I versi più belli di Giovan Battista Guarini




esponente più noto del "dramma pastorale"

Tirsi morir volea
gli occhi mirando di colei che adora,
quand'ella che di lui non meno ardea,
gli disse: "Ohimè, ben mio,
deh non morire ancora,
ché teco bramo di morire anch'io"
Frenò Tirsi 'l desio
ch'ebbe di pur sua vita allor finire;
ma sentia morte in non poter morire.
E mentre il guardo pur fiso tenea
ne' begli occhi divini,
e il nettare amoroso indi bevea,
la bella ninfa sua, che già vicini
sentia i messi d'Amore,
disse con occhi languidi e tremanti:
"Mori, ben mio, ch'io moro";
"ed io" - rispose subito il pastore -
"e teco nel morir mi discoloro"
Così moriro i fortunati amanti
di morte sì soave e sì gradita
che, per anco morir, tornaro in vita.

da il "Pastor Fido"

LINCO: E che sentirai tu, s'amor non senti,
sola cagion di ciò che sente il mondo?
Ma credimi, fanciullo:
a tempo il sentirai,
che tempo non avrai.
Vuol una volta Amor ne' cori nostri
mostrar quant'egli vale.
Credi a me pur, che 'l provo:
non è pena maggiore,
che 'n vecchie membra il pizzicor d'amore,
ché mal si può sanar quel che s'offende,
quanto più di sanarlo altri procura.
Se 'l giovinetto core Amor ti pugne,
Amor anco te l'ugne: (1)
se col duol il tormenta,
con la speme il consola;
e s'un tempo l'ancide, (2) alfine il sana.
Ma s'è ti giugne in quella fredda etade,
ove il proprio difetto
più che la colpa altrui spesso si piagne,
allora insopportabili e mortali
son le sue piaghe, allor le pene acerbe;
allora, se pietà tu cerchi, male
se non la trovi; e, se la trovi, peggio.
Deh! non ti procacciar prima del tempo
i difetti del tempo; (3)
ché, se t'assale a la canuta etate
amoroso talento,
avrai doppio tormento,
e di quel che, potendo, non volesti,
e di quel che, volendo, non potrai.
Lascia, lascia le selve,
folle garzon; lascia le fère, ed ama.

SILVIO: Come vita non sia
se non quella che nutre
amorosa insanabile follia!

LINCO: Dimmi: se 'n questa sì ridente e vaga
stagion che 'nfiora e rinnovella il mondo,
vedessi, in vece di fiorite piagge,
di verdi prati e di vestite selve,
starsi il pino e l'abete e il faggio e l'orno
senza l'usata lor frondosa chioma,
senz'erbe i prati e senza fiori i poggi,
non diresti tu, Silvio: "Il mondo langue,
la natura vien meno?" Or quell'orrore
e quella maraviglia, che dovresti
di novità sì mostruosa avere,
abbila di te stesso. II ciel n'ha dato
vita agli anni conforme, ed a l'etate
somiglianti costumi; [...]

(1) te lo unge alleviandoti il dolore
(2) se per un po' di tempo sembra ucciderlo
(3) le privazioni della vecchiaia


CORISCA [...] Amore ed odio
con sì mirabil tempre in un cor misti,
che l'un per l'altro, e non so ben dire come,
e si strugge e s'avanza e nasce e muore [...]
Ed io, che lui
dovrei veder come molti altri i' veggio,
supplice e lagrimoso ai piedi miei;
supplice e lagrimosa a' piedi suoi
sosterrò di cadere? Ah, non fia mai!
Ed in questo pensier tant'ira accoglio
contro di lui, contra di me che volsi
a seguirlo il pensier, gli occhi a mirarlo,
che 'l nome di Mirtillo e l'amor mio
odio più che la morte, e lui vorrei
vedere il più dolente, il più infelice
pastor che viva; e, se potessi, allora
con le mie proprie man l'anciderei  (4)
[...] S'altro ben non avessi, altro trastullo
che l'amor di Mirtillo, non sarei
ben fornita di vago? Oh mille volte
malconsigliata donna, che si lascia
ridurre in povertà d'un solo amore! [...]
La gloria e lo splendor di bella donna
è l'aver molti amanti. [...]
Corisca - mi dicea - si vuole appunto
far degli amanti quel che delle vesti:
molti averne, un goderne, e cangiar spesso,
che 'l lungo conversar genera noia,
e la noia disprezzo ed odio alfine.
Né far peggio può donna, che lasciarsi
svogliar l'amante: fa' pur ch'egli parta
fastidito da te, non di te mai.

(4) l'ucciderei

SATIRO [...] Qual fede,
perfidissima femmina? Ancor osi
parlar meco di fede? I' vo' condurti
ne la più spaventevole caverna
di questo monte, ove non giunga mai
raggio di sol, non che vestigio umano.
Del resto non ti parlo; il sentirai.
Farò con mio diletto e con tuo scorno
quello strazio di te, che meritasti.
[...]
Omai arrossite, insensati, e, ricantando,
vostro soggetto in quella vece sia
l'arte d'una impurissima e malvagia
incantatrice, che i sepolcri spoglia
e, dai fracidi teschi il crin furando,
al suo l'intesse e così ben l'asconde,
che v'ha fatto lodar quel che aborrire
dovevate assai più che di Megera
le viperine e mostruose chiome.

Info tratte da


Per approfondimenti, vedi: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/09/poesia-barocca-del-seicento.html