Vincenzo Monti - i miei versi preferiti


Riporto qualche poesie di Vincenzo Monti... pur essendo un autore Neoclassico, a mio parere, in alcuni versi anticipa le atmosfere cupe e sanguinose di certo Romanticismo Nero...
Per leggere una poesia inedita di Vincenzo Monti: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2022/06/vincenzo-monti-una-poesia-inedita.html

Inizio dall' "Aristodemo"

Aristodemo: "Sì, Gonippo, un orrendo pensiero; e quanto è truce tu non lo sai. Lo sguardo tuo non passa dentro il mio cor, né mira la tempesta che lo sconvolge tutto. Ah! mio fedele, credimi, io sono sventurato assai, senza misura sventurato; un empio, un maledetto nel furor del cielo, e l'orror di natura e di me stesso."

Gonippo: "Deh, che strando disordine di mente! Certo il dolore la ragion t'offusca, e la tristezza tua da falso e guasto immaginar si crea."

Aristodemo: "Così pur fosse! Ma mi conosci tu? Sai tu qual sangue dalle mani mi gronda? Hai tu veduto spalancarsi i sepolcri, e dal profondo mandar gli spettri a rovesciarmi il trono?"
"Sì morirò; son pronto:
eccoti il petto, eccoti il sangue mio;
versalo tutto, vendica la natura, e alfin mi salva dall'orror di vederti, ombra crudele."

Aristodemo: "Ebben: sia questo adunque l'ultimo orror che dal mio labbro intendi. Come or vedi tu me, così vegg'io l'ombra sovente della figlia uccisa; ed, ahi, quanto tremenda!
Allor che tutte dormon le cose, ed io sol veglio e siedo al chiaror fioco di notturno lume; ecco il lume repente impallidirsi;
e nell'alzar degli occhi ecco lo spettro starmi d'incontro,
ed occupar la porta minaccioso e gigante.
Egli è ravvolto in manto sepolcral, quel manto stesso onde Dirce (è il nome della figlia uccisa da Aristodemo, nota di Lunaria) coperta era quel giorno che passò nella tomba.
I suoi capelli, aggruppati nel sangue e nella polve, a rovescio gli cadono sul volto, e più lo fanno, col celarlo, orrendo.
Spaventato io m'arretro, e con un grido volgo altrove la fronte;
e me'l riveggo seduto al fianco.
Mi riguarda fiso, ed imobil stassi, e non fa motto.
Poi, dal volto togliendosi le chiome e piovendone sangue, apre la veste, e squarciato m'addita, ahi vista! Il seno di nera tabe
(= sangue) ancor stillante e brutto.
Io lo respingo; ed ei più fiero incalza, e col petto mi preme e colle braccia.
Parmi allor sentir sotto la mano tepide e rotte palpitar le viscere:
e quel tocco d'orror mi drizza i crini.
Tento fuggir, ma pigliami lo spettro traverso i fianchi e mi trascina a' piedi di quella tomba,
e "Qui t'apetto" grida, e ciò detto, sparisce."

Gonippo: "Inorridisco. O sia vero il portento o sia d'afflitta malinconica mente opra ed inganno, ti compiango, mio re. Molto patirne certo tu dèi; ma disperarsi poi debolezza saria. Salda costanza d'ogni disastro è vincitrice. Il tempo, la lontananza dileguar potranno de' tuoi spirti il tumulto e la tristezza. Questi luoghi abbandona, ove nudrito da tanti oggetti è il tuo dolor. Scorriamo la Grecia tutta, visitiam cittadi, vediamone i costumi. In cento modi t'occuperai, ti distrarrai...Che pensi? Oimè! Che tenti, sconsigliato?"


Da "Galeotto Manfredi"

Ubaldo: "Il mio pensiero manifesto il feci,
quando al fatal tributo io qui m'opposi
in questo luogo, e periglioso il dissi,
funesto il presagii. Fumanti i campi
son di strage, io gridai; vote di sangue
abbiamo le vene, e ancor dolenti e rosse
le cicatrici."


Del Monti trascrivo anche qualche lirica:


"La bellezza dell'Universo" (1781)

Stavasi ancora la terrestre mole
del caos sepolta nell'abisso informe
e sepolti con lei la luna e il sole;

...

Teco scorrea per l'infinito; e, quando
dalle cupe del nulla ombre ritrose
l'Onnipossente Creator comando

uscir fe' tutte le mondane cose,
e al guerriggiar degli elementi infesti
silenzio e calma inaspettata impose,

...

Penetrò nelle cupe acque profonde
quel guardo; e con bollor grato natura
intiepidille, e diventar feconde:

...

Tu del nero Aquilon (= il vento del nord) su le funeste
ale per l'aria alteramente vieni,
e passeggi sul dorso alle tempeste:

ivi spesso d'orror gli occhi sereni
ti copri, e mille intorno al capo accenso
rugghiano i tuoni e strisciano i baleni.


"Di tante faci alla silente e bruna notte trapunse la tua mano il lembo e un don le vesti della bianca luna, e di rose all'aurora empesti il grembo, che poi sovra i sopiti egri mortali piovon di perle rugiadose un nembo."


"Al principe don Sigismondo Chigi"

Me misero! Non veggo
che lugubri deserti; Altro non odo
che urlar torrenti e mugolar tempeste.
Dovunque il passo e la pupilla movo,
escono d'ogni parte ombre e paure,
e muta stammi e scolorita innanzi
qual deforme cadavere la terra.

Tutto è spento per me. Sol vive eterno
il mio dolor, né mi riman conforto
che alzar le luci al cielo e sciormi in pianto.
Ah che mai vagheggiarti io non dovea,
Fatal beltade! Senza te venuto
questo non fòra orribil cangiamento.

...

Ma in que' vergini labbri, in que' begli occhi
aver quest'occhi inebriati, e dolce
sentirmi ancor nell'anima rapita
scorrere il suono delle tue parole;

...

Allor requie non trovo. Io m'alzo, e corro
forsennato pe' campi, e di lamenti
le caverne riempio, che dintorno
risponder sento con pietade. Allor
per dirupi m'è dolce inerpicarmi,
e a traverso di folte irte boscaglie
aprir la via col petto, e del mio sangue
lasciarmi dietro rosseggianti i dumi ( = i cespugli)

"Il ritratto" (1820)

Pianse fra i traci orrori
le funeste faville
dei mal concessi amori
l'abbandonata Fille.

(Fille è il nome di una pastorella, tipicamente cantata dalla poesia d'Arcadia o Neoclassica)

"Sermone sulla mitologia" (1820)

Ai lemuri e alle streghe. In tenebrose
nebbie soffiate dal gelato Arturo (= una stella del Carro di Boote, una costellanzione settentrionale)
si cangia (orrendo a dirsi!) il bel zaffiro
dell'italico cielo; in procellosi
venti e bufere le sue molli aurette;
i lieti allori dell'aonie rive
in funebri cipressi; in pianto il riso;
e il tetro solo, il solo tetro è bello.

...

Chi voce mi darà lena e pensieri
al subbietto gentil convenienti?
Forse l'austero genio inspiratore
delle nordiche nenie? Ohimè! Chè, nato
sotto povero sole e fra i ruggiti
de' turbini nudrito, ei sol di fosche
idee si pasce e le ridenti abborre,
e abitar gode ne' sepolcri e tutte
in lugubre color pinger le cose.

...

Di fè quindi più degna
cosa vi torna il comparir d'orrendo
spettro sul dorso di corsier morello
venuto a via portar nel pianto eterno
disperata d'amor cieca donzella,
che, abbracciar si credendo il suo diletto,
stringe uno scheltro spaventoso, armato
d'un oriuolo a polve e d'una ronca;
mentre a raggio di luna oscene larve
danzano a tondo, e orribilmente urlando
gridano pazienza, pazienza!



"Quando scendeva nelle valli inferne tra suoi trionfi glorioso e forte Cristo, e già carca di catene eterne, dietro alle spalle si trae la Morte, calar verso le cupe atre caverne, Satan lo vide per vie fosche e torte e timoroso alle spelonche interne con cento ferri assicurò le porte... Del cieco limbo allor le tenebrose si rallegran taciturne sedi e in Luce che foriera e fiammeggiar è d'alte cose, arde dovunque e fiameggiar le vedi. Deste de' padri l'ombre son acchiose, del Ciel promesso non per anco eredi serenando le fronti atre e rugose, levar la testa e si rizzaro in piedi. Fa lieto più d'ogni altro il volto afflitto, Adam, che ancor del serpe iniquo e tristo, piangea la frode del dolor trafitto."
("Discesa di Cristo all'Inferno e al Limbo" 1770)



"Il pellegrino apostolico" (1782)

Squallide e con lugubre mormorio
affollate le turbe in Vaticano
traeansi a dirgli il doloroso addio;

...

Là dove nell'orror sacro dell'urna
dorme di Pietro in sotteranea sede
l'apostolica polve taciturna.

...

Ed altri mostri che diverse avieno
di prudente virtù forme mentite
e le labbra stillanti di veleno.

...

Fin dentro il lago dell'eterne pene
giunse il suon della tuba; e un cupo udissi
doppio stridor di denti e catene.



"Il fanatismo" (1797)

Oh crudeli di Spagna e di Lisbona
orrendi roghi! e voi di strage rosse
contrade di Beziers e Carcassona!

...

Ululate, ruggite in ogni lido,
agitate le tombe, sollevate
per l'universo di vendetta il grido!

Spingi l'onde di strage affaticate,
Loira, al mare, se il mar non si ritira
nel vederle sì gonfie e insanguinate.



"La superstizione" (1797)

Quale da tetti la notturna strige
dolorosa sull'alme il canto invia,
quando pallide ombre escon di Stige,

tal di questi è la trista psalmodia,
che fa de' claustri risonar gli orrori
e il sonno dei gravati occhi disvia.

...

E brune per le strade orrende croci
procedean fra il pallore e il fragor mesto
di meste faci e di tartaree voci.



"Il pericolo" (1797)

E scomposte le chiome in su la testa
d'irti vepri (= sterpi) parean selva selvaggia,
ch'aspro il vento rabbuffa e la tempesta.

Striscia di sangue il collo gli viaggia,
che della scure accenna la percossa:
il capo ne vacilla, e par che caggia.