Manzoni: La Morte di Ermengarda e il Cinque Maggio

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"Morte di Ermengarda" è il secondo coro dell'Adelchi, la tragedia in cui il Manzoni descrive la fine del regno longobardo in Italia (772-774). I cori non fanno parte integrante dell'azione che si rappresenta sulla scena, ma sono introdotti dall'autore per esprimere il suo stato d'animo di fronte ad un determinato evento.
  
Trama: Desiderio, ultimo re dei Longobardi, invade le terre della Chiesa. Il papa Adriano I, allora, invoca l'aiuto di Carlo Magno, re dei Franchi, che era anche suocero di Desiderio, perché ne aveva sposato la figlia, Ermengarda, la quale però era stata ripudiata. Il padre Desiderio e il fratello Adelchi, accolgono presso di sé l'infelice fanciulla, ma ella chiede pace e oblio, non vendetta. Carlo Magno scende in Italia e dopo un'eroica resistenza alle Chiuse di Val Susa, i Longobardi vengono sconfitti: Desiderio cade prigioniero, Adelchi muore. Ermengarda intanto si era rifugiata nel monastero di San Salvatore in Brescia, di cui era badessa la sorella Ansberga, dove sperava di trovare rassegnazione e conforto nella fede. Ma ella ama ancora profondamente Carlo Magno e va logorandosi nei ricordi di quell'amore disperato. Quando ormai si sente vicino alla fine, si fa portare, sostenuta da due donzelle, nel giardino del monastero, sotto un tiglio, dove  dice pacate e commosse parole per il padre, per il fratello e l'infedele sposo, che ella ha perdonato.
La sorella Ansberga, però, le rivela imprudentemente che Carlo Magno si è risposato.
Ermengarda allora sviene e nel delirio confessa l'amore immenso e potente che la lega ancora a Carlo, amore che la sua anima pudica non avrebbe potuto manifestare quando ella era nel chiaro possesso delle sue facoltà.
Il dolore profondamente umano di questa infelicissima anima ha momenti strazianti. Quando rinviene è ormai placata e vicina a Dio.
Si rivolge alle sorelle ed alle altre monache e dice: "Moriamo in pace - parlatemi di Dio: sento ch'ei giunge". Dopo queste parole si inizia il coro.
Il dramma interiore di questa delicatissima anima femminile consiste nel contrasto tra il ricordo della felicità di un tempo e la constatazione dolorosa che il regno di suo padre è crollato per opera dell'uomo che ella ama. Tra l'amore indimenticabile e tremendo per l'infedele sposo e l'ansioso desiderio di trovare conforto e rassegnazione nella fede in Dio e nella pace del chiostro. E quando finalmente muore, ella è già santificata dalla sua stessa sofferenza e ascende  al Dio dei Santi, nonostante che appartenga ad una stirpe di tiranni che affermò il suo diritto con la violenza e il cui valore consistette soprattutto nella forza del numero.

Sparsa le trecce morbide
sull'affannoso petto, (1)
lenta le palme, (2) e rorida (3)
di morte il bianco aspetto,
giace la pia (4), col tremolo
sguardo cercando il ciel.
Cessa il compianto: (5) unanime
s'innalza una preghiera:
calata in su la gelida
fronte, una man leggiera (6)
sulla pupilla cerula (7)
stende l'estremo vel.
Sgombra, o gentil, dall'ansia (8)
mente i terrestri ardori; (9)
leva all'Eterno un candido
pensier d'offerta, e muori:
fuor della vita è il termine (10)
del lungo tuo martir.
Tal della mesta, immobile (11)
era quaggiuso (12) il fato:
sempre un oblio di chiedere
che le saria negato;
e al Dio de' Santi ascendere,
santa del suo patir. (13)
Ahi! nelle insonni tenebre,(14)
pei claustri solitari, (15)
tra il canto delle vergini, (16)
ai supplicati altari,
sempre al pensier tornavano
gl'irrevocati dì; (17)
Quando ancor cara, improvida
d'un avvenir mal fido, (18)
ebbra spirò le vivide
aure del Franco lido, (19)
e tra le nuore Saliche (20)
invidiata uscì:
quando da un poggio aereo, (21)
il biondo crin gemmata,(22)
vedea nel pian discorrere (23)
la caccia affaccendata, (24)
e sulle sciolte redini (25)
chino il chiomato sir; (26)
e dietro a lui (27) la furia
de' corridor fumanti; (28)
e lo sbandarsi, e il rapido
redir (29) dei veltri ansanti; (30)
e dai tentati triboli (31)
l'irto (32) cinghiale uscir;
e la battuta polvere (33)
rigar di sangue, colto
dal regio stral: la tenera
alle donzelle il volto
volgea repente, pallida
d'amabile terror. (34)
Oh Mosa errante! oh tepidi
lavacri d'Aquisgrano! (35)
ove, deposta l'orrida
maglia,(36) il guerrier sovrano
scendea del campo a tergere (37)
il nobile sudor!
Come rugiada (38) al cespite (39)
dell'erba inaridita,(40)
fresca negli arsi calami
fa rifluir la vita, (41)
che verdi ancor risorgono
nel temperato albor; (42)
tale al pensier, (43) cui l'empia
virtù d'amor fatica,
discende il refrigerio
d'una parola amica,
e il cor diverte (44) ai placidi
gaudii d'un altro amor. (45)
Ma come il sol che reduce (46)
l'erta infocata ascende, (47)
e con la vampa assidua (48)
l'immobil aura incende,
risorti appena i gracili
steli riarde al suol; (49)
ratto così (50) dal tenue
obblio (51) torna immortale
l'amor sopito, (52) e l'anima
impaurita assale,
e le sviate immagini (53)
richiama al noto duol.
Sgombra, o gentil, dall'ansia
mente i terrestri ardori;
leva all'Eterno un candido
pensier d'offerta, e muori:
nel suol che dee la tenera
tua spoglia ricoprir,
altre infelici dormono, (54)
che il duol consunse; orbate
spose dal brando, (55) e vergini
indarno fidanzate; (56)
madri che i nati videro
trafitti impallidir.
Te dalla rea progenie
degli oppressor discesa,(57)
cui fu prodezza il numero, (58)
cui fu ragion l'offesa,
e dritto il sangue, e gloria
il non aver pietà,
te collocò la provida
sventura in fra gli oppressi:
muori compianta e placida;
scendi a dormir con essi:
alle incolpate ceneri  (59)
nessuno insulterà.
Muori; e la faccia esanime
si ricomponga in pace;
com'era allor che improvida
d'un avvenir fallace,
lievi pensier virginei
solo pingea.(60) Così
dalle squarciate nuvole
si svolge (61) il sol cadente,
e, dietro il monte, imporpora
il trepido occidente: (62)
al pio colono augurio
di più sereno dì.


1) Con le morbide trecce sparse; Ermengarda si trova nel giardino del monastero, sotto un tiglio, e il coro accompagna il suo transito.
2) Con le mani abbandonate sul petto; la morte è imminente ed Ermengarda è estenuata.
3) "rugiadosa": qui indica il sudore che diffonde sul volto esangue della morente.
4) Ermengarda è ormai santificata dal dolore.
5) è il compianto delle suore, che adesso pregano in coro per l'anima che si stacca dal corpo.
6) è la mano leggera della morte che appanna lo sguardo della moribonda.
7) La pupilla azzurra.
8) Da qui incomincia la preghiera delle suore, che esprimono il sentimento del poeta.
9) Le passioni terrene.
10) "Non la fine, ma il fine, la meta, il significato"
11) Il destino fisso, immutabile.
12) Era sulla terra: la frase significa "il suo destino immutabile era sulla terra di chiedere sempre invano l'oblio del suo grande amore per Carlo, oblio che le sarebbe stato negato"
13) Il suo destino era di salire al cielo fatta santa dalle sue sofferenze.
14) Nelle tenebre delle notti, passate vegliando.
15) Chiostri
16) Le suore
17) I giorni del suo amore che ella non voleva richiamare alla memoria.
18) Non prevedendo
19) Respirò l'aria del paese di Francia, che lei ancora amata e invidiata, sentiva così dolce e vivificatrice. Il paesaggio francese agli occhi di Ermengarda innamorata appare ancora più bello.
20) tra le spose dei nobili Franchi
21) che si slancia verso l'alto
22) coi biondi capelli gemmati, su cui risplendeva il diadema imperiale
23) correre in ogni direzione
24) i cacciatori, ed indica l'affannoso correre di cani e di cavalli
25) sulla groppa del cavallo galoppante a briglia sciolta
26) il re, suo sposo, dalla lunga chioma
27) è sottointeso "vedea"
28) di sudore
29) ritornare
30) veloci cani da caccia
31) dalle macchie spinose frugate dai battitori
32) con le setole diritte, per paura e furore insieme
33) colpito dallo strale del re, rigare di sangue la polvere battuta dai cavalli
34) L'aggettivo "amabile" tempera il sostantivo "terror" e rende conveniente a una maestà quel terrore.
Nella "tenera" sono riassunti in anticipo tutti i sentimenti, espressi fisicamente in quel volgere repente il volte alle donzelle e in quel "pallida d'amabile terror". C'è nella densissima scena, dolcezza di donna, apprensione paurosa di moglie, grazia e dignità di regina. Queste ultime tre strofe sono le più pittoriche di tutto il coro.
35) Le acque termali di Aquisgrana sul confine tra la Germania e il Belgio
36) La rigida armatura; è orrida perché è coperta di polvere e sangue.
37) A ripulirsi del sudore delle fatiche di guerra.
38) Come la rugiada posandosi sull'erba inaridita vi fa riaffluire la vita, così la parola consolatrice della sorella rasserena l'anima di Ermengarda; ma per breve momento, perché il ricordo dell'amore che sembrava assopito torna ancora ad assalire l'anima sgomenta di Ermengarda, come il sole, risalendo nel cielo infuocato, riarde la tenera erba che la rugiada aveva ristorato.
39) Al cespo
40) Dal calore del sole
41) Fa rifluire la vita ancora fresca negli steli (calami) riarsi dal sole
42) Nel mite calore dell'alba
43) Così all'anima di Ermengarda che la potenza spietata dell'amore spossa
44) e distoglie il cuore
45) quello di Dio
46) risorgendo
47) ascende nella volta celeste infocata dall'ardore dei suoi raggi
48) e con la sua fiamma costante avvampa l'atmosfera afosa e senza vento
49) riarde facendo ricadere al suolo
50) con la stessa rapidità
51) dal lieve e momentaneo oblio
52) l'amore che sembrava sopito
53) le dolci immagini d'amore che solo per poco ella aveva potuto allontanare
54) spose, fidanzate, madri private dei loro cari dalla crudeltà dei Longobardi
55) spose private del marito dalla spada longobarda
56) perché il loro fidanzato venne ucciso prima delle nozze
57) La sventura provvidenziale collocò te, che eri discendente dalla rea progenie degli oppressori, fra gli oppressi, coi quali fosti affratellata nel dolore e dal dolore e che perciò non ti maledissero i tuoi progenitori longobardi, che avevano infierito col loro numero e con le loro crudeltà sulle inermi popolazioni italiche.
58) per i quali oppressori l'essere così numerosi fu una prodezza, l'offesa fu ragione, spargere sangue un loro diritto e il non avere pietà dei vinti fu per loro motivo di gloria. Si avverti con quanta amarezza Manzoni considera quelle crudeltà che ancor oggi chiamano diritti e necessità di guerra, in dispregio di ogni principio di umanità.
59) che non hanno colpe, innocenti
60) esprimeva
61) appare
62) la parte del cielo dove tramonta il sole, trepida, palpita di luce; ciò per il pio colono è auspicio di giorno sereno, come la serena compostezza che il volto di Ermengarda ha acquistato nella morte è indice che un amore più alto, quello di Dio, ha accolto nella sua pace quell'anima tormentata. Il Momigliano così conclude il suo commento: "Ermengarda, moribonda, rivede, silenziosa e rassegnata, gli splendori ormai spenti: ma l'affollarsi del passato è troppo rapido e i sentimenti sono troppo profondi perché ne possa apparire qualche segno al di fuori. Il suo dramma è ormai interno, tutto immagini e palpiti che non trovano parole. Mentre nei "Memori" ultimi istanti la vita ripassa dinanzi al pensiero con una evidenza d'incanto, le vergini pregano l'ultima pace. E da quella preghiera si irradia anche sulle rievocazioni terrene una luce calma che non è del nostro mondo. L'amore invincibile, i claustri solitari, popolati di ricordi invano respinti, la corte festosa, quella caccia prodigiosamente disegnata e tutta animata dall'immagine dominante forte indimenticabile di Carlo, la vicenda faticosa dei conforti e degli assalti dell'amore immortale, tutta quella vita viva d'una sola passione ha ormai il colore di ciò che si allontana per sempre: è un corteo luminoso e doloroso di immagini che la morente si lascia dietro salendo.
E intanto la voce d'una sapienza sovrana spegne la malinconia delle sue visioni confondendo le angosce d'una persona in quelle di un popolo:
"altre infelici dormono/che il duol consunse..."
e richiamano lo sguardo della morente al giorno sereno che l'aspetta dopo il transito delle battaglie fugaci.
La meditazione religiosa unifica e isola in una limpida lontananza gli spettacoli mondani, i pensieri virginei e gli ardori terrestri, le sventure d'una donna e d'una gente: e tutto rimane nella fantasia come un arco di storia umana in cui brilla una verità che non tramonta."





Commento al "Cinque Maggio"

5 Maggio 1821: Napoleone Bonaparte, che aveva sconvolto l'Europa con le sue guerre vittoriose, muore nella piccola isola di Sant'Elena sperduta nell'Atlantico sconfinato. Quando il Manzoni ne apprende la notizia resta così commosso che compone quest'ode di getto, in soli tre giorni, dal 17 al 19 luglio, mentre rivive l'epopea napoleonica e rappresenta, in sintesi potente e serrata, il dramma angoscioso del dominatore che conobbe la fuga e la vittoria, le sconfitte e l'altare, il trono e l'esilio. Le strofe più poetiche e commosse dell'ode sono quelle che rievocano il grande Còrso nella "breve sponda" di Sant'Elena, quando, travolto dall'onda dei ricordi, si sente oppresso dalla disperazione; ed è allora che Dio conforta la sua lenta agonia, aprendogli il cuore alla fede e alla speranza.
Anche quest'ode è ispirata alla concezione cristiana che della storia ebbe il Manzoni: i grandi eventi e le umili vicende, la peste e le carestie, le gioie e i dolori, il dramma di Lucia e quello di Napoleone, sono segno sulla terra della volontà di Dio che li permette per un suo fine imperscrutabile di giustizia e di bene. Anche il superbo Imperatore fu strumento della Provvidenza divina che volle, servendosi di lui, stampare sulla terra un'ombra più vasta della sua potenza. E fu la stessa Provvidenza, poi, che dal solitario letto di morte lo avvio alla felicità dei cieli "dov'è il silenzio e tenebre - la gloria che passò"

Ei fu. (1) Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro, (2)
così percossa, attonita,
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale; (3)
né sa (4) quando una simile
orma di pié mortale
la sua cruenta (5) polvere
a calpestar verrà.

(1) Egli, Napoleone, è morto. In tutta l'ode, Napoleone non viene nominato: sarebbe stato inutile, perché tutti stavano già parlando di lui.
(2) Come, esalato l'ultimo respiro, il cadavere di Napoleone stette privo ormai (orba) di una così grande anima, così la terra, all'annunzio di quella morte rimane percossa e stupita (attonita), quasi incredula.
(3) in significato attivo, che racchiudeva in sé il destino di un'epoca, e non già semplicemente l'uomo voluto dai fati, che sarebbe una frase generica.
(4) Il soggetto è la terra.
(5) Insanguinata dalle battaglie napoleoniche.


Lui folgorante (6) in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua, (7)
cadde, risorse e giacque, (8)
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio (9)
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito (10)
sparir di tanto raggio; (11)
e scioglie all'urna un cantico (12)
che forse non morrà. (13)

(6) Il soggetto è il mio genio: la mia fantasia creatrice (il mio genio) vide Napoleone fra gli splendori del trono (solio) e tacque, non volle cioè unirsi al coro degli adulatori
(7) con vicende rapide e continue
(8) Cadde: dopo la sconfitta di Lipsia (1812-1813); Risorse: durante i Cento Giorni; Giacque: cadde definitivamente dopo la sconfitta di Waterloo (1815)
(9) Puro, non macchiato da adulazione servile quando Napoleone era potente né da vili offese dopo che egli cadde.
(10) improvviso
(11) di una vita così splendida
(12) innalza alla tomba; un cantico: un inno
(13) che resterà immortale, perché la poesia vive eterna e, come canta il Foscolo, "vince di mille secoli il silenzio".


Dall'Alpi alle Piramidi, (14)
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine (15)
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla (16) al Tanai,
dall'uno all'altro mar. (17)
Fu vera gloria? (18) Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.

(14) Rievoca le campagne vittoriose di Napoleone.
(15) al lampo seguiva il fulmine di quell'uomo sicuro; cioè al pensiero seguiva l'azione, alla minaccia di guerra la guerra, come al lampo segue immediatamente lo scoppio del fulmine
(16) in Calabria
(17) dall'Atlantico al Mediterraneo
(18) Dopo l'animata rievocazione delle imprese di Napoleone il poeta ha un momento di riflessione. La gloria conquistata dal grande condottiero fu vera gloria? Manzoni si astiene dal dare un giudizio sull'uomo e sulle sue imprese quando ancora le passioni erano accese, e lascia ai posteri, che potranno giudicare con più obiettività, la risposta alla domanda: il Manzoni, fedele sentimento religioso, si inchina alla volontà di Dio.


La procellosa (19) e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, (20) e tiene un premio
ch'era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga (21) e la vittoria,
la reggia e il triste esiglio;(22)
due volte nella polvere,
due volte sull'altar. (23)

(19) Queste due strofe sono rette da "tutto ei provò". Osserva il Momigliano: "Trepida dipinge l'ansia di raggiungere il sogno; procellosa ci fa vedere le proporzioni di quel disegno, ce lo allarga dinnanzi alla fantasia, ci fa sentire il mutarsi rapido, il travagliarsi vigoroso di quell'anima vasta e battuta, come un cielo in tempesta." Il gran disegno che Napoleone concepisce è quello di divenire signore della Francia.
(20) e lo raggiunge, il regno
(21) dopo la campagna di Russia (1812), dopo la sconfitta di Lipsia (1813) e dopo la battaglia di Waterloo (1815)
(22) all'isola di Elba e a Sant'Elena
(23) la prima volta dall'incoronazione imperiale (1804) fino a Lipsia (1813); la seconda volta durante i Cento Giorni.


Ei si nomò: (24) due secoli,
l'un contro l'altro armato,(25)
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.

(24) Egli, Napoleone, pronunciò il suo nome;
(25) e due secoli, che rappresentavano due civiltà di idee contrastanti, il XVIII con l'Assolutismo prima e la Rivoluzione dopo, e il XIX con la Restaurazione, si sottomisero a Napoleone, come aspettando da lui il loro destino; ed egli impose il silenzio e fu arbitro tra le avverse correnti conciliando le conquiste della Rivoluzione con le esigenze della Restaurazione.


E sparve, (26) e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,(27)
segno (28) d'immensa invidia (29)
e di pietà profonda,(30)
d'inestinguibil odio (31)
e d'indomato amor. (32)

(26) dopo tante vittorie e dopo aver riempito l'Europa del suo nome! dagli sconvolti campi di battaglia alla inerzia e alla solitudine di Sant'Elena! Osserva il Momigliano: "E: basta questa fugace congiunzione per presentare alla mente del lettore il tragico contrasto fra il giudizio grandioso che deve far di Napoleone la storia del tempo, e l'indifferenza che conserva di fronte a lui l'eternità."
(27) nell'isola di Sant'Elena
(28) fatto oggetto
(29) da parte di piccoli uomini
(30) da parte dei buoni
(31) da parte dei nemici
(32) da parte di chi gli restò fedele anche nella caduta.


Come sul capo al naufrago (33)
l'onda s'avvolve (34) e pesa,
l'onda su cui del misero, (35)
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese. (36)

(33) Come sul capo del naufrago pesa l'onda del mare sul quale poco prima la sua vista scorreva per cercare invano un approdo lontano, così nell'anima di Napoleone scese il cumulo delle memorie del glorioso passato.
(34) si avvolge, fluttua e grava
(35) l'onda su cui pur dianzi la vista del misero scorrea alta e tesa.
(36) il cumulo delle memorie dalle quali fu soffocato.


Oh quante volte ai posteri (37)
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir! (38)

(37) Incomincia qui la grande poesia dei ricordi. è l'ora del tramonto e la nostalgia e la tristezza invadono l'animo di Bonaparte, immobile con le braccia incrociate al seno, in quella posa che ha sempre prediletto. L'inerzia forzata fa mirabile contrasto con l'incalzare impetuoso dei ricordi che lo assalgono: le tende piantate e ripiegate per riprendere senza indugio la marcia vittoriosa, le trincee nemiche sconvolte, i manipoli lanciati all'assalto, le armi sfolgoranti al sole, gli squadroni di cavalleria che galoppano ad onda e il comando di lui, dell'Imperatore, rapido e nervoso, e l'ubbidire pronto dei soldati. Ed ora egli è lì, nell'isola deserta, solo con le sue memorie che giungono a torme al suo cuore.
(38) il ricordo


E ripensò le mobili
tende, (39) e i percossi valli,(40)
e il lampo de' manipoli, (41)
e l'onda dei cavalli, (42)
e il concitato imperio (43)
e il celere ubbidir. (44)

(39) gli accampamenti presto fatti e levati
(40) le trincee nemiche battute dal fuoco dell'artiglieria
(41) le armi della fanteria che lampeggiavano
(42) il galoppo della cavalleria lanciata alla carica
(43) gli ordini bruschi e perentorii.
(44) l'ubbidire dei soldati


Ahi! forse a tanto strazio (45)
cadde lo spirto anelo, (46)
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo, (47)
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l'avviò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, (48) al premio
che i desideri avanza,(49)
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.(50)

(45) provocato dai ricordi di gloria
(46) affannato
(47) nel momento della disperazione ecco il provvido intervento di Dio che trasporta l'anima affannata in un'aria più pura, ove fiorisce la speranza nel Signore che placa tutte le pene.
(48) al Cielo
(49) che supera ogni desiderio umano
(50) la gloria terrena


Bella Immortal! (51) benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, (52) allegrati;
ché più superba altezza (53)
al disonor del Gòlgota (54)
giammai non si chinò.
Tu (55) dalle stanche ceneri (56)
sperdi ogni ria parola: (57)
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice (58)
accanto a lui posò.

(51) è la Fede
(52) trionfo, riportato sul potente Napoleone
(53) mai uomo più grande di Napoleone si inchinò alla Croce
(54) alla Croce: prima del sacrificio di Cristo, il supplizio della croce era considerato disonorante
(55) o Fede
(56) di Napoleone
(57) ogni parola di oltraggio
(58) sul letto del morente, abbandonato dagli uomini, ma non da Dio, che si posò accanto a lui confortandolo nel momento del trapasso. Questo passaggio richiama alla mente la conclusione dei "Promessi Sposi".