Le poesie macabre di Giovan Luigi Redaelli (1785-1815) e Francesco Benedetti (1785-1821)



GIOVAN LUIGI REDAELLI

"Il Passaggio della Beresina"

Appariva la stella vespertina

cinta di nembi, allor che giunsero dove

volge l'onda fatal la Beresina.

Colà la morte in mille guise piove,

e colà di mortali il fulmin cade

più tremendo del fulmine di Giove.

L'ultima tema i fuggitivi invade:

la calca che sul ponte angusto piomba

chiude a se stessa del fuggir le strade.

L'aere d'un grido universal rimbomba:

ne' gorghi affonda la misera gente,

e prima di perir trova la tomba.

Allora fra le tenebre si sente

un alitare, un gemer soffocato,

e nell'acque un dibattersi frequente

così, finché di nubi atre formato

stese il velo la notte: e quando a stento

sorse il sol di caligine ammantato

di pietà nuova scena e di spavento!

I gelati cadaveri fur visti

galleggiare sul flutto ancor cruento

E sulle sponde cogli estinti misti

pochi viventi ancor, ma senza speme,

e del tardo morir dolenti e tristi,

Tutto il resto è deserto ed a chi geme

solo il fiume risponde che del ponte

urta gli avanzi e ne ribolle e freme.

In questa guisa fra le ingiurie e l'onte

cadono i forti: e tu, lor duce, intanto

salvo ritorni con tranquilla fronte (...)


"Sogno di Morte"

Sognai che della notte

nel taciturno orror

con lagrime dirotte

sfogava il mio dolor;

sognai che al ciel chiedea,

empio, accusando il ciel,

colei che a me par dea

avvolta in uman vel.

Con prolungato accento

- l'avrai - mi si gridò;

ed il notturno vento

quel grido accompagnò.

Vidi degli astri allora

al dubbio scintillar,

di lei che m'innamora

le vesti biancheggiar:

e in palpiti d'affetto

cangiando i miei sospir,

corsi a quel caro oggetto

sull'ali del desir.

Ma, oh Dio!, per l'aer tetro

non l'adorato ben,

ma spaventevol spetro

strinsi, deluso, al sen.

Mirai l'orribil faccia,

e ritrar volli il piè:

ma colle scarne braccia

vietollo il crudo a me.

Al mio labbro agitato

da fremito mortal,

lo spettro unì il gelato

suo labbro sepolcral;

poi con le squallid'ossa

meco s'avviticchiò,

e in negra, immensa fossa

gemendo si scagliò.

Caddi raccapricciando;

ma il sonno allor svanì

e mi destai cercando,

dubbioso, i rai del dì.

Lasso! Squarciato è il velo

del sonno e del terror;

ma di quel bacio il gelo

sento sui labbri ancor.


FRANCESCO BENEDETTI  (1785-1821)

"Sui costumi del secolo presente"

[...] Ma tu sedendo intanto

nuda sul lido, or questa gente or quella

con lusinghiero canto

adeschi ad approdar, Circe Novella.

Son paghe or le tue voglie! 

Stai de' tuoi druidi fra i ricurvi artigli!

Ricchi di tolte spoglie,

dal tuo materno sen strappano i figli.

[...] Né ascoltano ancora i sacri

cenni intonar la vespertina squilla?

Né i lidi sol trinacri,

ma ogni borgo ne suoni ed ogni villa.

Ohimè che niun si desta!

Percosse de terror le menti immote,

tace la turba mesta,

e di bianco pallor copre le gote...