"Don Garzia" e "Agide" di Vittorio Alfieri: le pagine più belle


Nota di Lunaria: prima di riportare le pagine più emozionanti, trascrivo qui la trama del "Don Garzia"


Ancora di ambiente mediceo, come "La Congiura de' Pazzi", il "Don Garzia" prevede cinque personaggi: Cosimo I, granduca di Toscana; salito al potere dopo l'assassinio del duca Alessandro, nel 1569 aveva ottenuto dal papa Pio V il titolo di granduca; i suoi tre figli Diego, Piero e Garzia, ed Eleonora, moglie di Cosimo.
La trama, ispirata ad una leggenda che recenti studi hanno dimostrata infondata, narra i sospetti di Cosimo per lo spirito libertario del figlio Garzia, la perfida insidia dell'altro figlio Piero e come Garzia uccida, in un'oscura grotta, invece del Salviati, il cui omicidio gli era stato commissionato, il fratello Diego. Scoprendo il delitto, Cosimo uccide Garzia, sotto gli occhi della madre.

Qui, i versi più emozionanti

Atto Terzo, Scena Prima

Cosimo: [...] Poco ne avanza
di questo dì cadente: al sorger primo
dell'ombre amiche, entro mia reggia venga,
qual già più volte ei venne, il rio Salviati,
sconosciuto, di furto, e tu lo invita;
e tu lo scorgi entro all'usata grotta,
in cui sì spesso ei si abboccò già teco,
E tu, (guai se a me 'l nieghi) entro il suo petto
là, questo ferro immergi.

Garzia: Oh cielo!...

Cosimo: Taci. Tradisti il padre, il tuo signor, te stesso:
l'ammenda è questa.


Scena Terza

Garzia: Madre, conosci
tu questo ferro?

Eleonora: Del tuo padre al fianco
io sempre il veggio: e che per ciò?...

Garzia: Stromento
di regno è questo: e al solo Cosmo il fosse!
Contaminar la mia innocente destra
non ne dovessi io mai! ma il crudo padre
in man mel reca ei stesso; e vuol che in petto
io di Salviati a tradimento il vibri.

Eleonora: Che ascolto? Oh ciel!... Ma, perché a te commessa
vien sì atroce vendetta?

Garzia: Egli me sceglie,
sol perché di Salviati pietà sento;
perch'io la figlia, la infelice figlia
di quel padre infelice, amo...


Scena Quinta

Piero: Che forse?
Certo è, pur troppo! Ove obbedir tu nieghi,
e padre e figlia ei svenerà.

Garzia: D'orrore
gelar mi fai. Ma come uccider io,
e a tradimento, un innocente, un giusto?
L'amico, il padre dell'amata donna
trar qui, di notte, e sotto infame velo
d'amistà finta?


Atto Quarto, Scena Prima

Diego: Che dunque fia? Favella.

Pietro: Già già la notte tacita s'inoltra,
e tenebrosa molto. Entro la grotta,
che del cupo viale in fondo giace
d'alti cipressi sepolta nell'ombre,
là Salviati, invitato a reo consiglio
da Garzia, ne verrà: già vi s'asconde
ei forse, e l'altro ivi a momenti attende [...]


Scena Terza

Garzia: Ohimè! Chi spinge
miei passi qui?... Dove son io?... Di morte
ben è la grotta quella. A nobil pugna
in ver, Garzia, ti accingi. Oh ciel! Che imprendo?...
Innocenza, che sola era il mio vanto,
già non sei meco più: l'infame colpo
vibrar promisi... E il vibrerò?... Già tutto
qui intorno intorno morte mi risuona.
E a me solo dar morte or non poss'io?...
Oh destin fero!... Già le negre ombre
tutto velano: è giunta, anco trascorsa,
l'ora fatal: certo, di morte il messo
Piero spedìa; qual dubbio? Indugiar Piero
a far mai cosa, che altrui nuocer debba?
Volò l'avviso traditor, pur troppo!...
Misero amico! In securtà mi aspetti
nell'empia grotta, ch'esser ti de' tomba...
Tomba?... Per me cadrai? No, mai non fia.
Che fai tu meco, iniquo acciar di Cosmo?
Lungi da me, stromento vile...


Scena Sesta

Garzia: Ch'ei viva,
temi tu ancora? O udir da me ti giova,
a riempirti di malnata gioja,
tutto, quant'era il tradimento atroce?
Far ti vo' pago: e il narrerai tu al padre.
Entrato appena nella grotta, io sento,
e veder parmi brancolar Salviati,
che mi precede: io per ferirlo innalzo
tosto il braccio; ma il braccio mi ricade...
Già già ritorco il piè; ma un flebil grido
di Giulia, quasi ella fosse morente,
me, mal mio grado, innanzi ha risospinto.
Al calpestio de' passi miei si volge
Salviati intanto; e verso me ritorna.
Ecco ch'io già l'infame acciar gli ho tutto
piantato in core... Un sol sospir di morte
cadendo ei manda... Ahi lasso me!... Di sangue
spruzzar mi sento; orrido un gel mi scorre
entro ogni vena;... io... per poco... non cado
sul corpo suo... Me misero!... L'uscita
di quella tomba orribile... a gran pena
trovo, con man tentando... Udisti? Or, godi.

Piero: [...] Ben saprà poscia il padre
a sua posta adombrar tal morte [...]

Garzia: Mercede a me? Morte a me sol si debbe.
Dove mi ascondo omai? Questo innocente
sangue, ond'io son contaminato e intriso,
chi 'l può lavar? Non il mio inutil pianto,
non del mio sangue il può l'ultima stilla [...]



Atto Quinto, Scena Prima

Cosimo: Tu meglio il sai. Ma donde
l'insano ardir, l'orgoglio, il parlar fero,
or si addoppiano in te?

Garzia: Donde? Di sangue
io lordo tutto, esecutore io sono
de' tuoi comandi, e insuperbir non deggio?
[...] Scolpito
mirami in volto il mio delitto, e godi.
L'oprar mio disperato, e gli occhi, e gli atti,
e morte, ch'ogni mia parola spira:
tutto or nol dice? E il sangue, ond'io macchiato
son dal capo alle piante, ancor vermiglio,
fumante ancora?...

Cosimo: Il veggio; ma, qual sia
questo sangue nol so. Certezza intera
ho sol, ch'ei non è il sangue ch'io ti chiesi.

Garzia: Oh rabbia! è dubbio?... Or dunque vanne; i passi
porta tu stesso entro la orribil grotta;
là vedrai steso in un lago di sangue
quel misero. Va'; saziati del fero
spettacol; va'; non che lo sguardo, appaga
ogni tuo senso: con la man ritenta
la piaga ampia di morte; il palpitante
suo cor ti pasci; il sangue a sorsi a sorsi
bevine, tigre; la regal tua rabbia
sfoga in quel petto esangue [...]

Cosimo: Che un fellon tu sei,
chi 'l niega? Chi? Morte ad uom desti, il credo;
ma non quella, cui forza aspra de' tempi,
giusta del par che necessaria or fea.
Uccisor sei, ma non del mio nemico:
altro non so; ma saprò il tutto in breve.


Scena Seconda:

Garzia: [...] Funesta ambage orribile! Qual dunque,
qual sangue è quello, ch'io versava? [...] E chi trafitto
hai dunque tu? [...] Che val? Più oscuro,
più della eterna notte orrido arcano,
chi può spiegarti [...]
Ma, d'insolito orror vie più mi sento
raccapricciare: entro il mio cor temenza
ignota sorge. O dubbio, o tu, dei mali
primo, e il peggior, più non ti albergo omai
in me, non più. Si vada; io stesso, io voglio
veder qual morte...




Qui, invece, "Agide"

Verso la metà del III secolo a.c, regnò in Sparta Agide IV, re accorto e giusto; cercò di risollevare la fortuna del suo Paese, riportando in vigore la costituzione di Licurgo (abolizione dei debiti, ridistribuzione delle terre). Suo grande avversario è l'altro re, Leonida. Suoi alleati sono la madre, lo zio Agesilao e il popolo spartano; durante una sua assenza, Agesilao si inimicherà i cittadini con vessazioni e così Leonida farà ricadere la colpa su Agide, che verrà sacrificato. Nella tragedia di Vittorio Alfieri, Agide sfuggirà al supplizio, uccidendosi in carcere insieme alla madre.


Atto Secondo, scena seconda

Agide:

[...] Non assetato di vendetta io moro,
ma di virtù spartana; ancor che tarda,
purch'ella un dì dai figli miei rinasca,
ne sarà paga l'ombra mia...

Agiziade:

Mi squarci
il core... Oimè!... Perchè di morte?...

Agide:

O donna;
Spartana sei, d'Agide moglie;
il pianto raffrena. Il sangue mio giovar può a Sparta:
non il mio pianto a te. Rasciuga il ciglio;
non mi sforzare a lagrimar...


Atto Terzo, scena terza

Agiziade:

Ah padre!... Agide in vita
ti serba, e tu in catene Agide traggi?
Gli dai tua figlia, e torgli vuoi sua fama?
[...] O in ceppi
col tuo genero porre anco tua figlia,
o trarne lui, ti è forza: abbandonarlo,
per preghi mai, nè pe minacce io mai
non vo'. Di lui non piglierai vendetta,
che sopra me del par non caggia: il sangue
versar tu dèi di quella figlia istessa,
che abbandonava, per seguirti in bando,
la patria, e il trono, ed il marito, e i figli.


Atto Quarto, scena terza

Agide:

[...] D'Agide il sangue, e il sangue Agide dona.
Di voi pietà, non di me, sento: e queste,
parole son, d'uom che morir sol brama
e che non reca altro desire in tomba
che di salvar la patria sua.


Altri link:

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