I fantasmi del Castello di Trezzo

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Questa storia comincia un po' fuori Milano, a Trezzo sull'Adda per la precisione, fra quello che resta delle mura del castello. Il castello di Trezzo ha una storia strettamente legata a quella di Milano. Tra le sue mura transitarono Federico Barbarossa prima e Ezzelino Romano poi. In seguito il castello fu residenza dei Visconti e nelle sue segrete il malvagio Gian Galeazzo fece torturare decine di persone. In quelle stesse celle uccise anche lo zio Bernabò, signore di Milano, avvelenandolo, sembra, con una zuppa di legumi. E ancora, oggi del castello restano poche parti ancora in piedi, questo perché i suoi mattoni furono con cura smontati e riportati a Milano dove servirono a Napoleone per la costruzione dell'Arena che si trova al Parco Sempione. Come se non bastasse, proprio nel castello è ambientato uno dei romanzi più noti scritti a Milano: "Il Castello di Trezzo" di Giovanni Battista Bazzoni.
Il libro, scritto nella prima metà dell'Ottocento, è il classico romanzo storico composto sull'onda del successo ottenuto anche in Italia dall'"Ivanhoe" di Walter Scott.
"Il castello di Trezzo" racconta la vicenda di Bernabò Visconti e del nipote Gian Galeazzo, mischiata in salsa eroica con una principessa di nome Ginevra (ricorda qualcosa?), prodi cavalieri, maghi e traditori.
Il romanzo ebbe un successo strepitoso, tanto che in pochi mesi ne andarono esaurite più di dodici edizioni. Bazzoni, che allora aveva 24 anni, divenne famosissimo e poté dedicare il resto della vita alla scrittura senza arrivare mai a bissare la fortuna della sua prima opera.

In un posto tanto impregnato di storia e di leggende non possono non avvenire strani episodi. E nel castello di Trezzo le stranezze sono tanto all'ordine del giorno, da avergli fatto guadagnare la fama di uno dei luoghi più infestati della zona. 

Nell'estate del 1973 un piccolo gruppo di turisti tedeschi scelse come luogo di campeggio la sponda del fiume Adda che si trova all'altezza del castello. Era una notte limpida e il cielo era punteggiato di stelle. Una lieve brezza soffiava dal fiume, portando l'odore dell'acqua mescolato al suono delle cascatelle molto frequenti in quel tratto. I tedeschi si stavano preparando a coricarsi nelle loro tende quando la loro attenzione fu destata dal rumore di passi in una radura poco distante da dove si trovavano. Immaginando che si trattasse di altri turisti come loro, che magari si erano smarriti e avevano bisogno di aiuto, armati di torce elettriche, si avviarono nella direzione da cui provenivano i rumori. All'aperto della radura furono stupefatti nel vedere un gruppetto di uomini in armatura che si facevano luce intorno con delle fiaccole. Lievemente discosto dal gruppo dei soldati, si trovava invece un uomo abbigliato in un elegante abito bordato di cuoio. Sulle spalle portava un mantello. L'uomo fu il primo a vedere i turisti. Li studiò per un attimo, poi gli fece cenno di avvicinarsi. La prima cosa a cui pensarono i ragazzi fu che si trattasse di una qualche rappresentazione in costume, una sagra o qualcosa di simile. L'uomo parlava solo italiano e così i soldati, ma alla fine il concetto fu chiaro. Gli italiani stavano invitando i tedeschi a seguirli in direzione del castello di Trezzo.
Alla luce tremolante delle fiaccole, i turisti si incamminarono dietro agli uomini fino alle porte della fortezza, passarono un posto di guardia, dove uomini armati di alabarde facevano la posta al cancello, e furono introdotti nel grande cortile centrale. I muri erano ricoperti di torce fiammeggianti. Alla luce tremolante e arancione del fuoco, i turisti videro numeroso persone abbigliate con vesti rinascimentali. L'uomo con il mantello, a gesti, continuò a guidarli verso l'interno del maniero. Quello che i tedeschi non notarono fu che il castello non era diroccato, come il pomeriggio avevano visto, ma in condizioni perfette, e sembrava ancora abitato.
Salito un lungo scalone, l'uomo li guidò in una sala in cui si trovava un grande tavolo imbandito, illuminato da candelieri d'argento. La sala era gremita di persone che, con molta gentilezza, salutarono i nuovi arrivati. Anche loro erano tutti vestiti con abiti antichi. Servi e valletti riempirono i loro piatti fino a sazietà, e il vino che fu versato nei loro calici li rese allegri e un po' ubriachi. Dopo la cena, i brindisi, i festeggiamenti e le danze, gli stremati turisti furono condotti da un valletto in una stanza al cui centro troneggiava un enorme letto a baldacchino. Senza nemmeno spogliarsi, i ragazzi si buttarono sul letto e caddero in un sonno profondo e senza sogni.
Solo la mattina dopo, con la luce del sole negli occhi, si svegliarono. Erano sdraiati su un prato. Intorno a loro il castello era così come tutti lo potete vedere oggi: un cumulo di rovine.
I turisti, rifatti in fretta e furia i bagagli, tornarono in paese, dove un anziano confermò che spesso la notte al castello accadevano strane cose. Talmente strane che gli stessi abitanti di Trezzo faticavano a parlarne. E forse era meglio così. I turisti tornarono in Germania con una storia bella e assurda da raccontare ai loro amici: che avevano cenato con Bernabò Visconti.

Ma altri dicono di aver visto anche lo spirito di Barbarossa girare sconsolato a cavallo per i giardini del castello. E ancora, qualcuno ha visto una figura scura affacciarsi sulla torre più alta, attendere qualche secondo e poi gettarsi nel vuoto. Potrebbe trattarsi di uno stalliere che lavorava al castello nel Settecento. Secondo la leggenda, il poveretto si era perdutamente innamorato della figlia dell'allora proprietario del castello. Ovviamente l'aristocratico padre della ragazza osteggiava la relazione della figlia, di nobile schiatta, con un povero servo. Ma il padre, forse non del tutto a posto con la testa, per essere certo che i due giovani non consumassero la relazione, murò la figlia in una delle stanze del maniero: meglio una figlia morta che un nome disonorato. Disperato, lo stalliere andò a implorare il padre dell'amata che gli promise di liberare la figlia solo se lui avesse avuto il coraggio di gettarsi dalla torre più alta del castello e porre fine alla sua vita. Tanto era l'amore dello stalliere, che decise di sacrificarsi per la sua amata, perché almeno lei potesse tornare a vivere. Salì sulla torre più alta sotto gli occhi divertiti del padre della giovinetta. E dopo qualche secondo si lanciò nel vuoto. Il suo corpo atterrò al suolo con un tonfo, coperto dalle risate divertite del padre. Che invece non mantenne la promessa fatta e lasciò la figlia a morire di fame e di sete murata in una delle stanze.

Un'ultima leggenda riguarda le segrete del castello. Si dice che i Visconti qui usassero trascinare i loro prigionieri per sottoporli alle più atroci torture. In questi sotterranei, che si possono visitare anche oggi, su molte pareti e soffitti si formano a volte delle macchie rosse. Secondo alcuni si tratta del sangue delle centinaia di persone morte in quelle stanze, che sgorga ancora oggi dalla roccia per gridare vendetta.





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