La Bellezza dell'Orrido nel Romanticismo


Nessun quadro fece impressione più profonda sull'animo di Shelley


della Medusa, un tempo attribuita a Leonardo e ora ad un ignoto fiammingo, che egli vide agli Uffizi verso la fine del 1819. La poesia che ne scrisse merita di essere riportata perché è un manifesto del concetto di bellezza che fu proprio dei Romantici:

"Sulla Medusa di Leonardo da Vinci nella Galleria Fiorentina"

(On the Medusa of Leonardo da Vinci in the Florentine Gallery)

Scritta nel 1819, pubblicata nel 1824. La poesia è considerata un vero e proprio manifesto del concetto di bellezza caro ai Romantici: "il dolore e il piacere si combinano in un'impressione unica, in quei versi; dai motivi stessi che dovrebbero ingenerare ribrezzo... sgorga un nuovo senso di bellezza insidiata e contaminata, un brivido nuovo. Quel che può essere chiamato il fascino della corruzione... pervade ogni tratto della sua bellezza squisitamente compiuta." (Walter Pater)

I

Giace, fissando il cielo notturno, supina
sull'annuvolata vetta d'un monte; sotto,
è un tremolare di distanti terre. Il suo
orrore e la sua bellezza sono divini.
Sulle sue labbra e sulle palpebre posa
la venustà come un'ombra: ne irradiano,
ardenti e fosche, le agonie dell'angoscia
e della morte che sotto si dibattono.

It lieth, gazing on the midnight sky,
upon the cloudy mountain-peak supine;
below, far lands are seen tremblingly;
its horror and its beauty are divine.
Upon its lips and eyelids seems to lie
loveliness like a shadow, from which shine,
fiery and lurid, struggling underneath,
the agonies of anguish and of death.



II

Pure non tanto è l'orrore quanto la grazia a impietrire
lo spirito del riguardante,
su cui si scolpiscono i lineamenti di quella morta faccia,
finché i caratteri ne penetrano in lui
e il pensiero li smarrisce;
è la melodiosa tinta della bellezza,
sovrapposta alla tenebra e al bagliore della pena,
che rendono umana e armoniosa l'impressione.

Yet it is less the horror than the grace
which turns the gazer's spirit into stone,
whereon the lineaments of that dead face
are graven, till the characters be grown
into itself, and thought no more can trace;
'Tis the melodius hue of beauty thrown
athwart the darkness and the glare of pain,
which humanize and harmonize the strain.


III

E dal suo capo, come se fosse un sol corpo, sorgono,
pari all'erba da un'umida roccia,
capelli che son vipere, e si attorcono e si distendono,
e intrecciano i nodi tra loro
e in infiniti avvolgimenti mostrano
il loro splendore metallico,
quasi a irridere la tortura e la morte interiori,
e tagliano l'aria compatta colle loro scheggiate mandibole.

And from its head as from one body grow,
as grass out of a watery rock,
hairs which are vipers, and they curl and flow
and their long tangles in each other lock,
and with unending involutions show
their mailèd radiance, as it were to mock
the torture and the death within, and saw
the solid air with many raggèd jaw.


IV

E da una pietra accanto, un velenoso ramarro
s'indugia a spiare entro quegli occhi gorgonei
mentre nell'aria, attonito, un orrido pipistrello
è svolazzato fuor della tana dove
questa spaventosa luce l'ha sorpreso,
e si precipita come una tarma a una candela;
e il cielo notturno
balena d'una luce più spaventosa
dell'oscurità.

And, from a stone beside, a poisonous eft
peeps idly into those Gorgonian eyes;
whilst in the air a ghastly bat, bereft
of sense, has fitted with a mad suprise
out of the cave this hideous light and cleft,
and he comes hastening like a moth that hies
after a taper; and the midnight sky
flares, a light more dread than obscurity.


V

è la tempestosa leggiadria del terrore: dalle serpi
lampeggia un cupreo bagliore acceso in quei loro inestricabili avvolgimenti, e fa intorno come un vibrante alone,
mobile specchio di tutta la beltà
e di tutto il terrore di quel capo: un volto di donna
con viperei crini, che nella morte contempla
il cielo da quelle umide rocce.

'Tis the tempestuous loveliness of terror;
for from the serpents gleams a brazen glare
kindled by that inextricable error,
which makes a thrilling vapour of the air
become an ever-shifting mirror
of all the beauty and the terror there -
a woman's countenance, with serpent-locks,
gazing in death on Heaven from those wet rocks.



Riporto anche questa altra traduzione:

Giace fissando il cielo della mezzanotte, supina
su una vetta montana annuvolata; più sotto,
possono scorgersi terre lontane e tremolanti;
l'orrore e la bellezza sono in lei divini.
Sulle sue labbra e le palpebre sembra posarsi
la grazia come un'ombra, da cui splendono
livide e ardenti, che sotto si dibattono,
le agonie dell'angoscia e della morte.

Pure è meno l'orrore che la grazia a volgere
in dura pietra lo spirito di colui che osserva,
là dove i lineamenti di quella morta faccia
sono scolpiti, finché tutti i caratteri si mutano
a diventare lei stessa, e perfino il pensiero li smarrisce;
è il melodioso colore della bellezza, gettato
attraverso le tenebre e il bagliore della pena,
che fa umana e armoniosa l'impressione.

E dal suo capo sorgono, come da un unico corpo,
pari all'erba che spunta da un'umida roccia,
chiome che sono vipere, si torcono, fluiscono,
intrecciano i lunghi grovigli fra loro,
e infiniti viluppi mostrano uno splendore di metallo
quasi a irridere la morte e le torture intime,
e con le loro mandibole scheggiate
segano l'aria solida. E da una pietra accanto

un velenoso ramarro scruta ozioso quegli occhi di gorgone,
mentre nell'aria, attonito, un pipistrello orrendo
è svolazzato con folle sorpresa da quella caverna
dove la luce spaventosa era entrata violenta,
e si precipita come farfalla notturna
dietro una fiaccola; e il cielo della mezzanotte
ondeggia balenando, una luce assai più terrificante
di quanto non lo sia l'oscurità.

è la grazia tempestosa del terrore; poiché dalle serpi
lampeggia un bagliore di rame, attizzato
in quegli avvolgimenti inestricabili, che muove
attorno un vapore vibrante dell'aria, e lo rende
un sempre mutevole specchio di tutta la bellezza
e di tutto il terrore di quel capo: il volto d'una donna
di chiome serpentine che nella morte fissa gli occhi al cielo
dell'alto dell'umide rocce.


Il dolore e il piacere si combinano in un'impressione unica, in quei versi; dei motivi stessi che dovrebbero ingenerare ribrezzo - il volto livido del capo tronco, il groviglio di vipere, il rigore della morte, la luce sinistra, gli animali schifosi, il ramarro, il pipistrello - sgorga un nuovo senso di bellezza insidiata e contaminata, un brivido nuovo. Più tardi Walter Pater scriveva della Medusa, ricordando i versi di Shelley, "Quel che può essere chiamato il fascino della corruzione pervade ogni tratto della sua bellezza squisitamente compiuta"

Ricordiamo le parole di Faust e di Mefistofele nella notte del Sabba. Faust ha veduto sola in disparte una giovinetta pallida e bella rassomigliante a Margherita.


Gli dice Mefistofele:

"Lascia andare! Quella vista non fa bene a nessuno. è un'immagine di malia, senza vita, una larva. Imbattersi in essa non è bene; il suo sguardo fisso agghiaccia il sangue dell'uomo: egli ne è quasi pietrificato; tu hai sentito parlare della Medusa."

Faust: "è vero, sono gli occhi d'una morta, che amorevole mano non chiuse. Quello è il seno che Gretchen mi offerse, quello è il dolce corpo che io godetti"

Si direbbe che per bocca di Faust parli tutto il Romanticismo. Quella testa di donna giustiziata dagli occhi vitrei, quella orribile e affascinante Medusa sarà l'oggetto dell'amor tenebroso di Romantici e Decadenti per tutto il secolo.

Per i Romantici la bellezza riceve risalto proprio da quelle cose che sembrano contraddirla: dalle cose orride; è bellezza tanto più gustata quanto più triste e dolente.

Versi come quelli riportati sembrano segnare l'apogeo di quella estetica del'orrido e del terribile. La nuova sensibilità s'era cominciata a precisare con componimenti come l'"Ode to Fear" di Collins, "On the pleasure derived from objects of terror" e "Objects of Terror" di Aikin e Drake o "Il Castello di Otranto" di Walpole, http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/05/introduzione-al-castello-di-otranto-di.html


La scoperta dell'orrore come fonte di diletto e di bellezza finì per reagire sul concetto stesso della bellezza: l'orrido, da categoria del bello, finì per diventare uno degli elementi propri del bello: dal bellamente orrido si passò per gradi insensibili all'orribilmente bello. Si poteva estrarre dunque bellezza e poesia anche da materie considerate ignobili e ripugnanti; diverso alquanto è il caso del dolore concepito come parte integrante della voluttà.

Nota di Lunaria: è soprattutto Tarchetti ad aver immortalato una donna bruttissima, Fosca, emblema della malattia, e trasfigurata ad eroina assoluta. Fosca diventa bella proprio perché così brutta e tormentata.



Novalis osservava: "è strano che l'associazione tra voluttà, religione e crudeltà non abbia da un pezzo richiamato l'attenzione degli uomini sulla loro intima parentela e la loro comune tendenza. Strano che la vera e propria origine della crudeltà sia la voluttà."
Anche Shelley, Musset e Gide osservavano l'intimo nesso tra crudeltà e voluttà, tra piacere e pena.
è per tutta la letteratura del Romanticismo un insistere su questa inseparabilità del piacere dal dolore, una ricerca di bellezza tormentata e contaminata.

Tanto sorella per i Romantici, da fondersi in una sola erma bifronte di bellezza fatale, intrisa di corruzione e di melanconia, bellezza da cui tanto più copioso sgorga il godimento, quanto più il gusto ne è carico di amarezza:

L'immagine in te ritrovai
della perigliosa Bellezza
che di sé m'accese e m'accende
[...]
Urna di tutti i mali,
profondità di dolore
e di colpa, remota
cagione di lutti infiniti
funesto silenzio ove rugge
ebro di lussuria e di strage
l'umano mostro nudrito
d'inganni pe'l labirinto
dei tempi. L'aspetto sublime
dell'Ombra cui l'arte m'è fisa
in te raffiguro Ippodàmia. (d'Annunzio)

e ancora, una simile visione culmina nel sadismo:

Ma trasalimmo entrambi, udendo sonare una scure:
colpi iterati, sùbito, echeggiarono.
[...]
Ella, ella a un tratto, come ferita, ruppe in singhiozzi:
ruppe ella in disperate lacrime; ed io la vidi
nel mio pensiero, quasi nel guizzo d'un lampo, io la vidi
ùmile sanguinare, ùmile boccheggiare,
stesa tra 'l sangue, e alzare le supplici mani dal rosso
lago; e dicea con gli occhi: Io non ti feci male. (d'Annunzio)

E che altro se non un gusto per la bellezza medusea assai analogo a quello dei Romantici può aver ispirato i quadri macabri di Hans Baldung Grin e Niklaus Manuel Deutsch, al principio del Cinquecento, ove l'amplesso della Morte con una donna formosa ha tutte le caratteristiche del vampirismo che farà tanto farneticare i Romantici? o le scene di tortura e flagellazione del Magnasco?



Hans Baldung Grien




Niklaus Manuel Deutsch





Vedi anche: https://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/12/la-bellezza-la-malattia-e-la-morte-in.html