Viveva ormai da centinaia di anni; aveva perso il conto. Era stata trasformata in vampira in gioventù - una gioventù di secoli prima, quando ancora si usavano abiti lunghi, maniche svasate e capelli acconciati in trecce - e aveva passato il tempo saziandosi alle fonti più disparate: uomini belli, brutti, ricchi o poveri, non sempre le importava per davvero chi fosse il suo pasto, non sempre le importava chi fosse colui che la sventura, il destino, o forse Dio?, le mette sulla strada. Negli ultimi decenni, poi, tutto era diventato molto più semplice, giacché non esistevano più i paludosi concetti di "galateo ed etichetta" che erano stati in vigore ai tempi della sua gioventù, quando uomini e donne vivevano a distanze rigorose e tutto doveva essere sottoposto alla buona creanza della società del tempo, che stabiliva lunghissimi tempi di corteggiamento, per di più, in pubblico; approcciarsi ad un uomo era quasi impossibile, e lei non voleva sembrare una meretrice, una disonorata; aveva conservato, incredibile a dirsi, quest'indole pudica e virginale, unica testimonianza del tempo che fu, quel tempo che ormai non esisteva più, unica prova che dimostrasse che lei era vissuta al tempo di Matilda ed era cresciuta con quei valori, i valori per le damigelle dabbene; mentre oggigiorno, ne era consapevole, tutto si era fatto più frenetico e spavaldo, un'idolatria dell'ardore e dell'osare sessuale che la sconcertava. Ah, che cosa strana a dirsi, la predatrice che restava turbata nell'osservare questi usi e costumi moderni, sempre più disinibiti! Lei aveva conservato un look antiquato, rifuggendo dai pantaloni e da fogge troppo unisex. Vestiva ancora con gonne lunghe, con scialli e maniche svasate e acconciava ancora i capelli in trecce.
C'era da dire che oggigiorno era più facile persino suscitare l'ammirazione del suo prossimo. Ormai da più di 170 anni il vampiro era stato sdoganato: la gente non organizzava più roghi, non infilava più paletti nei cuori dei cadaveri sospettati di essere risurgenti, non decapitava più le loro teste. Poteva persino dichiararsi vampira pubblicamente: in un qualsiasi gothic club sarebbe persino passata inosservata, senza destare nessun scalpore, neppure se effettivamente si fosse fatta vedere con la bocca sporca di sangue; ormai queste cose erano più che celebrate.

Era notte di luna piena. Notte di caccia.

Cominciava ad avere fame. Uscì camminando, ondeggiando il bacino. Era rimasta molto magra, secondo i canoni estetici della sua epoca, che prediligevano fanciulle snelle e con seno piccolo.
Non aveva fatto che pochi metri, che subito venne abbordata da un uomo. Decisamente bello d'aspetto. Era in penombra, ma lei lo vedeva distintamente, ne scorgeva i lineamenti virili e mediterranei. Gli piacque molto. Accettò di flirtare con lui, essendo rassicurata dal fatto che non era vestita e non sembrava comunque una prostituta: portava una lunga gonna pesante che la celava completamente agli sguardi. Poco dopo, era già sulla sua macchina diretta a casa sua.
L'entrata del palazzo. Le scale - sollevando la gonna, un passo alla volta - lui che le dava il braccio (oh, è anche un cavaliere, pensò lei, andando ai tempi della sua giovinezza), la soglia.
"Posso entrare?", le chiese lei, ben conscia che doveva essere invitata esplicitamente, altrimenti non avrebbe potuto fare un passo più.
"Ma certo!", sorrise lui, ignaro di tutto. Anzi, probabilmente convinto di essere lui, il predatore.

E poi accadde, la mano di lui che la prendeva per mano e la guidava dolcemente in camera da letto, facendola adagiare su coperte candide che sapevano di lavanda.

Dal suo corpo, ben fatto e tornito, proveniva una fragranza celestiale, afrodisiaca, che l'attraeva. Strisciò lentamente verso di lui per avvicinarsi a quella fonte piena di grazia, da cui sgorgava quella panna che veniva distillata, calda e morbida, e già gocciolava sul pavimento. Soffice, perennemente. Niente che si sarebbe indurito, coagulato o che sarebbe stato reso scomodo, ingombrante e spigoloso; era già stata ferita, dovendo cibarsi, qualche volta, con cose troppo dure, come le carcasse di animali, e le si erano scheggiati i denti.
Con le labbra vogliose, aperte in un sussurro avido e la lingua guizzante che già pregustava quella sostanza morbida e collosa, avvicinò la bocca famelica verso di lui, per suggere il dolce nettare che distillava da lui, goccia a goccia, imbozzolandola in uno stato di immacolato benessere, di rilassata tranquillità...