Vincenzo Monti: i miei versi preferiti

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Difficile trovare una figura più adatta di Vincenzo Monti a collocarsi in un punto di ipotetico passaggio della poesia di un secolo rispetto al successivo. Nato nel Settecento, Monti aveva avuto tempo di accostarsi all'Arcadia e si era messo alle spalle questa esperienza, componendo alcune delle sue opere più riuscite già nel 1793: "La bellezza dell'Universo", "Al principe Sigismondo Chigi", "Al signor di Montgolfier", "In morte di Ugo Bassville" (composte tra il 1781 e 1793) danno un quadro schematico del livello di compiutezza formale raggiunto da Monti prima dell'inizio dell'Ottocento.
Il suo Neoclassicismo, greve di figure mitiche e immagini retoriche, così difficile ad una lettura non attenta, sta già alla base del nuovo secolo, ne costituisce la premessa, con piena coscienza, da parte dei contemporanei, dell'importanza della sua opera. Di questo autore non poteva non stupire la non comune capacità di trasformare, di tradurre in linguaggio poetico i fatti e le situazioni dalle quali si sentiva maggiormente attratto, componendo perfetti scenari per i propri versi. Tuttavia, dalla contraddizione tra la sua volontà di essere un poeta civile dei fatti più significativi del tempo, e il suo disimpegno di fondo, nacquero le critiche alla sua opera, mentre dalla sua capacità di interpretare le esigenze estetiche del tempo nacque l'ammirazione per Monti. è quindi inutile, oggigiorno, ribadire le sue oscillazioni d'opinione e le sue incerte posizioni politiche di fronte agli eventi a lui contemporanei e focalizzare l'attenzione sul preciso ideale di bellezza neo-classica del Monti.

Vincenzo Monti nacque in Romagna, nel 1754 e morì a Milano nel 1828. Visse in un periodo di profondi rivolgimenti politici e sociali. L'Illuminismo aveva educato gli uomini a quei principi di libertà ed uguaglianza, che la Rivoluzione Francese aveva attuato e Napoleone diffuso in Europa; poi, dopo il crollo napoleonico, la restaurazione e il ritorno dell'assolutismo; e sullo sfondo di questi eventi grandiosi un'opinione pubblica ora esaltata, ora mutevole e incerta. Vincenzo Monti in verità non ebbe, in un periodo così agitato, la salda coscienza morale e il carattere fermo che abbiamo riscontrato nel Parini; ci rattrista, perciò nelle sue manifestazioni politiche, quella volubilità che lo portò ad esaltare prima i conservatori poi i giacobini quindi Napoleone e infine l'Austria.
I principali momenti della vita e della produzione poetica del Monti si possono riportare a questi suoi diversi e contrastanti atteggiamenti. A Roma, dove rimase per un ventennio, esaltò Papa Pio VI in un'ode  ("La prosopopea di Pericle"); compose "La Bellezza dell'Universo", in occasione delle nozze del nipote di Pio VI; scrisse inoltre la "Bassvilliana": Monti immagina che l'anima di Ugo Bassville, segretario della Legazione Francese a Napoli, ucciso dal popolo a Roma, dove si era recato per far propaganda rivoluzionaria, venga raccolta da un angelo e guidata, prima di essere assunta in cielo, ad assistere agli orrori della Rivoluzione Francese e al supplizio di Re Luigi XVI.
Dopo la caduta della Repubblica Cisalpina, si rifugiò a Parigi. Intanto Napoleone sconfiggeva gli Austriaci e il Monti potè tornare in Italia. L'esaltazione di Napoleone durò fino al ritorno degli Austriaci (1815), dai quali ottenne una piccola pensione.
Questa volubilità è dovuta soprattutto al fatto che il Monti non ebbe un vero interesse politico e si faceva interprete della mutevole opinione pubblica.
Come poeta, il Monti è il maggior rappresentante del Neoclassicismo. Il Leopardi lo considerò un "poeta dell'orecchio e dell'immaginazione, del cuore in nessun modo"; possiede, infatti, un'immaginazione fervida ed una finissima sensibilità che gli fanno cogliere i colori più tenui e vari del paesaggio che egli disegna in versi dal ritmo spesso incantato. La poesia del Monti è tecnicamente perfetta, ma raramente vibra di sentimento profondo; l'espressione formale è impeccabile e musicale, ma non è animata da quell'intima commozione da cui sempre muove l'arte.



"Aristodemo": https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/06/vincenzo-monti-i-miei-versi-preferiti.html


Da "Galeotto Manfredi"

Ubaldo: "Il mio pensiero manifesto il feci,
quando al fatal tributo io qui m'opposi
in questo luogo, e periglioso il dissi,
funesto il presagii. Fumanti i campi
son di strage, io gridai; vote di sangue
abbiamo le vene, e ancor dolenti e rosse
le cicatrici."

Del Monti trascrivo anche qualche lirica:

"La Bellezza dell'Universo" (1781)

Stavasi ancora la terrestre mole
del caos sepolta nell'abisso informe
e sepolti con lei la luna e il sole;

[...]

Teco scorrea per l'infinito; e, quando
dalle cupe del nulla ombre ritrose
l'Onnipossente Creator comando

uscir fe' tutte le mondane cose,
e al guerriggiar degli elementi infesti
silenzio e calma inaspettata impose,

[...]

Penetrò nelle cupe acque profonde
quel guardo; e con bollor grato natura
intiepidille, e diventar feconde:

[...]

Tu del nero Aquilon (1) su le funeste
ale per l'aria alteramente vieni,
e passeggi sul dorso alle tempeste:

ivi spesso d'orror gli occhi sereni
ti copri, e mille intorno al capo accenso
rugghiano i tuoni e strisciano i baleni.


"Di tante faci alla silente e bruna notte trapunse la tua mano il lembo e un don le vesti della bianca luna, e di rose all'aurora empesti il grembo, che poi sovra i sopiti egri mortali piovon di perle rugiadose un nembo."

(1) il vento del nord


"Per il giorno onomastico della mia donna Teresa Pikler" (1781)

Donna, dell'alma mia parte più cara
perché muta in pensoso atto (1) mi guati, (2)
e di segrete stille (3)
rugiadose si fan le tue pupille?
Di quel silenzio, di quel pianto intendo,
o mia diletta, la cagion. L'eccesso
de' miei mali (4) ti toglie
la favella, e discioglie
in lacrime furtive il tuo dolore [...]

Questo componimento fu composto dal poeta a 72 anni, quando era colpito da paralisi alla parte sinistra del corpo; si trovava  ospite dall'amico Luigi Aureggi, assistito dalla moglie Teresa e dalla figlia Costanza. Avvicinandosi il giorno onomastico della moglie, compone per lei questa canzone libera.

(1) esprime la trepidazione della moglie, che teme prossima la morte del poeta
(2) mi guardi
(3) lacrime segrete
(4) i mali del poeta sono tanti

"Al principe don Sigismondo Chigi"

Me misero! Non veggo
che lugubri deserti; Altro non odo
che urlar torrenti e mugolar tempeste.
Dovunque il passo e la pupilla movo,
escono d'ogni parte ombre e paure,
e muta stammi e scolorita innanzi
qual deforme cadavere la terra.

Tutto è spento per me. Sol vive eterno
il mio dolor, né mi riman conforto
che alzar le luci al cielo e sciormi in pianto.
Ah che mai vagheggiarti io non dovea,
Fatal beltade! Senza te venuto
questo non fòra orribil cangiamento.

[...]

Ma in que' vergini labbri, in que' begli occhi
aver quest'occhi inebriati, e dolce
sentirmi ancor nell'anima rapita
scorrere il suono delle tue parole;

[...]

Allor requie non trovo. Io m'alzo, e corro
forsennato pe' campi, e di lamenti
le caverne riempio, che dintorno
risponder sento con pietade. Allor
per dirupi m'è dolce inerpicarmi,
e a traverso di folte irte boscaglie
aprir la via col petto, e del mio sangue
lasciarmi dietro rosseggianti i dumi (1)


(1) i cespugli


"Il ritratto" (1820)

Pianse fra i traci orrori
le funeste faville
dei mal concessi amori
l'abbandonata Fille.

(Fille è il nome di una pastorella, tipicamente cantata dalla poesia d'Arcadia o Neoclassica)


"Sermone sulla mitologia" (1820)

Ai lemuri e alle streghe. In tenebrose
nebbie soffiate dal gelato Arturo (1)
si cangia (orrendo a dirsi!) il bel zaffiro
dell'italico cielo; in procellosi
venti e bufere le sue molli aurette;
i lieti allori dell'aonie rive
in funebri cipressi; in pianto il riso;
e il tetro solo, il solo tetro è bello.

[...]

Chi voce mi darà lena e pensieri
al subbietto gentil convenienti?
Forse l'austero genio inspiratore
delle nordiche nenie? Ohimè! Chè, nato
sotto povero sole e fra i ruggiti
de' turbini nudrito, ei sol di fosche
idee si pasce e le ridenti abborre,
e abitar gode ne' sepolcri e tutte
in lugubre color pinger le cose.

[...]

Di fè quindi più degna
cosa vi torna il comparir d'orrendo
spettro sul dorso di corsier morello
venuto a via portar nel pianto eterno
disperata d'amor cieca donzella,
che, abbracciar si credendo il suo diletto,
stringe uno scheltro spaventoso, armato
d'un oriuolo a polve e d'una ronca;
mentre a raggio di luna oscene larve
danzano a tondo, e orribilmente urlando
gridano pazienza, pazienza!

(1) una stella del Carro di Boote, una costellanzione settentrionale


"Discesa di Cristo all'Inferno e al Limbo" (1770)

"Quando scendeva nelle valli inferne tra suoi trionfi glorioso e forte Cristo, e già carca di catene eterne, dietro alle spalle si trae la Morte, calar verso le cupe atre caverne, Satan lo vide per vie fosche e torte e timoroso alle spelonche interne con cento ferri assicurò le porte... Del cieco limbo allor le tenebrose si rallegran taciturne sedi e in Luce che foriera e fiammeggiar è d'alte cose, arde dovunque e fiameggiar le vedi. Deste de' padri l'ombre son acchiose, del Ciel promesso non per anco eredi serenando le fronti atre e rugose, levar la testa e si rizzaro in piedi. Fa lieto più d'ogni altro il volto afflitto, Adam, che ancor del serpe iniquo e tristo, piangea la frode del dolor trafitto."


"Il pellegrino apostolico" (1782)

Squallide e con lugubre mormorio
affollate le turbe in Vaticano
traeansi a dirgli il doloroso addio;

[...]

Là dove nell'orror sacro dell'urna
dorme di Pietro in sotteranea sede
l'apostolica polve taciturna.

[...]

Ed altri mostri che diverse avieno
di prudente virtù forme mentite
e le labbra stillanti di veleno.

[...]

Fin dentro il lago dell'eterne pene
giunse il suon della tuba; e un cupo udissi
doppio stridor di denti e catene.


"Il fanatismo" (1797)

Oh crudeli di Spagna e di Lisbona
orrendi roghi! e voi di strage rosse
contrade di Beziers e Carcassona!

[...]

Ululate, ruggite in ogni lido,
agitate le tombe, sollevate
per l'universo di vendetta il grido!

Spingi l'onde di strage affaticate,
Loira, al mare, se il mar non si ritira
nel vederle sì gonfie e insanguinate.


"La superstizione"
(1797)

Quale da tetti la notturna strige
dolorosa sull'alme il canto invia,
quando pallide ombre escon di Stige,

tal di questi è la trista psalmodia,
che fa de' claustri risonar gli orrori
e il sonno dei gravati occhi disvia.

[...]

E brune per le strade orrende croci
procedean fra il pallore e il fragor mesto
di meste faci e di tartaree voci.


"Il pericolo"
(1797)

E scomposte le chiome in su la testa
d'irti vepri (1) parean selva selvaggia,
ch'aspro il vento rabbuffa e la tempesta.

Striscia di sangue il collo gli viaggia,
che della scure accenna la percossa:
il capo ne vacilla, e par che caggia.


(1) sterpi


"Prosopopea di Pericle"

[...] Del marmo freddo e ruvido
bell'arte animatrice;
e d'Adriano e Cassio,
sparsa le belle chiome,
fra gl'insepolti ruderi
m'andò chiamando a nome.
Ma invan; ché occulto e memore
del già sofferto scorno
temei novella ingiuria
ed ebbi orror del giorno;
ed aspettai benefica
Etade, in cui sicuro
levar la fronte e l'etere
fruir tranquillo e puro.
[...] 
Al cenno mio le parie
montagne i fianchi apriro,
e dalle rotte viscere
le gran colonne usciro.
Si lamentaro i tessali
alpestri gioghi anch'essi,
impoveriti e vedovi
di pini e di cipressi.
[...] Grecia fu vinta, e videsi
di Grecia la ruina
render superba e splendida
la povertà latina.
Pianser deserte e squallide 
allor le spiaggie achive,
e le bell'arti corsero
del Tebro su le rive.
[...] Ed or fastose obliano
l'onta del goto orrore,
or che il gran Pio le vendica
del vilipeso onore.
[...] All'ombre avvezzo io sono.
Ma i voti miei non temono 
la luce del tuo trono.

"Sermone sulla Mitologia": i versi più sepolcrali

[...] Ai lemuri (1) e alle streghe. In tenebrose
nebbie soffiate dal gelato Arturo,
si cangia, orrendo a dirsi!, il bel zaffiro
dell'italico cielo; in procellosi
venti e bufere le sue molli aurette;
i lieti allori dell'aonie rive
in funebri cipressi: in pianto il riso.
E il tetro solo, il solo tetro è bello.
[...] Forse l'austero genio inspiratore
delle nordiche nenie? (2) Ohimé! ché nato
sotto povero sole e fra i ruggiti
de' turbini nudrito, ei sol di fosche
idee si pasce e le ridenti abborre,
e abitar gode ne' sepolcri e tutte
in lugubre color pianger le cose.
[...] Di fé quindi più degna
cosa vi torna il comparir d'orrendo
spettro sul dorso di corsier morello (3)
venuto a via portar nel pianto eterno
disperata d'amor cieca donzella;
che, abbracciar sì credendo il suo diletto,
stringe uno scheltro (4) spaventoso armato
d'un oriuolo a polve e d'una ronca;
mentre a raggio di luna oscene larve
danzano a tondo, e orribilmente urlando
gridano - pazienza, pazienza -
Ombra del grande Ettorre, (5) ombra del caro
d'Achille amico, fuggite, fuggite,
e povere d'orror (6) cedete il loco
ai romantici spettri. Ecco, ecco il vero
mirabile dell'arte, ecco il sublime.
  

Note:

1) Spettri dei morti
2) I canti della lirica romantica
3) è un riferimento alla ballata romantica del Bürger, "Eleonora", tradotta dal Berchet.
L'amato Guglielmo si presenta, una notte di tempesta, alla disperata Eleonora, per prenderla e portarla in groppa al suo focoso cavallo morello. Lungo la corsa, l'amante ripete il lugubre ritornello: "E tu hai paura, o mia cara? Vedi bel chiaro di luna! Arri, arri, arri! I morti cavalcano in furia. E tu, mia cara, hai paura dei morti?"
Quando sono giunti alla meta, il cavallo si avventa contro un cancello di ferro e appare un prodigio spaventoso: "In teschio senza ciocche e senza ciuffo, in teschio ignudo gli si convertì il capo; e la persona in ischeletro armato di ronca e d'oriuolo (oriolo, cioè l'orologio) Allora sì, allora sotto il raggio della luna danzarono a tondo a tondo le larve (gli spettri); ed intrecciando il ballo della catena, con feroci urli ripetevano questa nenia "abbi pazienza, abbi pazienza; s'anche il cuore ti scoppia. Con Dio no, con Dio non venire a contesa. Eccoti sciolta dal corpo. Iddio usi all'anima misericordia"
4) Scritto proprio così: "scheltro"
5) Scritto proprio così: "Ettorre"
6) Si intende in paragone ai "romantici spettri"