Tratto da
La sua culla era stata la Germania, terra di elfi e di gnomi di cui sono popolate le antiche leggende. I suoi padrini avevano nomi come Klopstock, il poeta che concepiva la poesia come effusione del sentimento, Hamann, "il mago del Nord", il filosofo che teorizzava la superiorità della fede e della poesia sula fredda ragione, Herder, che voleva la poesia espressione dell'anima popolare... Ma il suo ambiente non era né sereno né accogliente: una moltitudine di piccoli Stati rendeva la Germania simile a una grande famiglia divisa. L'aspirazione ad una recuperata unità nazionale, che però appariva improbabile se non addirittura lontana, fece rivolgere gli animi non tanto a fatti esterni, politici e sociali, quanto a un intimismo simbolico, in alcuni casi impregnato di misticismo e un primitivismo naturale in cui cercare dei valori rasserenanti. L'Idealismo in filosofia, che propugnava una concezione della realtà esterna come emanazione del pensiero, e l'impegno a ricercare una congiunzione del finito con l'Infinito, aveva impregnato tutta la cultura tedesca, dalla letteratura alla musica.
Si trasfigurò in un "idealismo magico" nella struggente poesia di Novalis (https://novalisinniallanotte.blogspot.it/). Fin dalle prime liriche appassionate della sua breve vita, "Inni alla Notte", è evidente nel poeta l'aspirazione a un'armonia totale con la realtà sensibile e il mondo della trascendenza, aspirazione che si incarna nelle figure della Notte, che simboleggia l'Infinito, l'Assoluto, e del Giorno, che ha il valore del finito, del contingente.
Anche per esaltare la poesia, Novalis si vale di una simbologia: il "fiore azzurro", il magico fiore che il poeta si appresta a cercare compiendo un lungo viaggio. E il lungo viaggio ha il significato del desiderio inappagato dei romantici, sempre tesi verso una perfezione della vita che può concretarsi solo in un'assoluta identità dell'umano col divino. Anche la musica del periodo in Germania si colora di toni intimisti e fantastici, nostalgici e malinconici: da Weber a Schubert, da Schumann a Mendelssohn si diffondono, accanto a composizioni libere e intensamente liriche, le cantate popolari, i famosi Lieder, brevi composizioni di poesia e musica in cui rivive romanticamente l'antica anima popolare. Era quindi fatale che anche nelle sue espressioni pittoriche il Romanticismo Tedesco si ammantasse dello spirito che aleggiava su tutta la nazione e assumesse i caratteri di simbolismo, misticismo, naturalismo, in perfetta sintonia con la "visione del mondo", della letteratura e della filosofia, visione del mondo derivante da animi insoddisfatti e tormentati, in antitesi alla posizione serena e a volte retorica e astratta dell'arte neoclassica che l'aveva preceduta.
Già nel 1810 era partita dalla Germania alla volta di Roma una sorta di crociata artistica per "ricondurre l'arte sulla via della verità", ovvero alla semplicità primitiva e alla spiritualità degli antichi maestri tardo-medioevali. I pittori che dettero vita al gruppo innovatore vennero battezzati dai convinti classicisti con significato ironico di "nazareni" per il loro costume di portare i capelli lunghi. Alcuni di questi pittori furono: Friedrich Overbeck e Franz Pforr, Peter Cornelius, Philip Veit, Wilhelm von Shadow, Julius Schnorr von Carolsfeld, Joseph Anton Koch, Caspar David Friedrich (il più rappresentativo, che traduce sulle tele per mezzo di forme, colori e simboli il senso dell'Infinito, che domina il mondo a cui lo spirito dell'uomo, piccola parte di esso, tende a congiungersi).
Nota di Lunaria: visto qui: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/06/introduzione-alla-pittura-di-friedrich.html
Friedrich perfeziona all'Accademia la precisione del tratto che già gli derivava dalle sue prime esperienze di disegnatore topografico e acquisisce una rara padronanza delle gradazioni tonali. Poco più che ventenne, si stabilisce a Dresda ma la nostalgia di un mondo naturale lo porta a compiere frequenti viaggi nelle regioni baltiche e tra le montagne dell'Harz.
Tutta la sua opera ha per protagonista la natura, osservata con gli occhi di una concezione idealistica, e sempre ripresa nei suoi momenti più suggestivi, all'alba o al crepuscolo, d'autunno o di inverno, illuminata dalla luna o sotto la neve o negli aspetti più terrificanti e grandiosi di paesaggi orridi, di ghiacci e di rocce, dominati da atmosfere spettrali di sogno-incubo.
(Nota di Lunaria: in realtà, Friedrich pur dipingendo "croci cristiane", ed inserendosi, quindi, "in un'arte cristiana" in realtà vira - forse senza neanche esserne consapevole - il cristianesimo di facciata nello "scandaloso-per-la-mentalità-monoteista" panteismo: infatti la sua pala d'altare, raffigurante una croce "immersa in un paesaggio montano" venne tacciata di blasfemia, e a ragion veduta per chi conosce bene i diktat monoteisti trascendentali anti-panteismo...)
Le opere che seguono ("Viandante sul mare di nebbia", "le bianche scogliere di Rügen") danno la misura del suo tormento derivante dalla coscienza della propria finitezza di fronte all'Infinito, simboleggiato da figure piccole e sperdute, colte sempre di spalle, in un assorto incanto o nello sgomento suscitato dalla grandiosità del creato.
Nelle sue tele, è quasi palpabile la presenza di un Essere metafisico grandioso e infinito.
Il sentimento religioso nella considerazione della natura come creazione e dono divino accomuna questi pittori tedeschi pur con una percezione diversa della Divinità: in Friedrich è immanente, mentre in Runge è la natività e l'infanzia di questo Dio ad attrarre i suoi sentimenti.
Nota di Lunaria: se devo essere sincera, non sono una grande appassionata di letteratura tedesca, dato anche il suono marziale e crudo della lingua...
Ho letto davvero poco, e possiedo anche poco, oltre ad aver fatto davvero pochissimi scritti, sulla letteratura tedesca.
Tuttavia, colgo occasione per riportare qui una poetessa abbastanza misconosciuta, Annette von Droste-Hülshoff (1840-1846),
scrivendo anche il testo in Tedesco.
"La tomba megalitica"
All'ora che divide il giorno dalla notte,
giaceva la brughiera come un vecchio ammalato,
e il rantolo scuoteva il tappeto di muschio;
di scintille febbrili, elettrica, la chioma
sconvolta lampeggiava, e sopra, incubo scuro,
s'adagiava lo strato delle nubi.
Fu a quell'ora che azzardai un'uscita
incerta, solitario (1), carico dei miei crucci,
indifferente quasi a ciò che stava intorno.
Andavo meditando, e neppure badavo
al grande mare d'erba, al lume delle lucciole:
che la luna sorgeva non m'accorsi.
La strada era dritta, senza ponti né stagni,
così fantasticavo, e come un libro sciocco
o una rivista facile (2), quando facciamo un viaggio,
di stazione in stazione non ci lascia un istante,
almeno cento volte avrò rimasticato
progetti già scartati, temi frusti.
Disegni da disegni via via si sviluppavano,
eppure come il serpe che si morde la coda,
ero sempre a quel punto. Ma ecco che, improvviso,
proprio a un occhio mi colse, forte, un cervo volante.
Ebbi un sussulto, e mi trovai per terra,
l'erica tutt'intorno come un'onda.
Che strana giacitura mi ero riservata!
Da una parte, dall'altra, solo pietra massiccia,
blocchi potenti, lastre di porfido intoccate;
alto sopra il mio capo spaziava l'edificio,
capelli di licheni mi sfioravano il ciglio
e la ginestra mi cedeva al piede.
Una tomba preistorica, mi fu subito chiaro,
ed appoggiai la fronte al sasso con più forza
attingendo bramoso a qull'orrore dolce,
sinchè m'imprigionarono degli artigli gelati,
sinchè l'onda del sangue pulsò sotto il mantello
come spiccia una fonte dal ghiacciaio.
Sopra di me la volta, affondata e traversa,
dove un lume di luna dormiva, triste e pallido
come siede al sepolcro del consorte la vedova;
accanto, delle braci di un fuoco di pastori
sembravano, nel timo, quelle d'un rogo funebre,
così che col bastone le rimossi.
Frr, sfrecciò con un grido un vanello dal muschio:
mi venne una risata, ma mi portò lontano
la fantasia sfrenata, oltre chiuse e barriere.
Al vento davo ascolto, intento, emozionato,
come recasse nuove dal mondo degli spiriti,
e lo sguardo era fisso sulla volta.
Che braccia quella pietra voltolarono un giorno?
Chi calò sino al fondo questi macigni grezzi,
all'eco, per la landa, del compianto di morte? (3)
E chi fu mai la maga, che percorse la valle,
con la sua verga e i carmi, nella luce serale,
spirando il vento nella chioma d'oro?
Là si trova l'oriente; tra piedi sottoterra,
laggiù si trova l'urna, e nel cavo racchiude
un cuore non domato, in cenere ridotto.
Qui d'una sacra selva ha sua dimora il sogno,
e sopra questa pietra, corrucciati, gli dei
scuotono i loro riccioli di nubi.
Ho pronunciato formule? Là dietro, sulla diga,
qualche cosa s'innalza, s'allarga come un'onda,
la forma d'un gigante, sempre più forte, eccelsa;
adesso viene avanti, a passi smisurati,
e già oltrepassa, vedi, la cima della quercia,
con la luna che sfiora le sue membra.
Vieni, discendi ormai, il tuo tempo è compiuto!(4)
T'aspetto, consacrato dall'acqua benedetta,
ancor m'impregna l'abito l'aroma della chiesa!
Sobbalza quello, forma un groppo furibondo,
e lentamente, nuvola tenebrosa, trapassa
sopra il mio capo, via per la brughiera.
Un richiamo, una luce, un passo vacillante:
"Ecco, signore, piove!" il mio lacchè m'avverte,
e tranquillo l'ombrello mi tiene sulla testa.
Un'altra volta ancora riguardai quelle pietre:
Ah, Dio, c'era soltanto una rustica tomba
sopra un pugno di polvere insecchita.
1) La Poetessa usa il maschile perché si presenta come un uomo.
2) Un rivista popolare, sul modello britannico del "Penny Magazine", che si pubblicò a Lipsia dal 1833 al 1855.
3) La Poetessa sta descrivendo un rituale funerario preistorico.
4) Allude alla fine del Paganesimo.
Qui il testo originale:
"Der Hünenstein"
Zur Zeit der Scheide zwischen Nacht und Tag,
als wie ein siecher Greis die Heide lag
und ihr Gestöhn des Mooses Teppich regte,
Krankhafte Funken im verwirrten Haar
Elektrisch blitzen und, ein dunkler Mahr,
sich über sie die Wolkenschichte legte;
Zu dieser Dämmerstunde wars, als ich
einsam hinaus mit meinen Sorgen schlich
und wenig dachte, was es draußen treibe.
Nachdenklich schritt ich, und bemerkte nicht
des Krautes Wallen und des Wurmes Licht;
Ich sah auch nicht, als stieg die Mondesscheibe.
Grad war der Weg, ganz sonder Steg und Bruch;
so träumt ich fort und, wie ein schlechtes Buch,
ein Pfennigs-Magazin uns auf der Reise
von Station zu Stationem plagt,
hab zehnmal Weggeworfnes ich benagt
und fortgeleiert überdrüßge Weise.
Entwürfe wurden aus Entwürfen reif,
doch, wie die Schlange packt den eignen Schweif,
Fand ich mich immer auf derselben Stelle;
da plötzlich fuhr ein plumper Schröter jach
ans Auge mir, ich schreckte auf und lag
am Grund, um mich des Heidekrautes Welle.
Seltsames Lager, das ich mir erkor!
Zur Rechten, Linken schwoll Gestein empor,
Gewalt'ge Blöcke, rohe Porphyrbrode;
mir überm Haupte reckte sich der Bau,
Langhaar'ge Flechten rührten meine Brau,
und mir zu Füßen schwankt' die Ginsterlode.
Ich wußte gleich, es war ein Hünengrab,
und fester drückt' ich meine Stirn hinab,
Wollüstig saugend an des Grauens Süße,
bis es mit eis'gen Krallen mich gepackt,
bis wie ein Gletscher-Bronn des Blutes Takt
aufquoll und hämmert'unterm Mantelvließe.
Die Decke über mir, gesunken, schief,
and der so blaß gehärmt das Mondlicht schlief,
wie eine witwe an des Gatten Grabe;
vom Hirtenfeuer Kohlenscheite sahn
so leichenbrandig durch den Thymian,
daß ich sie abwärts schnellte mit dem Stabe.
Husch fuhr ein Kiebitz schreiend aus dem Moos;
ich lachte auf; doch trug wie bügellos
mich Phantasie weit über Spalt und Barren.
Dem Wind hab ich gelauscht so scharf gespannt,
als bring er Kunde aus dem Geisterland,
und immer mußt ich and die Decke starren.
Ha! welche Sehnen wälzten diesen Stein?
Wer senkte diese wüsten Blöcke ein,
als durch das Heid die Totenklage schallte?
Wer war die Drude, die im Abendstrahl
mit Run und Spruch umwandelte das Tal,
indes ihr goldnes Haar in Winde wallte?
Dort ist der Osten; dort, drei Schuh im Grund,
dort steht die Urne, und in ihrem Rund
ein wildes Herz, zerstäubt zu Aschenflocken,
hier lagert sich der Traum vom Opferhain,
und finster schütteln über diesen Stein
die grimmen Götter ihre Wolkenlocken.
Wie, sprach ich Zauberformel? Dort am Damm
es steigt, es breitet sich wie Wellenkamm,
eins Riesenleib, gewalt'ger, höher immer;
nun greift es aus mit langgedehntem Schritt
schau, wie es durch der Eiche Wipfel glitt,
durch seine Glieder zittern Mondenschimmer.
Komm her, komm nieder - um ist deine Zeit!
Ich harre dein, uim heil'gen Bad geweiht;
noch ist der Kirchenduft in meinem Kleide!-
Da fährt es auf, da ballt es sich ergrimmt,
und langsam, eine dunkle Wolke, schwimmt,
es über meinem Haupt entlang die Heide.
Ein Ruf, ein hüpfend Licht - es schwankt herbei -
und - "Herr, es regnet" - sagte mein Lakai,
der ruhig übers Haupt den Schirm mir streckte.
Noch einmalsah ich zum Gestein hinab:
ach Gott, es war doch nur ein robes Grab,
das armen, ausgedorrten Staub bedeckte!
Altri versi di Annette:
"Il falò dei pastori"
Buio, buio alla palude
notte sopra la brughiera,
solo, a fianco del mulino,
veglia, mormora il canneto,
e sui raggi della ruota
si fan tonde le gocce e vengon giù.
...
Ma quel chiaro, là dietro le ginestre,
cos'è che i vetri accende?
Come scintille sprizzano,
e poi ricadono spente.
Ora, di nuovo, tenebre
Sento il tac dell'acciaio,
un crepito, bagliori,
ed ecco si leva la fiamma.
"La steppa"
Sei mai stato alla spiaggia
quando il giorno e la notte si confrontano,
hai visto dalla creta e dalla sabbia
in rivoli di pioggia venir giù,
fonti segrete innumeri,
e poi, per quanto lo sguardo
riesce a spaziare, le onde
dal giallo colore di ranno?
"La casa nella brughiera"
Sembra stare in ascolto, nel crepuscolo,
il casale coperto di paglia,
lo stesso che un uccello dal suo nido,
nel fitto opaco dei pini.
....
Dai rami, sale, allora,
la stella della sera piano piano,
quasi a chinarsi, mite,
sul tetto della casa.
"Nel muschio"
Mandava già la notte al paese stanco di sole
i messaggeri cauti del tramonto,
e ancora stavo sola, un mezzo al muschio,
dei rami scuri al cenno familiare,
Mi sussurrava l'erba sulla gota,
profumava, segreta, la rosa di macchia.
Vedevo scintillare dietro al tiglio
una pallida luce, che le fronde
come una lucciola, reggevano, enorme,
incerta, quasi apparisse in un sogno.
...
E dopo, al cimitero, al monumento,
con scritti i nomi che il mio amore sa,
stavo e pregavo, le ginocchia rotte,
e - ma senti! una quaglia, un fil di vento -
mi vidi ancora, infine, come un fumo,
che lieve penetravo nei pori della terra.
Balzai su, e mi riscossi,
come chi esce da una morte apparente,
e barcollai lungo le siepi buie,
dubbiosa sempre se la stella fuori
fosse proprio la lampada al mio letto
a la luce perpetua sulla tomba.
"Amore ardente"
...
E senti, senti ancora:
laggiù, dentro lo stipo, un fazzoletto,
inzuppato di sangue,
che ho messo via in segreto.
Delle more cogliendomi dal rovo,
lui s'è ferito al filo del coltello;
adesso li possiedo tutti e due,
il sangue suo ed il mio amore ardente.
Colgo occasione per fare pubblicità anche ad altre due poetesse, di cui però non ho trascritto il testo originale (men che meno fotografato le copertine, perché all'epoca non avevo neppure un pc e queste loro poesie le trascrissi a mano su carta... ma se ricordo bene erano uscite per Einaudi)
Nelly Sachs: nasce a Berlino 1891, e si dedica alla musica e alla poesia fin da piccola. Diventa amica della scrittrice svedese Selma Lagerlof, che si occuperà di ospitarla a Stoccolma, durante la repressione nazista, mentre gli amici e i parenti vengono purtroppo internati: un evento che influenzerà profondamente lo spirito di Nelly, il sentirsi sopravvissuta a discapito appunto dei suoi conoscenti. Nel 1966 riceve il premio Nobel. Le sue poesie sono disponibili, con testo a fronte, nell'Einaudi.
Creature di nebbia
andiamo di sogno in sogno
sprofondiamo attraverso mura di luce
dai sette colori.
Ma infine scoloriti, muti,
elemento di morte
nella conca cristallina dell'eternità
spogliati dalle ali notturne
di ogni mistero.
Ci esercitiamo già alla morte di domani
quando ancora appassisce in noi l'Antica Morte
oh, angoscia insostenibile dell'uomo
oh abitudine alla morte fin nei sogni
dove la notte si frantuma in nere schegge
e l'ossea luna rischiara le rovine
oh angoscia insostenibile dell'uomo
dove sono i dolci rabdomanti
angeli di quiete, che toccano per noi
la segreta fonte che dalla stanchezza
stilla nella morte?
Qui, nell'ametista
sono racchiuse le ere della notte
e una prima luce intellettiva
accese la tristezza
che era fluida ancora
e piangeva
ancora splende il tuo morire
dura violetta.
Già gli estremi vogliano migrare
il cuore dell'acqua
e la luce del fuoco demonicamente stupefatta
le nascite fiorenti della terra
e l'aria che cantando lascia il respiro.
Nostalgia li costringe
l'invisibile aquila
lacera la sua preda
la riporto a casa.
L'uomo è così solo
scruta verso l'oriente
dove Melanconia appare nel volto del mattino.
Rosso è l'oriente per il canto dei galli.
Oh ascoltami
perdersi
nella smania del Leone
e nella sferza lucente dell'Equatore.
Oh ascoltami
appassire coi teneri volti dei cherubini
a sera
oh, ascoltami
nell'azzurro settentrione
vegliando di notte
già un bocciolo di morte sulle palpebre
avanti così verso la fonte.
"Coro dei superstiti"
Noi superstiti
dalle cui ossa la morte ha già intagliato i suoi flauti
sui cui tendini ha già passato il suo archetto
i nostri corpi ancora si lamentano
col loro canto mozzato.
Noi superstiti
davanti a noi, nell'aria azzurra
perdono ancora i lacci attorti per i nostri colli
le clessidre si riempiono ancora con il nostro sangue.
Noi superstiti
ancora divorati da vermi dell'angoscia
la nostra stella è sepolta nella polvere.
Noi superstiti
vi preghiamo:
mostrateci lentamente il vostro sole.
Guidateci piano di stella in stella.
Fateci di nuovo imparare la vita.
Altrimenti il canto di un uccello
il secchio che si colma alla fontana
potrebbero far prorompere il dolore
a stento sigillato
a farci schiumare via.
Vi preghiamo:
non mostrateci ancora un cane che morde
potrebbe darsi, potrebbe darsi,
che ci disfiamo in polvere
davanti ai vostri occhi.
Ma cosa tiene unita la nostra trama?
Noi ormai, senza respiro.
La nostra anima è volata a Lui nella mezzanotte
molto prima che il nostro corpo si salvasse
nell'arca dell'istante
noi superstiti
stringiamo la vostra mano
riconosciamo i vostri occhi
ma solo l'addio ci tiene ancora uniti.
L'addio nella polvere
ci tiene uniti a voi.
Ingeborg Bachmann, poetessa austriaca, morta tragicamente in seguito a un incendio.
"Messaggio"
D'atrio celeste, tepido di salme, spunta il sole.
Non gl'immortali sono lassù
bensì i caduti, apprendiamo.
E lo splendore non si cura della corruzione. La nostra
divinità, la storia, ci ha riservato un sepolcro
da cui non vi è risurrezione.
"Nella bufera di rose"
Ovunque ci volgiamo nella bufera di rose,
la notte è illuminata di spine, e il rombo
del fogliame, così lieve poc'anzi tra i cespugli,
ora ci segue alle calcagna.
"Corrente"
Già così innanzi nella vita e prossima
alla morte, da non poterne disputare con nessuno,
strappo alla terra la mia parte:
trafiggo dritto al cuore il tacito oceano,
col verde cuneo, e tutta mi inondo.
Si levano uccelli di stagno e odor di cannella!
Col mio assassino, il tempo, io sono sola.
Ebbrezza e azzurro ci imbozzalano insieme.
"Canti di un'isola"
(qualche verso)
Frutti di ombra cadono dalle pareti
luce lunare intonaca la casa
e cenere di spenti crateri
entra col vento marino.
....
I luoghi di supplizio sono deserti adesso:
ci cercano e non ci trovano.
....
Quando tu risorgi,
quando io risorgo,
non vi è pietra davanti alla porta.
Non vi è barca sul mare.
Anche Georg Trakl è un poeta (austriaco) che amo molto
"Malinconia"
Ombre azzurrine. Oh occhi scuri,
che mi guardate a lungo scivolando innanzi.
Accordi di chitarra accompagnano miti l'autunno
nel giardino dissolto in bruno ranno.
La seria cupezza della morte preparano
mani di ninfe, dai rossi seni suggono
labbra imputridite e in nero ranno
scivolano umidi riccioli del giovine solare.
"Miseria umana "
[...] Pare udire anche un orrendo grido;
ossa rilucono tra mura in rovine.
"Canto della sera"
A sera, percorrendo strade oscure,
le nostre forme pallide ci appaiono dinnanzi.
"L'autunno del solitario"
Fruscia il canneto; piomba spettrale orrore
quando da spogli salici sgocciola
nera la rugiada.
"Primavera dell'anima"
Dove sono i tremendi sentieri della
morte, del grigio silenzio pietroso
gli scogli della notte
e le ombre inquiete?
Radioso abisso solare.
"Sogno e ottenebramento"
Amara è la morte
cibo dei peccatori [...]
Purpurea nube gli circondava
il capo, così che tacito egli
cadde sul suo proprio sangue e
immagine, un volto lunare,
impietrito cade nel vuoto.
"Crepuscolo"
Nel cortile, stregato da lattiginosa luce di crepuscolo
tra il bruno dell'autunno scivolano teneri malati
[...] il loro male si richiude come spettro
le stelle diffondono bianca tristezza.
Non escludo comunque, prima o poi, di riprendere in mano questi libri che lessi davvero troppi anni fa (e come ho detto, ero sprovvista di computer, da qui il mio averli riportati in sintesi su pagine di quaderno) e far uscire un pdf aggiornato completo di commento critico + testo originale in tedesco.
Così come ho in cantiere anche uno scritto su questo:
Goethe poi è IL nome tedesco da riportare obbligatoriamente, per cui come approfondimento lo trovate qui: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/08/introduzione-goethe.html
APPROFONDIMENTO: IL RACCONTO HORROR TEDESCO
tratto da
"Non c'è colpa al mondo che prima o poi non venga punita", si lasciò dire una volta Goethe. è una frase profondamente tedesca, legata al concetto dell'essere fondato sull'ordine, sulla certezza della compensazione fra gli opposti, sull'equilibrio. Nasce forse da una certa idealità nordica pagana, in cui la natura era vista come il risultato del perfetto contrapporsi di forze antagoniste. Può servire a spiegare un aspetto peculiare del Fantastico di lingua tedesca. Un Fantastico dalle radici molto più profonde di quelle presenti in qualsiasi altra letteratura europea: l'antologia "Phantasmagoria" che tanto entusiasmò Byron e Shelley era tedesca e mostra come alla fine del Settecento il racconto di fantasmi fosse un genere letterario popolare.
è una contestazione evidente che a questo mondo non vi sia certezza alcuna del castigo per le colpe né della retribuzione per il merito. La frase di Goethe apparirebbe dunque del tutto incongrua ove ci si fermasse a considerarla da un punto di vista esclusivamente mondano. Una prospettiva più larga le fa però assumere uno spessore inquietante: se il potere naturale non è sufficiente ad assicurare in questo mondo il corretto meccanismo della colpa/castigo, per ripristinare l'equilibrio così turbato dovranno entrare in campo fattori soprannaturali.
Nasce da qui il concetto, molto tedesco, del fantasma vendicatore che ha lontane radici in miti nordici come quelli della caccia selvaggia. La larva che ritorna dal mondo dei morti è un fattore riequilibrante che ripristina un superiore profilo di giustizia, violato o non realizzato.
L'inquietante presenza, che si ritrova negli scritti di autori come Hoffamann, Novalis, Tieck, von Arnim, Chamisso è simbolo di quella confusione fra i regni della natura e della fantasia che è tipica del Fantastico di lingua tedesca la cui espressione più alta è il "Faust" di Goethe, nel quale lo spazio si annulla, il tempo si confonde, il sogno e la vita reale hanno pari consistenza.
Val la pena citare quella teoria di Novalis secondo la quale, pur auspicandosi l'unità fra realtà e fantasia, fra natura e spirito, si mirava di fatto a sopprimere il primo termine, e tutta la realtà e la vita e perfino la storia nel suo divenire, venivano intese in fondo come sua "affabulazione" fino a sopprimere la realtà della morte.
Per inciso, è proprio da questo concetto della realtà storica intesa non come ben definita scrittura, ma come materia plasmabile dall'immaginazione che è nata la "Fantasia Eroica". Tolkien ne è l'autore più noto, ma il primo a renderlo popolare fu l'inglese William Morris che nei suoi romanzi basati sulla descrizione di un Medio Evo fantastico, si rifece alla concezione di Novalis secondo cui anche la storia può essere oggetto di elaborazione immaginativa, e nulla ci vieta di immaginare regni mai esistiti.
Del rischio che, mescolando realtà e fantasia, si perdano le caratteristiche distintive dell'una quanto dell'altra, si accorse lo stesso Goethe che cercò di correre ai ripari affermando, nella presentazione al suo "Märchen" (1795) che la fantasia è certamente una splendida qualità dell'anima umana ma deve essere goduta di per sé, tenendola del tutto distaccata dalla realtà, come una musica. Ma il suo avvertimento fu inutile: i romantici tedeschi continuarono a mescolare fantasia e realtà, talvolta compiacendosi delle contrapposizioni tra i due mondi, più spesso cercando di pervenire a una quasi alchemica coincidentia oppositorum, nella quale la fantasia aveva sempre il sopravvento. Spesso, la fantasia non è neppure separata dalla realtà ma è insita in essa.
Negli autori che presentiamo, Hoffmann e Meyrink, sono esemplificati due momenti diversi in cui si palesa questa basilare unità Fantastico/Reale, caratteristica della narrativa tedesca del Soprannaturale.
In E.T.A. Hoffmann prevale quello che Poe chiamava "Genio del Bizzarro", che sconvolge tanto il mondo di tutti i giorni quando il misterioso altrove da cui nascono gli incubi, confondendoli entrambi in un solo disegno di follia. In Meyrink, invece, il senso di unità è fornito dal suo rifarsi ai concetti mistici tradizionali, che non prevedono suddivisioni nell'Unicità dell'Essere e conferiscono alla fantasia lo stesso valore di verità assegnato alle percezioni.
Nota di Lunaria: questo libro
fa parte di un cofanetto
che raccoglie il meglio della Narrativa spettrale di fine '800-inizio '900.
In particolar modo, in "Fantasmi Tedeschi" sono raccolte:
"L'ospite misterioso" di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann
"La seduta spiritica" di Gustav Meyrink
"Una storia di fantasmi" di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann
"Le stelle dell'Aldilà" di Gustav Meyrink
"Il violino di Cremona" di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann
"Chitrakarna" di Gustav Meyrink
Su Meyrink, vedi questo link: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/06/il-fantastico-lorrore-e-lesoterismo-in.html
Su Schiller: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/06/commento-al-visionario-di-schiller.html
Su Goethe: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/08/introduzione-goethe.html
http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2017/12/introduzione-al-romanticismo-e-alle-sue.html
Su Hoffmann, vedi: http://deisepolcriecimiteri.blogspot.it/2018/01/introduzione-ad-eta-hoffmann-e-alla.html