Prima di vedere i commenti alle rime, un approfondimento
L'Anima Alfieriana - L'Autoaffermazione di Vittorio Alfieri in un mondo ostile
tratto da
La biografia spirituale di Vittorio Alfieri s'incentra nel grande dramma dell'autoaffermazione. L'autoaffermazione è il momento critico in cui il poter essere diventa realtà e l'uomo afferma creativamente la sua persona. L'esigenza dell'autoaffermazione è, quindi, un'esigenza di libertà, che, strettamente legata all'irrefrenabile impulso di attuare la nostra personale tendenza, che è quel misterioso fato che ci distingue e insieme ci accomuna, respinge ogni compromesso e adattamento, e lotta, spesso disperatamente per non essere strumentalizzata. Per questa via si spiega facilmente un'anima come quella alfieriana, che vede i suoi problemi, problemi artistici, politici, morali, che essa vive con intensa e tenace passione, indipendentemente dalla sua volontà di risolverli, come un'esperienza di essere in termini di esistenza e di creazione. E si comprende l'atteggiamento del Poeta, che altro non è se non la solitudine che ineluttabilmente circonda l'uomo nello sforzo di autoaffermarsi, e la netta e dignitosa opposizione contro le miserie e le viltà del mondo. La solitudine statuaria e la netta opposizione alla realtà, come note della singolarità dello sforzo affermativo, danno una connotazione spiccatamente esistenziale all'intuizione drammatica che l'Alfieri ebbe nella realtà. Infatti il Poeta sperimentò in sé l'urto delle forze che compongono il reale. E se non attinse al concetto romantico dell'equilibrio, fu perché vide il mondo come altro dall'Io, cioè come naturale e inconciliabile opposizione all'atto supremo dell'affermazione creativa dell'uomo, l'unico che porta alla realizzazione della persona amata. L'uomo diventa persona, cioè si identifica col fondamento stesso dell'essere, con la sua sostanza creativa, solo quando traduce in forme reali di esistenza il suo fato, la sua potenzialità. L'uomo è vivo e vero solo quando è ciò che è nel profondo. Ma è destino che egli lotti perennemente contro le forze interne ed esterne che si oppongono al suo dover essere e che la poesia alfieriana descrive come una terribile realtà annientatrice, simboleggiata nel tiranno. L'autoaffermazione alfieriana non coincide col benessere sociale. I benefici sociali non hanno nessun valore, se non riescono a trasformare in uomini veri quelli che uomini veri non sono. Autoaffermazione eroica, dunque, che trova riscontro in un ideale politico inteso come "la massima possibilità per l'uomo di ottenere una più utile e più durevole gloria, di più ampiamente sviluppare le proprie intellettuali facoltà", che è poi l'intuizione dello Stato come suprema ragione regolatrice delle condizioni che possono favorire lo sviluppo della natura umana e perciò l'affermazione dell'uomo come persona. Esistenzialmente ed essenzialmente impegnato nella lotta contro le forze cieche dell'opposizione, l'Alfieri non seppe, né d'altra parte l'avrebbe voluto, acquetarsi in un qualsiasi ordine nuovo, e contemplò con dolore gli sconvolgenti avvenimenti politici del suo tempo, un dolore amarissimo che trabocca un po' contro tutti nelle "Satire", negli "Epigrammi", nelle "Commedie", nel "Misogallo", testimonianze del calvario di un uomo, che, vedendo il mondo e la storia dichiaratamente ostili allo sforzo di degnificarsi in un valore di libertà, osò trasferire nella sua poesia il proprio conflitto affermativo, dandogli una voce profetica, che si proietta con fede nell'avvenire, annunciando l'immancabile ora della redenzione e della verità. Chi cerca l'autoaffermazione si sposa al destino di sentire il mondo perennemente nemico, di opporre perennemente alla realtà avvilente il sogno di una magnanimità apparentemente impossibile, all'indegna e viltà del mondo la propria dignità, e alla facile allegrezza del "vegetare" l'alta tristezza di un vivere eroico, che non conosce né evasioni né fughe, né pause di riposo. L'autoaffermazione non conclude, ma inizia. L'autoaffermazione non chiude la porta, ma l'apre. Se prima dell'autoaffermazione l'uomo è nella specie come individuo e soffre il destino comune della sua specie, con l'autoaffermazione, con cui il suo potere creativo gli acquista la libertà e la dignità, supera i limiti della specie e nell'opera attinge al valore assoluto dell'essere stesso che è sostanza perennemente creativa. La stessa biografia alfieriana ne è una prova. Infatti il realizzarsi della vocazione drammatica del Poeta non è che la conquista in termini creativi del suo essere, nella misura in cui può darlo un profondo impulso attuato. La biografia alfieriana non è tanto la descrizione di un'esistenza quanto il formarsi di una coscienza col rivelarsi di una potenzialità. Perciò è la storia di una lotta contro le forze che si oppongono dall'esterno e dall'interno alla realizzazione dell'essere, e che si identificano con la tirannide.
Tratto da
Fra i molti interessi artistici dell'Alfieri, quello per la poesia lirica fu uno dei più costanti e lo accompagnò ininterrottamente dalle prime incerte prove giovanili fino agli ultimi anni. L'edizione completa delle "Rime", uscita postuma nel 1804, comprende oltre 300 testi fra sonetti, epigrammi canzoni e capitoli: si tratta di uno dei più ricchi e importanti canzonieri italiani, costruito su modello di quello petrarchesco, con l'intento di tracciare il proprio ritratto interiore e di cogliere, attraverso un'analisi introspettiva spesso sconvolgente per profondità e lucidità, le fasi di una tormentata e dolorosa esperienza spirituale. Le Rime costituiscono uno dei momenti più alti della produzione alfieriana e uno strumento indispensabile per comprendere la complessa e spesso contradditoria psicologia dello scrittore: dai toni irruenti e focosi che caratterizzano la prima parte si passa progressivamente ad atteggiamenti più assorti, più meditativi, fino all'insofferenza del poeta nei confronti del mondo.
Fra gli stimoli emotivi che maggiormente sollecitano l'ispirazione del poeta, e che si ritrovano nelle tragedie, spiccano la sete di libertà, l'odio per la tirannide, l'attrazione-repulsione per la solitudine, l'aspirazione alla gloria, la concezione eroica della vita, il gusto per il paesaggio orrido e selvaggio.
Meno intense ed ispirate risultano le rime d'amore, a testimonianza dell'incapacità da parte del poeta di aprirsi a una reale esperienza di scambio con l'altro-da-sé.
Lo stile, aspro e potente, rompe definitivamente ogni legame con la secolare tradizione petrarchesca, introducendo il modello di una lingua vibrante e risentita, ricca di contrasti drammatici e di ardite forzature strutturali che sarà fondamentale punto di riferimento per le successive prove del Foscolo e per il Romanticismo italiano (Nota di Lunaria: che tratterò in uno studio a parte nei prossimi mesi)
Nella "Vita" l'Alfieri scrive "mi portai con trasporto a visitare la magica solitudine di Valchiusa; e Sorga ebbe assai delle mie lagrime, non simulate e imitative, ma veramente di cuore e caldissime [...] Partito d'Avignone, volli visitare la celebre Certosa di Grenoble, e per tutto spargendo lagrime andava raccogliendo rime non poche". Siamo, come si vede, in pieno revival petrarchesco e delle rime "non poche", come dichiara il poeta, fa parte anche il seguente sonetto che al Petrarca si ispira nel nucleo tematico e in certi movimenti ma che, proprio per questa sua derivazione, permette anche di apprezzare mediante un riscontro diretto la radicale differenza fra i due poeti. Questa sorta di turismo culturale nei luoghi che videro la presenza di uomini illustri che avrà ampia fortuna nell'Ottocento romantico, fu inaugurata in Italia proprio da Alfieri (memorabile il suo Grand Tour del 1783 che lo portò in successione a visitare le tombe di Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso) e si collega a quel culto della memoria e a quel gusto cimiteriale che si stava diffondendo in Europa attraverso il grande successo dell'Ossian e che in Italia trovò la sua massima espressione nei Sepolcri foscoliani (Nota di Lunaria: ma non solo, vedi i miei scritti precedenti https://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/06/elementi-gotici-nella-letteratura-del.html
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/06/elementi-gotici-nella-letteratura-del_8.html
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/06/elementi-gotici-nella-letteratura-del_9.html
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/06/elementi-gotici-nella-letteratura-del_19.html )
Commento a "Là dove muta solitaria dura"
Qui la figura del Petrarca non è direttamente evocata, ma "l'aura" petrarchesca, oltre che dai luoghi, è creata dalla fitta intertestualità che collega questo dell'Alfieri al celebre sonetto "Solo et pensoso i più deserti campi", scritto proprio in Valchiusa.
Là dove muta solitaria dura (1)
piacque al gran Bruno (2) instituir la vita,
a passo lento, per irta salita,
mesto vo; la mestizia è in me natura.
Ma vi si aggiunge un'amorosa cura (3)
che mi tien l'alma in pianto seppellita,
sì che non trovo io mai spiaggia romita (4)
quanto il vorrebbe la mia mente oscura (5)
Per questi orridi massi, e queste nere
selve, e i lor cupi abissi, e le sonanti
acque or mi fan con più sapor dolere (6).
Non d'intender tai gioie ogni uomo si vanti (7):
le mie angosce sol credere potran vere
gli ardenti vati (8), e gl'infelici amanti.
1) severa: allude alla severità della regola dell'Ordine
2) San Brunone, monaco tedesco fondatore dell'Ordine dei certosini
3) Un doloroso pensiero di amore; da qualche mese l'Alfieri si era dovuto separare dalla donna amata, Maria Luisa Stolberg, contessa d'Albany.
4) luogo solitario
5) la mia cupa indole
6) mi fan assaporare con maggiore intensità il mio dolore
7) non tutti possono vantarsi di comprendere una simile voluttà di pianto
8) gli appassionati poeti
La poesia si ispira ad un sonetto petrarchesco "Solo et pensoso i più deserti campi" (*):
Solo e pensoso i più deserti (1) campi
vo mesurando (2) a passi tardi e lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti (3)
ove vestigio human l'arena stampi (4).
Altro schermo (5) non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti (6);
perché ne gli atti d'alegrezza spenti (7)
di fuor si legge com'io dentro avampi (8):
sì ch'io mi credo omai che monti e piagge (9)
e fiumi e selve sappian di che tempre (10)
sia la mia vita, ch'è celata altrui.
Ma pur (11) sì apre vie né sì selvagge
cercar non so ch'Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io con lui.
(1) Evitati da tutti
(2) Misurando
(3) Attenti ad evitare
(4) Dove si mostri traccia di piede umano
(5) Riparo
(6) All'attenzione della gente
(7) Privi di ogni gioia
(8) Di amore
(9) Colline e spiagge
(10) Qualità
(11) Eppure
Si nota subito la corrispondenza del tema: anche l'Alfieri come il Petrarca, cerca nella solitudine conforto e sollievo da un amore tormentoso. Ma, al di là di questo spunto comune, affiora una netta diversità di atteggiamenti: mentre il Petrarca inserisce il suo sentimento in una dimensione sociale ("dal manifesto accorger de le genti") l'Alfieri lo chiude nel cerchio di un'assoluta soggettività ("Non d'intender tai gioie ogni uomo si vanti"), dalla quale deriva un'orgogliosa rivendicazione del proprio dolore, che è del tutto ignota al Petrarca.
Diversa è anche la sensibilità riguardo al paesaggio: mentre per il Petrarca "monti e piagge e fiumi e selve" formano un contesto autonomo in cui immergersi passivamente e quasi perdersi, per l'Alfieri "Per questi orridi massi, e queste nere selve, e i lor cupi abissi, e le sonanti acque" hanno un senso solo come riflesso e metafora della sua condizione interiore: "or mi fan con più sapor dolere"; mentre in Petrarca le caratteristiche ritmiche e fonetiche sono improntate a un andamento misurato e a una scansione amorosa, quelle dell'Alfieri sono aspre e spezzate: si confrontino le rispettive quartine iniziali: mentre nel Petrarca i versi fluiscono con regolarità, addolciti da musicali allitterazioni ("ove vestigio human l'arena stampi") l'Alfieri inizia con tre aggettivi (muta solitaria dura) seguiti subito da dissonanze ("piacque al gran Bruno instituir") per poi rompere drasticamente il ritmo inserendo, con il punto e virgola, una pausa accentuata all'interno del quarto verso (mesto vo; la mestizia è in me natura).
(*) Nota di Lunaria: ma Vittorio Alfieri nel 1786 scriverà un componimento che a me sembra riecheggiare l'espressività del Petrarca di "Solo e pensoso i più deserti campi":
Tacito orror di solitaria selva
di sì dolce tristezza il cor mi bea,
che in essa al pari di me non si ricrea
tra' figli suoi nessuna orrida belva.
E quanto addentro più il mio piè s'inselva,
tanto più calma e gioia in me si crea;
onde membrando com'io là godea,
spesso mia mente poscia si rinselva.
Non ch'io gli uomini abborra, e che in me stesso
mende non vegga, e più che in altri assai;
né ch'io mi creda al buon sentiero più appresso:
ma, non mi piacque il vil secolo mai:
e dal pesante regal giogo oppresso,
solo nei deserti tacciono i miei guai.
Non ci si dimentichi che anche la Poesia del '500 avevo cominciato a introdurre, seppur parzialmente, un certo senso di contemplazione per il paesaggio orrido e funesto. Vedi, per esempio, Luigi Tansillo:
E freddo è il fonte, e chiare e crespe ha l'onde
e molli erbe verdeggian d'ogn'intorno (1),
e 'l platano coi rami e 'l salce, e l'orno
scaccian Febo (2), che il crin talor v'asconde:
e l'aura appena le più lievi fronde
scuote; sì dolce spira al bel soggiorno [...]
(1) Dappertutto, lungo le rive
(2) Il Sole
Strane rupi, aspri monti, alte tremanti
ruine, e sassi al ciel nudi e scoperti (1),
ove a gran pena pòn (2) salir tant'erti
nuvoli in questo fosco aere fumanti;
superbo orror, tacite selve, e tanti
negri antri erbosi in rotte pietre aperti (3);
abbandonati a sterili deserti,
ov'han paura andar le belve erranti;
a guisa d'uom, che per soverchia pena
il cor triste ange (4) fuor di senno uscito,
sen va piangendo, ove il furor lo mena (5),
vo piangendo io tra voi; e se partito (6)
non cangia il ciel, con voce assai più piena
sarò di là tra le meste ombre udito (7)
(1) Senza vegetazione
(2) Possono
(3) Scavati
(4) Angoscia
(5) Lo porta
(6) E se non muta la sua decisione
(7) Defunti
"Che i campi il giorno d'ombra e d'orror cinga..."
Valli nemiche al Sol, superbe rupi che minacciate il ciel, profonde grotte, d'onde non parton mai silenzio e notte,
sepolcri aperti, pozzi orrendi e cupi,
precipitati sassi, alti dirupi,
ossa insepolte,
erbose mura e rotte d'uomini albrgo ed ora a tal condotte
che temon d'ir fra voi serpenti e lupi
erme campagne, abbandonati lidi,
ove mai voce d'uom l'aria non freme,
Ombra son io dannata a pianto eterno,
ch'a piagner vengo la mia morte
fede e spero al suon de' disperati stridi,
se non si piega il ciel, muovere l'Inferno.
Commento a "Sublime Specchio di veraci detti"
Più che per i suoi pregi poetici, il sonetto è celebre per aver costituito un archetipo a cui si ispirò, in modo quasi letterale, il Foscolo per il suo "Sopra il ritratto di se stesso". Tuttavia, dal registro formale faticoso nel ritmo ("sottil persona in su due stinchi stretti"), emergono alcuni versi notevoli per intensità e bellezza, come l'ottavo ("pallido in volto, più che un re sul trono") o l'ultimo ("uom, se' tu grande, o vil? Muori, e il saprai")
Oltre che per la solennità della scansione ritmica e per la nobiltà delle immagini, questi due luoghi del sonetto spiccano per le loro capacità di condensare in una efficacissima sintesi due momenti fondamentali dell'ispirazione alfieriana, cioè la riflessione sul potere e quella sulla morte.
La grandiosa figura del pallido sovrano assiso in trono riceve un rilievo ancora più inquietante dal procedimento di autoidentificazione operato dal poeta, avvalorando quell'ipotesi critica che ravvisi nel tiranno, personaggio centrale del teatro alfieriano, una proiezione dell'autore stesso.
Il verso conclusivo rimanda al fondamentale tema della morte come momento supremo in cui l'uomo si rivela a se stesso: la struttura dell'endecasillabo, di accentuata drammaticità, rinvia direttamente all'Alfieri tragico e alla forma scolpita e squillante che caratterizza il suo linguaggio teatrale.
Sublime specchio di veraci detti (1)
mostrami in corpo e in anima qual sono:
capelli or radi in fronte, or rossi pretti (2)
lunga statura, a capo e terra prono (3)
sottil persona in su due stinchi schietti (4)
bianca pelle, occhi azzurri, aspetto buono;
giusto nasto, bel labro e denti eletti (5)
pallido in volto, più che un re sul trono:
or duro, acerbo (6), ora pieghevol (7), mite;
irato sempre, e non maligno mai;
la mente e il cor meco in perpetua lite:
per lo più mesto, e talor lieto assai,
or stimandomi Achille ed or Tersite (8):
uomo, se' tu grande, o vil? Muori, e il saprai (9)
1) il poeta si rivolge direttamente alla sua composizioni
2) rossi del tutto
3) chino
4) gambe agili e snelle
5) ben formati
6) aspro, crudele
7) docile
8) sentendomi ora eroico come Achille, ora vile come Tersite; Tersite nell'Iliade è presentato come il più brutto e vile tra i Greci
9) dal modo in cui saprai affrontare la morte, conoscerai se sei grande o vile
Commento a "Tacito orror di solitaria selva"
Il paesaggio cupo e solitario che domina la prima parte del sonetto è quello che l'Alfieri osservò nelle foreste dell'Alsazia dove si era recato, nell'agosto del 1786, per raggiungere la contessa d'Albany. Il sonetto si dedica in maniera ossessiva alla contemplazione dell'io e del suo titanico scontro col mondo: un'altra dimostrazione dell'egocentrismo alfieriano, della sua necessità di porsi come punto focale di un sistema in cui le uniche relazioni previste sono quelle conflittuali e l'unico sollievo possibile è quello della solitudine. Solo trent'anni prima, Paolo Rolli, poeta dell'Arcadia, aveva affrontato lo stesso tema in "Solitario bosco ombroso" (*), ai cui movimenti iniziali si richiama il sonetto alfieriano; il confronto rivela quale incolmabile distanza separi ormai l'esile malinconia dell'arcade, pateticamente afflitto dalla solitudine, dalla tempestosa e orgogliosa rivendicazione alfieriana, che la solitudine ricerca come unico conforto. Anche il lessico fitto di arcaismi o neologismi è funzionale a sottolineare che la solitudine, da manifestazione di umiltà e rinuncia ascetica si trasforma in orgogliosa e sprezzante rivendicazione di separatezza.
Si tenga presente che l'Alfieri, nelle conclusioni a "Della Tirannide" (1777) affermava che le uniche alternative alla tirannide erano o la solitudine, o il tirannicidio o il suicidio.
Tacito orror (1) di solitaria selva
di sì dolce tristezza il cor mi bea,
che in essa al par di me non si ricrea
tra' figli suoi nessuna orrida belva. (2)
E quanto addentro più il mio piè s'inselva, (3)
tanto più calma e gioia in me si crea;
onde membrando (4) com'io là godea, (5)
spesso mia mente poscia si rinselva. (6)
Non ch'io gli uomini abborra (7), e che in me stesso
mende (8) non vegga, e più che in altri assai;
né ch'io mi creda al buon sentier più appresso: (9)
ma, non mi piacque il vil mio secolo mai:
e dal pesante regal giogo oppresso, (10)
sol nei deserti tacciono i miei guai. (11)
(1) cupa oscurità
(2) che in essa nessuna belva, ritrovandosi insieme ai suoi simili, può trovare un conforto pari al mio
(3) si addentra nell'oscurità della foresta
(4) rammentando
(5) quale sensazione di pace provavo là
(6) la mia mente torna col desiderio a immergersi in quella selva
(7) abbia in odio
(8) difetti
(9) più vicino degli altri alla giusta via
(10) e trovandomi oppresso dalla pesante tirannide dei sovrani
(11) provo sollievo dalle mie sofferenze
(*) Paolo Rolli: "Solitario bosco ombroso, a te viene afflitto cor
per trovare qualche riposo fra i silenzi in quest'orror... ho perduto la mia pace, son io stesso in odio a me."
Qui di seguito, i miei versi preferiti
"Ah! Tu non odi il sospirar profondo" (1778)
Ogni dolore del poeta si dilegua all'apparir della donna amata. Perciò ella non saprà mai la sua sofferenza.
Ah! Tu non odi il sospirar profondo, (1)
il parlar rotto, i flebili lamenti,
onde avviemmi che in vano al core io tenti
scemare in parte di sue doglie il pondo! (2)
Ma tu non vedi, allor ch'io 'l petto inondo
di duo rivi (3) perenni al suol cadenti.
Oh, se mai mi vedessi!... E con quai stenti
questo fero (4) mio stato a ogni uom nascondo!
Ciò tu non sai; che il Sole almo (5) dal cielo
non sa che iniqua nebbia i fiori adugge, (6)
cui vede alteri ognora in loro stelo,
così il martìr, che me consuma e strugge,
nol sai (7), se in meste rime io nol rivelo;
che al tuo apparire ogni mio duol sen fugge.
(1) Vaccalluzzo ha definito "questo verso bellissimo, di forza e di espressione alfieriana"
(2) con cui tento inutilmente di alleggerire in parte il peso (pondo) del suo dolore
(3) fiumi, ovvero lacrime
(4) atroce, crudele
(5) che dà vita
(6) mortifica
(7) non lo
"Te chiamo a nome il dì ben mille volte" (1783)
La donna amata è lontana e il poeta si sente morire dalla disperazione. E preferirebbe giacere sottoterra con lei in un'unica tomba che continuare a vivere una vita priva di senso e di piacere.
Te chiamo a nome il dì ben mille volte;
ed in tua vece, Morte a me risponde:
morte, che me di là dalle triste onde (1)
di stige appella (2), in guise orride e molte. (3)
Cerco talor sotto le arcate volte
d'antico tempio, ove d'avelli abbonde, (4)
se alcun par d'alti amanti un sasso asconde, (5)
e tosto ivi entro le luci ho sepolte: (6)
sforzato poi da immenso duolo, (7) io grido:
felici, o voi, cui breve spazio serra, (8)
cui più non toglie pace il mondo infido!
è vita questa, che in continua guerra (9)
meniam disgiunti, (10) d'uno in altro lido? (11)
Meglio indivisi fia (12) giacer sotterra.
(1) cupe e maligne, da "tristo"
(2) mi chiama la palude dell'inferno; qui sta per "oltretomba"
(3) in molti orribili modi. In quest'anno (1783) il poeta fu tentato dal suicidio
(4) dove si trovano molte tombe
(5) se un'unica pietra tombale celi una coppia di amanti famosi. Delicatissimo quel "asconde" che sembra avvolgere di un'atmosfera di pudore la coppia degli amanti.
(6) e appena le scorgo vi figgo dentro gli occhi
(7) dolore
(8) l'angusta cavità del sarcofago chiude
(9) travaglio
(10) la lontananza della Donna amata toglie ogni senso e piacere alla sua vita e gli acuisce il senso della morte
(11) vagabondaggio da una terra all'altra
(12) sarà
In una lettera del 1785 Alfieri aveva scritto: "[...] e poi piango, e poi leggo il Petrarca che ho sempre in tasca, penso alla Donna mia, e rimpiango, e così tiro innanzi e desidero la morte e mi spiace di non aver ragioni per darmela; e in quel mezzo stato dolente e non disperato, ho l'anima morta e il cuore sepolto e non riconosco me stesso"
Te chiamo a nome il dì ben mille volte;
ed in tua vece, Morte a me risponde:
Morte, che me di là dalla triste onde
di Stige appella, in guise orride e molte.
Cerco talor sotto le arcate volte
d'antico tempio, ove d'avelli abbonde,
se alcun par d'alti amanti un sasso asconde,
e tosto ivi entro le luci ho sepolte.
Che l'Alfieri fosse tormentato dalla lontananza dalla donna amata è presente anche nel sonetto "Tante, sì spesse, sì lunghe, sì orribili" dove il poeta paragona le pene d'amore a un serpente velenoso che gli avvelena e squarcia il cuore e come se non bastasse, è ossessionato da allucinate immagini di morte:
Tante, sì spesse, sì lunghe, sì orribili
percosse or dammi iniquamente Amore,
che i mie' martìri ormai fatti insoffribili
mi van traendo appien del senno fuore. (1)
Or (cieca scorta) odo il mio sol furore;
e d'un pestifero angue (2) ascolto i sibili,
che mi addenta, e mi attosca (3) e squarcia il cuore.
In modi mille, oltre ogni dir terribili:
or tra ferri e veleni, e avelli ed ombre,
la negra fantasìa piena di sangue
le vie tutte di morte hammi disgombre: (4)
or piango, e strido; (5) indi, qual corpo esangue,
giaccio immobile; un velo atro (6) m'ha ingombre
le luci; e sto, qual chi morendo langue.
(1) i suoi tormenti sono così atroci che si sente impazzire; "fuore" significa "fuori dal senno"
(2) serpente
(3) mi avvelena (tosco è il veleno)
(4) mi ha sgomberate: la sua immaginazione gli suggerisce tutte le forme possibili di morte, assillandolo con le più lugubri ubbie.
(5) la lontananza dalla donna amata lo fa sentire una belva ferita, come ben dice il verbo "stridere"
(6) un velo nero mi copre gli occhi.
Bieca, O Morte, minacci? e in atto orrenda,(1)
l'adunca falce a me brandisci innante?
Vibrala, su: me non vedrai tremante
pregarti mai, che il gran colpo sospenda.
Nascer, sì, nascer chiamo aspra vicenda,(2)
non già il morire, ond'io d'angosce tante (3)
scevro rimango; (4) e un solo breve istante
de' miei servi natali (5) il fallo ammenda.
Morte, a troncar l'obbrobriosa vita,
che in ceppi io traggo, io di servir non degno,
che indugi ormai, se il tuo indugiar m'irrita?
Sottrammi ai re, cui solo dà orgoglio e regno
viltà dei più, ch'a inferocir gli'invita,
e a prevenir dei pochi il tardo sdegno. (6)
(1778)
1) In atto orrenda = con aspetto terribile
2) Chiamo aspra vicenda = considero la vita come una fatica sfiancante, dura, insopportabile
3) Angosce tante = tutte le angosce e le fobie che provoca l'idea della morte
4) Scevro rimango = resto immune, privo
5) Servi natali = corregge l'errore di essere nato in tempi servili
6) A prevenir = a impedire che si manifesti, incarcerandoli o uccidendoli.
***
Le pene mie lunghissime son tante,
ch'io non potria giammai dirtele appieno.
D'atri pensieri (1) irrequieto pieno,
neppure io'l so, dove fermar mie piante.(2)
Misera vita strascino ed errante;
dov'io non son, quello il miglior terreno
parmi;(3) e quel ch'io non spiro, aere (4) sereno
sol chiamo; e il bene ognor mi caccio innante (5):
s'anco incontro un piacer semplice e puro,
un lieto colle, un praticello, un fonte,
dolor ne traggo e pensamento oscuro.
Meco non sei (6): tutte mie angosce conte (7)
son da quest'urna; ed a narrarti il duro
mio stato, sol mie lagrime son pronte.
(1784)
1) D'atri pensieri = di pensieri oscuri
2) Fermar mie piante = arrestarmi, fermarmi, sostare
3) Parmi = mi pare
4) Aere = cielo
5) E il bene ognor mi caccio innante = e ripongo sempre nel futuro (innante) la felicità (il bene)
6) Meco non sei = non sei con me. Alfieri si rivolge alla Contessa di Albany, che è lontana da lui.
7) Conte = conosciute, spiegate
***
Solo, fra i mesti miei pensieri, in riva
al mar là dove il tosco fiume ha foce, (1)
con Fido il mio destrier pian piano men giva;
e muggìan l'onde irate in suon feroce.
Quell'ermo lido, e il gran fragor mi empiva
il cuor (cui fiamma inestinguibil cuoce)
d'alta malinconia; (2) ma grata, e priva
di quel suo pianger, che pur tanto nuoce.
Dolce oblio di mie pene e di me stesso
nella pacata fantasia piovea; (3)
e senza affanno sospirava (4) io spesso:
quella, ch'io sempre bramo, anco parea
cavalcando venirne a me dappresso...
Nullo error mai felice al par mia fea. (5)
(1785)
1) In riva al mar là dove il tosco fiume ha foce = dove sfocia l'Arno, a Marina di Pisa.
2) D'alta malinconia = una malinconia pesante, opprimente.
3) "Piovea" per "Pioveva"
4) "Sospirava" per "io sospiravo"
5) Nullo error mai felice al par mia fea = nessun altro errore della mia vita mi ha mai reso così felice, dopo che l'immaginazione mi ha fatto vedere la donna amata che sembrava cavalcare verso di me.
Mirra: E me pur fai rabbrividire, inorridir. Che osasti? Nullo omai de' celesti, e men la Diva terribil nostra, è da invocar per Mirra. Abbandonata io son dai Numi; aperto è il mio petto all'Erinni; esse v'han sole possanza, e seggio. Ah! Se riman pur l'ombra di pietà vera in te, fida Euriclèa, tu sola il puoi, trammi d'angoscia: è lento, è lento troppo, ancor che immenso, il duolo.
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Mirra: Non tremo... parmi...od almen, non tremerò più ormai, poichè ad udirmi or sì pietosi state. L'unica vostra, e troppo amata figlia son io, ben so. Goder d'ogni mia gioia, e v'attristar d'ogni mio duol vi veggo; ciò stesso il duol mi accresce. Oltre i confini del natural dolore il mio trascorre; invan lo ascondo; e a voi vorrei pur dirlo... ove il sapessi io stessa.
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Or me compiango, or me stessa abborrisco; e pianto, e rabbia,
e pianto ancor... è la vicenda questa, incessante, insoffribile, feroce, in cui miei giorni infelici trapasso. Ma che?... voi pur dell'orrendo mio stato piangete? ...Oh madre amata!...entro il tuo seno ch'io, suggendo tue lagrime, conceda un breve sfogo anco alle mie!...
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Ciniro: Oh figlia!...
Cecri: Oh parole!... Oh dolor!...Deh! Tu sei padre; padre tu sei... perchè innasprirla?...Or forse non è abbastanza misera?...Ben vedi, mal di sé stessa è donna; ad ogni istante fuor di sé stessa è dal dolore...
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Ciniro: Oh stato! ...A sì terribil vista non reggo...Ah! Sì, padre pur troppo io sono: e di tutti il più misero... Mi sforza già, più che l'ira, or la pietà. Mi traggo a pianger solo altrove. Ah! Voi sovr'essa vegliate intanto. In sé tornata, in breve, ella udrà poscia favellarle il padre.
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Mirra: uscito è il padre? ... Ei dunque, ei, di uccidermi niega? Deh! Pietosa dammi tu, madre, un ferro (1); ah! Sì; se l'ombra pur ti riman per me d'amore, un ferro, senza indugiar, dammi tu stessa. Io sono in senno appieno; e ciò ch'io dico, e chieggo, so quanto importi: al senno mio, deh! credi; n'è tempo ancor: ti pentirai, ma indarno, del non mi aver d'un ferro oggi soccorsa.
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Mirra: Tu vegliare al mio vivere? Ch'io deggia, ad ogni istante, io rimirarti? Innanzi agli occhi miei tu sempre? Ah! Pria sepolti voglio in tenebre eterne gli occhi miei:
con queste man mie stesse, io stessa pria
me li vo' sverre,(2) io, dalla fronte...
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Mirra: Tu prima, tu sola. tu sempiterna cagione funesta d'ogni miseria mia...
Cecri: Che parli? ... Oh figlia!... Io la cagion? ... Ma già il tuo pianto a rivi....
Mirra: Deh! perdonarmi; deh! ... Non io favello;
una incognita forza in me favella... Madre, ah! Troppo tu m'ami, ed io...
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Mirra: - O Morte, Morte, cui tanto invoco, al mio dolor tu sorda sempre sarai?
(1) Spada
(2) Strappare, svellere.
Per il Saul, vedi: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/08/il-saul-di-vittorio-alfieri-lemergere.html
Poesia inedita di Vittorio Alfieri: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2022/06/vittorio-alfieri-una-poesia-inedita.html
Vedi anche:
1) La Tomba: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/01/la-tomba-di-vittorio-alfieri.html
2) Commento alla Vita, Tirannide e Tragedie http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/07/vittorio-alfieri-vita-e-commento-alla.html
3) Commento al "Filippo": http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/07/vittorio-alfieri-commento-al-filippo.html
4) Merope: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/11/il-sangue-e-la-vendetta-i-versi-piu.html
5) Maria Stuarda: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/11/le-pagine-piu-belle-della-maria-stuarda.html
6) Congiura de' Pazzi: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2018/01/la-congiura-de-pazzi-di-alfieri-i-versi.html
7) Don Garzia: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2018/01/don-garzia-di-vittorio-alfieri-le.html
Mirra: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2018/02/mirra-di-vittorio-alfieri-i-versi-piu.html