Introduzione a "Romanzo Siciliano" di Ann Radcliffe (e le pagine più belle)


Ann Radcliffe pubblicò "Romanzo Siciliano" ("A Sicilian Romance") nel 1790. Era il suo secondo romanzo. Dopo trentacinque anni nella prefazione del suo capolavoro "I Misteri di Udolpho", Walter Scott, il celebre padre del romanzo storico inglese, la definiva "la prima scrittrice inglese di un genere che assommava in sé tradizioni e retaggi della poesia inglese, da Shakespeare a Milton, ed elementi letterari nuovi come l'horror e il romanzo sentimentale."
"I Misteri di Udolpho" (1794) [https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2019/03/ann-radcliffe-i-misteri-di-udolpho-gli.html] e "L'Italiano o il Confessionale dei Penitenti Neri" (1797) [https://annradclifferomanzo.blogspot.com/] furono i romanzi più letti dal pubblico inglese, almeno per 50 anni, e seguiti da moltissime edizioni e ristampe.

Citatissima e amata da poeti come Coleridge, Keats, Byron, (https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2019/06/il-sottofondo-musicale-ideale-per-i.html)
Ann Radcliffe era una lettura obbligatoria per chiunque volesse essere alla moda dal punto di vista culturale: le caratteristiche innovative del "gothic novel" rispetto ai romanzi precedenti, con la sua trama complessa, densa di suspense e di horror, ambientata in epoche medioevali o rinascimentali, in paesi mediterranei con una vena predominante di Soprannaturale e di Sublime (che sfocia nell'orrido) (mentre un difetto ormai anacronistico è la ripetizione di personaggi stereotipati come la fanciulla debole e sentimentale in pericolo).

Vedi anche:
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2018/01/il-romanzo-nero-2-ann-radcliffe.html
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2018/01/la-fanciulla-perseguitata-nei-romanzi.html
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/03/il-romanzo-della-foresta.html
e Charlotte Dacre: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/10/zofloya-di-charlotte-dacre.html

Tutti questi elementi anticipano l'epoca d'oro del Romanticismo Inglese. (https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/12/introduzione-al-romanticismo-e-alle-sue.html)
Vedi anche: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/07/introduzione-al-preromanticismo-e-al.html
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/08/introduzione-al-romanticismo-inglese-in.html

Sono gli ultimi anni del Settecento, secolo della ragione, in cui gli inglesi (ma anche francesi e tedeschi: de Sade e Goethe) amano fare il loro viaggio di istruzione in Italia, tornando in patria con resoconti, diari di viaggi e notazioni, accompagnati da schizzi di paesaggi e delle bellezze artistiche italiane.

Per chi può permetterselo, viaggiare in Italia è un obbligo, ma anche chi non ha mezzi economici deve poter "visionare" le stesse meraviglie, idealizzate ed elaborate dalla fantasia degli scrittori, dei poeti, degli artisti.
Ed ecco spiegato perché i primi romanzi gotici sono ambientati in paesi esotici (ad occhi inglesi di fine settecento) come l'Italia, la Spagna, la Francia del sud; con questo espediente, lo sfondo della vicenda diventa più eccitante ed avventuroso.
Ann Radcliffe non visitò mai l'Italia che con maestria, dovizia di particolari e di descrizioni fa da scenario a tutti i suoi romanzi; a quell'epoca, poi, raggiungere la Sicilia che fa sfondo al suo celebre romanzo, era molto difficile per i viaggiatori inglesi, che solitamente terminavano il loro "Grand Tour" a Napoli.

La vita di Ann Radcliffe, per lo più, fu quieta e tranquilla. Lei stessa viaggiò una sola volta, tra i Paesi Bassi e in Germania.

Ann Ward nacque a Londra nel 1764 da una famiglia di commercianti, ma trascorse l'infanzia e l'adolescenza presso facoltosi parenti. A 23 anni sposò William Radcliffe (uno studente di legge) e cominciò la sua carriera di scrittrice dopo il matrimonio. Trascorse una vita tranquilla e morì nel 1823.

Ann Radcliffe seppe scrivere romanzi popolarissimi che appassionarono il pubblico: le sue storie erano un incrocio tra sentimentale ed horror, dosati con poesie che l'Autrice disseminava nel testo per creare intervalli tra le scene di suspense e l'intreccio della vicenda. La sua prosa è carica e pomposa, a volte ridondante, ma caratteristica del suo stile che la rese famosa presso la borghesia e la nobiltà sul finire del Settecento. Con le descrizioni della natura e dei paesaggi alquanto particolareggiate, rispecchianti il Pittoresco, teoria estetica che ebbe nel Settecento grande fortuna, insieme al Sublime, Ann Radcliffe fa della natura lo scenario dentro il quale si muovono i suoi personaggi, lo specchio delle passioni, anticipando uno dei temi cardine del Romanticismo: la corrispondenza tra il paesaggio e lo stato d'animo.

Per l'eroina radcliffiana la natura e la bellezza del paesaggio rappresenta l'unico luogo dove poter dare libero sfogo alla fantasia (e questo anticipa anche certe rivendicazioni del movimento d'emancipazione della donna).
Tra l'incalzarsi dei colpi di scena, dei climax e anticlimax dell'intreccio fitto della trama, le eroine dei romanzi della Radcliffe trovano tregua ai loro patimenti contemplando il paesaggio, sui quali l'Autrice si sofferma parecchio.
In Ann Radcliffe i paesaggi sono di due tipi: il primo è quello "pittoresco", assolato, pianeggiante, spesso un giardino curato nei minimi dettagli (anche perché è proprio in Inghilterra che nasce l'arte del giardinaggio, intesa come imitazione della natura secondo esempi architettonici\artistici canonizzati da architetti come William Kent e Lancelot Brown); l'altro modello è il paesaggio "romantico", cioè quello selvaggio, con la natura che non si fa dominare dall'uomo, con profonde gole in cui scorrono torrenti impetuosi e cieli tempestosi che destano meraviglia e terrore. (*)
Il trovarsi a contatto con un paesaggio grandioso e terrificante costituiva uno stereotipo per chi avesse letto Edmund Burke sul "sublime and beautiful" che attribuiva alla categoria estetica del Bello una valenza terrificante. Dopo il 1750 furono soprattutto i paesaggi alpini ad essere definiti sublimi, cioè tanto belli nella loro maestosità da suscitare meraviglia e terrore.

A mo' di esempio, si legga questo passaggio di "Romanzo Siciliano":

"Si vedevano da ciascun lato delle amene colline, il cui dolce pendio terminava in un superbo bacino d'acqua che formava una specie di lago. La sua superficie liscia rifletteva gli oggetti che abbellivano le sue sponde: a sinistra alte montagne si perdevano in lontananza, mentre a destra una feconda e ridente pianura contrapponeva bellezze di un genere diverso a quelle pittoresche del lato opposto, e formava un piacevole contrasto. La veduta terminava da lontano col mare d'un colore azzurro"

e a questi passaggi tratti da "I Misteri di Udolpho":

"Nel 1584, sulle ridenti sponde della Garonna, nella provincia della Guascogna, sorgeva il castello di Monsieur St. Aubert. Dalla finestra si scorgeva il paesaggio pastorale della Guienna e della Guascogna che si allargava lungo il fiume, allietato da boschi lussureggianti e da piantagioni di olivi. Verso sud la vista era limitata dai maestosi Pirenei, le cui cime, avvolte dalle nubi, rivelando a tratti le loro forme imponenti intraviste per un momento e nuovamente nascoste dalle masse di vapori, si mostravano a volte brulle e scintillanti nel delicato azzurro dell'aria, a volte minacciose con le loro foreste di oscuri pini che giungevano sino al fondo della valle. Ed era vivo il contrasto fra quei tremendi precipizi e il verde tenero dei pascoli che si estendevano ai loro confini dove l'occhio si posava con piacere sulle greggi, sulle mandrie e sui modesti casolari, dopo essersi inerpicato sui sovrastanti dirupi. A nord e a est le pianure della Guienna e della Linguadoca si perdevano nelle brume della distanza; a ovest la Guascogna aveva a limite le acque del Golfo di Biscaglia. St. Aubert amava aggirarsi, insieme con la moglie e la figlia, lungo le rive della Garonna, ascoltando la musica che si levava dalle sue onde. Aveva conosciuto la vita in forme diverse dalla semplicità pastorale, avendo partecipato alle gaie e movimentate scene del mondo; ma il lusinghiero ritratto dell'umanità delineato dal suo cuore nella prima gioventù era stato troppo penosamente corretto dall'esperienza. [...] I verdi pascoli, tanto spesso teatro delle sue folli corse quando era nel pieno delle forze e godeva della libertà della gioventù, la fresca ombra dei boschi nei quali si era per la prima volta abbandonato a quella pensosa malinconia che avrebbe poi costituito tratto del suo carattere, gli impervi sentieri della montagna, il fiume dove era andato in barca e le lontane pianure che si sarebbero dette senza limiti proprio come le sue prime speranze, tutto ciò fu ricordato in seguito da St. Aubert con entusiasmo e rimpianto. E alla fine si liberò del mondo e si ritirò in quei luoghi per realizzare i desideri accarezzati per tanti anni. [...] Qui, sotto la vasta ombra di un platano che allargava il suo maestoso baldacchino in direzione del fiume, St. Aubert amava attardarsi nelle belle serate d'estate in compagnia della moglie e dei figli, osservando, protetto dal suo fogliame, il tramonto del sole e il mite splendore della sua luce che scompariva dal lontano paesaggio, finché le ombre del crepuscolo ne fondevano i vari aspetti in un'unica tinta di un sobrio grigio."

"Tra i primi piaceri di cui godette Emily fu quello di potersi aggirare fra le scene della natura; e ciò che le procurava maggior diletto non erano i paesaggi dolci e quelli più vistosi; preferiva i sentieri selvaggi dei boschi che costeggiavano la montagna e ancor più gli stupendi recessi di quest'ultima, dove il silenzio e la grandiosità della solitudine imprimevano un sacro timore nel cuore ed elevavano i suoi pensieri verso il Dio del cielo e della terra. Ella indugiava a lungo in simili scene, tutta presa dal fascino della malinconia, finché l'ultimo bagliore del giorno si cancellava dall'occidente; finché il suono solitario della campanella di una pecora o il lontano latrato di un cane da guardia erano le sole cose che si facessero udire nel silenzio della sera. E allora l'oscurità dei boschi, il lieve agitarsi a intervalli delle foglie, il volo del pipistrello nel crepuscolo, la luce dei casolari che a momenti si rivelava e a momenti scompariva, erano tutti fatti che stimolavano il suo spirito all'azione, che portavano all'entusiasmo e alla poesia.
La sua passeggiata preferita portava a una casetta da pesca, di proprietà di St. Aubert, situata in una piccola valle boscosa sulla riva di un ruscelletto che scendeva dai Pirenei e che, dopo aver spumeggiato fra quelle rocce, si apriva in silenzio il suo tortuoso cammino fra le ombre in esso riflesse. Sopra i boschi che proteggevano quella valletta si ergevano le maestose vette dei Pirenei, che spesso si presentavano prepotenti e improvvise agli occhi attraverso gli alberi sottostanti, mentre a volte non si vedeva altro che una massa rocciosa, sormontata da cespugli selvatici, o la capanna di un pastore sistemata su una rupe all'ombra dell'oscuro cipresso o del frassino ondeggiante. Emergendo dagli oscuri recessi dei boschi, la valletta si apriva verso il lontano paesaggio, dove i ricchi pascoli e pendii coperti di vigne della Guascogna declinavano gradatamente verso la pianura."

"Mentre scendevano, videro a destra, in lontananza, uno dei grandiosi passi dei Pirenei verso la Spagna, con i suoi spalti merlati e le torri che luccicavano nello splendore dei raggi del sole al tramonto, e con la cima gialla dei boschi che colorava i precipizi sottostanti, mentre su in altro si ergevano le nevose vette delle montagne che riflettevano una tinta rosea."

"L'oscurità della sera nei boschi è sempre stata una gioia per me", disse St. Aubert, con lo spirito rallegrato ora dalla dolce calma che nasce dalla consapevolezza di aver fatto un'azione buone e che predispone l'uomo a ricavare un piacere da tutto quanto lo circonda.

"Ricordo che quando ero giovane quest'oscurità evocava alla mia immaginazione mille visioni fantastiche e mille immagini romantiche; e riconosco di essere ancora oggi non del tutto incapace di quello slancio di entusiasmo che dà vita al sogno del poeta: posso ancora attardarmi con passo solenne nell'ombra profonda, spingere lo sguardo trasformatore nella lontana oscurità e porgere ascolto con un fremito di gioia al mistico mormorio dei boschi."

(...) "Ecco che un suono passa al di sopra degli alberi; e ora si spegne; quanto è solenne ora il silenzio. è come la voce di un qualche essere soprannaturale, la voce dello spirito dei boschi, che veglia su loro nella notte. Ah! Che cos'è quella luce laggiù? Ma è scomparsa. Ed ecco che luccica di nuovo, accanto alla radici di quel gran castagno: guardate, padre!"

"M.me St. Aubert fu sepolta nella chiesa del vicino villaggio; il marito e la figlia l'accompagnarono alla tomba seguiti da un lungo corteo di contadini, che piangevano sinceramente la morte di quella donna eccellente."

"Si lanciò al galoppo lungo l'orlo di un precipizio che dava i capogiri solo a guardarlo. Emily fu terrorizzata quasi al punto da svenire, e St. Aubert, temendo che fosse ancora più pericoloso fermare improvvisamente il conducente, fu costretto a starsene seduto senza reagire e affidandosi alla robustezza e al buonsenso dei muli, che evidentemente ne disponevano più del loro padrone, dato che portarono i passeggeri sani e salvi nella valle, fermandosi sull'orlo di un rivoletto che la traversava.
Lasciando lo splendore delle ampie prospettive, essi entrarono in quella stretta valle protetta da rocce ammassate su rocce quasi per incantesimo
arse qui dalla folgore, verdeggianti altrove per l'edera."

"Giunse il momento in cui si dispersero le luci dell'alba che ammorbidivano lo scenario con la loro caratteristica tinta grigia, ed Emily osservò il progredire del giorno, che si presentò incerto dapprima sulla cima dei più alti dirupi e poi li raggiunse con una splendida luce, mentre i loro fianchi e la valle sottostante erano ancora avvolti in una foschia rugiadosa. Nel frattempo il tetro grigiore delle nuvole a oriente prese a colorarsi, poi a farsi rosso, e a risplendere poi con mille colori, finché la luce d'oro dardeggiò ovunque nell'aria, toccò i punti più bassi della vetta delle montagne e si affacciò con lunghi raggi obliqui nella valle sul suo corso d'acqua.
Sembrava che tutta la natura si fosse destata dalla morte alla vita."

"A partire da Beaujeu la strada era stata costantemente in ascesa, introducendo i viaggiatori nelle regioni dell'aria più alta, dove immensi ghiacciai facevano mostra dei loro gelidi orrori e la neve eterna imbiancava la sommità delle montagne. Si fermarono spesso a contemplare quelle stupende scene e, seduti su qualche rupe selvaggia dove potevano prosperare solo il leccio e il larice, contemplavano le oscure foreste di abeti e i precipizi mai raggiunti dal piede umano, addentrando l'occhio nella stretta valle, così profonda che a stento giungeva come un mormorio il rimbombo del torrente."

"Incominciarono a salire verso i boschi, guidati dalla campana del convento.
Ora la luna gettava una debole luce sul sentiero e, poco dopo, consentì loro di distinguere alcune torri che si ergevano al di sopra della cima degli alberi."

"Davanti a loro si allargava la valle che avevano lasciata, a sinistra le rocce e i boschi, appena inargentati dai raggi luminosi, costituivano un contrasto con l'ombra profonda che avvolgeva le rupi dell'altro versante, di cui solo le cime frastagliate erano appena toccate dalla luce, mentre la lontana prospettiva della valle si perdeva nella gialla foschia del chiarore lunare."

Più che da descrizioni naturalistiche "all'aria aperta", Ann Radcliffe traeva ispirazione dai quadri di paesaggio; nella seconda metà del Settecento sono soprattutto Claude Lorrain e Salvator Rosa i pittori più celebri che riscossero un successo enorme anche in Inghilterra durante il Settecento.
Per gli inglesi la pittura di paesaggio, specialmente del paesaggio italiano, era il genere pittorico che celebrava l'essenza di una civiltà superiore artisticamente. Più che non i pittori fiamminghi o olandesi, gli italiani e i francesi potevano dipingere rovine antiche, che gli inglesi di quel periodo adoravano.
Un critico del suo tempo, descrivendo lo stile di Ann Radcliffe sostenne che "al selvaggio paesaggio di un Salvator Rosa ella aggiungeva la quieta grazia di un Claude". Indubbiamente, Ann Radcliffe si ispirò ai dipinti di questi artisti: tramonti, orizzonti lontani, castelli e rovine, scene pastorali, rupi, gole e torrenti, precipitazioni e vegetazione selvaggia sono tutti elementi dei romanzi di Ann Radcliffe e che compaiono anche nella pittura pre-romantica.
E così, la Sicilia immaginata da Ann Radcliffe non è la Sicilia vera (anche perché l'Autrice confonde gli Appennini con le Alpi!) ma una Sicilia tutta castelli e alture fra i boschi e "scene silvestri e pittoresche di cui è sparsa la Sicilia."
Si può pensare che l'Autrice sapesse perfettamente che le sue descrizioni non corrispondessero al vero ("Il monte Etna, coronato di perpetuo fumo e che perde il suo capo fra le nubi, fungeva da sublime sfondo in quel magnifico quadro") ma desiderasse rendere più interessante la trama delle sue storie.







Aggiungo anche questi pittori:







Usato come copertina per una band Black Metal (Azerlath) che ne ha rielaborato i colori


Tuttavia, per quanto tutti i romanzi di questa Autrice siano pervasi da inquietudine e suspense, da riferimenti a spettri e congiure (a tutti gli effetti, i suoi romanzi sono i precursori del genere horror), a fine storia Ann Radcliffe fornisce sempre una spiegazione logica e razionale (talvolta anche un po' forzata) in linea con l'esaltazione della Ragione tipica dell'Illuminismo Settecentesco ma che guasta tutta l'aura soprannaturale sapientemente narrata.

E così, anche "Romanzo Siciliano", che inizia come un racconto spettrale di mistero nell'ala meridionale del castello di Mazzini, alla fine trova la sua spiegazione razionale, come sarà anche per "L'Italiano o il confessionale dei penitenti neri".
   
(*) Nota di Lunaria: comunque, queste tematiche erano già state anticipate nella poesia italiana rinascimentale, vedi autori come Luigi Tansillo, Matteo Bandello o Ludovico Ariosto e dalla poetessa Diodata Saluzzo Roero

Luigi Tansillo

E freddo è il fonte, e chiare e crespe ha l'onde
e molli erbe verdeggian d'ogn'intorno (1),
e 'l platano coi rami e 'l salce, e l'orno
scaccian Febo (2), che il crin talor v'asconde:
e l'aura appena le più lievi fronde
scuote; sì dolce spira al bel soggiorno [...]

(1) Dappertutto, lungo le rive
(2) Il Sole

Strane rupi, aspri monti, alte tremanti
ruine, e sassi al ciel nudi e scoperti (1),
ove a gran pena pòn (2) salir tant'erti
nuvoli in questo fosco aere fumanti;
superbo orror, tacite selve, e tanti
negri antri erbosi in rotte pietre aperti (3);
abbandonati a sterili deserti,
ov'han paura andar le belve erranti;
a guisa d'uom, che per soverchia pena
il cor triste ange (4) fuor di senno uscito,
sen va piangendo, ove il furor lo mena (5),
vo piangendo io tra voi; e se partito (6)
non cangia il ciel, con voce assai più piena
sarò di là tra le meste ombre udito (7)

(1) Senza vegetazione
(2) Possono
(3) Scavati
(4) Angoscia
(5) Lo porta
(6) E se non muta la sua decisione
(7) Defunti

"Che i campi il giorno d'ombra e d'orror cinga..."

Valli nemiche al Sol, superbe rupi che minacciate il ciel, profonde grotte, d'onde non parton mai silenzio e notte,
sepolcri aperti, pozzi orrendi e cupi,
precipitati sassi, alti dirupi,
ossa insepolte,
erbose mura e rotte d'uomini albrgo ed ora a tal condotte
che temon d'ir fra voi serpenti e lupi
erme campagne, abbandonati lidi,
ove mai voce d'uom l'aria non freme,
Ombra son io dannata a pianto eterno,
ch'a piagner vengo la mia morte
fede e spero al suon de' disperati stridi,
se non si piega il ciel, muovere l'Inferno.

Matteo Bandello

Aspere rupi, incolti sassi e aperte
dal terremoto e profondate grotte,
d'orror, di fredda tema e d'atra notte (1)
piene, e caverne inospiti (2) e deserte;
strade mai sempre perigliose ed erte,
d'alte roine (3) attraversate e rotte,
acque schiumanti con furor condotte (4)
per valli ognor di nuvole coperte;
di famelici lupi e crude fiere
d'orsi, di serpi e di mill'altre belve,
covi, spelonche, buconi, antri e tane,
e voi sì spaventose e oscure selve,
com'è che mi facciate qui vedere
chi (5) m'arde e fa le mie speranza vane?

(1) oscura
(2) non ospitali
(3) precipizi, frane
(4) correnti
(5) la donna

Alpi nevose, (1) che le corna al cielo (2)
e quinci e quindi (3) oltre misura alzate,
e ne l'algente verno (4) e calda estate
orride sète (5) di perpetuo gelo:
tra voi pavento (6), e mi s'arriccia il pelo,
ch'al rimbombo che d'acque e sassi fate,
sì spaventose ognora vi mostrate,
che di paura tutto tremo e gelo.
S'al basso miro, l'occhio non penètra (7)
l'atra profonda ne l'abisso valle,
né a l'alto scerno le fumanti corna. (8)
E pur mi veggio ancor, dopo le spalle,
che mi persegue Amor con la faretra,
ch'ad ogni passo a saettar mi torna.

(1) In viaggio verso la Francia
(2) cime
(3) in ogni direzione
(4) gelido inverno
(5) siete
(6) provo timore
(7) non riesce a vedere fino in fondo
(8) e non scorgo nemmeno, in alto, le cime nebbiose (fumanti)

Ludovico Ariosto

Chiuso era il sol da un tenebroso velo
che si stendea fin all'estrema sponde
de l'orizonte e murmurar le fronde
e tuoni andar s'udian scorrendo il cielo;
di pioggia in dubbio o tempestoso gelo, (1)
stav'io per ire oltre le torbid'onde
del fiume altier che 'l gran sepolcro asconde
del figlio audace del signor di Delo; (2)
quando apparir su l'altra ripa il lume
de' bei vostri occhi vidi, e udii parole
che Leandro potean farmi quel giorno. (3)
E tutto a un tempo i nuvoli d'intorno
si dileguaro e si scoperse il sole;
tacquero i venti e tranquillossi il fiume.

(1) La grandine
(2) Fetonte, figlio del Sole, il quale fu fulminato da Giove
(3) Leandro, mentre nuotava per l'Ellesponto, recandosi dalla donna amata



"Rovine"

Ombre degli avi
per la notte tacita al raggio estivo
di cadente luna,
v'odo fra' sassi diroccati fremere,
che il tempo aduna incerte l'ombre nella vasta
ed arida strada segnata dall'età funesta,
tremante, affretto che dei prischi secoli
l'orror sol resta.
Oh come brune l'alte cime
incurvansi de' larghi muri,
ove penetra appena di Luna
un raggio,
che la dubbia e pallida luce
qui mena perchè ferrate le finestre
altissime, ed è merlata la superba torre?
[...]
Pensiero funesto,
in me chi mai ridestasti?
Fuggiam dalle fatali alte rovine.
Raggio di notte,
tu la via rischiarami
fra sassi e spine.

Nota di Lunaria: è soprattutto il Black Metal melodico e sinfonico ad essersi ispirato ai paesaggi romantici.
Vedi, per esempio, il sublime "Dusk and Her Embrace" dei Cradle of Filth che ha fondato un vero e proprio genere anche dal punto di vista estetico e paesaggistico:










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GLI STRALCI Più BELLI

TRAMA: verso la fine del XVI secolo, sulla sponda settentrionale di una Sicilia fosca e cupa, circondato da amene colline e fitti boschi, si erge il castello di Mazzini, un maniero di antica magnificenza appartenente a Ferdinando, quinto marchese di Mazzini, uomo dal carattere altero e una violenta passione per le donne.
Dopo aver sposato in seconde nozze una donna dalla bellezza non comune, amante dei piaceri, del divertimento e dell'indipendenza, il marchese stabilisce la sua dimora a Napoli, dove è raggiunto dal figlio avuto dall'infelice prima moglie.
Confinate nel castello, in cui la signora Menon, una lontana parente, e un uomo di mezza età avanzata, Vincenzo, affezionato da molti anni al marchese, provvedono alla loro educazione, Emilia e Giulia, le due figlie del marchese, vent'anni la prima e diciotto la seconda, conducono la loro vita in una profonda oscurità e sognano invano di uscire dai possedimenti del loro padre.
Dotate delle migliori attrattive che caratterizzano le fanciulle allo sboccare della loro giovinezza, le due ragazze trascorrono le belle sere dell'estate siciliana a conversare con la signora Menon nel casino che dà sulla parte meridionale del castello, una parte abbandonata dalle cui finestre traspare a volte una luce misteriosa. Un giorno il vecchio Vincenzo cade ammalato. Sentendo che il corso naturale della sua vita è giunto al termine, chiede insistentemente di vedere il marchese poiché deve confessare ciò che da tempo lo tormenta e gli lacera l'anima. Al cospetto della signora Menon, il vecchio spira senza poter rivelare la fonte dei suoi rimorsi e delle sue pene.
Il ritorno in Sicilia del marchese, accompagnato dalla sua nuova moglie, dal figlio Ferdinando e da tutto il suo turbolento corteo, provvederà a riportare a galla le verità sepolte e i segreti inconfessabili custoditi tra le mura dell'antico maniero.
Con quest'opera, che ebbe un'eco enorme nell'Inghilterra di fine Settecento, Ann Radcliffe sancì il successo del "Gothic Novel" fatto di trame complesse, dense di suspense, e impregnato di quel "culto del sud" che aveva caratterizzato il Grand Tour dei giovani dell'aristocrazia inglese sin dal XVII secolo.

PROLOGO

Sulla sponda settentrionale della Sicilia si vedono i grandiosi resti di un castello, che apparteneva un giorno alla famiglia Mazzini. Esso è situato in fondo ad una piccola baia, sul declino di un colle che da un lato giunge fino al mare, e dall'altro va a finire in una sporgenza ricoperta di folti boschetti. Il luogo è assai pittoresco e le stesse rovine del castello rappresentano tuttora un monumento di un'antica magnificenza, che, contrastando con l'attuale loro solitudine, riempie l'animo di chi le contempla di malinconia insieme e di curiosità. In uno dei miei viaggi mi capitò di visitare questo luogo, e mentre un giorno mi aggiravo fra le sparse rovine che giacevano sull'immensa area di quell'edificio, colpito dalla maestosità e vastità di quelle, tornai indietro col pensiero per naturale associazione d'idee, al tempo in cui quelle mura s'innalzavano orgogliose nel loro primitivo splendore, ed in cui le vaste logge di quel palazzo, già sede di magnificenza e soggiorno abituale di calda ospitalità, echeggiavano delle voci di quelli che la morte da molto tempo ha fatto scomparire dalla scena del mondo.
"Lo stesso avverrà", io pensavo, "della presente generazione. Quelli che oggi languono nella miseria, come coloro che vivono immersi nei piaceri passeranno e saranno dimenticati."
Il mio cuore fu toccato da questa riflessione, e mentre sospirando mi allontanavo da quel grandioso e patetico spettacolo, i miei occhi caddero su un frate, con il capo chino a terra, che formava uno strano spettacolo in quel paesaggio. Il religioso si accorse della mia emozione: i nostri occhi si incontrarono ed egli si fermò, e fissando lo sguardo su quelle rovine "queste mura", esclamò, "furono un giorno abitate dalla lussuria e dal vizio. Esse forniscono un esempio concreto della giustizia di Dio. Da allora sono rimaste abbandonate, e nessuno si è dato cura di prevenire il loro decadimento."
Queste parole mi incuriosirono, perciò pregai il frate di narrarmi gli avvenimenti a cui alludeva.
"Triste e grave", riprese egli, "è la storia di questo castello, ma è troppo lunga e complicata perché io mi metta a raccontarvela. Essa è scritta in un codice che si trova nella nostra biblioteca, e di cui, forse, potrò procurarvi la lettura. Un religioso del nostro ordine, discendente della famiglia Mazzini, ha raccolto i fatti più interessanti accaduti in quella casa, ed ha lasciato la sua opera a questo convento. Se volete, seguitemi."
Accompagnai il religioso al suo monastero, e là giunto fui presentato al superiore, che mi sembrò un uomo di vasta cultura e di cuore generoso e sensibile.
Mi trattenni con lui alcune ore in piacevole conversazione. Gli piacqui e mi permise di copiare diversi passi della storia che lessi. Nelle pagine che seguono non troverete che questi fatti, con la sola aggiunta di alcuni particolari confidatimi dal superiore nell'incontro che ebbi con lui.

[...] non fece che raddoppiare la curiosità del giovane eroe, il quale, tolto di mezzo l'arazzo, aperta la misteriosa porta, e fornitosi di una lampada, avanzò solo solo nella galleria.
Giunto alla grande scala, scorse un'ombra che varcava la sala a volta, ed entrava nella parte rotonda che conduceva alla torre.
Egli, senza esitare, seguì quell'ombra. Scese precipitosamente la scala, oltrepassò la porta rotonda, che era rimasta aperta, e s'impegnò nelle sinuosità del corridoio di cui già si è parlato. Una luce fievole gli serviva da guida, ed egli credeva di seguire finalmente l'oggetto della sua ricerca. Ma presto la luce svanì ed una porta fu chiusa con violenza. Ferdinando era giunto ai piedi della piccola scala che guidava alla torre. Ma questa scala, ormai franata, non poteva essere servita allo sconosciuto.
Dove era dunque fuggito l'individuo, l'ombra seguita da Ferdinando?
Non vi era traccia alcuna della sua evasione. Egli cercò coraggiosamente ovunque, e alla fine, a forza di esaminare, scoprì sotto la scala una porticina sfuggita fino allora ai suoi sguardi, perché nascosta sotto i primi gradini.
Esaminata quella porta, cercò invano di varcarla. Essa era chiusa dall'interno, e non fu possibile forzarne la serratura. Picchiò col pomo della sua spada nel legno di quella porta, ed un lungo rimbombo gli fece capire che essa si apriva in una fila di spaziosi appartamenti.
Ma bisognava rinunciare alla speranza di penetrarvi. Il legno della porta era molto spesso, e per di più rinforzato con del ferro che ne accresceva la solidità.
Una forte serratura ed enormi catenacci gli vietavano di andare oltre.
Ferdinando, quasi scoraggiato da questo ostacolo, ritornò indietro, ripercorrendo il corridoio, e rientrato nella sala a volta, esaminò a suo piacimento tutti i lati. Il soffitto era sostenuto da colonne di marmo nero. Le finestre di gotica architettura erano ornate di stipiti del medesimo marmo. Tutto l'insieme offriva un non so che di maestoso, di selvaggio e di lugubre.
Questa vasta sala terminava in una specie di peristilio pure a volta. Sulla sinistra si aprivano due porte, entrambe serrate, mentre a destra vi era quella che serviva da ingresso principale dalla parte dei cortili del castello.
Egli rientrò nella gran sala decorata di marmi neri. Ogni suo passo, ripetuto da molti echi, gli faceva spesso temere di essere inseguito da più persone e lo tratteneva in un involontario spavento; tuttavia, proseguendo nella sua perlustrazione, osservò due porte sfuggite fino allora ai suoi sguardi, entrambe di una mole straordinaria, ed il legno delle quali era rivestito interamente di sculture. Tali porte erano chiuse a chiave come quelle del peristilio, ed offrivano una resistenza troppo fiera agli sforzi di uno solo.
Mentre Ferdinando le osservava, e andava fra sé pensando come potersene procurare l'accesso, un sordo mormorio, o, per meglio dire, un gemito lugubre e profondo gli ferì le orecchie. Pareva che partisse precisamente da sotto la sala in cui egli si trovava. Il sangue di Ferdinando fermò il suo corso e sembrò ghiacciarglisi nelle vene.
Poiché un profondo silenzio era seguito a quel doloroso gemito, egli riprese coraggio, e volle credere d'essere stato ingannato dalla sua immaginazione. Ma un secondo gemito lacrimevole e profondo al pari del primo, che proveniva dallo stesso punto del precedente, lo convinse della realtà del fatto e gli ispirò un terrore che mai aveva provato fino allora.
Il fratello di Giulia, rinunciando ad ogni ulteriore perquisizione, uscì velocemente dalla gran sala, riprese la scalinata, attraversò in tutta fretta la galleria, e giunto alla porta misteriosa della camera di Giulia che richiuse con timorosa prestezza, non si sentì al sicuro, se non quando si ritrovò in mezzo alle sue sorelle e alla signora Menon.
Costoro lo aspettavano già da quasi un'ora e mezza con una vivissima impazienza. Appena egli ebbe ripreso fiato, e si fu rimesso dallo spavento e dal timore sofferto, raccontò loro tutto ciò che aveva veduto ed inteso, e gli ostacoli e le porte serrate che aveva incontrato in gran numero. Dopo molte riflessioni e congetture, che tutti e quattro fecero su ciascuna circostanza del racconto, stabilirono di non continuare le loro ricerche, e di attendere dal tempo e dalle loro osservazioni i chiarimenti che desideravano su quelle apparizioni e su quei gemiti lugubri.
Giulia stabilì di non voler più abitare un appartamento che tanto direttamente comunicava con luoghi occupati da oggetti sconosciuti. [...]

"Alcuni anni or sono si sparse voce che nel castello si facessero vedere degli spettri e degli spiriti. Da principio questa voce mi sembrò ridicola; ma poi si diffuse talmente che io decisi di andare a scoprire cosa ci fosse di vero. Una notte, infatti, dopo avere a tutti ordinato di riposare, mi arrischiai solo nella parte meridionale, dove si supponeva che apparissero questi spaventevoli spettri. Io avanzavo a grandi passi in preda a quella inquietudine, che si accompagna sempre alle ricerche notturne, quando un orribile spettro improvvisamente mi colpì gli occhi e lo spirito. Tutto il mio coraggio mi abbandonò, e con lo spavento nel cuore mi posi a fuggire. Dopo di ciò, non solo rinunziai ad ulteriori perquisizioni, ma decisi di non abitare mai più la parte meridionale del castello. Non posso ancora oggi ricordarmi senza orrore quella spaventevole scena. Feci subito chiudere per sempre tutte le porte che conducevano alle parti da non abitarsi mai più, e non volli ritornare mai più al castello. E voi stesso avete osservato che venivo molto di rado, e che vi è stato bisogno di una catena di circostanze e di affari perché questa volta vi abbia fatto così lungo soggiorno.
Che cos'è questo spettro? Io non lo so. è forse l'ombra di Enrico? Ricerca forse vendetta? Reclama una tomba? è lui la causa dello spavento delle vostre sorelle? Questo è ciò ch'io non so e non mi curo di sapere. Rispettate, figlio mio, come faccio io, questi orribili misteri. La fragile umanità non basta per combattere contro questi eventi soprannaturali."
Ferdinando, avendo ascoltato questo racconto con tacito orrore, richiamava alla mente le sue temerarie perlustrazioni. Gli sembrava di avere sempre davanti agli occhi la lampada e la figura che gli era apparsa, e non poteva riflettere senza orrore alla pericolosa situazione nel bel mezzo della scala della torre, quando essa era franata. Questa catena di avvenimenti, unita al racconto udito, lo faceva tremare al solo ricordarsene, più ancora che nel momento in cui aveva deciso di svelare il mistero.

[...] Le pareva di aver udito i loro passi, di aver visto una luce, credeva di avere sentito delle parole. Ma tutte queste sensazioni erano fallaci. Non aveva visto o inteso nulla. La sua alterata immaginazione creava oggetti che non esistevano. Un silenzio disperante regnava per ogni dove. Nulla dava segno di vita. La sua finestra, che ella apriva ogni momento, non le presentava che una oscurissima notte, delle nubi erranti per l'atmosfera e l'ombra degli alberi più vicini accresceva ancora la densa oscurità che regnava su tutta la natura.
L'orologio del castello scandì in successione il tempo di un'ora senza che nessuno giungesse. In questo frattempo Giulia ebbe tutto il tempo di preoccuparsi di essere stata abbandonata dalla buona sorte, o dai suoi giovani protettori. Il suo cuore era preda della più viva afflizione. Le lacrime non volevano cadere dai suoi occhi ed una tacita disperazione stava per impadronirsi di lei, quando le parve di udire o piuttosto udì realmente, camminare nel corridoio.
Il suo cuore fu più svelto delle sue orecchie, e immaginò subito che fossero Ferdinando e Ippolito. I passi cessarono davanti alla porta della sua camera. Giulia ripresasi completamente per questa ormai inaspettata venuta, lasciandosi trasportare dall'impeto della gioia, gettò le braccia al collo di suo fratello, e col massimo trasporto lo abbracciò. [...] Bisognava fuggire, o affidarsi al più odioso destino!
Dalla galleria passarono nella gran sala, e s'inoltrarono in seguito in un passaggio che doveva condurli in un luogo segreto del castello, dove si trovava una piccola porta; passata quella, non rimaneva altro che guadagnare la riva del mare. All'estremità di questo passaggio vi era una scala che conduceva in uno degli atri; l'aveva appena scesa, quando sembrò ai tre di udire un grande strepito dietro le loro spalle che partiva dalla galleria e dalla grande sala. Questo straordinario rumore nel cuore della notte fece, per così dire, mettere le ali ai piedi dei nostri giovani. Giulia fuggiva con la più rapida leggerezza. Ma una porta chiusa lì arrestò tutti quanti.
Ferdinando, incaricato delle chiavi, ne provò parecchie nella serratura, ma invano; finalmente ne trovò una che, entrando facilmente nella toppa, fece loro credere che fosse quella giusta. Ma o che si ingannassero o che la ruggine impedisse di far funzionare il meccanismo, egli girò e rigirò la chiave nella serratura, ma inutilmente.
Il fracasso che avevano udito finì presto in un colpo simile a quello di una porta fatta a pezzi [...]
Pensarono che la lampada di cui erano muniti potesse tradirli, per cui, appena Ferdinando ebbe trovata la chiave che cercava, si decise di nascondere la lampada sotto il suo mantello, quindi introdusse la chiave e la girò velocemente. La serratura obbedì facilmente e la porta si aprì su un terreno abbandonato, che conduceva alla porta d'ingresso.
Il luogo cosparso di pietrami, di rovine, di pezzi di legno, sembrava quasi impraticabile. Una spaventevole oscurità regnava per ogni dove; però bisognava attraversarla. Che cosa si riesce a superare quando tre infelici sono guidati al tempo stesso dall'amore, dalla speranza e dal timore!
Giulia in quest'occasione mostrò altrettanto coraggio dei suoi compagni. Ella si aprì un varco tra questi innumerevoli ostacoli, ed arrivò presto con gli altri alla porta, dopo la quale non rimanevano che pochi passi per guadagnare la riva del mare e la barca.
Stranamente, ma fortunatamente per loro, la porta era socchiusa. Ippolito ne uscì per primo, porgendo la mano a Giulia.
Si credeva già fuori dal castello quando un uomo gettando un orribile grido, lo assalì, e con un colpo di spada gli trapassò il corpo da parte a parte [...]

Frattanto una nuova fonte di inquietudine si unì a tutte le altre. Un servo che si era attardato più degli altri a recarsi a dormire, attraversando il salone verso il corridoio, e gettando gli occhi sopra una finestra aperta, scoprì una luce nella parte inabitata del castello, appunto là dove da gran tempo si diceva che si aggirassero gli spettri notturni.
Il servo si fermò ad osservare quella luce. Un momento dopo corse a chiamare gli altri domestici per mostrare loro il fenomeno. Giunsero tutti pieni al tempo stesso di curiosità e di timore, e appena si affacciarono alla finestra, la luce disparve. [...]

Un momento dopo udirono e videro anzi, per quanto l'oscurità della notte poteva consentirlo, videro, dico, aprirsi la porta esterna della torre ed uscirne una figura umana con una lanterna in mano. Quest'ombra, o quest'uomo realmente vivo, strisciò distintamente lungo il muro del castello e scomparve dietro l'angolo.
I servi, spaventati da questa strana visione, si ritirarono senza far parola nelle loro camere. Ognuno di loro si ricordò le passate circostanze relative ad un episodio simile. Tutti sapevano che le due signorine e la signora Menon avevano cercato di cambiare appartamento, e la causa di questo cambiamento erano alcune scene notturne e lugubri. Il timore, che tutto ingrandisce, aveva aggiunto molti particolari al fatto vero e proprio. Tutti coloro che erano stati spettatori della visione, passarono il rimanente di quella notte fra le angosce e il terrore.

[...] La porta fu aperta; essa immetteva direttamente nella campagna. Tutti si rammentarono allora che proprio là era scomparso il fantasma.
Vicino a quella porta, che venne subito richiusa, il marchese fece scoprire una botola, mezzo nascosta fra sterpi e pietre crollate dalla scala. Sgombrato il pavimento, comandò al servo che gli stava più vicino di alzarla perché essa doveva condurre a qualche sotterraneo.
L'idea di precipitare in un abisso profondo, e di cadere in potere degli spiriti infernali lontano dalla luce del giorno e, per così dire, nelle viscere della terra, accese il cuore dei servi di così forte terrore, che tutti rifiutarono di obbedire agli ordini del padrone.

[...] Quando partirono il sole stava per tramontare sull'orizzonte. Dopo due ore di viaggio giunsero alla foresta. La strada che la attraversava e conduceva alla piccola capanna, era stretta ed ingombra di spessi tronchi di vecchissimi alberi. Una profonda oscurità regnava ovunque, e non si sentiva di tanto in tanto altro suono che i lugubri lamenti degli uccelli notturni.

[...] S'inoltrarono a caso nella foresta, e verso il far del giorno si trovarono in una campagna selvaggia, composta di profonde valli alternate da aride montagne.
Non si scorgeva nessun segno di centro abitato. La superficie dei monti era coperta di vecchi abeti, i cui tronchi neri e tenebrosi offrivano un malinconico paesaggio. Sembrava quasi che quel luogo non fosse mai stato abitato da anima viva.

[...] Scesa l'ultima montagna, si ritrovarono in una deliziosa pianura coltivata, e la ricchezza e la magnificenza della natura presero presto il posto dell'inospitale e spaventoso deserto che avevano appena attraversato.
Da una parte all'altra della strada si estendevano pianure a perdita d'occhio coperto di ricche messi, e coronate da gelsi ed olivi. Qui le vigne offrivano una precoce ed abbondante produzione e parecchi ruscelli scesi dalle vicine montagne erano stati canalizzati in un gran numero di diramazioni, che per ogni dove recavano freschezza e fecondità.
Ai piedi di un bosco, sulla sinistra dei viaggiatori, si innalzavano le antiche torri di un monastero. La via era tutta sparsa di carrozze e di trasporti di uomini a cavallo e di fanti.

[...] Dietro una collina poi si dileguarono completamente. Il duca si imbatté in due strade che s'incrociavano, e si fermò quindi per sceglierne una delle due. Ne presero una a caso, che li condusse ai piedi di un'enorme e ripida roccia. Questa roccia era stata scavata dalla natura o dalla volontà dell'uomo e mostrava alla vista una stretta gola le cui pareti si estendevano perpendicolarmente a perdita d'occhio.
Alcuni torrenti avevano segnato in vari punti questa enorme massa rocciosa, che era disseminata ad ogni passo di spaventevoli crepacci molto pericolosi da oltrepassare. Le aquile ed altri uccelli notturni si libravano sul capo dei viaggiatori e riempivano l'aria dei loro lunghi e lugubri gridi. La notte copriva l'orizzonte di un velo profondo, che sembrava ancora più spaventoso nel cupo e stretto sentiero. [...] Di tanto in tanto tendevano le orecchie per ascoltare qualche segnale che facesse presagire la presenza di qualche essere umano. Ma non sentivano altro rumore che il gemito del vento ed il mormorio di alcuni torrenti che scendevano dalle montagne circostanti.
Finalmente, verso le nove o dieci di mattina, girando intorno ad un monte scoprirono, ad una notevole distanza, una debole luce. [...] Man mano che avanzavano, la luce aumentava in grandezza e in splendore. Infine videro che proveniva da un fuoco acceso che usciva dalla vasta apertura di una caverna, che sembrava aperta dalle mani della natura in una roccia di immensa grandezza, coperta da una fitta vegetazione di cipressi, di abeti e di annose querce.

[...] Era passata mezzanotte quando il duca abbandonò la caverna. Il cielo era ricoperto di folte nubi, ed i venti impetuosi che le agitavano, lasciavano intravedere di tratto in tratto i deboli raggi della luna.
Erano circa tre ore che la brigata avanzava in silenzio, allorché il suono di una campana, recato dal vento alle orecchie dei viaggiatori, annunziò loro che erano vicini ad un monastero.

[...] Ma dopo qualche tempo, proprio quando cominciavano a disperare di poter trovare quel salutare asilo, udirono di nuovo il suono della stessa campana, ma ad una distanza molto più piccola. Intanto il disco della luna, sgombrato dalle nubi, rifletteva i suoi raggi sui tetti ricoperti di piombo dorato, di cui la chiesa era adorna.
Girando a destra entrarono nel viale che conduceva al convento, in fondo a cui era la gran porta decorata di colonne e di statue di stile gotico.

[...] Il duca, seguendo le informazioni, camminò inutilmente fino al tramontare del sole, quando venti impetuosi che portavano con loro folte e tenebrose nubi, annunziarono una vicina tempesta. Bisognava dunque mettersi al coperto. [...] i loro cavalli li condussero verso una costruzione antica e diroccata, che doveva essere stata un giorno proprietà di qualche ricco feudatario.
Appena si furono messi al riparo sotto le volte semicadenti di un peristilio, un lampo cadde a circa venti passi da loro, e spaventò uomini e destrieri. Ma una pioggia dirotta accompagnata da grandine, allontanò ben presto fulmini e baleni.
In capo ad una mezz'ora, il temporale si placò, cessò la pioggia, i tuoni si udivano solo in lontananza, l'orizzonte si rischiarò ed il sereno tornò presto cancellando spavento e timori. Così essi cominciarono a guardarsi intorno. Il duca esaminò attentamente il luogo che era loro servito da riparo. Era un grande sala lastricata di marmo bianco e nero; il tempo aveva distrutto i vetri di tutti i balconi. L'edera ed altri arbusti ricoprivano internamente ed esternamente tutti i muri.
Il duca volle visitare quelle imponenti rovine [...] Scale semidiroccate dai gradini divelti, pezzi di muratura crollati gli rendevano molto difficoltoso il cammino.
A forza di vagare a caso fra quelle rovine, il duca si smarrì e dopo lunghi giri credette di aver ritrovato il punto da cui era partito.
[...] Stava per inoltrarvisi, quando vide improvvisamente succedersi l'un all'altro dei lampi e delle fiamme talmente vivi ed abbaglianti, che preso dal panico cominciò suo malgrado a chiamare ad alta voce i suoi servi.

[...] Queste idee lo perseguitavano anche di notte; gli impedivano di dormire, o se anche arrivava ad addormentarsi al mattino gli si presentavano immagini fantastiche, che lo tormentavano o l'ingannavano amaramente.
Una notte, in cui cercava il riposo, dopo aver spento la luce, udì distintamente un sordo e prolungato gemito, che turbò il profondo e continuo silenzio della sua prigione. Questo gemito si ripeté un istante dopo, e sembrava avvicinarsi alla sua stanza. La terza volta era talmente vicino che Ferdinando dubitò che la persona che lo emetteva si fosse introdotta nella sua camera, o fosse almeno giunta fino alla soglia della porta.
Il suo primo pensiero fu di balzare fuori dal letto, e di percorrere in tutti i sensi la stanza e di tastare con le mani tutti i mobili e tutti i muri all'intorno; chiamò quindi ad alta voce l'individuo o il fantasma i cui lamenti l'avevano commosso oltre che spaventato.
Il cielo era coperto di fosche nubi e la luna non si faceva vedere, la notte era quindi scurissima.

[...] La torre era vicina, e faceva anzi parte, da un lato, dell'ala meridionale del castello. Proprio in questa parte dell'edificio era apparso lo spettro e la luce, qui si erano sentiti spesso delle grida e dei gemiti dolorosi simili a quelli della notte precedente.

[...] di un'apparizione terribile, di cui egli era stato testimone e della probabilità dell'esistenza di uno spirito nel castello, che di tanto in tanto emetteva dei gemiti lamentevoli, compariva e scompariva a suo piacimento, e sembrava suggerire con queste notturne incursioni, una vicina e terribile vendetta, destinata a ricadere sui discendenti del suo assassino. Ferdinando [...] non riuscì a vincere il terrore che ispira necessariamente l'apparizione dei fantasmi, degli spiriti funebri e degli esseri soprannaturali.

[...] Mise quindi Ferdinando a parte di tutte le sue congetture. Egli vedeva il castello pieno di fantasmi e di ombre di morti. Se essi ne incontravano uno soltanto, il minor rischio che correvano era di esserne strangolati. Era inutile voler comunicare con la gente dell'altro mondo. [...] Egli avrebbe continuato questi discorsi, se ad un tratto un grido doloroso, seguito da un gemito ancor più lugubre, non lo avesse interrotto e gli avesse cagionato un indicibile spavento. Questo gemito sembrava venire da sotto il pavimento della camera…

[...] L'acqua limpida e tranquilla di un ruscello scorreva in mezzo a questa valle; sulle sue sponde boschetti di aranci e di limoni esalavano i più squisiti odori. Giulia si compiaceva di guardarli [...]
Dopo qualche ora di cammino abbandonarono la strada maestra per entrare in un sentiero stretto e tortuoso, cinto da grandi alberi che quasi lo nascondeva ai raggi del giorno.
La solitudine e l'oscurità del luogo bastavano da soli per terrorizzare gli uomini. Giulia nell'entrarvi tremava, ma la sua emozione fu ancora più grande quando ella scoprì ad una certa distanza attraverso gli alberi un edificio in rovina. [...] Le torri rovinate, sulle quali serpeggiava l'edera, attestavano l'antico splendore dell'edificio, ma le finestre disadorne ed infrante, e l'erba incolta nei cortili sembravano indicare che da lungo tempo nessuno lo aveva più abitato.

[...] La campana del monastero che suonava il vespro le scosse dalla loro conversazione ed esse si resero conto di essere all'estremità del bosco. Stavano tornando indietro quando la vista di alcune maestose colonne di marmo attirò la loro attenzione. La curiosità le spinse ad ispezionare l'edificio a cui appartenevano quei magnifici esempi di architettura in un luogo così solitario: si avvicinarono quindi e scorsero sopra un'altura che dominava la valle, i resti di un palazzo, che malgrado non fosse ormai che un ammasso di rovine rivelava gli splendori di un antico passato; si conservava in buono stato solo una maestosa arcata, e le rupi scoscese e deserte che si vedevano in lontananza contribuivano a dargli un aspetto imponente. I raggi del sole cadente si riflettevano obliquamente su queste rovine, le facevano risaltare rispetto al resto del paesaggio, offrendo alla vista uno spettacolo veramente straordinario.

[...] Mentre era ferma, non sapendo più se andare avanti o retrocedere e non osando chiamare suo fratello per timore che la sua voce la tradisse, udì un gemito vicinissimo al luogo in cui si trovava. Questo lamento le ghiacciò il sangue per lo spavento; rimase immobile, e voltando lo sguardo vide una debole luce che proveniva da sotto una lastra tombale; il gemito si ripeté seguito da un leggero sussurro, e mentre ella continuava a fissare la tomba, ne vide uscire un vecchio, con una lampada in mano. A questo spettacolo ella gettò un involontario grido di terrore…

[...] Per alcune ore viaggiarono attraverso una fitta boscaglia di querce e castagni; il loro viaggio era illuminato dalla luna, i cui pallidi raggi erano schermati dal fogliame, e spesso oscurati dalle nuvole. Giunsero finalmente all'estremità della foresta: cominciava ad apparire l'aurora e l'aria diveniva più fresca. Giulia provò una piacevole serenità nell'osservare il sorgere del giorno e le cime delle montagne illuminate dai raggi del sole nascente, mentre le pendici rimanevano buie circondate da densi vapori.

[...] I viaggiatori discendevano un'altura all'estremità della quale si apriva un'ampia vallata, circondata da alte montagne coperte di folti boschi. Qua e là alberi cresciuti nelle spaccature delle rocce, innalzavano i loro rami biancastri creando una spettacolo suggestivo; là alcune case, che si intravedevano tra i fitti alberi che le circondavano, sorgevano sulle rive di un fiume che serpeggiava nella valle, e portava al mare il tributo delle sue acque. La freschezza del mattino contribuiva a rendere il paesaggio ancora più suggestivo e ne vivificava i colori. I rami degli alberi, che ombreggiavano ad intervalli la strada, risplendevano di gocce brillanti di rugiada.

[...] Un tuono rombò in lontananza annunciando una violenta tempesta, che non tardò molto a scoppiare. Il capitano tentò invano di gettare l'ancora: erano in alto mare ed un vento furioso agitava l'imbarcazione. L'oscurità era interrotta da frequenti fulmini, che squarciando per un attimo l'oscurità lasciavano intuire lo stato di terribile agitazione del mare, e rendevano la notte più spaventosa che mai. Il fracasso dei tuoni, il muggito delle onde, il cigolio della nave e le grida dei marinai, tutto contribuiva ad accrescere il terrore di questa scena spaventosa.

[...] Così, egli vide al lume della luna un vecchio edificio che sembrava essere stato in passato un monastero, ma che ora era solo un cumulo di rovine, ed incuteva nell'animo dello spettatore un sentimento misto di timore e di rispetto. Ippolito si fermò un po' ad osservarlo, ed il silenzio della notte ingigantiva l'effetto di paura che questo spettacolo offriva.

[...] Dopo alcuni tentativi, essi si accorsero che la porta cedeva insensibilmente. L'aria chiusa e mefitica che li raggiunse spense quasi il lume. Ippolito e Giulia entrarono allora in una specie di abisso, cioè in un luogo vasto e profondo: e la porta, girando sui suoi cardini, si richiuse alle loro spalle. Guardandosi intorno, videro un corridoio immenso, e furono colti da un orrore indescrivibile, quando si accorsero che si trovavano nella fossa comune degli assassini.
Quello era infatti il luogo in cui essi deponevano i cadaveri degli infelici che cadevano nelle loro mani.

[...] La loro situazione era disperata: o morivano di fame in quel luogo orribile, o finivano nelle mani dei briganti. La terra smossa in più punti indicava le tombe precarie ed i cadaveri non sepolti per negligenza o per mancanza di tempo offrivano ai due fuggiaschi uno spettacolo orribile.

Vedi anche:
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2019/03/ann-radcliffe-i-misteri-di-udolpho-gli.html
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/03/il-romanzo-della-foresta.html
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2018/01/il-romanzo-nero-2-ann-radcliffe.html
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2018/01/la-fanciulla-perseguitata-nei-romanzi.html
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2017/06/le-scrittrici-della-narrativa-horror-la.html
https://annradclifferomanzo.blogspot.com/
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/search?q=romanticismo

Incisioni d'epoca: