò, e si diresse con dignità verso la porta.

“Oh rimani, essere incoerente!” esclamò Vittoria, “E perdona la mia disperazione.”

“Disperazione! – disperazione quando IO vi ho promesso speranza – dovete aver fiducia.”

“Oh, sii subito esplicito, e dimmi” – 

“Bene, allora, Lilla non deve morire; ma sarà a vostra disposizione, e voi potrete infliggerle tali sofferenze che –”

“Tali tormenti!” lo interruppe Vittoria, con demoniaci occhi scintillanti – “Sì, tali tormenti che mi ripagheranno di quelli che ha inflitto a me! – Ma quando, oh quando, Zofloya, accadrà?”

“All'alba di domani trovatevi nella foresta; procedete attraverso lo stretto crepaccio alla vostra sinistra, salite la roccia ripida che domina la foresta, facendola sembrare una valletta insignificante; e quando avrete raggiunto la cima rimanete lì, e attendete la mia venuta.”

“Sarò puntuale – ma Lilla.”

“Sarà con me – non chiedetemi altro, Vittoria.”

Gioia e abominevole trionfo riempivano il petto di Vittoria; era bene istruita ora, e poteva ben decifrare le ambigue risposte del Moro.

“Zofloya,” esclamò con voce esultante, “eccellente Zofloya; dimmi, in che modo posso ricompensarti?” E prendendo ardentemente un brillante di immenso valore dal suo dito, aggiunse, “accettalo, e portalo per amor mio, ma portalo nascosto sul tuo cuore.”

Con aria orgogliosa e austera, Zofloya respinse con la mano il dono offerto.

“Tenetevi il diamante, Signora; le ricchezze del mondo non hanno alcun valore per me – ho più alte mire.”

“E a cosa mirate, allora, Zofloya?”

“Alla VOSTRA amicizia – alla VOSTRA fiducia – alla VOSTRA fede – a VOI STESSA, Signora!”

Vittoria sorrise a ciò che pensava essere pura galanteria; il Moro ricambiò il sorriso, ma con un contegno diverso, e inchinandosi rispettosamente mentre ella si dirigeva verso la porta, disse, “Addio, Signora, per adesso; attendete il primo raggio del mattino.”

“Il sonno non visiterà i miei occhi, fisserò lo sguardo sul firmamento, e all'ultimo dileguarsi delle stelle, uscirò dalla mia stanza.” Il Moro salutò gentilmente con la mano, e si ritirò. Non appena uscito, Vittoria spense la lampada, affinché nessuna luce artificiale potesse impedirle di osservare il primo avvicinarsi dell'alba. Poi aprendo la finestra, si sedette lì accanto, e fissò lo sguardo con fiera sfrontatezza sulla serena maestosità dei cieli senza nubi. Pazientemente sopportò la mancanza di sonno, pazientemente attese, come l'assassino assetato di sangue che, reso invulnerabile ai mali esterni dalla vigorosa ferocia della sua mente, si nasconda in agguato nella notte solitaria in attesa del passo inconsapevole della vittima predestinata; così vegliò, così attese, pregustando alternativamente il piacere della vendetta, e scene di futura beatitudine con l'amato Henriquez. Costretta infine, con amara riluttanza, a considerare la fiorente Lilla come il potente scudo presuntuosamente opposto alle sue fascinazioni, si decise, mentre orgoglio e odio rinvigorivano di nuovo il suo cuore,  ad infliggere alla ragazza innocente tutto ciò che malizia e vendetta potevano inventare. […]

(Cap. XXVII - seguito)

Vittoria sedeva ancora davanti alla finestra, immersa in cupe meditazioni, quando l'orizzonte incipiente cominciò a mostrare deboli raggi di luce fra nubi oscurate, e a dissolvere lentamente le brume azzurre delle acque distanti. Le stelle si affievolivano, e una brezza più fresca soffiava dall'est, quando, intenta al male, uscì furtivamente dalla stanza. Ora con cuore palpitante raggiunse la corte, e penetrò nella foresta, procedendo a passo spedito verso il sentiero descritto da Zofloya; la profonda oscurità rendeva quasi inaccessibili la via solitaria e il crepaccio sulla sinistra, al quale egli aveva alluso; Vittoria tuttavia non si scoraggiò, e mentre avanzava, un'oscurità più profonda la informò che si stava avvicinando alla roccia minacciosa, che proiettava la sua ombra scura intorno. – Sebbene mai prima d'ora si fosse allontanata così tanto alla luce del giorno, credeva implicitamente alle indicazioni di Zofloya, e si preparò ad ascendere l'erta rocciosa. Il mattino avanzava gradualmente, ma gli oggetti circostanti erano ancora resi indistinti da una bruma illusoria: – Vittoria procedette per un considerevole tratto di strada su per la roccia, quando l'alto solenne ruggito della schiumante cateratta, precipitando da una fessura dalla parte opposta nel precipizio al disotto, proruppe al suo orecchio. – Avanzò tuttavia intrepida, finché raggiunse la cima, mentre più alto e assordante diventava il suono irato delle acque. Qui decise di fermarsi per un po'; la luce fioca non permetteva ancora di distinguere bene il prolungarsi delle rocce; montagne di nebbia sembravano innalzarsi l'una sull'altra, finché l'ultima cresta allungava indistintamente il gigantesco profilo sul lontano orizzonte, impedendo ogni ulteriore veduta. Le stelle si erano tutte ritirate, come indietreggiando sconcertate alla vista di così tanta colpa, ma nubi minacciose oscuravano la facciata del cielo, il vento gemeva sordamente in mezzo agli alberi della foresta, e sebbene la solitaria solenne grandiosità della scena avrebbe ispirato profondo timore e devozione nel seno della virtù, attirando l'anima verso la contemplazione interiore, tuttavia era triste e sgradita alla mente malvagia, che, portando entro di sé una notte eterna, si sente turbata e sgomenta nell'oscurità della natura. Tale era la situazione di Vittoria – irrequieta e impaziente per la luce crescente; – la luce crescente venne, ella si alzò dal posto dov'era seduta e si guardò attentamente attorno: da una parte, la foresta ancora avvolta nell'ombra, simile, come aveva detto Zofloya, a una vallata insignificante, appariva lontana sotto i suoi piedi, mentre, dall'altra parte, un tratto azzurro scuro di nebbia avvertiva in lontananza la presenza dell'oceano circondato dal cielo, che in obliqua ascesa sembrava fondersi con la volta celeste. Essendo la roccia su cui si trovava un punto elevato, aveva colto la prima luce del mattino, e Vittoria si rivelò pienamente a se stessa; gli oggetti al disotto erano ancora parzialmente avvolti nell'oscurità. Sforzò ardentemente gli occhi ansiosi, per cogliere il primo barlume di ciò che solo poteva suscitare il suo interesse. Ogni istante che passava, appariva alla sua anima sanguinaria come tempo prezioso rubato alla sua vendetta; ma alla fine, per sua gioia infinita, l'evento così ardentemente desiderato allietò la sua vista.  Avanzando a gran passi lungo il sentiero tortuoso che ella aveva recentemente percorso, vide la gigantesca figura del Moro, gigantesca anche dai punti in cui l'altezza e la distanza rimpicciolivano le cose.  – Sospesa esanime sulla sua spalla, stretta dalle sue braccia nerborute, il Moro portava la un tempo fiorente Lilla – fiorente ora non più, ma più pallida di una vizza rosa bianca! – Si avvicinava rapidamente, e incurante del fardello, balzava su per le scabre rocce come un lampo. – Vittoria contemplava, con gioiosa esultanza, l'orfana indifesa e votata alla disgrazia: – la sua fragile forma giaceva inerte, le sue nivee braccia, nude fin quasi alla spalla (poiché solo una sottile camicia da notte la copriva), pendevano giù sulla schiena del Moro, i piedi e le gambe simili ad alabastro scolpito, erano parimenti nudi, la languida testa pendeva insensibile, mentre le lunghe trecce bionde, sfuggite dalla retina che le aveva trattenute, ora adombravano in parte la sua guancia cinerea, ora ondeggiavano alla brezza in disordinata esuberanza. “La gettiamo giù dal precipizio?” esclamò Vittoria, mentre il suo sguardo feroce e geloso percorreva le grazie tradite della sua casta vittima. “No!” disse Zofloya, “seguimi.” Si lanciò giù per uno scabro sentiero dalla parte opposta della roccia, e, sebbene non con eguale rapidità, Vittoria seguì i suoi passi. [...]

La prima volta che mi sono imbattuto nel nome di Charlotte Dacre è stato leggendo “L'orrore soprannaturale nella letteratura” di Lovecraft, il quale, nella sezione riguardante il romanzo gotico, cita la Dacre solo di passaggio, considerando il suo romanzo mediocre. Da quella volta però mi è sempre rimasta impressa la parola “Zofloya”, che non sapevo a cosa si riferisse. Nome di persona? Di luogo? O cos'altro? Avevo insomma molta curiosità riguardo a questo romanzo misterioso, ma non riuscivo a trovare altri riferimenti da nessuna parte. Erano anni in cui ancora non c'era Internet. Il fatto è che non esistono in italiano dei libri specifici che analizzino il romanzo gotico in maniera approfondita ed esauriente. Occorre quanto meno conoscere una lingua straniera, soprattutto l'inglese. Infatti con il passare degli anni ho studiato l'inglese e ho cominciato a leggere libri in lingua originale, ed è così che sono riuscito ad approfondire meglio questi argomenti. 

Il primo tentativo serio di scrivere una storia del romanzo gotico si deve a una studiosa inglese, Edith Birkhead, che nel 1921 scrisse “The Tale of Terror: A Study of the Gothic Romance”.


È uno studio pionieristico, contiene qualche inesattezza, però nel complesso si può considerare un'ottima introduzione alla letteratura gotica e del terrore. È stato digitalizzato e lo puoi leggere e/o scaricare gratuitamente sul sito Archive .org. 

Riguardo Charlotte Dacre, purtroppo, viene citata in questo libro solo nel capitolo che riguarda il romanzo gotico di P.B. Shelley, “Zastrozzi”, che fu pesantemente influenzato da “Zofloya”. Non si accenna minimamente a una seppur breve biografia e nemmeno agli altri romanzi scritti dalla Dacre. Viene evidenziato solamente il fatto che “Zofloya” sia servito come elemento di ispirazione per il più famoso poeta inglese.

 Riguardo a “The Recess” di Sophia Lee, viene considerato un romannzo di 'languido interesse' che ebbe però il merito di avere ispirato la Radcliffe per i suoi futuri romanzi. 

Ovviamente il libro della Birkhead non è mai stato tradotto in italiano. Nella nostra lingua esiste comunque un libro che affronta gli stessi argomenti, e cioè “Storia della letteratura del terrore. Il 'Gotico' dal Settecento ad oggi” di David Punter (Editori Riuniti, 1997), Anche in questo libro, però, Charlotte Dacre è citata solo di passaggio, come autrice di “Zofloya”, senza ulteriori approfondimenti. 

Il primo autore che ha scritto finalmente uno studio su Charlotte Dacre degno di questo nome è stato Montague Summers nella sua raccolta di saggi “Essays in petto” del 1928. Il saggio che la riguarda si intitola “Byron's Lovely Rosa”. Charlotte Dacre infatti amava gli pseudonimi e il suo preferito era Rosa Matilda.  (Matilda era un riferimento alla diavolessa tentatrice del "Monaco" di Lewis, romanzo che la Dacre amava tantissimo. Tanto per dire, il finale di "Zofloya" ricorda molto quello del "Monaco". Inoltre il primo romanzo della Dacre, “The Confessions of the nun of St.Omer” è dedicato con ammirazione a M.G. Lewis). 

Il riferimento a Byron si spiega col fatto che Byron la cita in una sua poesia. Il pregio di questo saggio di Summers è che vengono analizzati anche gli altri romanzi della Dacre, come “The Libertine” e “The Passions”. Anche questo libro di Montague Summers è stato digitalizzato e lo puoi trovare sul sito babel.hathitrust .org. Se non riesci a trovare i libri digitalizzati che ti ho citato fammelo sapere che ti metto i link qui sotto. Puoi utilizzare senza problemi la mia traduzione del brano di “Zofloya”. Non ho un blog.

Nota di Lunaria: Cito anche Clara Reeve con "Il vecchio barone inglese"  https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2019/07/introduzione-e-commento-il-vecchio.html e Anne Crawford con "Un mistero della campagna romana" https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/06/anne-crawford-commento-un-mistero-della.html

Volevo solo aggiungere un'ultima cosa su Charlotte Dacre. Scrisse anche un libro di poesie, “Hours of Solitude”, pubblicato nel 1805, un anno prima di “Zofloya”. Anche questa  raccolta di poesie la puoi trovare digitalizzata in rete. Non tutte le poesie sono a tema orrorifico o cimiteriale. 

Fra queste ultime le più notevoli sono “The skeleton Priest”, “Julia's Murder”, “Death and the Lady”, “Logan's Grave”, “The Dying Lover”, “Fog”, “The Giant's Burial Ground” e “Grimalkin's Ghost”. 

Fra queste ho provato a tradurne una, “The Skeleton Priest”, giusto per darti un'idea del potere evocativo della sua poesia. 

LO SCHELETRO SACERDOTE

ovvero

IL MATRIMONIO DELLA MORTE

Acuti nelle cupe caverne fischiavano i venti,

Spaurito, l'usignolo affievoliva il suo canto,

In oscuri vapori la luna si celava;

Quando al rintocco di mezzanotte, dalla sua camera,

Audace e intrepida Irene discese,

Poiché Amore il suo cuore ispirava. 


Fluttuava il bianco velo mentr'ella in avanti fuggiva,

Della tempesta incurante, sebben più violenta soffiava,

Né gelata dal pungentissimo freddo;

Della passione il fuoco che le bruciava in seno,

Ogni altra emozione sdegnava e reprimeva

Poiché immenso è il potere dell'Amore.


Or d'improvviso un lampo che i cieli divise,

Colpendo la solinga fanciulla di timore e sorpresa,

Illuminò il deserto intorno;

L'orlo di un precipizio si trovò accanto,

E mentre in muto orrore si allontanava da esso 

“Attenta!” gridò un terribile suono.


“CHI di stare attenta mi avverte?” esclamò tremante;

“Dimmi, un guardiano sei che non può esser nominato?

O soltanto fu la mia immaginazione?”

Ancora proseguiva, determinata a osare,

Quando lentamente la voce di nuovo: “Oh, attenta!” esclamò

E in gemito agghiacciante si trasformò.


“Quale orrore questa notte su Irene si avventerà?

Orlando, amore mio, mai sarò la tua sposa!

Questa è la notte del mio destino.

Oh, spirito delle tenebre! ovunque tu sia,

Solo per QUESTA notte chiedo che la mia felicità sia appagata;

Lascia che il RESTO dall'oscurità sia adombrato”.


Una volta ancora cercò di allontanarsi;

La voce non udiva, e il cuore le si alleggerì

Non più dal terrore soggiogato;

Ma aveva appena fatto tre passi sulla strada

Quando una dama, dal vestito più bello del giorno,

D'improvviso le sue orme inseguiva.


“Oh, non temere, bella fanciulla” esclamò,

“Ma di camminarti accanto concedimi il privilegio;

La mia strada e la tua sono la stessa:

LA SPOSA DI ORLANDO HAI FRETTA DI DIVENTARE,

MA QUELLA E' UN'ORA CHE MAI NON VEDRAI,

E malinconico è vagare da sola”.


“Oh profetessa di sventura!” disse Irene, “taci!”

E verso la straniera si voltò con sguardi di disperazione,

Ma arretrò orrificata dalla vista:

Un teschio sgretolato nella sua mano si mostrava,

Mentre una lampada il rosso sangue sul suo petto palesava,

E la terra dal suo lume era variegata. 


“Trasalisci, adorabile fanciulla! Che follia è la paura!

E cosa in questo teschio può così orrendo apparire?

Potresti così presto somigliargli;

A meno che tu non acconsenti ad esser da me guidata,

Tornatene a casa, vivi contenta e libera,

O il tuo viaggio POTREBBE NELLA TOMBA TERMINARE!”


“No, mai, finché vita in questo petto regnerà,

Tratterò il mio tenero amore con sì crudele disdegno,

O d'esser mio marito gl'impedirò:

Questa notte lo sposerò, a dispetto del fato,

E con lui fuggirò, pure, ovunque egli comandi,

A prezzo di qualsiasi dolore”.


Un profondo sospiro emise la straniera, come in autunno il vento;

Volse il pallido volto, così triste e rassegnato,

Su Irene, e rabbrividendo disse:

“ORLANDO E' SPOSATO. Questa notte, per essere tuo,

Ha commesso di fronte al Cielo e alla Natura un delitto

Che con la vendetta la sua anima dev'essere ripagata.


“Nondimeno ancor sei decisa a perseguire il tuo tenero vizio

Invano, poiché Orlando al tuo sguardo è celato,

E vaga disperatamente solo:

Il suo crimine è il suo tormento; dai demoni posseduto,

Cupamente vaga, privato della quiete,

In un deserto da montagne ricoperto.


“Non andare incontro alla perdizione, quindi, prendi la via di casa,

Sola lasciami proseguire, sola lasciami errare,

O del tuo crimine temi la ricompensa;

Evita l'unione DAL SANGUE CEMENTATA;

Un VINCOLO di distruzione per distoglierti dal bene;

Al patto sanguinario rinuncia.


“RITORNA, e il passato solo una visione ti sembrerà,

L'indomani solo un sogno ti parrà,

Dimenticato nelle glorie del giorno;

PROCEDI, e prima che una breve ora sia passata,

Di nuovo, con tuo sommo orrore, mi vedrai,

Il tuo SANGUE COME PEGNO DA PAGARE.”


“Il tuo nome!” esclamò debolmente Irene -

Scomparsa era la straniera; nessuna traccia rimaneva;

Il silenzio della MORTE era intorno;

Calato era il vento, la luna ora appariva,

Il vago splendore l'usignolo rallegrava,

E di nuovo la sua armonia risonava.


“Chi dimora in questa foresta nell'oscurità e nella disperazione?”

Irene esclamò, “Quale orrore l'aria impregna?

I demoni si sono riuniti per sollazzo?

Invidiano quei rapimenti che non possono condividere,

L'estasi d'essere d'Orlando la sposa,

E questa è la loro corte infame.


“Si beffano dei miei sentimenti, ridono del mio dolore,

Tutti gli inganni tentano invano -

Orlando, SARO' COMUNQUE TUA!”

Quindi in avanti proseguì. Ai piedi della collina,

Orlando con impazienza l'aspettava,

E le loro braccia in dolce estasi si intrecciarono.


Ma più fredde del ghiaccio erano le braccia d'Orlando,

Mentre in esse Irene sembrava avvolgere; 

Il suo volto era al suo sguardo celato,

Cupa pareva la sua voce, lugubremente gemeva,

Un gelido sconforto s'insinuò nella sposa,

Un sospetto che indagar non osava.


“Orlando, quali demoni sul mio cammino tendevano agguati,

Per ostacolare la tua Irene da tutto ciò che amava,

E dimmi: già eri sposato?”

“Non più, bella Irene! Giusto è il momento!

La tua presenza stasera non mi aspettavo affatto:

Si farà IL NOSTRO MATRIMONIO rapidamente.


“Dietro la verde collina, vicino alla spiaggia,

Un vascello v'è, col quale al nostro castello giungeremo,

Ora tetro, e inquieto per TE. 

Vieni, in fetta andiamocene - il tempo fugge,

Poiché fin qui ti sei avventurata rifiutare non devi”

E Irene trasse con sé.


Ora alla spiaggia si avvicinavano, guarda! un vascello v'era;

Di nebbia parevano le gomene, di chiaro vapore le vele;

Nessuna creatura era lì per guidarlo;

Orlando cura si prese della sposa spaurita,

Come una freccia sembrava le onde solcare,

Più rapido della fantasia fuggiva.


Or giunto alla sponda opposta Orlando sbarcò 

Dal vascello d'ombre la fanciulla dal cuore ghiacciato,

Quand'esso all'istante disparve alla vista:

La condusse a forza per un roccioso pendio,

D'Irene i piedi e il seno eran crudelmente lacerati,

E ogni orma di sangue era macchiata.


Entrarono in una caverna; lì v'era un altare;

Un sacerdote lentamente si appresta ad unirli;

Le loro mani insieme sono intrecciate;

Quando l'abito GETTANDO, guarda! quale orrore sotto;

Lo SCHELETRO SACERDOTE altro non era che la MORTE,

Che la fanciulla in matrimonio aveva unito.


“Or sei sposata, ma NON AD ORLANDO - bada!

Poiché, fanciulla, imprudente e audace era il tuo amore - 

Or sei sposata, ma alla MIA dimora,

Non più ad Orlando – dissolto è l'incantesimo.

La tua nuziale letizia in funebre rintocco si muta,

Poiché DELLA TOMBA SEI LA MOGLIE.”


Irene, disperata, rammentò la foresta -

Di fronte a lei or lo spettro minaccioso stava -

“La sposa d'Orlando ero IO!

La mia anima mandò errante, affinché alla tua beltà giungessi,

Ti avvertii, ahimé! Ma ti avvertii invano,

Poiché TU determinata fosti a morire.”


Ahimé! Non più la triste Irene può fuggire;

Della morte il torpore lentamente il suo cuore avvolgeva,

E, paralizzati, i suoi nervi si contraevano;

Di nuovo lo SCHELETRO SACERDOTE a loro si avvicinò,

Della vittima si impadronì - vani erano i suoi sforzi -

Dal mondo, guarda! insieme sprofondano.


LA TOMBA DI LOGAN

Solitaria nel deserto si ergeva la sua quieta tomba;

nessun amico in pena a mane o a sera vi passava accanto;

ma quando un compassionevole raggio di luna l'oscurità cacciava,

innanzi veniva il suo triste spirito, e lì indugiava.


NEBBIA

Brumoso il suo volto, e triste da vedere;

parevano i suoi occhi vaghe stelle lucenti,

e abiti screziati avvolgevano la sua forma,

come spire di fumo azzurro nello splendore del chiar di luna.

Un cerchio indistinto in testa portava,

a quello simile che talvolta la luna circonda;

in mano una caliginosa bacchetta teneva,

le ombre dalla terra scaturite evocando.

Per diletto nel primo mattino d'inverno,

nelle gialle vesti la brezza ricolma domina;

finché, Re del giorno, sebben delle sue glorie evirato,

il pieno, rosso sole ad allontanarsi lo forza.

Raramente in tetra palude o lago lo si scorge

d'estate, tranne quando la fosca sera si avvicina;

indi l'ombroso dirupo raggiunge della montagna

o fonde, nella lontananza, l'oceano con il cielo.


IL CIMITERO DEL GIGANTE

Nella vastità incommensurabile, l'occhio

coniche montagne vedeva assottigliarsi verso il cielo,

e caverne in mezzo, oscure come l'Acheronte.

Vasti abissi come tombe da poco dischiuse,

mostrano sul ciglio alla pallida luce della luna

enormi teschi, sol di recente entro la terra occultati;

e spettri giganteschi incedere maestosi sulla radura,

come mobili piramidi d'Egitto, raminghi.

Il Genio custode era in mesta postura reclino:

i suoi assordanti sospiri parevano cupe raffiche di vento,

la sua sovrumana statura, su un alto cumulo di ossa,

giaceva distesa; i suoi profondi gemiti echeggianti

in lontananza tuonavano sulla landa terrificante,

o il marinaio avvisavano della temuta tempesta in arrivo.

Le sue lacrime, sfere lucenti, fondendosi mentre cadevano

in un fiume, ai suoi piedi s'accrescevano;

e per il deserto scorrendo con debole strepito,

una strana melodia fan sempre lì risuonare.


L'ESSERE MALVAGIO

Oh! Tu, il cui respiro l'aria dolce avvelena,

con la malvagità nel cuore e la disperazione nella mente;

la cui lingua nefasta la miglior fama può danneggiare,

i cui misfatti d'orrore rifuggono l'occhio del giorno.

Come puoi tu, demonio, sulla terra dimorare?

Il tuo spirito perturbato sorse dall'inferno?

O da uno scabro scoglio dalla tempesta lacerato?

Poiché tu mai fosti da donna partorito!

Guardatelo in volto – vergogna mai lo fa arrossire;

rosso delitto siede in trono sulla fronte;

mentre in agguato nel suo feroce occhio demoniaco,

frode, e le più vili passioni, lampeggiano torve.


SIMILITUDINE

Intorno alla candela vola la piccola falena,

mai desiste finché non ha bruciate le ali;

così la donna, dalle lusinghe dell'uomo abbagliata,

nella propria rovina è precipitata.


Nota di Lunaria: un'altra poetessa che consiglio è Emily Brontë: in molte delle sue poesie i temi centrali sono la notte, la malinconia, la brughiera, la Luna, le sofferenze d'amore. https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/06/le-poesie-piu-belle-delle-sorelle_8.html

Approfondimento: le Scrittrici della Narrativa Horror: la scrittura gotica e horror al femminile tra '800 e primi del '900 https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/06/le-scrittrici-della-narrativa-horror-la.html https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/09/labbazia-di-crighton-di-mary-elizabeth.html

Un'Autrice nostra contemporanea: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/04/storie-di-vampiri.html

Altri link: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2018/01/la-fanciulla-perseguitata-nei-romanzi.html https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/06/elementi-gotici-nella-letteratura-del_19.html https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/06/elementi-gotici-nella-letteratura-del_9.html https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/06/elementi-gotici-nella-letteratura-del.html https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/05/introduzione-al-castello-di-otranto-di.html

Qui trovate un'altra Autrice, sempre trascritta da Andrea: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2021/01/renee-vivien.html

Link a fonti esterne, suggeriti da Andrea:

Cominciando dal primo studio serio sul romanzo gotico “The Tale of Terror: a Study of the Gothic Romance”, scritto da Edith Birkhead nel 1921, si trova qui: https://archive.org/details/cu31924027195183 Riguardo al massimo studioso del secolo scorso del romanzo gotico, cioè Montague Summers, in rete si può trovare la sua monumentale “Gothic Bibliography”, un elenco in ordine alfabetico di centinaia di autori e autrici che scrissero romanzi gotici, più un indice interminabile di titoli. Un libro fondamentale per chi studia questo argomento e per ogni appassionato che si rispetti. Un lavoro immane che è rimasto ancora ineguagliato. Lo si trova qui: https://ia801302.us.archive.org/6/items/gothicbibliograp00summ/gothicbibliograp00summ.pdf Per quanto riguarda il saggio che Montague Summers dedicò a Charlotte Dacre, “Byron's Lovely Rosa”, lo si trova all'interno di “Essays in Petto”, cioè qui: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=mdp.39015049817029&view=1up&seq=73 Di Charlotte Dacre in rete si trova il suo libro di poesie, “Hours of solitude”, in due volumi. Primo volume: https://quod.lib.umich.edu/b/bwrp/DacrCHours1?rgn=main;view=fulltext Secondo volume: https://quod.lib.umich.edu/b/bwrp/DacrCHours2?rgn=main;view=fulltext Il suo capolavoro, “Zofloya” si trova in tre volumi. Primo volume: https://books.google.it/books?id=m8gNAAAAQAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false Secondo volume: https://books.google.it/books?id=m8gNAAAAQAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false Terzo volume: https://books.google.it/books?id=faZBAQAAMAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false Il suo romanzo successivo, “The Libertine”, si trova tutto intero qui: https://archive.org/details/ZofloyatheMoor/The%20Libertine/page/n1/mode/2up Infine, una piccola curiosità. La sorella di Charlotte Dacre, Sophia King, era anche lei una letterata e scrisse diversi romanzi, fra i quali il più vicino alle atmosfere gotiche è senz'altro “The Fatal Secret, or Unknown Warrior”. Lo si trova qui: https://books.google.it/books?id=GVNpAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=sophia+king+the+unknown+warrior&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwiAw7e91K_sAhUIC-wKHW50BVgQ6AEwAXoECAEQAg#v=onepage&q&f=false  

Infine: in alcuni romanzi Rosa Storici ambientati nell'Ottocento, alcune autrici si sono divertite a citare Ann Radcliffe oppure a riprendere le ambientazioni tipiche dei romanzi gotici di quel periodo. Suggerisco di leggere questi romanzi: