Ann Radcliffe "I Misteri di Udolpho": gli stralci più belli


Trama: Considerato l'archetipo del romanzo gotico, "I Misteri di Udolpho" fu pubblicato nel 1794. 
Ann Radcliffe (pioniera della letteratura horror) sulla struttura (solo apparente) del racconto di formazione femminile, modella un percorso attraverso gli spazi sublimi del terrore, nelle quali l'eroina si smarrisce in una vertigine nera che la conduce oltre i limiti della ragione e della natura.
Nella Francia del 1584 la giovane e sensibile Emily St. Aubert, rimasta orfana di entrambi i genitori, viene rinchiusa dalla zia Madame Cheron e dal suo compagno, il perverso zio Montoni, nel tenebroso castello di Udolpho, sugli Appennini. Solo dopo una convulsa serie di avvenimenti agghiaccianti, Emily riesce a riacquistare la libertà e a ricongiungersi con il suo innamorato Valancourt.
Il Castello di Udolpho è una perfetta e animata macchina del terrore, abilmente descritto in un mastodontico romanzo (1025 pagine!)


Prima pagina

"Nel 1584, sulle ridenti sponde della Garonna, nella provincia della Guascogna, sorgeva il castello di Monsieur St. Aubert. Dalla finestra si scorgeva il paesaggio pastorale della Guienna e della Guascogna che si allargava lungo il fiume, allietato da boschi lussureggianti e da piantagioni di olivi. Verso sud la vista era limitata dai maestosi Pirenei, le cui cime, avvolte dalle nubi, rivelando a tratti le loro forme imponenti intraviste per un momento e nuovamente nascoste dalle masse di vapori, si mostravano a volte brulle e scintillanti nel delicato azzurro dell'aria, a volte minacciose con le loro foreste di oscuri pini che giungevano sino al fondo della valle. Ed era vivo il contrasto fra quei tremendi precipizi e il verde tenero dei pascoli che si estendevano ai loro confini dove l'occhio si posava con piacere sulle greggi, sulle mandrie e sui modesti casolari, dopo essersi inerpicato sui sovrastanti dirupi. 
A nord e a est le pianure della Guienna e della Linguadoca si perdevano nelle brume della distanza; a ovest la Guascogna aveva a limite le acque del Golfo di Biscaglia. 
St. Aubert amava aggirarsi, insieme con la moglie e la figlia, lungo le rive della Garonna, ascoltando la musica che si levava dalle sue onde. Aveva conosciuto la vita in forme diverse dalla semplicità pastorale, avendo partecipato alle gaie e movimentate scene del mondo; ma il lusinghiero ritratto dell'umanità delineato dal suo cuore nella prima gioventù era stato troppo penosamente corretto dall'esperienza. [...] I verdi pascoli, tanto spesso teatro delle sue folli corse quando era nel pieno delle forze e godeva della libertà della gioventù, la fresca ombra dei boschi nei quali si era per la prima volta abbandonato a quella pensosa malinconia che avrebbe poi costituito tratto del suo carattere, gli impervi sentieri della montagna, il fiume dove era andato in barca e le lontane pianure che si sarebbero dette senza limiti proprio come le sue prime speranze, tutto ciò fu ricordato in seguito da St. Aubert con entusiasmo e rimpianto. 
E alla fine si liberò del mondo e si ritirò in quei luoghi per realizzare i desideri accarezzati per tanti anni.
[...] Qui, sotto la vasta ombra di un platano che allargava il suo maestoso baldacchino in direzione del fiume, St. Aubert amava attardarsi nelle belle serate d'estate in compagnia della moglie e dei figli, osservando, protetto dal suo fogliame, il tramonto del sole e il mite splendore della sua luce che scompariva dal lontano paesaggio, finché le ombre del crepuscolo ne fondevano i vari aspetti in un'unica tinta di un sobrio grigio."


Pagina 39

"Tra i primi piaceri di cui godette Emily fu quello di potersi aggirare fra le scene della natura; e ciò che le procurava maggior diletto non erano i paesaggi dolci e quelli più vistosi; preferiva i sentieri selvaggi dei boschi che costeggiavano la montagna e ancor più gli stupendi recessi di quest'ultima, dove il silenzio e la grandiosità della solitudine imprimevano un sacro timore nel cuore ed elevavano i suoi pensieri verso il Dio del cielo e della terra. Ella indugiava a lungo in simili scene, tutta presa dal fascino della malinconia, finché l'ultimo bagliore del giorno si cancellava dall'occidente; finché il suono solitario della campanella di una pecora o il lontano latrato di un cane da guardia erano le sole cose che si facessero udire nel silenzio della sera. E allora l'oscurità dei boschi, il lieve agitarsi a intervalli delle foglie, il volo del pipistrello nel crepuscolo, la luce dei casolari che a momenti si rivelava e a momenti scompariva, erano tutti fatti che stimolavano il suo spirito all'azione, che portavano all'entusiasmo e alla poesia.
La sua passeggiata preferita portava a una casetta da pesca, di proprietà di St. Aubert, situata in una piccola valle boscosa sulla riva di un ruscelletto che scendeva dai Pirenei e che, dopo aver spumeggiato fra quelle rocce, si apriva in silenzio il suo tortuoso cammino fra le ombre in esso riflesse. Sopra i boschi che proteggevano quella valletta si ergevano le maestose vette dei Pirenei, che spesso si presentavano prepotenti e improvvise agli occhi attraverso gli alberi sottostanti, mentre a volte non si vedeva altro che una massa rocciosa, sormontata da cespugli selvatici, o la capanna di un pastore sistemata su una rupe all'ombra dell'oscuro cipresso o del frassino ondeggiante. Emergendo dagli oscuri recessi dei boschi, la valletta si apriva verso il lontano paesaggio, dove i ricchi pascoli e pendii coperti di vigne della Guascogna declinavano gradatamente verso la pianura.
(...) Mentre scendevano, videro a destra, in lontananza, uno dei grandiosi passi dei Pirenei verso la Spagna, con i suoi spalti merlati e le torri che luccicavano nello splendore dei raggi del sole al tramonto, e con la cima gialla dei boschi che colorava i precipizi sottostanti, mentre su in altro si ergevano le nevose vette delle montagne che riflettevano una tinta rosea."


Pagina 52

"L'oscurità della sera nei boschi è sempre stata una gioia per me", disse St. Aubert, con lo spirito rallegrato ora dalla dolce calma che nasce dalla consapevolezza di aver fatto un'azione buone e che predispone l'uomo a ricavare un piacere da tutto quanto lo circonda.
"Ricordo che quando ero giovane quest'oscurità evocava alla mia immaginazione mille visioni fantastiche e mille immagini romantiche; e riconosco di essere ancora oggi non del tutto incapace di quello slancio di entusiasmo che dà vita al sogno del poeta: posso ancora attardarmi con passo solenne nell'ombra profonda, spingere lo sguardo trasformatore nella lontana oscurità e porgere ascolto con un fremito di gioia al mistico mormorio dei boschi."
(...) "Ecco che un suono passa al di sopra degli alberi; e ora si spegne; quanto è solenne ora il silenzio. è come la voce di un qualche essere soprannaturale, la voce dello spirito dei boschi, che veglia su loro nella notte. Ah! Che cos'è quella luce laggiù? Ma è scomparsa. Ed ecco che luccica di nuovo, accanto alla radici di quel gran castagno: guardate, padre!"


Pagina 58

"M.me St. Aubert fu sepolta nella chiesa del vicino villaggio; il marito e la figlia l'accompagnarono alla tomba seguiti da un lungo corteo di contadini, che piangevano sinceramente la morte di quella donna eccellente."


Pagina 74

"Si lanciò al galoppo lungo l'orlo di un precipizio che dava i capogiri solo a guardarlo. Emily fu terrorizzata quasi al punto da svenire, e St. Aubert, temendo che fosse ancora più pericoloso fermare improvvisamente il conducente, fu costretto a starsene seduto senza reagire e affidandosi alla robustezza e al buonsenso dei muli, che evidentemente ne disponevano più del loro padrone, dato che portarono i passeggeri sani e salvi nella valle, fermandosi sull'orlo di un rivoletto che la traversava.
Lasciando lo splendore delle ampie prospettive, essi entrarono in quella stretta valle protetta da 

rocce ammassate su rocce quasi per incantesimo
arse qui dalla folgore, verdeggianti altrove per l'edera.

L'aspetto spoglio della scena era qua e là interrotto dall'allargarsi dei rami del larice o del cedro, che gettavano la loro ombra sulle rupi o attraverso il torrente che precipitava ruzzolando giù per la valle. Non si vedevano esseri viventi, se si eccettua l'antilope che si arrampicava fra le rocce, standosene talvolta in bilico su punti tanto pericolosi da fare indietreggiare la fantasia vedendoli. Era una scena che Salvator Rosa avrebbe scelto per una sua tela, se allora fosse esistito. 
St. Aubert, colpito dall'aspetto romantico del luogo, si attendeva quasi di veder balzare dei banditi da dietro qualcuna delle rocce sporgente, e teneva la mano pronta sulle armi che portava sempre con sé in viaggio.
Mentre avanzavano, la valle si allargava; poco alla volta i suoi tratti selvaggi andarono ammorbidendosi e, verso sera, si trovarono circondati da alte brughiere che si estendevano a perdita d'occhio e dove si potevano udire la solitaria campanella delle pecore e la voce del pastore che chiamava all'ovile il suo gregge disperso."


Pagina 83

"La strada si snodava ai piedi delle montagne in una valle pastorale, rallegrata dal verde e resa varia dai boschetti di querce nane, di faggi e sicomori sotto i cui rami riposavano mandrie di bestiame. Anche il sorbo selvatico e la betulla si affacciavano spesso con le lunghe foglie dalla sommità delle alture sovrastanti, dove la poca terra riusciva appena a nascondere le loro radici e dove i loro sottili rami si muovevano a ogni soffio della brezza che veniva ondeggiante dalle montagne.
Giunse il momento in cui si dispersero le luci dell'alba che ammorbidivano lo scenario con la loro caratteristica tinta grigia, ed Emily osservò il progredire del giorno, che si presentò incerto dapprima sulla cima dei più alti dirupi e poi li raggiunse con una splendida luce, mentre i loro fianchi e la valle sottostante erano ancora avvolti in una foschia rugiadosa. 
Nel frattempo il tetro grigiore delle nuvole a oriente prese a colorarsi, poi a farsi rosso, e a risplendere poi con mille colori, finché la luce d'oro dardeggiò ovunque nell'aria, toccò i punti più bassi della vetta delle montagne e si affacciò con lunghi raggi obliqui nella valle sul suo corso d'acqua.
Sembrava che tutta la natura si fosse destata dalla morte alla vita; lo spirito di St. Aubert rinacque." 


Pagine 84-85

"(...) L'aspetto del paesaggio cominciò a cambiare e i viaggiatori si ritrovarono in mezzo a montagne coperte dalla base fin quasi alla vetta da tetri pini, tranne dove una roccia di granito sporgeva dalla valle mandando la sua nevosa cima a perdersi fra le nuvole.
Il rivoletto che li aveva accompagnati fino ad allora assumeva ora le dimensioni di un fiume e, scorrendo profondo e silenzioso, prese a riflettere come in uno specchio il nero dell'ombra sovrastante. A volte si vedeva un dirupo che levava la sua testa audace al di sopra dei boschi e dei vapori che galleggiavano nell'aria a mezza altezza lungo la costa delle montagne; a volte una facciata di marmo perpendicolare sorgeva dall'orlo dell'acqua sovrastata da un larice che allargava le sue braccia gigantesche, offese qua e là dal fulmine e ondeggianti altrove nel lussureggiare delle foglie. Continuarono a viaggiare (...) udendo solo lo scrosciare dei torrenti che i boschi nascondevano allo sguardo, il lungo e cupo mormorio della brezza che passava sui pini, o le note dell'aquila e dell'avvoltoio che potevano vedersi troneggiare attorno a uno scosceso dirupo (...) Emily, presa da grande entusiasmo, si allontanava, aggirandosi nell'ombra e porgendo ascolto in silenzio al solitario mormorio dei boschi."

Pagina 92

"(...) un luogo alto e inaccessibile ai muli e da dove il panorama si apriva con maggior magnificenza, e spesso aggirandosi sulle colline coperte di lavanda, di timo, ginepro e tamarisco; e all'ombra dei boschi, fra quei tronchi d'albero, essi scorgevano in tutta la sua considerevole estensione lo spettacolo offerto dalle montagne, sublime al di là di qualsiasi cosa Emily avesse immaginato. (...) A partire da Beaujeu la strada era stata costantemente in ascesa, introducendo i viaggiatori nelle regioni dell'aria più alta, dove immensi ghiacciai facevano mostra dei loro gelidi orrori e la neve eterna imbiancava la sommità delle montagne. Si fermarono spesso a contemplare quelle stupende scene e, seduti su qualche rupe selvaggia dove potevano prosperare solo il leccio e il larice, contemplavano le oscure foreste di abeti e precipizi mai raggiunti dal piede umano, addentrando l'occhio nella stretta valle, così profonda che a stento giungeva come un mormorio il rimbombo del torrente che poteva vedersi spumeggiare in fondo a essa. Sopra quei dirupi ne sorgevano altri di incredibile altezza e di forme fantastiche; alcuni assottigliandosi a guisa di cono; altri sporgendo di molto sulla loro base in enormi masse di granito, lungo i cui orli frastagliati era spesso sistemato un carico di neve che, tremando perfino a causa delle vibrazioni del suono, minacciava di portare con sé la distruzione nella valle. Tutt'intorno, da ogni parte, fin dove poteva arrivare lo sguardo, si vedevano solo forme grandiose, la lunga prospettiva della cima delle montagne leggermente colorata di un azzurro etereo o resa bianca dalla neve, vallate di ghiaccio e foreste di tetri abeti. (...) Il profondo silenzio di quelle solitudini era rotto solo a intervalli dall'urlo degli avvoltoi, che potevano vedersi poggiati tutt'intorno a qualche dirupo sottostante, o dal grido dell'aquila che veleggiava in alto nell'aria, se non quando i viaggiatori porgevano ascolto al cupo rumore del tuono che brontolava a volte ai loro piedi."


Pagine 96-97

"La luna cominciava a mostrarsi, ma la sua luce era ancora troppo fioca per essere loro di aiuto. Mentre avanzavano cautamente, udirono la campana vespertina di un convento. La luce crepuscolare non consentì loro di distinguere qualcosa che potesse sembrare un edificio (...) ora la luna gettava una debole luce sul sentiero e, poco dopo, consentì loro di distinguere alcune torri che si ergevano al di sopra della cima degli alberi. Seguendo ancora la nota della campana, entrarono nell'ombra di quei boschi, unicamente illuminati dai raggi della luna che si facevano strada tra le foglie e gettavano una tremulo, incerto barlume sul ripido e tortuoso sentiero da loro percorso. (...) Davanti a loro si allargava la valle che avevano lasciato, a sinistra le rocce e i boschi, appena inargentati dai raggi luminosi, costituivano un contrasto con l'ombra profonda che avvolgeva le rupi dell'altro versante, di cui solo le cime frastagliate erano appena toccate dalla luce, mentre la lontana prospettiva della valle si perdeva nella gialla foschia del chiarore lunare."


Pagina 102

St. Aubert, abbastanza ristorato dal riposo di una notte per poter proseguire il viaggio, partì al mattino per il Roussilon, insieme ai suoi familiari e a Valancourt nella speranza di giungervi prima del calar della notte. Le scene che ora traversavano erano non meno selvagge e romantiche di quelle che avevano osservato fino ad allora, con la differenza, però, che la bellezza interveniva qua e là ad addolcire il paesaggio portandolo a sorridere. Fra le montagne si mostravano dei piccoli recessi boscosi, rivestiti di un verde sgargiante e di fiori; o una valle pastorale allargava il suo erboso grembo all'ombra delle rupi, con le greggi e le mandrie che si muovevano lungo le sponde di un ruscelletto che provvedeva a mantenerle eternamente verdi. 
St.Aubert non poteva pentirsi di aver scelto quella strada faticosa, pur essendo anche quel giorno costretto a scendere spesso dalla carrozza per percorrere a piedi il cammino lungo un frastagliato precipizio e a inerpicarsi per la ripida e pietrosa montagna. La meravigliosa sublimità e la varietà dei panorami lo ripagavano di tutto questo [...]


Pagina 109

[...] e poi si diramava con rocce sporgenti. Con la loro tinta grigia facevano un bel contrasto i colori luminosi delle piante e dei fiori selvatici che crescevano nelle  loro spaccature, mentre valeva a intensificarla quanto vi era di tetro nei pini e nei cedri che ondeggiavano dall'alto. I colli sottostanti sui quali volava l'occhio per guardare la valle erano frangiati da una boscaglia di arbusti e di pini; e ancora più in basso si mostravano le cime impennacchiate dei boschi di castagno che ne rivestivano la base e da cui faceva capolino la casupola del pastore appena lasciata dai viaggiatori, con l'azzurro del fumo che saliva a spirale nell'aria. Da ogni parte si mostravano le maestose cime dei Pirenei, e di esse alcune facevano mostra di tremende rocce di marino, che cambiavano aspetto a ogni istante e a seconda del variare della luce; altre invece, ancora più in alto, mostravano solo delle punte nevose, mentre le alture sottostanti erano quasi invariabilmente coperte di foreste di pini, di larici e di querce che si estendevano in giù, verso la valle. Si trattava delle strette valli che si aprono dai Pirenei verso le campagne del Roussillon, e dove verdi pascoli e la bellezza coltivata formavano un deciso e meraviglioso contrasto con la grandiosità romantica che le circondava. Attraverso una visuale di montagne si mostravano i bassopiani del Roussillon, colorati dall'azzurra caligine della distanza dove si univano alle acque del Mediterraneo; e là, su un promontorio che segnava il confine della spiaggia, c'era un faro solitario intorno al quale si vedevano volare a stormi gli uccelli marini. Più lontano si vedeva avanzare lentamente una vela, biancheggiante qua e là nella luce del sole, e il moto in avanti era reso percepibile dal suo avvicinarsi al faro. A volte si vedeva anche una vela talmente lontana che serviva solo a indicare la linea di demarcazione fra il ciclo e le onde. Sull'altro lato della valle, esattamente di fronte al luogo scelto per riposarsi dai viaggiatori, si apriva un valico roccioso verso la Guascogna.


Pagina 111

[...] Quel paesaggio, con le Alpi che lo circondavano, presentava indubbiamente un perfetto quadro dell'incantevole e del sublime, "della bellezza che dorme in grembo all'orrido"


Pagina 125

[...] Egli era lì abbandonato, completamente privo di sensi. "Mio caro padre, mio caro padre", gridò Emily, sopraffatta dall'angoscia, e colta dal timore che stesse morendo, "parlate, dite una parola sola per farmi sentire il suono della vostra voce!" Ma nessuna voce rispose. In un parossismo di terrore ella ordinò a Michael di portarle dell'acqua del ruscelletto che scorreva lungo la strada; e, avendone ricevuto un po' nel cappello dell'uomo, ne spruzzò con le mani tremanti sul viso del padre che, illuminato dai raggi della luna, sembrava portare l'impronta della morte. (...) Era una calma notte lunare, e la musica che si faceva ancora udire nell'aria guidò i suoi passi dalla strada maestra, per un sentiero oscuro che portava al bosco. Per un po' la sua mente fu così completamente presa dall'ansia e dal terrore per il padre, finché l'accentuarsi dell'oscurità prodotta dal fogliame, insieme a quanto vi era di selvaggio nel luogo, la richiamò al senso della sua avventurosa situazione."


Pagine 131-135

[...] "Mi è capitato molto di rado di sentire questi suoni così presto la sera. In genere vengono verso la mezzanotte, quando quel pianeta luminoso che si leva ora al di sopra di quella torre scende più in basso del bosco a sinistra."
"Quale torre?", si affrettò a chiedere St. Aubert. "Non ne vedo nessuna."
"Vi chiedo scusa, signore, ma la vedete certamente, poiché la luna la illumina tutta; in fondo a quel viale, molto lontano; il castello di cui fa parte è nascosto fra gli alberi."
[...] "Emily osservò l'addensarsi sul suo viso di un dolore non esente da una leggera espressione di orrore; il suo sguardo si fece fisso e, toccato com'era dal bianco argenteo della luce lunare che lo avvolgeva, egli assunse l'aspetto di una di quelle figure marmoree di un monumento funebre che sembrano chinarsi in preda a un disperato dolore sulle ceneri dei defunti viste "alla fioca luce che la debole luna manda attraverso le vetrate istoriate" (*)

(*) Versi tratti da "The Emigrants" di Charlotte Smith (1747-1806). Charlotte Smith scrisse molti romanzi, ispirando Ann Radcliffe.
 

Pagina 164

[...] L'aria fredda delle navate la raggelò, e il profondo silenzio e la loro vastità, debolmente illuminata dalla luna, i cui raggi entravano attraverso una lontana finestra gotica, sarebbero riusciti in qualsiasi altro momento a gettarla in un terrore superstizioso; ora era solo il dolore a monopolizzare la sua attenzione.


Pagina 172

Rendendosi cono che il suo stato d'animo non era all'altezza del compito che si era assegnato di visitare quella sera le stanze deserte del castello, andò nel giardino, lasciando la biblioteca, e poi giù fino alla spianata che sovrastava il fiume. Il sole era ormai tramontato; ma sotto gli oscuri rami dei mandorli si vedeva lo splendore color zafferano dell'occidente che si allargava al di là della luce crepuscolare interposta. Il pipistrello volava silenziosamente, e ad intervalli si udiva la nota lamentosa dell'usignuolo. 


Pagina 253

[...] Avendo raggiunto quei gradini, fece una piccola sosta per guardarsi attorno, dato che la distanza dal castello alimentava ora il terrore creato dal silenzio e dall'oscurità. Ma, accorgendosi che non vi era nulla che lo giustificasse, salì sulla spianata, dove la luce lunare rendeva visibile il lungo e largo cammino e il padiglione alla sua estremità, mentre i raggi lunari inargentavano il fogliame degli alti alberi e dei cespugli che lo delimitavano a destra e le frondose cime di quelli che giungevano al livello della spianata a sinistra, levandosi dal sottostante giardino. (...) Le imposte erano aperte e mostravano, al di là del loro arco chiuso nel verde, il paesaggio lunare, con le sue ombre e la sua dolcezza, i suoi boschetti e le pianure che si estendevano gradatamente facendosi indistinti all'occhio, le sue lontane montagne che coglievano un raggio più luminoso, e il fiume più vicino che rifletteva la luna e tremolava ai suoi raggi."


Pagina 274

[...] La neve non si era ancora sciolta sulla vetta del Moncenisio (...) Ma Emily, guardando le acque chiare del suo lago e la vasta pianura circondata da dirupi frastagliati, vide con l'immaginazione la bellezza verdeggiante che si sarebbe rivelata quando fossero scomparse le nevi e quando i pastori a mezza estate, guidando al pascolo le greggi del Piemonte verso la sua sommità fiorita, avrebbero aggiunto figure arcadiche a un paesaggio arcadico.
Scendendo verso il versante italiano, i precipizi si fecero ancora più paurosi e i panorami più selvaggi e maestosi, con tutta la pompa e il colore impartiti dai giochi di luce. (...) si aprivano e consentivano parziali visioni del paesaggio: il torrente, il cui incredibile frastuono si era mantenuto incessante e che precipitava fra le rocce dell'abisso, enormi rupi bianche di neve, o le oscure sommità delle foreste di pini che si estendevano fino a mezza costa giù per le montagne.
Ma chi potrà descrivere il suo rapimento quando, essendo passata attraverso un mare di vapori, ebbe la prima visione dell'Italia (...) La solitaria grandiosità degli oggetti che la circondavano, la regione montuosa che troneggiava più in alto, i profondi abissi che si spalancavano in basso, l'ondeggiare delle nere foreste di pini e di querce che ne sfioravano i piedi o ne coprivano i recessi, i precipitosi torrenti che, lanciandosi di mezzo alle rupi, si presentavano a volte come nuvole di nebbia e a volte come lastroni di ghiaccio: erano questi i tratti che ricavavano un carattere più elevato di sublimità dalla riposante bellezza del paesaggio italiano che si allargava in basso fino al lontano orizzonte, ove il fondersi della stessa tinta azzurra pareva unire il cielo e la terra.

Nota di Lunaria: questo stralcio mi ha fatto venire in mente alcune poesie rinascimentali. Le trascrivo qui:

Luigi Tansillo

E freddo è il fonte, e chiare e crespe ha l'onde
e molli erbe verdeggian d'ogn'intorno (1),
e 'l platano coi rami e 'l salce, e l'orno
scaccian Febo (2), che il crin talor v'asconde:
e l'aura appena le più lievi fronde
scuote; sì dolce spira al bel soggiorno [...]

(1) Dappertutto, lungo le rive
(2) Il Sole


Strane rupi, aspri monti, alte tremanti
ruine, e sassi al ciel nudi e scoperti (1),
ove a gran pena pòn (2) salir tant'erti
nuvoli in questo fosco aere fumanti;
superbo orror, tacite selve, e tanti
negri antri erbosi in rotte pietre aperti (3);
abbandonati a sterili deserti,
ov'han paura andar le belve erranti;
a guisa d'uom, che per soverchia pena
il cor triste ange (4) fuor di senno uscito,
sen va piangendo, ove il furor lo mena (5),
vo piangendo io tra voi; e se partito (6)
non cangia il ciel, con voce assai più piena
sarò di là tra le meste ombre udito (7)

(1) Senza vegetazione
(2) Possono
(3) Scavati
(4) Angoscia
(5) Lo porta
(6) E se non muta la sua decisione
(7) Defunti

"Che i campi il giorno d'ombra e d'orror cinga..."

Valli nemiche al Sol, superbe rupi che minacciate il ciel, profonde grotte, d'onde non parton mai silenzio e notte, 
sepolcri aperti, pozzi orrendi e cupi,
precipitati sassi, alti dirupi,
ossa insepolte,
erbose mura e rotte d'uomini albrgo ed ora a tal condotte
che temon d'ir fra voi serpenti e lupi
erme campagne, abbandonati lidi,
ove mai voce d'uom l'aria non freme, 
Ombra son io dannata a pianto eterno,
ch'a piagner vengo la mia morte
fede e spero al suon de' disperati stridi,
se non si piega il ciel, muovere l'Inferno.


Galeazzo di Tarsia

Già corsi l'alpi gelide e canute (1),
mal fida siepe (2) alle tue rive amate:
or sento, Italia mia, l'aure odorate (3),
e l'aer pien di vita e di salute.
Quante m'ha dato Amor, lasso, ferute  (4)
membrando (5) la fatal vostra beltade,
chiuse valli, alti poggi ed ombre grate,
da' ciechi figli tuoi (6) mal conosciute!
O felice colui che un breve e colto (7)
terren tra voi possiede, e gode un rivo,
un pomo, un antro e di Fortuna il volto.
Ebbi i riposi e le mie paci a schivo (8)
(o giovenil desio fallace e stolto!):
or vo piangendo, che (9) di lor son privo.

(1) Rese bianche dalla neve
(2) Difesa non troppo sicura
(3) Odorose
(4) Ferite 
(5) Nel ricordare
(6) I tuoi abitanti
(7) Piccolo e coltivato
(8) A dispregio
(9) Giacché


Matteo Bandello

Aspere rupi, incolti sassi e aperte 
dal terremoto e profondate grotte, 
d'orror, di fredda tema e d'atra notte (1) 
piene, e caverne inospiti (2) e deserte; 
strade mai sempre perigliose ed erte,
d'alte roine (3) attraversate e rotte, 
acque schiumanti con furor condotte (4)
per valli ognor di nuvole coperte; 
di famelici lupi e crude fiere 
d'orsi, di serpi e di mill'altre belve, 
covi, spelonche, buconi, antri e tane, 
e voi sì spaventose e oscure selve, 
com'è che mi facciate qui vedere 
chi (5) m'arde e fa le mie speranza vane?

(1) oscura
(2) non ospitali
(3) precipizi, frane
(4) correnti
(5) la donna

 
Alpi nevose, (1) che le corna al cielo (2)
e quinci e quindi (3) oltre misura alzate, 
e ne l'algente verno (4) e calda estate 
orride sète (5) di perpetuo gelo:
tra voi pavento (6), e mi s'arriccia il pelo,
ch'al rimbombo che d'acque e sassi fate,
sì spaventose ognora vi mostrate,
che di paura tutto tremo e gelo.
S'al basso miro, l'occhio non penètra (7)
l'atra profonda ne l'abisso valle,
né a l'alto scerno le fumanti corna. (8)
E pur mi veggio ancor, dopo le spalle,
che mi persegue Amor con la faretra,
ch'ad ogni passo a saettar mi torna.

(1) In viaggio verso la Francia
(2) cime
(3) in ogni direzione
(4) gelido inverno
(5) siete
(6) provo timore
(7) non riesce a vedere fino in fondo
(8) e non scorgo nemmeno, in alto, le cime nebbiose (fumanti)


Giovanni Guidiccioni

Qui vedrai campi solitari nudi, e sterpi e spine invece d'erbe e fiori e nel più verde april canuto verno.
Qui i vomeri e le felci in via più crudi ferri coverse,
e pien d'ombre e d'orrori questo di vivi doloroso inferno
mirando aride stoppie e tronchi e sterpi le piagge ove l'altrieri splendeano i fiori e ondeggiavan l'erbe; e l'odorate siepi, nude spine, che le strade spargean dianzi di rose; andan sotterra le sdegnose serpi.


Giovan Battista Strozzi

Ombra io seguo che piage e monti copre per l'oscurissima foresta 
del mondo a fin discuopre aguati con sua face atra funesta...
Quante e che spaventose ombre e larve atre, e scuri mi spaventan fantasmi: e tristi auguri e voci dolorose?
Né più (miseri) or l'una or l'altro,
ma solo Notte, pur sempre, e stigia (1) Notte?"

(1) infernale

O sera cupissima infelice, che svelta da radice tutta la mia purpurea primavera, di sì fosc'ombra nera non pur l'anima imbruni ma tanti in sen m'adui, in sen mi chiudi abissi e inferni dispietati e crudi.



Pagina 302

Col fresco della sera la comitiva si imbarcò nella gondola di Montoni e andò verso il mare aperto. Il rosso bagliore del tramonto toccava ancora le onde e indugiava a ovest, ove il malinconico luccichio andava lentamente estinguendosi, mentre più in alto le stelle incominciavano a sfavillare nell'azzurro oscuro dell'etere. (....) I raggi della luna, assumendo intensità mentre l'ombra si faceva più profonda, non tardarono a gettare una luce argentea sul suo viso, che era in parte nascosto da un sottile velo nero che le conferiva un'inimitabile soavità.


Pagina 340

Era ormai passata la mezzanotte. Le stelle spandevano una luce crepuscolare che serviva a mostrare l'oscuro profilo delle sponde sui due lati e la grigia superficie del fiume; finché la luna sorse da dietro un altro gruppo do palmizi e riversò il suo mite splendore sulla scena.


Pagina 344

Emily rimase spesso dietro agli altri per contemplare il paesaggio che chiudeva a distanza il panorama, o che si mostrava nel suo splendore visto attraverso l'oscuro fogliame in primo piano; le slanciate vette delle montagne toccate da una tinta purpurea, frastagliate e ripide in alto, ma digradanti poco alla volta fino alla base; la valle aperta che non mostrava alcun segno formale dell'arte; e gli alti boschetti di cipressi, di pini e di pioppi che abbellivano qua e là i ruderi di una villa le cui colonne infrante si mostravano fra i rami di un pino che sembrava curvarsi afflitto per la loro caduta.


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Finalmente i viaggiatori iniziarono l'ascesa degli Appennini. Le immense foreste di pini che, a quel tempo, coprivano le montagne in mezzo alle quali si snodava la strada impedivano qualsiasi visuale che non fosse quella delle rupi che si ergevano verso l'alto, eccetto quando, a intervalli, un'apertura attraverso i boschi oscuri consentiva all'occhio una momentanea visione del paesaggio sottostante. La tetraggine di tutta quell'ombra, il suo solitario silenzio, eccetto quando la brezza soffiava in alto sugli alberi, i tremendi precipizi delle montagne, di cui si aveva una parziale visione (...) Il suo cuore indietreggiava disperato davanti alle profonde solitudini nelle quali andava immergendosi, e davanti al tetro castello, al cui proposito le erano giunti all'orecchio misteriosi accenni, ed ella si rese conto che, per quanto il suo spirito fosse già in preda a una particolare angoscia, era ancora suscettibile all'influsso di circostanze nuove e locali; per quale altro motivo sarebbe stata colta da orrore all'idea di quel castello desolato?


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(...) Oltre l'anfiteatro delle montagne che si allargavano sotto di loro, con le cime che si sarebbero dette numerose quasi come le onde del mare e con la base nascosta dalle foreste, si estendeva la campagna italiana, dove le città, i fiumi e i boschi e tutto lo splendore della coltivazione si mescolavano in una gaia confusione. (...) Da quella sublime scena i viaggiatori ripresero l'ascesa tra i pini, finché entrarono in una stretta gola delle montagne che nascose ogni tratto della campagna lontana e mostrò, al suo posto, solo tremendi dirupi che sovrastavano la strada, dove non appariva traccia di esseri umani e nemmeno di qualche vegetazione, se si eccettuano qua e là il tronco e i rami malandati di una quercia che pendeva quasi con la testa all'ingiù dalla roccia dove si erano fissate le sue forti radici. 


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(...) Anche qui le vaste foreste di pini coprivano la loro base e coronavano la scoscesa parete frastagliata che sorgeva a picco dalla valle, mentre più in alto i banchi di nebbia in movimento coglievano i raggi del sole e toccavano le rupi con mille magici effetti di luce e ombra. (...) Benché le profonde valli in quelle montagne fossero, in massima parte, ricoperte di pini, a volte un improvviso slargo presentava una prospettiva fatta solo di nude rocce; con una cateratta che scintillava cadendo dalla loro vetta tra i frantumi dei dirupi, finché le sue acque, raggiungendo il fondo, procedevano spumeggianti e con non minor violenza.


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(...) Il sole era appena sprofondato dietro la cima delle montagne dalle quali discendeva e che allargavano la loro lunga ombra attraverso la valle; ma i suoi raggi obliqui, aprendosi il varco attraverso un'apertura tra le rupi, impartivano un bagliore giallo alla cima degli alberi della foresta che copriva l'erta sull'altro lato della valle, e inondavano tutto il loro splendore le torri e gli spalti merlati di un castello che estendeva i suoi ampi bastioni sull'orlo di una parete incombente a piombo su di essa. Lo splendore di quegli oggetti illuminati era intensificato dal contrasto con l'ombra che avvolgeva la valle sottostante.
"Quello", disse Montoni, parlando per la prima volta dopo molte ore, "quello è Udolpho."
Emily guardò con malinconico timore il castello, che capì essere quello di Montoni; poiché, anche se illuminato ora dal sole al tramonto, la grandiosità gotica del suo aspetto e le mura sgretolate fatte di oscura pietra grigia ne formavano un oggetto tetro e sublime. Mentre guardava, la luce si spense sulle sue mura, lasciando una malinconica tinta purpurea che andò estendendosi, sempre più cupa, man mano che un sottile vapore saliva lentamente sulla montagna, mentre gli spalti più in alto mostravano ancora segni dello splendore. I raggi non tardarono a dileguarsi anche da quelli, e l'intero edificio fu investito dalla solenne oscurità della sera. Silenzioso, solitario e sublime, sembrava starsene lì come il sovrano della scena, lanciando accigliato la sua sfida a quanti osassero invadere il suo regno solitario. Con l'accentuarsi del crepuscolo, le sue caratteristiche si fecero più impressionanti nel buio, ed Emily continuò a guardare finché si poterono vedere soltanto le sue torri strette insieme, che si ergevano al di sopra delle cime della foresta, sotto la cui fitta ombra le carrozze non tardarono ad iniziare l'ascesa. L'estensione e l'oscurità di quegli alti boschi le richiamarono terrificanti immagini alla mente, ed ella si aspettava quasi di veder balzare di sotto gli alberi dei banditi.
Alla fine le carrozze emersero in un terreno roccioso coperto d'erica e poco dopo raggiunsero l'ingresso del castello (...) [Emily] osservò ansiosamente l'edificio: ma l'oscurità che lo circondava le consentì di distinguere poco più che una parte della sua sagoma, con i muri massicci e i bastioni, e di rendersi conto che era vasto, antico e tetro. (...) Il portone d'ingresso che le stava davanti e che immetteva nei cortili era di dimensioni gigantesche ed era difeso da due torri rotonde sormontate da torricciole fortificate, dove invece dei vessilli ondeggiavano i lunghi fili d'erba e le piante selvatiche, che avevano affondato le radici fra le pietre sgretolate e che al passaggio della brezza sembravano sospirare sulla desolazione che le circondava.
Le torri erano unite fra loro da una cortina, anche questa con fori e fortificata, al di sotto della quale si mostrava l'arco a sesto acuto di un'enorme saracinesca che sormontava i battenti dell'ingresso: da qui i muri dei baluardi si estendevano ad altre torri a strapiombo sul precipizio, i cui contorni malandati, che si mostravano all'incerto bagliore di una luce che indugiava a occidente, parlavano delle devastazioni della guerra. Oltre questo, tutto si perdeva nell'oscurità della sera.


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"Che cosa avete udito su questo quadro, che vi rende talmente restia a trattenervi quando ve lo ordino?"
"Non so qual è la ragione, mademoiselle", rispose Annette, "e non so nulla sul quadro, ho solo udito dire che c'è qualcosa di veramente spaventoso che lo riguarda, e che è stato coperto sempre di nero da allora, e che nessuno l'ha guardato da moltissimi anni, e che è in qualche modo collegato col proprietario di questo castello prima che venisse in possesso del signor Montoni, e..."


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[...] La sua tristezza fu incoraggiata dal cupo gemito del vento nel corridoio e intorno al castello. Da un pezzo si era spenta l'allegra vampata della legna, ed ella se ne stette lì a sedere, con gli occhi fissi sulla brace in estinzione, finché fu posta in allarme da un forte soffio di vento, che spazzò il corridoio, scosse le porte e le finestre e smosse con violenza la sedia da lei collocata per fermare la porta che dava sulla scala interna, ora semiaperta. [...] lasciando la lampada accesa sul tavolo, ma quella luce deprimente, invece di far dileguare la sua paura, servì a incrementarla; poiché al lume dei suoi incerti raggi, le parve quasi di vedere delle forme che passavano veloci e leggere davanti alle tende del letto per scivolare poi nella remota oscurità della camera. L'orologio del castello suonò l'una prima che riuscisse a chiudere gli occhi per dormire.


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[...] Guardò dalla finestra la selvaggia grandiosità della scena, chiusa quasi tutto intorno da dirupi montuosi, le cui cime, affacciandosi le une sulle altre, sparivano alla vista della nebbia, mentre le sporgenze più in basso erano rese più oscure dai boschi che si allargavano fino alla loro base e coprivano le strette valli. [...] ella osservò con meraviglia le fortificazioni del castello che si estendevano per un vasto tratto del terreno roccioso e che ora erano in parte in rovina, la grandiosità dei bastioni in basso, e le torri e i merli e le varie caratteristiche della costruzione sovrastante.
Da queste cose, il suo sguardo passò alle rupi e ai boschi della valle, lungo la quale correva spumeggiante un largo e rapido corso d'acqua che poteva vedersi mentre cadeva fra le balze di una montagna che le stava di fronte, e che già splendeva ai raggi del sole, e ora riceveva l'ombra dei pini sovrastanti, finché veniva completamente nascosto dal loro fitto fogliame.
Dopo di che emergeva impetuoso da quell'oscurità con un getto di spuma che cadeva rumoreggiando nella valle. Più vicino a ovest, si apriva quel panorama montuoso che Emily aveva osservato con un'emozione tanto sublime avvicinandosi al castello: una nebbiolina fosca e sottile che saliva dalla valle ne copriva i tratti con una dolce oscurità.
Cogliendo i raggi del sole nella loro ascesa, i vapori si accendevano di luce purpurea, dando un tocco di squisita bellezza ai boschi e ai dirupi su cui passavano per portarsi sulla cima delle montagne [...] Le ampie ombre profonde che cadevano dalle rupi più in basso aggiunsero nuovo effetto allo splendore che si espandeva in alto."


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"[...] si fermò spesso a esaminare la magnificenza gotica di Udolpho, la sua orgogliosa irregolarità, le superbe torri merlate, le alte finestre arcuate e le sottili torricciole appollaiate sull'angolo delle torri. Poi si sporse sul parapetto della spianata e con un brivido misurò con l'occhio il baratro che si apriva al di sotto, finché questo veniva interrotto dall'oscura sommità dei boschi."


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"Alla fine il sole scese dietro le montagne a occidente; i suoi raggi infuocati svanirono dalle nuvole, e poi un malinconico e opaco color porpora si estese su di esse e gradatamente investì i tratti del paesaggio sottostante. Dopo poco le sentinelle passarono sul baluardo per iniziare la guardia. Il crepuscolo aveva ormai allargata la sua ombra su ogni oggetto; la cupa oscurità della sua camera richiamò i pensieri paurosi, ma ella ricordò che per procurarsi una luce avrebbe dovuto attraversare gran parte del castello, e, soprattutto, percorrere le sale dove aveva già provato tanto orrore. L'oscurità, nel suo presente stato d'animo, rendeva il silenzio e la solitudine veramente terribili per lei; e le avrebbe anche reso impossibile trovare il cammino che portava alla torre, condannandola a rimanere nel dubbio circa il destino della zia; pure non osava avventurarsi fuori in cerca di una lampada. Trattenendosi alla finestra per poter cogliere l'ultimo bagliore serale ancora esistente, mille vaghe immagini di terrore le invasero la fantasia." 


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Così le ore procedettero pesanti fino alla mezzanotte, quando ella contò le cupe note del grande orologio che rimbombavano sul baluardo, senza fondersi con alcun altro rumore che non fosse il passo lontano di una sentinella che veniva a dare il cambio alla guardia.
A questo punte ritenne di potersi avventurare verso la torre [...] Pure, non appena ebbe lasciato la stanza, scorse il lampeggiare  un lume sui muri del corridoio […] congetturò che fosse Montoni che si recava a fare a della mezzanotte al suo sconosciuto vicino.
[...] Le si presentavano due corridoi fra cui non sapeva scegliere, e in ultimo fu costretta a decidere affidandosi al caso, anziché ai fatti. […] Poiché l'aspetto deserto di quel luogo l'impaurì, sì da farla sussultare all'eco dei suoi stessi passi.


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Delle tracce di sangue sulla scala attirarono la sua attenzione; e subito si accorse che il muro e altri gradini erano macchiati.
Fece una pausa, si adoperò per mantenersi in piedi e quasi le cadde la lampada dalla mano tremante.
[…] Fu colta dal terrore di andare oltre, dal terrore di incontrare qualche orribile spettacolo, ma non riuscì a decidersi a desistere, ora che era così vicina alla fine dei suoi sforzi.



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