Breve introduzione alla pittura di Poussin

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Da ragazzo, Nicolas Poussin passava gran parte del tempo a disegnare ovunque, con gran disappunto dei genitori.
Finalmente, qualcuno si accorse del talento del ragazzo: lo scopritore fu Quentin Varin, un pittore abbastanza noto a Les Andelys, il paese normanno dove Poussin era nato nel 1594. 
Fu Andelys a dare i primi insegnamenti al giovane Poussin, che sogna di recarsi a Roma. Un giorno vede alcune incisioni tratte da opere di Raffaello: saranno una rivelazione per Poussin, che decide di mettersi in viaggio per Roma.
Purtroppo, non vedrà Roma, dovendo fermarsi a Firenze, in seguito ad un malore.
Riuscì a recarsi a Roma tramite l'intercessione di Marino, a quel tempo il poeta italiano più rinomato, che la Regina di Francia ha invitato a corte.
è il 1624 e Poussin, con l'aiuto di Marino, si ritrova a Roma, alloggiato in un'abitazione sul Pincio, dove ammira il panorama incantevole.

Tra i quadri storici di Poussin, sono famosi quelli che vengono chiamati i due Focioni: hanno per protagonista Focione, un generale ateniese, il quale, dopo che la Grecia fu conquistata dalla Macedonia, fu accusato dai suoi concittadini di tradimento e condannato a bere la cicuta.
Contrariamente a quello che ci si potrebbe aspettare, nel dipinto "La moglie di Focione raccoglie le ceneri del marito", non vi è nulla di drammatico, ma il paesaggio è ampio, verde, pieno di calma e serenità: un angolo dell'antica Grecia come Poussin lo immaginava nella sua fantasia.


Roma è per Poussin una fonte inesauribile di ispirazione, e il pittore può studiare i capolavori degli artisti che lo hanno preceduto.
Si sente portato per la pittura di paesaggi e di antichi eroi.
In questo periodo, molti clienti e mercanti d'arte chiedono a Poussin diversi quadri (come "I trionfi di Bacco, di Pan e di Galatea") e invitato a Parigi dal duca di Richelieu, Poussin declina l'invito: non vuole allontanarsi da Roma.
Sarà un diplomatico francese, mandato da Richelieu, a condurre Poussin a Parigi, dove i suoi quadri gli hanno donato fama, tanto che Poussin è stato soprannominato il Raffaello dei Francesi.
Ma il pittore torna a Roma dopo due anni, e da lì continuerà a spedire in Francia i quadri richiesi: soggetti sacri, scene di storia antica e mitologica, sempre con stupendi paesaggi sullo sfondo.
Le sue ultime opere, prima del declino causato da una paralisi, sono le "Quattro stagioni" eseguite per il duca di Richelieu. 
Poussin muore nel 1665.

Tutta l'opera di Poussin rivela la tensione dell'artista verso un ideale classico inteso in senso etico-formale ma anche morale.
Il suo tema preferito è la Storia, con le favole antiche, e nella sua più celebre opera l'ampio paesaggio è il luogo in cui Natura e Storia si mescolano in un'unica costruzione dove tutto è calcolato, ricondotto ad un'organizzazione superiore, la sensibilità guidata dalla ragione.


La sorte tragica di Orfeo ed Euridice vuole ammonire che l'amore è sventura e che l'Arte e la Bellezza nascono dalla sofferenza, ma la tragedia della coppia si stempera in un panorama sereno e luminoso, disposto intorno ad una distesa di acqua tranquilla.
Il dramma che divide i due amanti del mito greco è ambientato in una cornice romana, come si evince dalla presenza di Castel Sant'Angelo. 




La fantasia dell'artista riesce a rendere plausibile, facile, naturale un accostamento di singoli elementi, per ricordarci che la storia ha in sé un significato che persiste in ogni tempo e luogo.
Mentre Lorrain cercava l'ideale classico nella Natura, Poussin lo cercava nella Storia.




Altri dipinti di Lorrain







Vedi anche:





''Il Romanzo della Foresta''


Una carrozza lanciata a tutta velocità nella notte termina la sua corsa tra le rovine di un'antica abbazia nel sud della Francia, nel folto di una foresta, dove un inconsueto gruppo di fuggitivi trova finalmente riparo. Pierre e Constance De la Motte, nobili decaduti, si nascondono dalla legge e dai creditori; la giovane Adeline, la loro misteriosa protetta, si è unita ai De la Motte lungo la strada, consegnata da un manipolo di banditi. Il sollievo per il nuovo rifugio dura fino al giorno in cui il proprietario di quei boschi, l'ambiguo marchese di Montalt, mette gli occhi sulla ragazza.
Tra la scoperta di sinistre reliquie del passato, incubi ossessivi e l'eco di un crimine commesso tra le mura dell'abbazia, Adeline comincerà a credere che il suo protettore sia coinvolto nei piani del marchese.

"Il Romanzo della Foresta" di Ann Radcliffe (*) apparve con clamore nel 1791 e diventò il libro con cui i grandi del XIX secolo dovettero confrontarsi: fu d'ispirazione per Jane Austen, John Keats, Mary Shelley, Honore de Balzac, E. A. Poe, Charles Dickens e Wilkie Collins.
Un romanzo pioniere del genere gotico. 

(*) Della vita di Ann Radcliffe (1764-1823) si sa pochissimo; la poetessa Christina Rossetti che voleva scrivere una biografia su Ann Radcliffe, dovette rinunciarvi per carenza di informazioni.
Si sa che nacque a Londra il 9 luglio 1764, figlia di un merciaio\negoziante di tessuti, William Ward.
Nel 1772 frequentò la scuola gestita da Sophia Lee, autrice del romanzo pseudogotico "The Recess" (1783) Un'altra Autrice molto importante fu Charlotte Dacre: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/10/zofloya-di-charlotte-dacre.html
Nel 1787 sposò William Radcliffe, un giornalista parlamentare.
La coppia non ebbe figli ma fu un matrimonio felice.

Gli stralci più belli:

"La strada, se di strada si poteva parlare, trattandosi di un sentiero nell'erba, era talvolta ricoperta dalla fitta vegetazione e talvolta oscurata da profonde ombre. Peter alla fine si fermò incerto sulla direzione da prendere. La Motte, che tremava all'idea di dover pernottare in un luogo così selvaggio e solitario come quella foresta, e che aveva una gran paura dei banditi, gli ordinò di procedere comunque (...) Il sole era ormai calato, ma quando La Motte guardò ansiosamente dal finestrino vide, verso Ovest, nel vivido bagliore dell'orizzonte, alcune scure torri che si levavano tra gli alberi a poca distanza, e ordinò a Peter di dirigersi lì.
"Se appartengono ad un monastero potremo probabilmente ottenere rifugio per la notte."
La carrozza procedette all'ombra di "rami tristi" attraverso i quali il crepuscolo serale che colorava l'atmosfera diffondeva una solennità che vibrava con sensazioni eccitanti nei cuori dei viaggiatori. L'attesa li rendeva silenziosi.
La scena richiamava alla mente di Adeline gli ultimi terrificanti eventi, e la sua mente già presagiva nuove sventure.
La Motte scese ai piedi di un poggio erboso, dove gli alberi, aprendosi alla luce, permettevano una veduta più ravvicinata, anche se incompleta, dell'edificio."

"Come queste antiche torri e vuote corti
gelano l'animo sospeso! Finché l'attesa
indossa il volto della paura: e la paura, quasi pronta
a diventare preghiera, mormora una sorta
di orazione mentale, non sa per quale ragione,
Che cose strane sono le circostanze!" (Horace Walpole)

"La Motte si avvicinò e vide i resti gotici di un'abbazia: si ergeva su un prato incolto, ombreggiato da alberi alti e dalla folta chioma che sembravano della stessa epoca dell'edificio e diffondevano una romantica oscurità tutt'intorno. La maggior parte della costruzione stava cadendo in rovina, e ciò che aveva resistito alle ingiurie del tempo rendeva ancora più evidente il degrado del resto della struttura. Gli alti bastioni, ricoperti fittamente di edera, erano franati in parte, diventando il rifugio di uccelli rapaci. Enormi frammenti della torre orientale, quasi tutta crollata, giacevano sparsi nell'erba alta, che si muoveva lentamente nella brezza."

"Il cardo scuoteva la sua testa solitaria; il muschio fischiava al vento." (James MacPherson)

"Un cancello gotico rimasto intero e riccamente ornato da trafori si apriva sul corpo principale dell'edificio, che era invaso dal sottobosco.
Al di sopra del vasto e magnifico portale di questo cancello sorgeva una finestra dello stesso stile, i cui archi a sesto acuto esibivano ancora frammenti di cristallo colorato, orgoglio un tempo della devozione dei monaci.
La Motte (...) entrò in quella che sembrava essere stata la cappella dell'abbazia, dove una volta si levavano inni di devozione ed erano state versate lacrime di penitenza: suoni che ora potevano essere richiamati in vita solo dalla mente, lacrime di penitenza che erano state da lungo tempo congelate dal destino.
La Motte si fermò un momento, poiché sentiva una sensazione di maestosità che sfociava in terrore: stupore e timore reverenziale insieme.
(...) La sempre più intensa oscurità ricordò a La Motte che non aveva tempo da perdere, ma la curiosità lo spingeva a esplorare ulteriormente il luogo, e cedette all'impulso.
Mentre camminava sulla pavimentazione sconnessa, i suoni dei suoi passi riecheggiavano nell'ambiente circostante ed evocavano misteriosi accenti di riprovazione dei morti per il sacrilegio mortale che osava disturbare il loro riposo. (...) Gli sprazzi di luce che illuminavano a tratti la struttura rendevano la sua desolazione ancora più solenne, mentre l'oscurità di gran parte dell'edificio aumentava la sua maestosità e spingeva la fantasia a immaginare scene di orrore."

"Tra le varie cose si vociferava anche che strane apparizioni erano state osservate nell'abbazia e che si erano sentiti rumori insoliti; sebbene le persone più assennate avessero messo in ridicolo quei racconti come infondate superstizioni degli ignoranti, si erano inculcati così bene nella mente del popolino che negli ultimi diciassette anni nessuno dei contadini aveva più osato avvicinarsi. L'abbazia era stata quindi abbandonata alla decadenza."

"La Motte si mosse nella sua direzione e, mentre passava, guardò nella nicchia. C'era un grande baule: si avvicinò per esaminarlo e sollevandone il coperchio vide i resti di uno scheletro umano. Ebbe un moto di orrore, ritraendosi involontariamente (...) Rimase immobile a fissare lo scheletro, che sembrava confermare il racconto secondo il quale qualcuno era stato ucciso in passato nell'abbazia."

"Percorse comunque la strada davanti a lui, che lo condusse nella zona della foresta più oscura che avesse mai visto: il sentiero terminò in un buio recesso, sovrastato da alti alberi, i cui rami intrecciati impedivano l'accesso ai raggi del sole e ammettevano solo una sorta di misterioso crepuscolo. Louis si guardò intorno alla ricerca di La Motte, ma non lo vide da nessuna parte. Mentre esaminava il luogo e rifletteva sul da farsi, si accorse, nell'oscurità, di un oggetto a qualche distanza, ma la fitta ombra gli impedì di distinguere che cosa fosse. Avanzando, vide le rovine di una piccola costruzione che, da quanto ne restava, sembrava essere stata un sepolcro."

"Mentre il sole calava, l'oscurità avanzava in silenzio, e il paesaggio assumeva un aspetto di solenne grandezza. Riflettendo, si ricordò e recitò la poesia seguente:

Notte

Ora la Sera svanisce! Il suo pensoso passo si ritira,
e la Notte porta la rugiada e le ore d'ombra;
il suo maestoso sfoggio di fuochi celesti,
e tutto il suo corteo di poteri visionari.

Questi dipingono con forme fugaci il sogno del sonno,
questi gonfiano l'anima vigile con piacevole terrore;
questi attraversano le tenebre in forme terrificanti,
e risvegliano gli orrori impressionanti della morte!

Regina del solenne pensiero - Notte misteriosa!
Il cui passo è l'oscurità e la cui voce è paura!
Le tue ombre accolgo con estremo piacere,
e saluto le tue cupe brezze, quel sospiro così triste!

Quando, avvolta nelle nuvole e cavalcando nella bufera,
tu fai rotolare la tempesta lungo la riva,
amo guardare i flutti sbuffanti frangersi
sulle rocce sottostanti, e ascoltarne il ruggito.

I tuoi terrori più miti, Notte, io amo corteggiare,
i tuoi silenziosi lampi e il bagliore della tua meteora,
i tuoi fuochi settentrionali, brillanti di tonalità insanguinate,
che illuminano nell'alta volta del cielo l'aria ardente.

[...]

Lasciami stare nelle tenebre profonde
su selvaggi pendii boscosi, e sentire la brezza
che si gonfia in triste melodia tutt'intorno,
e muore debolmente sugli alberi lontani.

[...]

"Con cuore palpitante Adeline cercò il sentiero che le era stato mostrato da Peter e che portava alla tomba; trovatolo, lo percorse, triste e spaventata. Trasaliva ad ogni stormir di fronte e ad ogni battito d'ali di pipistrello che volteggiavano nel crepuscolo. Guardando indietro verso l'abbazia, le parve di distinguere, nell'oscurità sempre più profonda, figure di uomini. (...) Il terrore l'arrestò per qualche minuto: proseguire significava finire nelle mani del marchese: tornare indietro cadere in potere di La Motte."


Vedi anche: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2019/05/lincipit-di-romanzo-siciliano-di-ann.html

L'Influsso della Luna

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"Una rete complessa di simboli e di corrispondenze mitiche ha segnato, dallo sboccio primordiale dell'intelligenza umana, la presenza della Luna nel cosmo. Ancor prima del tempo astronomico l'umanità si è servita del tempo concreto misurato sulla fasi della Luna..."
Così uno scienziato enuncia il rapporto della mistica lunare con il progredire dei tempi: "Da millenni l'uomo sa che la Luna influisce su tutte le cose terrene. Fino al diciottesimo secolo essa era considerata l'inizio e la fine di tutto. Nel secolo scorso gli scienziati l'hanno privata di questo suo misterioso potere. Ai giorni nostri i veicoli spaziali le hanno restituito parte del suo prestigio."
Come poteva non suscitare il più grande interesse negli abitanti della Terra, fin dalle ere primordiali, questo fra i corpi celesti il più vicino a noi, satellite unico del nostro globo e che risplende per luce riflessa del Sole?
Le notevoli apparenza che essa presente, già note prima dei viaggi spaziali, il suo rapido moto fra le stelle, le maree... "La coscienza arcaica dell'umanità ha costruito, per intuizione e per esperienza, e via via li ha perfezionati, i simboli e i valori basati sull'osservazione delle fasi lunari, derivandone omologie con la realtà assoluta, con il Sacro, da cui si sono originati miti cosmici, rituali e concezioni religiose."
L'astro che dopo il sole ha maggiormente eccitato l'ammirazione dell'uomo fino dai suoi primordi e lo ha indotto, dove prima e dove dopo adorazione, è la Luna: "è il luminare della notte che, mentre alterna la sua ammirazione con quella del Sole, oscura lo splendore degli altri astri nel cielo. Anzi talora il suo culto ha superato quello del Sole medesimo, in specie nei paesi molto caldi, dove in estate, al giorno arso dal calore solare si preferisce la notte, rischiarata dalla mite luce lunare, per lavorare e per viaggiare."
Chiaro di Luna! è tutto un mondo diverso in cui si trasforma il giorno passando nella notte; è il mondo dei sogni, del dolce e del lugubre, dei chiaroscuri e delle ombre...
"La luce riflessa della Luna ci appare azzurrina con toni violetti, che contraddicono la realtà: artisti e poeti hanno visto la Luna con la imperfezione dell'occhio umano che è più sensibile alle radiazioni violette e assai meno a quelle rosse dello spettro solare"
Il discorso della luna ce l'abbiamo sempre sulla bocca: nel ritmo nictemerico, nel cielo sereno o coperto, nel volgere delle stagioni, nell'umore della gente e degli animali; cui si può aggiungere anche quello delle basse pressioni nella vita economica e finanziaria.
"Con quij ciar de lunna che ghemm..." dicono abitualmente i buoni ambrosiani: oggigiorno poi ne hanno più di un motivo. I gusti sono assai diversi: chi ama il chiaro di luna come gli innamorati (i quali magari vanno a scegliere una panchina dove non c'è) e chi lo fugge torbido e guardingo come il ladro scassinatore che si muove nell'ombre ("e uscir dal teschio dove fuggia la luna l'upupa..." Foscolo https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/01/ugo-foscolo-due-lettere.html
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2013/05/dei-sepolcri-i.html)
Sempre in primo piano la Luna nel Romanticismo dell'audace scuola boreale, e anche nel nostro, ma più composto e temperato dalla mitologia solare greco-latina; la notte lunare, col suo complesso armamentario di oscure selve, di fatali castelli, di lemuri, di streghe, mal si confacevano al nostro clima e alla nostra natura.

LA MELANCOLIA LUNARE

Il folklore ha trovato nella Luna un campo smisurato di credenze, di riti, di costumi, di superstizioni.
Nelle macchie lunari il popolo ravvisa ancora oggi figure animali (lepre o coniglio, volpe o ranocchio) (1) Chi ci vede le figure di Adamo ed Eva, di Caino o della Madonna (2). Prevale la dimostrazione di rivalità fra la Luna e il Sole. Secondo Plinio la Luna eserciterebbe il suo influsso in due modi: avvicinandosi riempirebbe la terra e i corpi, ed allontanandosi li svuoterebbe.
"D'onde le varie precauzini prese da pastori, contadini, massaie: fare a Luna crescente tutto ciò che deve crescere e prosperare, come seminagioni, piantagioni; a Luna calante tutto ciò che deve morire o essere distrutto" (3)
In sostanza, la Luna incide anche sui temperamenti e sui caratteri, così come sul ciclo femminile (4) e le capacità riproduttive dell'uomo.
Sono fenomeni impalpabili; c'è scetticismo sull'influsso lunare: da tempi immemorabili la Luna è stata considerata ora angelo benefico, ora capro espiatorio; ancora oggi l'uomo comune, privo di nozione sui meccanismi celesti, associa ai cicli lunari i fenomeni di cui è spettatore: il lugubre ululato dei lupi, la folla di roditori che corrono in moltitudine a gettarsi nel mare dall'alto della scogliera, le piante che invece di volgersi verso il sole si ripiegano su se stesse dalla parte opposta, i casi di follia…

Il "Mal di Luna"! Forma di grave melancolia che, secondo le credenze, in certi luoghi operava, in chi ne era affetto, delle vere e proprie metamorfosi; un delirio per il quale il malato si credeva trasformato in lupo mannaro.
Questi disgraziati, spinti dalla loro insania, nelle notti di luna piena fuggivano nei boschi, ove perivano d'inedia o venivano uccisi da contadini superstiziosi. Si credette di stabilire che il male toccava coloro che erano nati nella notte di san Paolo o dell'Annunziata o in quella di Natale a mezzanotte in punto.
Dicevamo che coloro che credono nell'influsso della Luna sono in maggioranza: non è una scienza sperimentale che li guida, ma una ragione di intuito, uno spirito di osservazione; le leggende, le abitudini, le tradizioni di cui essi sono convinti sono caratterizzate da una "fatalità che si è cercato di codificare per prevenirla nelle sue manifestazioni più evidenti e rimanerne immunizzati ricavandone piuttosto dei vantaggi."
E veniamo finalmente alle tredici lunazioni in cui si divide il calendario lunare: tredici ve ne sono sui dodici mesi di un anno, che gli antichi facevano iniziare dalla primavera, e dalla prima di esse, Ippocrate, il famoso medico greco del IV secolo a.c faceva dipendere il ritmo della vita e della salute dagli umori di ogni cosa vivente, uomini, animali, piante... Si risveglia la vita e si dice che la luna spinga la linfa, accelerando il ritmo vitale...
Ma c'è di più: un proverbio lombardo così suona: "Quand la lunna la va col mes, fan el frut perfina i sces"; ossia crescono i frutti sulle siepi, i raccolti saranno più pingui, allorché la lunazione coincide pienamente con la mesata cui si riferisce. Proprio così come in qualcuno di questi ultimi anni che abbiamo visto.

Note:

(1) Per questo il coniglio o la lepre sono animali lunari e associati alle Dee della Luna e della fecondità come Ixchel, Cheng'O o Eostre; la rana è l'animale di Heket.
(2) Che è scopiazzata dalle Dee come Inanna, Iside, Diana, Demetra. Ricordiamo alle wiccan mariolatre che non hanno mai letto un libro di teologia, che "la vergine maria" NON è UNA DEA, ma è sottomessa e sottoposta a cristo e a dio padre, essendosi proclamata "serva".
(3) Vale anche per i praticanti di magia bianca o nera.
(4) Per approfondimenti sul rapporto Luna-Donna, vedi "Luna Rossa"

Per approfondimenti mitologici e simbolici sulla Luna, vedi:

https://intervistemetal.blogspot.com/2018/11/la-luna-simbolismo-1.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/11/la-luna-simbolismo-2.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/11/la-luna-simbolismo-3.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/11/la-luna-simbolismo-4.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/11/la-luna-simbolismo-5.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/11/la-luna-simbolismo-6.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/11/la-luna-simbolismo-7.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/11/la-luna-simbolismo-8.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/11/la-luna-simbolismo-9.html
https://intervistemetal.blogspot.com/2018/11/la-luna-simbolismo-10.html


Il "Casino Gotico"

CASINO GOTICO, PROPRIETà DEL COMUNE DI PARATICO (BS)


Il 25 e 26 aprile 1832 Vantini eseguì i disegni di un "Casino Gotico d'Uccellanda" per il conte Alessandro Della Bianca nella "campagna di Rivatica", dove si recava nei giorni seguenti per dare istruzioni sulla costruzione e per stendere il rilievo di una casa presso la filanda di Paratico da trasformare in residenza padronale.
La palazzina neogotica è un padiglione a due piani, con una fascia decorata a motivi geometrici, le porte d'ingresso su ogni lato (due laterali a serliana) sormontata da un piccolo arco a sesto acuto. Una sorta di abside con cinque finestre chiude il quarto lato del casino, dando forma a una loggia superiore con colonnette dai capitelli decorati che seguono le trifore dei fianchi e della facciata. Il tono pittoresco dell'architettura è accentuato da una serie di archetti tribolati nella fascia del sottotetto.







Il parco della villa, allora non diviso dalla strada, si estendeva fino a comprendere l'uccellanda.
Tra la fine di luglio e la prima settimana d'agosto del 1832 l'architetto è impegnato nel progetto di trasformazione della filanda prospiciente il lago. I disegni comprendono il rilievo di una casa con corridoio centrale, due cortili (uno dei quali chiuso dai tre portici della filanda) le scuderie, la stalla dei buoi, i magazzini, il brolo e l'orto: nei pressi l'abitazione del fattore caratterizzata da una torretta d'angolo.


Vantini propone diverse soluzioni: in una il corpo residenziale è rivisto nella pianta e nel prospetto senza aumento della superficie complessiva; i toni sono quelli di un severo palazzo neoclassico a due piani e mezzanino, compostamente ridisegnato attraverso il bugnato, il balcone centrale con porta-finestra ad arco e una teoria di finestre modanate. Il cortile porticato viene interpretato verso l'esterno come una struttura militare con un portale bugnato all'ingresso, una torrea base quadrata e finestre semicircolari (una seconda versione prevede il muro di cinta a bugne). Tra i disegni si conserva anche il progetto di una grande cantina a pianta circolare, sotto le cui ampie volte sono disposte le botti. Vi è poi una soluzione estesa all'intera proprietà: mantenuto l'ingombro della casa pre-esistente come corpo centrale, Vantini immagina una monumentale "villa al lago" da cui si dipartono due ali simmetriche in sostituzione dei portici della filanda, dei magazzini e delle scuderie. All'interno, la tipica successione di lussuosi ambienti: un salone, lo studio con armadi, un salotto per la conversazione, la sala da pranzo, una cappella privata, le camere, la cucina, la dispensa, la credenza e la legnaia.
Tuttavia il progetto non è realizzato, tanto che Vantini annota: "Conte della Bianca: briccone che non mi ha pagato mai neppure le spese dei viaggi"