Il Romanzo Nero (2) Ann Radcliffe e "L'Italiano o il Confessionale dei Penitenti Neri"

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Il romanzo gotico ha vita breve: nasce con Horace Walpole e muore con Clara Reeve.
Ma il seme gettato non fa tempo a inaridire. Ann Radcliffe, Gregory Lewis e Maturin lo trapiantano in un terreno ben più fertile: il romanzo nero.
Scompaiono le artificiosità  e le forzature, resta il gotico dell'ambientazione medioevale: castelli semidistrutti in lande desolate; torri abitate da fantasmi, feroci briganti, malvagi monaci scatenati contro inermi fanciulle o poveri orfani.
(https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2019/07/romanzi-gotici-le-incisioni.html)
Il programma artistico di Walpole, "conciliare insieme i due generi di romanzo, l'antico e il moderno... perché il primo è troppo di fantasia e manca di verosomiglianza, il secondo si tiene troppo aderente alla natura e l'immaginazione viene frenata"  diventa  "terrorizzare per commuovere" come insegna la "santissima trinità del Nero": Lewis, Radcliffe e Maturin.

Ann Ward Radcliffe (1764-1823) utilizzerà le lunghe serate solitarie alle quali la costringe la professione del marito giornalista per scrivere poderosi romanzi neri.


Ann è nata a Londra l'anno stesso della pubblicazione del "Castello di Otranto"; è un'accanita lettrice e scrive i suoi romanzi sotto l'influenza del gotico inglese e dello Sturm und Drang germanico. (*)

Pubblica la sua prima fatica nel 1789 "I castelli di Athlin e di Dunbayne", basato sulla feroce lotta tra due antiche famiglie scozzesi. L'anno seguente pubblica "Il Siciliano" (https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2019/05/lincipit-di-romanzo-siciliano-di-ann.html), nel quale racconta le peripezie dell'infelice marchesa Mazzini, incatenata in orribili sotterranei dal crudele marito. Nel 1791 la Radcliffe conquista il suo primo successo col "Romanzo della Foresta",
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/03/il-romanzo-della-foresta.html
benevolmente recensito anche dalla critica più seria. Il romanzo racconta di una povera orfanella, Adelina, costretta a vivere con il padre adottivo - un falsario perseguitato dalla giustizia - tra le rovine di un'antica abbazia gotica. In questo romanzo, Ann introduce elementi come trabochetti mortali, segrete piene di ossa umane, documenti rivelatori, apparizioni dello spettro sanguinante del padre (**). Nel 1794 pubblica il suo capolavoro "I misteri di Udolfo", enorme successo pubblicato persino in America.
https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2019/03/ann-radcliffe-i-misteri-di-udolpho-gli.html
La trama è questa: una povera orfanella, Emily di Saint-Aubert, è sottoposta alle persecuzioni di una terribile zia e del marito di costei, il bieco conte italiano Montoni, "capo di briganti" - un'evidente citazione dei "Masnadieri" di Schiller http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2018/01/commento-i-masnadieri-di-schiller.html
 che peraltro scrisse anche il proto-gotico "Il Visionario"   http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/06/commento-al-visionario-di-schiller.html , nota di Lunaria -

Per impedire alla fanciulla di portare a coronamento il suo sogno d'amore con il giovane Valancourt, i due tristi individui la trasportano a Udolfo, in Italia, e nel tetro castello che il Montoni possiede sugli Appenini. La povera Emily dovrà vederne di tutti i colori prima di giungere al solito scioglimento felice.

Tre anni dopo, nel 1797 sotto l'influenza del "Monaco" di Lewis, la Radcliffe scrive il suo ultimo romanzo: "L'Italiano o il confessionale dei penitenti neri";  https://annradclifferomanzo.blogspot.it/
ancora una volta, l'azione si svolge in Italia, scenario favorito, con la Spagna, di quasi tutti i romanzi neri inglesi per l'orrore della Santa Inquisizione. Il protagonista è il monaco Schedoni, al quale i marchesi Vivaldi hanno affidato il compito di impedire le nozze del figlio Vincenzo con una povera orfana, Elena. Elena verrà rapita mentre Vincenzo verrà rinchiuso nelle carceri dell'Inquisizione. Dopo vari colpi di scena si arriva al lieto finale. Grandiosi i ritratti psicologici dei personaggi, in particolare di Schedoni, precursore dell'"eroe satanico" destinato ad avere tanta fortuna nella letteratura romantica, specialmente in Byron, dal "Giaurro" al "Corsaro". http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/09/byron-commento-al-manfredi-caino.html

Dopo la pubblicazione dell'"Italiano...", Ann Radcliffe non pubblicò più nulla. Qualcuno sparse la voce che gli orrori che aveva con tanto compiacimento esposto nei suoi libri l'avevano fatta diventare pazza. La storia ufficiale non conferma la diceria, ma questo tratto "nero", pur improbabile, ci sta benissimo nella vita della "Profetessa del Terrifico".

Nota di Lunaria: qui trovate l'approfondimento su Charlotte Dacre https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2020/10/zofloya-di-charlotte-dacre.html

Altro approfondimento su Ann Radcliffe

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Ann Radcliffe (il cui vero nome era Ann Ward) è una delle scrittrici più importanti del Settecento (§) Ann seppe raccogliere e amplificare l'eredità del primo romanzo gotico "Il Castello di Otranto" divenendo la pioniera del proto-horror sentimentale-storico (§§). Tutti gli ingredienti di Walpole - vicenda medioevale ambientata in Italia o Francia, castelli pieni di mistero, abbazie diroccate, luoghi funestati da eventi luttuosi e sovrannaturali - vengono esaltati da Ann Radcliffe che a differenza di Walpole pone l'accento sull'eroina femminile vittima di terrori psicologici e tormenti d'amore. C'è da dire che però Ann Radcliffe tendeva, a fine romanzo, a dare spiegazioni razionali agli elementi sovrannaturali che terrorizzavano i personaggi in tutta la prima parte del libro. (Nota di Lunaria: in tal senso la Radcliffe anticipa anche il romanzo giallo... comunque si può pensare che l'Autrice spiegasse sempre il sovrannaturale delle sue vicende con spiegazioni razionali perché influenzata dall'Illuminismo)
Le opere più note di Ann Radcliffe sono "Romanzo Siciliano" ("A Sicilian Romance", 1790, incentrato sugli intrighi dell'aristocrazia siciliana e della famiglia Mazzini), "La foresta perigliosa", conosciuto anche come "Il romanzo della foresta", ("The Romance of the Forest", 1791, ambientato in Francia), "I Misteri di Udolpho" ("The Mysteries of Udolpho", 1794, con protagonista una giovane fanciulla insediata da un nobile italiano) e "L'Italiano o il Confessionale dei Penitenti Neri" ("The Italian or the Confessional of the Black Penitents", 1797), il suo capolavoro più celebre.
Nonostante oggigiorno questi personaggi ci appaiano un po' stereotipati e melodrammatici, la Radcliffe eccelse nelle descrizioni di orrori incombenti, di un sovrannaturale immaginifico e la "spiegazione dei fatti" a fine romanzo, che "depura" la storia da tutti gli elementi sovrannaturali.
Ann Radcliffe servì da modello e da ispirazione a Jane Austen, Walter Scott,  Keats, Coleridge e Byron, e venne persino messa in parodia.

Nota di Lunaria: personalmente, io la ritengo anche superiore, e di gran lunga, a Walpole, che comunque pubblica "The Castle of Otranto" nel 1764; ma Ann rimodella quegli stilemi in maniera molto più suggestiva, mentre Walpole si concentrava di più sui dialoghi dei personaggi, quasi da recita teatrale, piuttosto che non sulle ambientazioni o atmosfere e difatti, leggendo Walpole, oggigiorno la vicenda "ci appare un po' impaludata" nel ritmo. Del resto oggigiorno l'idea di un "elmo gigantesco", che compariva nel libro di Walpole sembra quasi un elemento da commedia. La Radcliffe invece, a leggerla anche oggi, non ha perso un grammo di suggestione e suspense!
Per me è Ann Radcliffe la vera madre della letteratura orrorifica!

Il massimo del piacere intellettuale: leggere Ann Radcliffe mentre si ascoltano i Cradle of Filth di "Dusk and Her Embrace"...


(§) Nota di Lunaria: come nome femminile del Settecento, cito anche Diodata Saluzzo Roero

che scrisse una poesia proto-gotica che anticipa di molto le atmosfere gotiche del 1800 sui castelli in rovina!

"Rovine"

Ombre degli avi
per la notte tacita al raggio estivo
di cadente luna,
v'odo fra' sassi diroccati fremere,
che il tempo aduna incerte l'ombre nella vasta
ed arida strada segnata dall'età funesta,
tremante, affretto che dei prischi secoli
l'orror sol resta.
Oh come brune l'alte cime
incurvansi de' larghi muri,
ove penetra appena di Luna
un raggio,
che la dubbia e pallida luce
qui mena perché ferrate le finestre
altissime, ed è merlata la superba torre?
[...]
Pensiero funesto,
in me chi mai ridestasti?
Fuggiam dalle fatali alte rovine.
Raggio di notte,
tu la via rischiarami
fra sassi e spine.

(§§) Anche se non raggiunge il talento di Ann Radcliffe, segnalo la brava Teresa Medeiros con la sua mini saga "Dopo Mezzanotte" e "Il Vampiro che mi amava", connubio tra romanzo rosa storico e soft-gotico.  http://recensioniromanzirosa.blogspot.it/2017/11/dopo-mezzanotte-di-teresa-medeiros.html



(*) Nota di Lunaria: aggiungo qui un approfondimento anche per altre scrittrici che sono, a tutti gli effetti, le "Madri" della letteratura horror. http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/06/le-scrittrici-della-narrativa-horror-la.html

(**) In Italia le atmosfere gotiche non hanno mai avuto molto spazio nella nostra letteratura, ancorata ai classici greci o all'influenza di Dante-Petrarca-Tasso-Ariosto e a quegli stilemi. E tuttavia è possibile trovare qualche riferimento macabro nella Scapigliatura
 e nel Sublime Tarchetti, e ancor prima, in certa poesia barocca del Seicento e in un insospettabile Vincenzo Monti, almeno nell'"Aristodemo", dove il nostro Autore si concede una disgressione quasi horror parlando del fantasma di Dirce...


Aristodemo: "Ebben: sia questo adunque l'ultimo orror che dal mio labbro intendi. Come or vedi tu me, così vegg'io l'ombra sovente della figlia uccisa; ed, ahi, quanto tremenda!
Allor che tutte dormon le cose, ed io sol veglio e siedo al chiaror fioco di notturno lume; ecco il lume repente impallidirsi;
e nell'alzar degli occhi ecco lo spettro starmi d'incontro,
ed occupar la porta minaccioso e gigante.
Egli è ravvolto in manto sepolcral, quel manto stesso onde
Dirce (1) coperta era quel giorno che passò nella tomba.
I suoi capelli, aggruppati nel sangue e nella polve, a rovescio gli cadono sul volto, e più lo fanno, col celarlo, orrendo.
Spaventato io m'arretro, e con un grido volgo altrove la fronte;
e me'l riveggo seduto al fianco.
Mi riguarda fiso, ed imobil stassi, e non fa motto.
Poi, dal volto togliendosi le chiome e piovendone sangue, apre la veste, e squarciato m'addita, ahi vista! Il seno di nera
tabe (2) ancor stillante e brutto.
Io lo respingo; ed ei più fiero incalza, e col petto mi preme e colle braccia.
Parmi allor sentir sotto la mano tepide e rotte palpitar le viscere:
e quel tocco d'orror mi drizza i crini.
Tento fuggir, ma pigliami lo spettro traverso i fianchi e mi trascina a' piedi di quella tomba,
e "Qui t'aspetto" grida, e ciò detto, sparisce."

(1) è il nome della figlia uccisa da Aristodemo, nota di Lunaria
(2) sangue

ALTRO APPROFONDIMENTO: COMMENTO ALL' "ITALIANO O IL CONFESSIONALE DEI PENITENTI NERI"

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Pubblicato nel 1797, tre anni dopo "I Misteri di Udolpho", "L'Italiano o il confessionale dei Penitenti Neri" è l'ultimo romanzo di Ann Radcliffe. Ormai popolarissima, letta e stimata dai grandi scrittori della sua epoca, da Jane Austen al marchese de Sade, da Byron a Coleridge, la Radcliffe fu la regina di quel genere letterario inaugurato dal "Castello di Otranto" di Horace Walpole che prese il nome di romanzo Nero o Gotico di ambientazione mediterranea.
Una lugubre, cimiteriale e terrifica sinfonia risuona in ogni pagina di questo vasto romanzo la cui trama Mario Praz seppe racchiudere in poche righe: "Vittima delle macchinazioni del turpe Schedoni, rapita da sbirri e trasportata in una carrozza a un solitario convento dei monti dell'Abruzzo, minacciata di carcere dalla badessa, salvata da Vivaldi, ma ripresa mentre sta per essere da lui impalmata, Elena è infine imprigionata in un sinistro casolare su un punto deserto della costa adriatica, per essere assassinata dal miserabile Spalatro; colà la raggiunge Schedoni che, rifiutandosi il sicario all'opera di morte, s'avvicina di nottetempo al letto della giovinetta, e sta per ucciderla, quando scopre sul suo petto un medaglione che gliela fa credere sua figlia..."
Un'eroina perseguitata, un giovane e sfortunato pretendente e un monaco truce e di rara malvagità si muovono dunque sullo sfondo di un'Italia di cartapesta sontuosa e sinistra, raffigurata a partire dai quadri di Salvator Rosa e di Poussin (la Radcliffe non era mai stata in Italia) e calata in un clima di Inquisizione, pieno di misteri e sopraffazioni. Pochi ingredienti di sicuro effetto che la Radcliffe seppe rielaborare saccheggiando le più diverse esperienze letterarie: dal romanzo sentimentale alla Richardson, al dramma elisabettiano, ai poeti del paesaggio e della notte come Gray e MacPherson, l'autore delle "Poesie di Ossian"; non mancano, frequentissime, citazioni di Shakespeare e Milton.
Dopo la pubblicazione dell'Italiano, la Radcliffe uscì definitivamente dalla scena fino alla scomparsa, avvenuta nel 1823.
Da taluni la scrittrice fu creduta morta, ma i più ritenevano come scrisse Walter Scott, che "in conseguenza del suo lungo meditare sugli orrori che aveva così ben descritto, la sua ragione fosse stata definitivamente sconvolta, e che vivesse ormai una malinconica esistenza, rinchiusa in un manicomio privato."
Quando, nel dicembre del 1796, fu annunciata la pubblicazione della prima edizione di "The Italian", la sua autrice era già da diversi anni una delle più popolari scrittrici dell'epoca. I suoi primi due libri, "The Castles of Athlin and Dunbayne" e "A Sicilian Romance" avevano avuto scarsa risonanza presso il pubblico. Ma con "The Romance of the Forest" e con l'eccezionale successo di "The Mysteries of Udolpho" la Radcliffe si conquistò una solida posizione, che pochi altri romanzieri, appartenenti o meno al genere Gotico, riuscirono a mettere seriamente in discussione, fino alla comparsa dei romanzi di Waverley. 
Che abbiano riconosciuto o meno la sua importanza, tutti i romantici lessero le sue opere. Keats, Coleridge e Byron, per altri versi così dissimili, rivelano tracce significative dello stile della Radcliffe.
Scott e Lewis conoscevano bene le sue opere. Una popolarità e un'influenza così diffuse non poterono che istituire, nella letteratura posteriore, uno stile e un modo di guardare al mondo che, se non fosse stato per i suoi romanzi, avrebbero potuto benissimo estinguersi e finire mummificati nelle grandi biblioteche. Di tanto in tanto si trova un critico il quale considera la sua opera un fenomeno che ebbe soltanto un effetto passeggero su scrittori più bravi di lei. Che molti di coloro i quali subirono la sua influenza (come Dickens e le Sorelle Brontë) fossero scrittori più bravi di lei è indiscutibile. Eppure, il suo influsso arriva almeno fino a Faulkner, che può benissimo non aver mai letto la Radcliffe, ma la cui opera denota alcune caratteristiche che si possono far risalire senza difficoltà a questa discreta e ciononostante audace signora del diciottesimo secolo.
Parte della sua popolarità, e certamente molto del suo genio, derivano dalla capacità di fondere vari temi e modi della letteratura del diciottesimo secolo in uno stile originale. Sarebbe un errore considerare i suoi libri soprattutto degli esempi di narrativa del terrore, anche se in essi la componente orrifica è potenzialmente forte. Più esattamente, sono romanzi che indagano il campo della sensibilità umana, i cui eroi ed eroine derivano direttamente dalla tradizione di Richardson, Prévost e Rousseau, anche se per i motivi che vedremo i suoi personaggi "sensibili" non possiedono mai la vitalità dei loro più grandi predecessori. I romanzi di Ann Radcliffe attestano la sua vasta conoscenza della letteratura popolare del 18° secolo, non solo nel campo della narrativa sentimentale ma anche in quello dei romanzi del terrore, - come nel caso di Walpole - della poesia del paesaggio (sul genere di Thomson) e di un'ampia varietà di melanconici, come Young o l'elegiaco Gray. Più di ogni altro ella lesse Shakespeare, l'eco del quale appare immancabilmente in ciascuna delle sue opere. (Nota di Lunaria: del resto il "Macbeth" con le tre streghe, Ecate e il sabba, le apparizioni spettrali che tormentano Macbeth, resta un prototipo del romanzo Gotico sviluppato poi nei secoli successivi)
Tra tutte queste correnti e tendenze, esplorò approfonditamente quella sentimentale  e quella del terrore, sotto l'influenza di Burke e forse anche di J. e A.L. Aikin. Con il suo interesse, caratteristico dell'epoca, per la psicologia dei sentimenti, ella insisté su quella che era a suo giudizio l'interdipendenza essenziale di emozioni quali la malinconia, il senso del pittoresco, la paura e l'amore.  
Quel che di Gotico trasse da Walpole (i sotterranei e tutto il consueto armamentario) divenne, nelle sue mani, una serie di elementi che producono un effetto d'insieme e non si limitano semplicemente  a suscitare il terrore. Le sue eroine reagiscono in modo più complesso. Per esempio, il castello in rovina evoca, in modo quasi pavloviano, le consuete angosce del Gotico, ma la Radcliffe introduce con altrettanta frequenza la nota della malinconia cimiteriale, le immagini del tempo trascorso e, quindi, della fragilità e della mortalità dell'uomo, e quando ciò avviene il contrasto è particolarmente efficace. Si hanno così, contemporaneamente, Gray e Young e Walpole, insieme, naturalmente, a dosi abbondanti di pittoresco e al motivo degli innamorati separati dal destino. Questo si può chiamare un connubio di convenzioni. Altri scrittori avevano mostrato tendenze simili, e in diverse combinazioni, ma nessuno in modo così completo e fantasioso come nello stile della "Madre Radcliffe" di Keats.
Tipica di questo stile è la peculiare ambivalenza di ragione e sentimento, che fa come lievitare tutti gli elementi della sua opera e ne influenza profondamente il tono e il carattere. La Radcliffe dette espressione, poiché le aveva assimilate, ad alcune tensioni che a noi ora sembrano un po' assurde, se non decisamente irritanti. Donna piena di buonsenso, obbediente alle convenienze, come è evidente non solo dai suoi romanzi ma anche dai resoconti contemporanei sulla sua personalità, ella adorava, però, la solitudine e quella sensibilità che alla solitudine conferisce un significato. In un'età che, almeno pubblicamente, sosteneva la luce brillante dell'universalità intelligibile, ella insisteva con la mezza parola e sul sottinteso oltre che su ciò che è evidente, l'oscuro e sull'indefinito oltre che su ciò che è chiaro e articolato, mai troppo dell'uno o dell'altro, nonostante le ammirevoli qualità di entrambi. Ovviamente, la ragione è buona. Anche la sensibilità è buona, dato che rivela un cuore buono: quando una persona è capace di sentimenti, reagisce a una situazione dolorosa come reagisce a un paesaggio.   
 Benevolenza e sensibilità vanno mano nella mano per Ann Radcliffe, Mackenzie, Rousseau e altri scrittori di questa tradizione, mentre le prime opere di Wordsworth rivelano la stessa moralità sentimentale che compare nei migliori romanzi della Radcliffe.  (Sarà il caso di osservare come la sensibilità sia il marchio di molte distinzioni, sociali e morali. I suoi eroi e eroine possono sperimentare la paura, come pure i loro domestici, ma questi ultimi non hanno la sensibilità che tramuta la paura in comprensione del sublime.)
La sensibilità, però, si dovrebbe tenere sotto controllo: i romanzi della Radcliffe indicano la costante consapevolezza delle sue trappole. C'è più che un pizzico di scherno nel modo in cui presenta alcuni suoi personaggi, soprattutto Vivaldi nell'"Italiano" e il lettore viene subito messo in guardia sul conto della loro personalità.
Le rimostranze di Schedoni sul letto di morte contro le tendenze all'accesso di  Vivaldi e soprattutto contro la sua tendenza verso superstizioni indegne di un uomo ragionevole sono gli ammonimenti della stessa Radcliffe.
D'altro canto i suoi personaggi malvagi di classe elevata sono poco inclini alla superstizione o alla paura e (cosa che non è affatto una coincidenza) non partecipano mai delle glorie del paesaggio. Quando un personaggio cattivo esterna rimorsi e trepidazioni è perché sta per diventare un personaggio positivo come nel caso di La Motte nel "Romanzo della Foresta" e di Schedoni in "L'Italiano o il Confessionale dei Penitenti Neri".
Ma, ancora, non è solo la sensibilità che può diventare esagerata: il decoro corre lo stesso rischio, anche se la Radcliffe sembra meno consapevole di questa possibilità.
Dopo un poco, non ci sorprende neanche più osservare come una delle sue eroine si preoccupa se sia corretto o meno fuggire senza scorta con un giovanotto che si dà il caso la stia salvando dal destino più atroce. Dato che tutte le qualità della Radcliffe corrono il rischio di cadere nell'assurdo e, involontariamente, nel ridicolo, ecco che le sue eroine si dimostrano talvolta saccenti, piuttosto che delicate e oneste, proprio come la tensione che la paura dovrebbe creare è, invece, spesso debole e fiacca. Qui e là, il tocco della Radcliffe fallisce. (Nota di Lunaria: non sono per niente d'accordo con questa critica)
Questi esempi, però, ci impongono la necessità di distinguere attentamente gli eccessi dell'autrice da quelli dei suoi personaggi. Alla Radcliffe non mancava affatto una sottilissima ironia.
Gli stessi personaggi si ripetono come figure da repertorio in rapporti prevedibili e, quindi, in intrecci analoghi. Quando il giovanno di turno, con le sue travolgenti passione, incontra la controparte femminile, immediatamente i due si innamorano: i personaggi si devono innamorare subito, in questi romanzi, poiché il rigido modello cui obbedisce lo stile della Radcliffe non funziona senza l'amore. Le convenzioni hanno inizio nel quasi illeggibile "The Castles of Athlin and Dunbayne"  e si moltiplicano, fino a raggiungere l'acme in "I Misteri di Udolpho", anche se cambiano in modo significativo in "L'Italiano". Grazie all'invariabile innocenza giovanile dei principali personaggi positivi con le loro sofferenze, tentazioni e alla fine con la loro nuova consapevolezza dolorosamente acquisita, è chiaro che i romanzi della Radcliffe si adattano perfettamente al genere del Bildungsroman, il romanzo di formazione.
All'interno di questo genere, tutti gli eroi, ancora ingenui, devono passare attraverso un apprendistato e un'iniziazione per giungere a comprendere la realtà del mondo, come l'autore la vede.
In questo senso i commenti di carattere morale della Radcliffe sono inevitabili e necessari, poiché con tutto il loro armamentario e le loro convenzioni, i suoi romanzi, indiscutibilmente, presentano la vita quale appare all'Autrice. Quando, ella scrive, in "L'Italiano", del "cuore generoso e l'animo ingenuo" di Elena, la frase riassume chiaramente non solo la personalità dell'eroina, ma ciò attraverso cui dovrà passare per giungere alla sua maturazione. Per quanto felicemente si risolvano le vicende degli eroi e delle eroine, non sono lievi le cicatrici che testimoniano delle passate battaglie. Eppure, alla fine, il rapporto tra il mondo della Radcliffe e i suoi lettori (soprattutto quelli lontani più di un secolo e mezzo) non ha niente a che fare con alcuna immediata preoccupazione morale, né con qualcosa di così pressante come una preoccupazione qualsiasi. D'altro canto, il godimento complesso che i suoi romanzi procurano non nasce nemmeno, soltanto, dal piacere della curiosità per quanto avverrà in seguito, poiché anche se ci domandiamo come l'eroina riuscirà a districarsi da questa difficoltà, non abbiamo alcun dubbio su quanto avverrà alla fine.
Fondamentalmente, il piacere che ci procurano le storie romanzesche della Radcliffe deriva da una sospensione dell'incredulità che ci porta a godere del mondo della sua narrativa in sé e per sé. Allegramente anacronistica nei gusti e negli atteggiamenti che attribuisce alle sue eroine, la Radcliffe è ugualmente trasandata nelle sue descrizioni della vita monastica e del contesto storico e, ci dicono alcuni critici, perfino nei paesaggi che descrive. (Nota di Lunaria: non sono per niente d'accordo; certamente, i suoi personaggi religiosi, in genere, corrispondono al classico cliché del "il cristianesimo è buono e chi segue questa religione è, per definizione, una persona buona e onesta", ma non si poteva di certo pretendere che persone vissute prima del  Novecento riuscissero, più di tanto, a fare analisi anticristiane mettendo ben evidenza tutti i difetti del cristianesimo; sui paesaggi, le sue descrizioni sono talmente belle e sognanti da togliere il fiato)
Ma questo non ci dà più fastidio di quanto non avvenga in una fiaba o in un'opera. In effetti, i monologhi poetici assolutamente improbabili che le sue eroine improvvisamente declamano, trovano la loro controparte nelle arie d'opera. Il realismo storico ha poca importanza per il suo stile, come la avrebbero dei personaggi a tutto tondo, le cui azioni imprevedibili sarebbero solo d'intralcio all'effetto globale. La sua narrativa ha altre leggi. Scott ha osservato giustamente che i suoi personaggi sono membri tipici di una classe e rimangono subordinati alle scene in cui compaiono.  Questo è un mondo, perfetto in sé, di sublime artificio, dove le preoccupazioni neoclassiche circa l'imitazione della natura hanno meno importanza della combinazione di effetti che produce un'armonia autosufficiente. Si potrebbe dire che personaggi, paesaggio, moralità e decoro si combinano con le emozioni e gli eventi per creare il tono o l'atmosfera, che emerge come qualità essenziale del mondo di Ann Radcliffe, una qualità difficilissima da realizzare e da mantenere in equilibrio. Anch'ella non sempre vi riusciva. Ma quando vi riusciva, ed era al meglio, nessuno poteva rivaleggiare con lei nel catturare e sostenere tale atmosfera.
Forse, l'analogia generale più calzante è la fiaba: i paralleli con quest'ultima, infatti, indicano la natura di altri motivi di interesse che la sua opera può ancora offrire. Le stesse nette quanto arbitrarie distinzioni morali che osserviamo in questo tipo di romanzi le troviamo nelle fiabe, dove non dubitiamo mai della ragione o del torto dell'una o dell'altra parte.
Entrambi i generi presentano esseri in forma umana (la strega malvagia e la badessa, l'orco e il conte scellerato) che possono esercitare poteri demoniaci e far soffrire l'innocente per un po'. Il male, in questo tipo di romanzi e nelle fiabe, deriva dalla gelosia, dalla sete di potere assoluto, dall'amore per la tirannia o, forse, semplicemente dal gusto della malvagità. Inoltre, i personaggi malvagi della Radcliffe mettono in gioco altri elementi demoniaci: non solo gli eventi apparentemente soprannaturali con cui le piace stuzzicare il lettore, ma, più in particolare, il mondo sotterraneo di caverne e segrete in cui tanto male viene consumato.
Da più di un secolo, gli studiosi di folklore e di fiabe hanno sottolineato come questi elementi abbiano le loro radici negli strati mitici, subconsci della nostra vita, quei livelli che ora chiameremmo archetipi. Sono proprio questi stessi livelli a essere toccati, di tanto in tanto, da questa discreta gentildonna del diciottesimo secolo, la quale era troppo razionalista per ammettere l'esistenza del vero soprannaturale. Le sue eroine corrono sempre per lunghi corridoi, verso porte che sembrano indietreggiare, come negli incubi, dando lo stesso brivido di terrore.
Troppi elementi, nella formazione di Ann Radcliffe, avrebbero lottato contro ogni impulso a seguire fino in fondo queste intuizioni. Ella attinse al satanico a causa del suo fascino profondo, che Milton aveva legittimato. Ma il demoniaco era qualcosa di ancora diverso, più adatto all'immaginazione di M.G.Lewis o di Emily Brontë.
Lewis ne vide immediatamente le implicazioni e le sviluppò. Secondo la sua testimonianza, egli scrisse "Il Monaco" dopo aver letto  "The Mysteries of Udolpho" ed esserne rimasto incantato (e come dargli torto... Nota di Lunaria). La storia della letteratura, comunque, offre pochi rapporti ironici com quello tra Lewis e la Radcliffe. Ella non poteva sapere dell'ispirazione che gli aveva fornito, ma può benissimo averla indovinata, in particolare perché nel 1796, tutto il genere Gotico era ormai già strettamente associato al suo nome.
L'immediata popolarità di "Il Monaco" impose il libro alla sua attenzione e pare indubbio che "L'Italiano" fu scritto in funzione di protesta e di autodifesa, dopo che la scrittrice aveva letto Lewis. Ma l'ironia si compone, poiché "Il Monaco", a sua volta, le dette l'ispirazione per produrre un libro migliore di qualsiasi altro che ella avesse mai scritto.
La Radcliffe deve aver avvertito molto profondamente le differenze radicali che la dividevano da Lewis. "Il Monaco" tratta del violento e del macabro che ella, altrove, sfiora con più leggerezza, ma, soprattutto, accentua l'elemento sessuale, sadico e vizioso in un modo per lei inconcepibile. Il problema non è più semplicemente quello ovvio del decoro, perché, in definitiva, Schedoni e Ambrosio rappresentano due modi completamente diversi di guardare il mondo. L'orgoglio li induce a crearsi una reputazione, attentamente coltivata, di santità, che nasconde una fondamentale ed enorme ipocrisia. Entrambe le figure mostrano l'antimonachesimo convenzionale che si serve di immagini orripilanti.  I malvagi non condividono gli stessi peccati e in questo punto di divergenza, i monaci di Lewis e della Radcliffe rivelano, alla fine, una differenza di vedute. Schedoni vuole il potere e una posizione sociale, oltre che la ricchezza, mentre le passioni di Ambrosio sono autodistruttive e non hanno altro traguardo che la gratificazione immediata. L'orgoglio di Schedoni lo aveva trascinato a macchinazioni machiavelliche e al fratricidio. Ambrosio, invece, ha già conquistato la reputazione pubblica che Schedoni non ha ancora ottenuto, diviene la vittima di brame fino ad allora tenute a freno, che ora soddisfa tramite un demonio in forma umana. In parte sotto l'influenza della Radcliffe e dello Sturm und Drang ma Lewis portò alla superficie le implicazioni demoniache che, di quando in quando, Ann Radcliffe aveva lasciato intravedere. Lewis compì il grande passo avanti dopo la Radcliffe, così come lei aveva superato Walpole e Clara Reeve, anche se Schedoni, come il Satana e lo Zeluco di John Moore, appare come un'affascinante figura malefica ma poliedrica.
Fin dalla prima pagina dell'introduzione (con un assassino che si nasconde nel seno della chiesa) la personalità di Schedoni è solenne e cupa e l'onnipotenza inesplicabile e spaventosa del tribunale dell'Inquisizione anticipa il celebre romanzo di Franz Kafka sul processo. 
Con il suo amore per Shakespeare, Ann Radcliffe, con "L'Italiano" si avvicina alla tragedia. 

ALTRO APPROFONDIMENTO:












APPROFONDIMENTO

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Il Nero e il Rosa non sono poi così lontani: le damigelle gotiche di Ann Radcliffe

Le fantasie femminili sul personaggio della perseguitata si potrebbero definire di identificazione e insieme di riscatto. Vi possiamo leggere il tentativo delle donne di vivere la trasgressione anche all'interno dei limiti angusti nei quali sono rinchiuse. Un esempio particolarmente significativo lo fornisce l'opera di Mrs Ann Radcliffe (*), antesignana di quel genere letterario fortunatissimo che fu il romanzo nero, cui ricorreranno abbondantemente gli autori della letteratura d'appendice, non ultimi i due fratelli che, sotto lo pseudonimo di Delly, scrissero veri e propri feuilletons rosa nei quali si mescolano amore, avventura e delitto.
Romanzo gotico o romanzo sentimentale fanno tutt'uno: c'è sempre la vicenda di una bella e casta giovinetta dal cuore sincero, che si scontra con le ambiguità del mondo, che viene perseguitata da uno o parecchi ribaldi trovando come difensore un bel giovinetto. Si tratta perciò di romanzi tragici il cui intreccio è messo a dura prova per escogitare sempre nuovi casi e nuove peripezie in cui far dibattere l'eroina fino alla sua disfatta o al suo trionfo: il matrimonio che sanzionerà la pienezza dell'esistenza.
Assai simili alle fanciulle del "Rosa" con le quali hanno in comune quel senso del garbo, del decoro e della dignità che è bagaglio indispensabile di ogni signorina bene educata (nonché la sicura vocazione ad un lieto fine che la vedrà immancabilmente tra le braccia di un principe azzurro) le protagoniste dei romanzi della Radcliffe approfittano delle frequenti penitenze cui sono sottoposte per vedere un po' di mondo e riconquistare eredità perdute, senza lasciarsi intimorire o sconfiggere da macchie di sangue, fantasmi e pugnali.
Una bella differenza con i tipi femminili scaturiti dalla cupa immaginazione del Maturin (l'autore di "Melmoth") o del Lewis ("Il Monaco"), vittime senza speranza di torve figure maschili, perennemente discinte, ansanti, e scarmigliate, destinate ad una fine misera e crudele che porrà termine ad una lunga serie di stupri, sevizie e turpi inganni e mai protagoniste assolute, come le intrepide vagabonde del gotico femminile, ma sempre modeste comprimarie.
"Per la Radcliffe il romanzo gotico rappresentò un mezzo per spedire le sue fanciulle in lunghi ed eccitanti viaggi senza offendere le convenienze. Le sue eroine, in balia dei malvagi, sono costrette a fare ciò che da sole non potrebbero mai fare, quali che siano le loro ambizioni: scalare vette di cartapesta, affacciarsi su esotici panorami, penetrare in foreste infestate da banditi. E negli interni, dentro i castelli della Radcliffe, le sue eroine possono sgambettare  per migliaia di corridoi, scendere nei sotterranei ed esplorare stanze segrete senza nessun chaperon perché il castello gotico, per quanto in rovina, rappresenta tuttavia un interno e quindi uno spazio liberamente lecito alle donne. Nelle mani della Radcliffe il romanzo gotico diventò un surrogato femminile di quello picaresco, dove le eroine possono godere tutte le avventure ed i rischi che gli eroi maschi, nella narrativa, avevano già da tempo sperimentato, lontano da casa." (Ellen Moers)
Sotterranei, passaggi segreti, oscuri corridoi, tetre cantine in tutto e per tutto simili a quelli di "Udolpho" o dell'"Italiano", capolavori della Radcliffe, li ritroviamo descritti con una sorta di gusto claustrofilo nell'opera dei Delly come "Il segreto della saracena":
"Ma come fare?... Frund, senza dubbio, era rimasto dietro l'apertura, pronto ad ucciderla, appena fosse comparsa. Lo sguardo della giovinetta cadde in quel momento sull'entrata di quello che ella pensava fosse un antico passaggio. "Se provassi?", mormorò. "Se vedessi dove si va per di qua?" D'altronde, ella non aveva altra scelta. Uscire dalla porta segreta, era andare quasi inevitabilmente alla morte, senza salvare con questo la povera Rosa. Meglio sarebbe stato, se non fosse riuscita nel suo tentativo, gettarsi in mare e, poiché era un'eccellente nuotatrice, cercar di arrivare ad una delle piccole cale della costa. Ma correva il rischio che le mancassero le forze prima di arrivare alla meta... Febbrilmente la fanciulla afferrò il piccone e si mise ad ingrandire l'apertura, con un braccio solo, perché l'altro era immobilizzato dalla ferita. Quando il passaggio fu sufficiente per la sua sottile persona, ritornò alla tavola, mise in tasca la rivoltella, poi il foglio trovato nel cofanetto, prese il lume e si insinuò nell'apertura. Si apriva davanti a lei uno stretto corridoio dai muri rivestiti in cemento, che pareva scendesse in dolce pendio. Elfrida vi si inoltrò con prudenza. Da invisibili fessure, un'aria pura penetrava in quel passaggio che doveva seguire i contorni della scogliera, lungo la costa. Elfrida pensava con angoscia: "Scoprirò un'uscita? E se sì, in quale luogo mi troverò? Ah, se il signor di Faligny avesse ragione supponendo che questo passaggio termini nella su proprietà!" Il suolo scendeva sempre... poi, la discesa cessò. Elfrida avanzò ancora un po' in piano e superò un breve rialzo giungendo ad una stretta parete rocciosa che chiudeva il passaggio. Invano la giovinetta esaminò quella parete e il muro... non si vedeva nulla che indicasse una via d'uscita... quel passaggio non era stato fatto per niente. Un tempo vi era lì certamente un'uscita... Si avvicinò ed osservò allora un interstizio tra due pezzi di roccia. Era stretto, ma pareva profondo e l'aria dell'esterno giungeva di lì, satura di profumi... Ad un tratto, nel silenzio della notte, una voce giunse fino a lei, una voce maschile ch'ella riconobbe subito... Raimondo! Raimondo era là, vicinissimo a lei! Il cuore di Elfrida balzò di gioia. Appoggiando le labbra all'interstizio, la fanciulla chiamò: "Raimondo! Raimondo!"
Ma cosa si cela nelle segrete misteriose dei castelli diroccati? E tante terrificanti invenzioni nascono soltanto dall'esercizio di una fervida e sovraeccitata fantasia femminile alla ricerca di avventure ed emozioni nuove? Ad un esame più attento gli intrecci neri della Radcliffe e di tante sue discendenti (**) si rivelano descrizioni in chiave metaforica e surreale degli orrori di una vita di donna, quasi una trasposizione fantastica ed enfatizzata di una realtà quotidiana opaca e restrittiva. "Le stesse accuse ingiuste e severità immotivate; la stessa malizia femminile e crudeltà maschile; le limitazioni della libertà fino alla vera e propria prigionia; i misteriosi, inesplicabili rituali sociali; la terribile necessità di apparire sempre, e di essere sempre, virtuosa, e sopra ogni cosa, il tremendo rischio di scivolare dalla classe delle donne per bene a quella delle non per bene". Non è un caso che tanti orrori ed errori, il desiderio e la paura della libertà, la voglia di accedere al proibito, all'ignoto, la narrazione di pene e tormenti si risolvono, infine, nel più rassicurante e banale lieto fine.
Per le eroine in movimento della Radcliffe, gli ostacoli e le trasgressioni sembrano concentrarsi nell'eccitazione dell'avventura, perse nei meandri di tetri sotterranei, impegnate in ripide discese e faticose salite, sempre sull'orlo dei pericolosi precipizi.
Per le protagoniste del romanzo rosa (°), ben più statiche delle loro movimentate sorelle gotiche e chiuse in orizzonti molto più ristretti, il desiderio di trasgressione passa attraverso il costante sfioramento di temi proibiti (l'adulterio, passione, sensualità) o l'illusorio superamento (grazie alla forza risolutrice del vero amore o ad agnizioni provvidenziali quanto improbabili) di distanze sociali altrimenti invalicabili. Del resto l'adulterio o la tentazione di esso, come pure le insidie alla purezza verginale, hanno da sempre offerto gustosi spunti narrativi. (***) Connesso alla trasgressione è l'esercizio di un certo spirito di iniziativa, di coraggio, di malizia, di ingegnosità, sia che si debba abilmente scoprire cosa si nasconde sotto una botola insanguinata o varcare spettrali labirinti di una torre in rovina o girovagare in terre straniere, che recapitare segretamente un biglietto amoroso. Diversa, ovviamente, è la natura degli ostacoli da superare: se all'eroina gotica toccano orrori in abbondanza, quella rosa ha a che fare con persecuzioni di natura decisamente domestica e quotidiana. Incorniciate da sfondi lussureggianti o rinchiuse in grotte tenebrose ("Il corridoio terminava in una grande sala rocciosa, di cui una parte era rischiarata da due torce infisse in ganci di ferro. La loro luce rischiarava delle lastre di pietra nera su cui erano stesi dei corpi mummificati", "La luna d'oro", Delly) costrette a sostenere gli assalti dei selvaggi o a percorrere lunghissimi e perigliosi corridoi, le eroine "nere" o "rosa"  non cessano, comunque, di preparare il proprio trionfo, quello che sin dall'inizio la lettrice speranzosa e l'accorta autrice sapevano inevitabile: gli ostacoli da aggirare e da superare e le trasgressioni reali e immaginate sono state poste sul loro cammino solo per essere, alla fine, dimenticate come brutti sogni.

(°) Nota di Lunaria: si tenga presente che il romanzo Rosa ha diversi sottogeneri: il rosa paranormale venato di inquietudine, il rosa thriller, il rosa a tinte gialle, il rosa storico, il porno rosa, il rosa di ambientazione ospedaliera o avventurosa in luoghi selvaggi...

(*) Ann Radcliffe (1764-1822): Ann Ward nacque a Londra; si sposò con William Radcliffe. Molla centrale dei suoi romanzi è il terrore. Le perseguitate, il tipo fisso delle sue storie: mogli imprigionate in lugubri sotterranei da crudeli mariti come la marchesa Mazzini nel "Sicilian Romance" (1790); virtuose e belle fanciulle rinchiuse in sinistri castelli come Adeline nel "Romance of the forest" (1791), Emily nel "The Mysteries of Udolpho" (1794), Elena, protagonista della sua opera più famosa, "L'Italiano o il confessionale dei penitenti neri" (1797). Sul cattivo da lei sapientemente tratteggiato (uomo fatale, bieco, misterioso) si modellerà l'eroe byroniano.

(**) Curiosamente, le donne in letteratura hanno sempre prediletto o i romanzi sentimentali (il Rosa) o l'orrido macabro (l'Horror, appunto) nonché il Giallo, forse perché questi generi permettono di  "sfogare aspirazioni sentimentali idilliache" ed "evidenziare cose inquietanti" che sono tipiche della psiche femminile: nella realtà, le storie d'amore non sono come nei romanzi rosa e la paura persistente, che si annida sempre, nel rapporto "col prossimo", per ogni donna, è la minaccia dello stupro. Da qui, forse, la predilizione, per le lettrici e le scrittrici, a trattare questi temi (mentre altri temi sono più tipici dei maschi: penso al genere del romanzo di guerra o lo spionaggio alla Ken Follett)

Per approfondimenti:
Le Scrittrici della Narrativa Horror: la scrittura gotica e horror al femminile tra '800 e primi del '900

(***) LA FANCIULLA PERSEGUITATA NEI ROMANZI GOTICI

APPROFONDIMENTO:
LE PROTAGONISTE FEMMINILI NEI RACCONTI DEGLI SCAPIGLIATI