Goethe: commento alle Elegie Romane



Essendo nato nel 1749, e in una città dal gusto allora alquanto arretrato come Francoforte sul Meno, Goethe fece ancora in tempo, da bambino poetante, a raccogliere gli ultimi echi della stagione barocca. Più tardi, studente universitario a Lipsia, Goethe ci diede alcune gemme di un'aggraziata poesia rococò: veri ninnoli di porcellana fatti di parole. Ancora pochi anni, a Strasburgo, il giovane poeta fu colto in pieno dalla buriana gotico-espressionistica dello Sturm und Drang: una buriana che in buona parte scatenò lui stesso.
Ne nacquero liriche e inni di una potenza titanica ma anche fortemente controllata. Erano le eruzioni di uno spirito scopertosi ribelle. La vecchia Europa e più ancora la stantia Germania, con tutte le loro tradizioni e forme sclerotizzate, gli stavano troppo strette. Ma, di tanto in tanto, fiorivano poesie dal canto così semplice e trasparente da parere quasi una creazione popolare.
Col 1775 il canto lirico si fece meno frequente. In quell'anno Goethe era stato chiamato alla corte di Weimar dal duca Carlo Augusto. Incombenze di governo e impegni mondani lo assorbirono per un decennio.
Il poeta esisteva ancora, ma aveva cambiato registro. Opere come "il Torquato Tasso", come l'"Ifigenia" pur lasciando trasparire una modernità nervosa e vibrante, avevano movenze classiche. L'autore non perseguiva più il titanismo ma l'armonia, non la sfrenatezza ma la misura, non la profondità ma la trasparenza. E i suoi versi erano di una levigatezza marmorea o cristallina. Che tanta sublimità preludesse al pericolo di inaridire, di disperarsi, di intristire? Goethe dovette forse pensarlo.

Il desiderio dell'Italia Goethe lo aveva sin da quando ammirava, nella casa di Francoforte, le stampe di tipo piranesiano, appese lungo le scale, e giocava con una gondola in miniatura, o leggeva la "Gerusalemme Liberata". Ci aveva provato un paio di volte a mettersi in viaggio verso l'Italia, ma poi aveva rimandato, non ritenendosi ancora maturo. Finalmente, nel 1786, sotto falso nome, corse in carrozza verso l'Adige e poi giù in direzione del Veneto. Raccolse, già da allora, il materiale per "Viaggio in Italia"; a Roma giunse il 29 ottobre 1786. E da quel momento visse ore, giorni, mesi indimenticabili.


A Roma - il cuore delle Römische Elegien, le Elegie Romane - Goethe godette di alcune grazie che in Germania aveva sospirato invano: la libertà. La scoperta dei luoghi, monumenti, popolazioni che per lui erano sempre stati un mito, la compagnia di amici locali o germanici (pittori, letterati, musicisti, turisti); la visione di opere d'arte che risvegliarono in lui la vena figurativa, l'uso quotidiano di una lingua a lui molto cara come l'italiano.
è questa gaia esplosione di una giovinezza ritardata e repressa che ispirò le "Elegie Romane": accendendosi a Roma di quei molteplici fuochi riducibili all'eros (la degustazione delle opere d'arte, del carnevale, delle stornellate, delle serate all'osteria, dell'ispirazione poetica), gli venne naturale versare la propria ispirazione nel distico elegiaco, interpretati con oculata libertà: lo stesso metro col quale avevano effuso i loro gaudii e tormenti d'amore i latini (Properzio, Catullo, Tibullo, Ovidio, Orazio). Composte in Italia, le Elegie furono completate in Germania nel 1790; fu generale l'apprezzamento per la bellezza poetica e la maestria formale della raccolta, e così lo stupore per come Goethe, in quei due anni in Italia, si fosse rinnovato come poeta e uomo. Ma non mancarono le critiche negative, per quanto riguardava il contenuto, giudicato troppo osè: ciò che urtò i contemporanei di Goethe fu il fatto che il poeta confessava esperienze personali: Faustina sarebbe stata la sua giovane amante romana.

Con le Elegie siamo in pieno Settecento neoclassico: le chiese sembrano tempietti dorici e corinzi, le stanze hanno decorazioni pompeiane e i mobili si ispirano all'antichità greco-romana, ma lo stesso Goethe si affranca da ogni neoclassicismo d'accademia, da ogni artificioso revival: le forme ricalcano quelle antiche, ma lo spirito che vi alita dentro appare ancora oggi personale e vitale, con un contesto "pagano" che sa di sangue giovane e di primavera, del fascino esercitato da Roma, la Roma dei templi e delle terme, delle statue antiche e degli obelischi, ma anche la Roma curialesca e popolare; diceva giustamente August W. von Schlegel che in quei componimenti si aveva l'impressione di "respirare aria italiana".


Ditemi, o pietre! parlatemi, eccelsi palagi!
date una voce, o vie! Né tu ti scuoti, o genio?
Sì, qui un'anima ha tutto, fra queste divine tue mura,
eterna Roma! tace sol per me tutto ancora.
[...] Tuttor chiese e palagi, rovine contemplo e colonne,
qual chi prudente voglia trarre del viaggio un frutto.
[...] In vero, o Roma, un mondo sei tu; ma pur senza l'amore
non sarìa mondo il mondo, e nemmen Roma, Roma.

Sagt, Steine, mir an, o sprecht, ihr hohen Paläste!
Straßen, redet ein Wort! Genius, regst du dich nicht?
Ja, es ist alles beseelt in deinen heiligen Mauern,
Ewige Roma; nur mir schweiget noch alles so still.
[...] Noch betracht ich Kirch und Palast, Ruinen und Säulen,
Wie ein bedächtiger Mann schicklich die Reise benutzt.
[...] Ein Welt zwar bist du, o Rom; doch ohne die Liebe
Wäre die Welt nicht die Welt, wäre denn Rom auch nicht Rom.


Come lieto mi sento qui in Roma! Ripenso quel tempo,
in cui laggiù, nel norte, grigio opprimeami il giorno.
Torbido il cielo e grave sul capo pesavami, e muto
di colore e di forma stendeasi intorno il mondo.
Ed io su me spiando de l'animo ognora scontento
la fosca via, cadevo muto sui miei pensieri.

O wie fühl ich in Rom mich so froh! gedenk ich der Zeiten,
da mich ein graulicher Tag hinten im Norden umfing,
Trübe der Himmel und schwer auf meine Scheitel sich senkte,
Farb - und gestaltlos die Welt un den Ermatteten lag
und ich über mein Ich, des unbefriedigten Geistes
Düstre Wege zu spähn, still in Betrachtung versank.


Dagli "Epigrammi Veneziani"

2. Appena avevo scorto nel cielo più azzurro il sole splendente,
l'edera ricca cader dalla rupe a formare corone,
alacre il vignaiolo legare al pioppo la vite,
tiepida brezza mi giunse dalla patria di Virgilio.
Allora tornarono a unirsi le muse all'amico: intrecciammo
discorsi in frammenti, come piace al viandante.

Kaum an dem blaueren Himmel erblickt ich die glänzende Sonne,
Reich, vom Felsen herab, Efeu zu Kränzen geschmückt,
Sah den emsigen Winzer die Rebe der Pappel verbinden,
über die Wiege Virgils kam mir ein laulicher Wind;
Da gesellten die Musen sich gleich zum Freunde; wir pflogen
Abgerißnes Gespräch, wie es den Wanderer freut.


7. Un amore avevo, e mi era caro più di ogni altra cosa!
E l'ho perduto! Taci, e sopporta la perdita!

Eine Liebe hatt ich, sie war mir lieber als alles!
Aber ich hab sie nicht mehr! Schweig, und ertrag den Verlust!


8. Questa gondola sembra una culla che dondola lieve,
e la sua piccola cabina a me pare una bara capace.
è giusto: tra la culla e la bara senz'affanno
ondeggiamo
sul Canal Grande attraverso la vita.

Diese Gondel vergleich ich der sanft einschaukelnden Wiege,
und das Kästchen darauf scheint ein geräumiger Sarg.
Recht so! Zwischen der Wiege und dem Sarg wir schwanken
und schweben.
Auf dem Großen Kanal sorglos durchs Leben dahin.


87. Una sola notte sul tuo seno! Il resto poi
verrà. Ancora ci divide Amore tra notte e nebbia,
ma io già vivo il mattino in cui Aurora gli amanti
cuore a cuore sorprenderà, e Febo mattutino verrà a destarli.

Eine einzige Nacht an deinem Herzen! Das andre
gibt sich. Es trennet uns noch Amor in Nebel und Nacht.
Ja, ich erlebe den Morgen, an dem Aurora die Freunde
Busen an Busen belauscht, Phöbus, der frühe, sie weckt.


Su Goethe vedi anche: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/08/introduzione-goethe.html